venerdì 31 agosto 2018

Edward Goldsmith, apripista ecologista dell'idea bioregionale


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"La massima priorità dell’umanità è reintegrarsi nel mondo naturale."  (Jonathon Porritt)

Edward Goldsmith (Parigi 1928 – Siena 2009) è considerato uno dei maggiori precursori del movimento ecologista internazionale. Poco noto in Italia, nonostante vi abbia vissuto e operato, è stato il primo a lanciare allarmi contro vari sistemi distruttivi: dai programmi di sviluppo della FAO e del GATT alle politiche della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale (FMI); dalla costruzione delle grandi dighe e centrali nucleari ai cambiamenti climatici; dall’introduzione degli OGM e della chimica in agricoltura fino ai disastri della globalizzazione. È stato, inoltre, uno dei principali ispiratori di quel movimento di contestazione apparso nel 1999 a Seattle contro la conferenza dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). 

Nel 1969 ha fondato la rivista The Ecologist diventata una delle voci più credibili del pensiero ecologista a livello mondiale. È del 2011 Per un nuovo paradigma, una monografia postuma dedicatagli dall’Ecologist Italiano in cui emerge tutta la profondità del suo messaggio umano, politico e culturale per il quale, nel 1991, gli fu attribuito il Right Livelihood Award, meglio conosciuto come il Premio Nobel Alternativo. 

Dalla lettura di quella monografia, dell’interessante saggio di Eugenio Corsi del 2005 (Fonte: ecoblog.it), e soprattutto della sua opera più rappresentativa Il Tao dell’Ecologia, alla quale lavorò per oltre trent’anni esprimendovi compiutamente la propria visione, si traggono i concetti fondamentali di un pensiero che invita a ritrovare nella parte il tutto e viceversa, che aiuta a comprendere il ruolo della scienza e dell’uomo nella biosfera, e tutta l’insostenibilità di uno sviluppo ad ogni costo ormai drammaticamente deteriorato. 

La sua è un’analisi caratterizzata da una spiccata avversione per il mito del progresso visto come negazione stessa dell’evoluzione: “L’intero concetto di sviluppo industriale – afferma - è responsabile della distruzione degli ecosistemi del mondo e delle società umane. Lo sviluppo è il problema, non la soluzione”. 

In nessuna delle sue opere si prospettano soluzioni possibili all’attuale crisi ecologica attraverso una qualsivoglia rivoluzione tecnologica. Nessun provvedimento a breve termine potrà essere d’aiuto, se non una decisiva e netta inversione di tendenza capace di restituirci un pianeta ospitale alla sopravvivenza. 

Proprio per questo suo ripensare la natura e diffidare del c.d. sviluppo sostenibile senza pregiudizi, ha subito una pesante emarginazione politica riservata a chi si pone al di là delle categorizzazioni ideologiche, e di quel religioso strabismo scientifico e ideologico promulgato da sinistra a destra a sostegno del sistema industriale e finanziario ritenuto responsabile della gravissima crisi sociale e ambientale. 

Per lui non c’è un futuro utopico da costruire, ma un recupero attivo del passato, anche se “…l’esperienza dell’era moderna non può essere cancellata”. Guarda alle società vernacolari come modelli di società ecologiche a cui ispirarsi, le sole in grado di risolvere in maniera efficace le conflittualità tra natura e cultura. E non lo fa con nostalgica lagnanza per un passato arcadico definitivamente perso, bensì certo della necessità di un superamento dell’attuale paradigma. 

Come l’evoluzione biologica ha portato alla nascita e allo sviluppo di milioni di specie viventi, così l’evoluzione sociale ha portato allo sviluppo di una grande e complessa varietà di gruppi sociali ed etnici adattatisi nel tempo al loro ambiente. Il progresso procede nella direzione opposta, distruggendo gli ecosistemi climax sostituiti via via da sistemi sempre meno complessi. Basti guardare alle devastazioni dei millenari ecosistemi forestali, rimpiazzati prima da foreste secondarie, poi da piantagioni a crescita rapida, infine da pascoli che preludono le cementificazioni urbane. Parallelamente, e sempre in nome del progresso, intere comunità ed etnie subiscono sradicamenti che le trasformano in masse sempre più alienate e deprivate. Tale fenomeno trova una spiegazione nel principio di tolleranza ecologica secondo il quale i sistemi naturali possono funzionare adattativamente solo in ambienti le cui caratteristiche non si siano troppo scostate da quelle ottimali. 

Nella società industriale l’uomo è spinto fuori dall’intervallo di tolleranza, generando sofferenza emotiva e disadattamento che lo rende incapace di adeguarsi a contesti per i quali non è filogeneticamente designato. 

Lo stesso Corsi, nel suo saggio sui concetti fondanti del pensiero ecologico di Goldsmith, scrive: “In natura man mano che l’evoluzione raggiunge ecosistemi climax si assiste ad una riduzione dei comportamenti competitivi in favore di comportamenti cooperativi, fenomeno che in ecologia prende il nome di mutualismo. 

Man mano che il progresso si sviluppa si assiste, invece, al fenomeno opposto: un aumento esponenziale delle competizioni intracomunitarie e fra stati. È logica conseguenza che là dove gli ecosistemi e le società climax producono un aumento dell’ordine, le società progredite producono un aumento del caos. Le società climax come quelle vernacolari massimizzano il riciclaggio di ciò che impiegano per le loro attività che in effetti non producono residui di alcun tipo perché i prodotti di scarto di un processo sono le materie prime di quello successivo. Questo processo aumenta enormemente il grado di autosufficienza della comunità. Ancora una volta nel progresso avviene l’opposto.  Le società aumentano l’interdipendenza formando grandi aree di libero scambio economico fra gli stati, l’autosufficienza scompare e la produzione di materiali di scarto inutili e spesso tossici aumentano costantemente producendo inquinamento e ponendo le basi per la scarsità futura”. 

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Goldsmith è stato fra i primi ad intuire che l’unica economia ecologicamente possibile è quella bioregionale. Non a caso riprende uno dei principi di Gandhi, lo swadeshi, per il quale il consumo e la produzione nel solo breve periodo è minato alla base dalla moderna concezione dello sviluppo economico. 

Quando lo swadeshi non ha più luogo le merci proliferano al di fuori di ogni controllo. Pertanto, la globalizzazione dei mercati acuisce il divario già formatosi fra l’uomo e il contesto naturale. La riscoperta della dimensione locale è obiettivo obbligato per ricucire quel particolare legame di corrispondenza elettiva tra micro e macrocosmo che provoca profondi legami identitari con il territorio bioregionale. 

Alla vettorialità del progresso consumistico cresciuto in una cultura monopolizzata da marxismo, liberalismo e fascismo il movimento della sussistenza locale contrappone una cultura della sobrietà tesa al reintegro evolutivo nel mondo naturale: una cultura fondata su sistemi consensuali, autoregolati e cooperativi che rendono le comunità protagoniste attive e consapevoli di un agire armonico, creativo e solidale.

Italo Carrarini

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giovedì 30 agosto 2018

L’acqua, la luce e il calore sono gli elementi base da cui può scaturire la vita...

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Tra gli elementi base per avviare il processo che porta alla nascita della vita ci sono la luce, il calore di una stella (ad una distanza accettabile, né troppo vicina, né troppo lontana ) e l’acqua. Quest’ultimo elemento rappresenta il “brodo primordiale” da cui possono iniziare a svilupparsi le prime cellule viventi, come già accaduto alcuni miliardi di anni fa sul nostro pianeta. Gli scienziati fino al secolo scorso pensavano che l’acqua presente sulla Terra fosse un unicum del cosmo, un particolare regalo al nostro pianeta originato da qualche fenomeno sconosciuto. 
Oggi, grazie allo sviluppo della tecnologia, dell’astronomia e dell’astrofisica, sappiamo che l’universo è invece ricco d’acqua. Da tempo gli scienziati si interrogano sul momento in cui apparve l’acqua nell’universo. Dei due elementi che la compongono l’idrogeno fu presente subito dopo il Big Bang, in quanto formato da un protone e da un elettrone ossia dall’atomo più semplice che si formò agli inizi dell’Universo, mentre l’ossigeno si formò solo dopo che le prime stelle esplosero al termine della loro vita. L’ossigeno infatti, è un elemento complesso che si forma solo dall’esplosione delle supernova.
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In una immagine, scattata dal telescopio spaziale Hubble, si vedono i “globuli di Bok”. Si tratta di nubi dense e scure di materia dove stanno per nascere nuove stelle. Al loro interno la quantità di vapore acqueo è pressoché costante fin da un miliardo di anni dopo il Big Bang. E questo accadeva anche quando l’ossigeno era migliaia di volte meno abbondante di oggi, ma con una temperatura dell’Universo di almeno 200°C superiore ad oggi.
I ricercatori della Cornell University hanno scoperto che l’acqua era presente in abbondanza già dopo poche centinaia di milioni di anni dal Big Bang. Essa era presente in grandissime quantità nelle nubi molecolari presenti nell’Universo primordiale. Questo ha sorpreso gli scienziati perché, pur sapendo che l’ossigeno doveva già essere presente dopo poche centinaia di milioni di anni non doveva essercene così tanto da poter originare l’acqua. La spiegazione alla realtà dei fatti va ricercata nelle condizioni che vi erano in quel momento nell’Universo: allora infatti, la temperatura generale era di pochi gradi sopra lo zero, una condizione totalmente diversa da quella attuale. Ma quella situazione dava all’ossigeno una grande efficienza nell’unirsi all’idrogeno per produrre acqua. In altre parole, non appena l’ossigeno si formava dalle prime stelle morenti si univa all’idrogeno ad originare acqua.
È vero che le radiazioni ultraviolette delle stelle che nascevano distruggevano in continuazione una notevole quantità di tali molecole, ma il bilancio tra le molecole che venivano distrutte e quelle che si formavano era positivo per queste ultime. Fu così che in poco tempo si venne a creare un enorme quantità d’acqua che venne inglobata nei primi pianeti che si andarono a formare. Più tardi il carbonio che si formava anch’esso all’interno delle stelle iniziò ad unirsi ad altre sostanze a formare le molecole fondamentali per la vita e il “gioco” era fatto.
Morale della favola, se l’acqua, la luce e il calore di una stella sono gli elementi base da cui può scaturisce la vita, allora non c’è da meravigliarci se un giorno scopriremo qualche pianeta in cui esiste una vita complessa come qui sulla Terra, quindi? Basta aspettare!
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(Fonte notizie: A.K.)

"Cum grano salis" - Un racconto sulla preparazione del convegno "Ecologia, economia e moneta positiva" che si tiene a Treia il 22 settembre 2018


La natura è una specie di terapia per me. Io corro, da solo, con amici. Solitamente mentre corriamo possiamo affrontare pochi argomenti per volta. L’ossigeno che abbiamo in circolo serve ai muscoli e ne resta poco per il cervello. Ma con Pino Fammilume un giorno abbiamo iniziato a parlare di medicina (lui è medico) del colesterolo e di come alle volte la natura (anche umana) sopperisca a bisogni con intelligenza. Si è parlato della carenza di vitamina C nell’alimentazione a causa di alimenti del 75% più poveri di nutrienti rispetto agli anni 70. Mangiamo cibi peggiori e lo stress li rende ancora meno utili a rimpiazzare i nutrimenti essenziali per la nostra buona salute. Da lì Pino scherzando disse: -Immagina se il colesterolo non fosse altro che il cerotto per suturare le vene lacerate dalla mancanza di vitamina C?! 

Immagina se un giorno capissero che troppa colesterolo buono, leva quel cerotto, con la conseguenza di  morire ugualmente di malattie cardiache, proprio a causa del colesterolo buono!!! 

Oggi dopo 4 anni sembra che quel pensiero in carenza di ossigeno non sia del tutto folle… Parliamo di tutto correndo, di Arte di Natura di Economia… Poche parole dette con il cuore, perché perennemente affaticati, centelliniamo parole e concetti.

Un giorno mentre parlavamo della natura e del padre del biologico italiano, Gino Girolomoni e sua moglie Tullia Romani, e del miracolo della Urbino degli anni 70/90  in cui intellettuali “Spirituali” si sono riuniti intorno a quelle due figure per cercare un ritorno al nuovo Eden… quel giorno, dicevo, iniziammo un percorso differente. Parlammo della parola grano, per lungo tempo sinonimo di ricchezza, parlammo dell’economia  ma in un modo differente. Pino mi disse di conoscere Fabio Conditi di Moneta Positiva e che le sue conferenze, che già conoscevo, non avevano la volontà di creare divisioni al contrario di rivalutare l’economia e di ricondurla a ciò che è. Un chicco di grano produce 10,  20 volte ciò che getti in terra. A patto che tu sia rispettoso delle regole di madre Natura. Se non lo fai, la natura fa il suo corso, continua amorevole a darti ciò che può, ma poi tu  ti ammali per quelle carenze alimentari che lei non può sanare.
Ci sono regole che la moderna società sembra voler rimuovere, come 2+2 fa quattro. Le eccezioni sono poche ed hanno un prezzo.

"Ecologia, economia e moneta positiva" -  22 settembre 2018, ore 16.30 - Sala Multimediale, via Cavour 29 - Centro Storico di Treia

Tentiamo di organizzare un incontro a Treia; città che mi ha adottato da 18 anni. Mi ricorda un po' Urbino. Sono tutti gentilissimi, magari un po’  diffidenti, in linea con l’animo marchigiano (piegato e temprato dalla storia) ma hanno entusiasmo e curiosità. Quale luogo migliore per ascoltare?

Mi incaricai di fare il manifesto dell’evento e qui inizia un altro racconto. Io sono scenografo, come mia moglie, raccogliemmo le indicazioni di tutti i registi e iniziammo una ricerca ma il manifesto non veniva, la Musa mi ignorava. Parlavo con Fabio Conditi poi con Paolo D’Arpini… mi confrontavo con Pino. Niente!

Una notte sognai il mio sacco di grano marcito con larve e farfalle.  Chi mi conosce sa che io produco la mia farina con un grano antico biologico comprato da un altro illustre contadino Franco Verdicchio. Lui ha salvato poche manciate di  grano antichissimo dalla guerra in Siria. E’ un grano che potrebbe avere 4000 anni almeno. Mi disse che quel grano era talmente ricco da essere incredibilmente perfetto. Se l’osservi ogni chicco è differente. 

Che sia una stagione piovosa o secca lui produce sempre lo stesso quantitativo di grano. La perfezione ha migliaia di anni. Io uso un lievito madre che ha almeno 100 anni sono approdato a ciò dopo una lunga malattia che mi ha aiutato a vivere molto meglio. Immaginate che sofferenza vedere quel grano marcito.

Risvegliatomi dall’incubo tremavo. Cosa vorrà dire? Sono troppo avido ho accumulato più di quello di cui necessito?
Scesi in laboratorio e mi sincerai che il mio grano non fosse rovinato. Era tutto normale…..Ma cosa vuol dire allora?
Sotto la finestra in laboratorio abbiamo un lavello con accanto il piccolo mulino che macina la farina.  Un chicco di grano era caduto via dal mulino ed era nato nel lavello. Aveva germogliato...  Era il manifesto!


Buttai giù dei bozzetti e volevo scrivere ai miei registi ma non ero ancora pronto. Non volevo sentire né Paolo e né Fabio prima del dovuto; ma fui chiamato da Fabio. Gli raccontai la storia e con sorpresa lui mi disse che aveva esattamente riproposto l’idea di Economia Positiva…

Le due parentesi intorno al chicco che avevo fotografato, erano le mani che loro avevano usato. Poi questo significato per Moneta positiva rimase solo un simbolo e se perse traccia evidente. Il manifesto che più in la vedrete non è un granché, ma per me ha una bella storia da raccontare.

Durante  l’Equinozio autunnale, data scelta da Paolo, ci sarà questo convegno sulla natura della moneta, parafrasando Gino Girolomoni (ed Ildegarda di Bingen): I germogli sono già nati in autunno, anzi sono i germogli che fanno cadere le foglie e questa scoperta l’ho fatta a quarant’anni sorprendendomi non poco.

Speriamo che il 22/09/2018 noi tutti si sia in grado di rendere il giusto ringraziamento a Madre Natura, all’operosità e all’accoglienza di questa piccola grande cittadina ed a tutte le associazioni e persone che hanno reso possibile l’evento facendo nascere in noi nuovi germogli.

Spargete il verbo quindi! Accorrete numerosi!

Andrea Santini - info@isanti.biz


mercoledì 29 agosto 2018

Presto il cibo tornerà ad essere un bene primario...

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L'agricoltura tradizionale perché è in crisi? Perché i prodotti dell'agricoltura, nei paesi in cui vige il benessere materiale, hanno perso sempre più valore a scapito di altri beni, sempre materiali, che ne hanno acquistato uno sempre maggiore e penso prima di tutto, a quelli tecnologici, beni che richiedono un consumo di altri beni (territorio, energia) sempre maggiori. Da qui l'aumento dei campi lasciati incolti.
Del resto, la frutta e i pomodori, tanto per fare esempi eclatanti, ogni anno vengono distrutti o lasciati marcire sulle piante perché, per questo benedetto (maledetto) mercato il gioco non vale la candela, la raccolta e il trasporto non vengono ripagati dal ricavato.Vengono invece impiegati terreni ex agricoli, per impiantare pannelli fotovoltaici o coltivare colza. Lasciamo perdere il discorso degli allevamenti intensivi. Quando è iniziata la meccanizzazione del lavoro ed ora l'informatizzazione sarebbe diminuita la necessità di lavorare fisicamente (ed anche temporalmente) invece più o meno si lavora come prima e quindi è necessario produrre beni per far lavorare persone e quindi altre persone devono essere incentivate ad acquistare questi beni, poi c'è la globalizzazione, scarpe prodotte nel terzo mondo che costano meno di quelle prodotte in Italia e quindi altra sottrazione di lavoro per noi... insomma è un casino.
Comunque ritorniamo al discorso iniziale: i prodotti agricoli, tranne qualche prodotto particolare costano sempre meno in proporzione, da cui l'abbandono del mestiere del contadino tradizionale. Di contro si sta sviluppando una nuova figura di "contadino alternativo" che ha con la terra un rapporto di amicizia, di amore e complice il fatto di un desiderio di ritornare ad una vita in sintonia con la natura, vorrebbero vivere in semplicità, dei frutti del loro lavoro, svolto con cura, ma in quantità modeste, senza dover affrontare la moltitudine di balzelli burocratici e pseudo sanitari, quando questi produttori produrrebbero come si faceva in casa una volta o poco più e con la stessa cura che utilizzerebbero per produrre per sé.
Secondo me c'è  spazio per questo approccio  e ce ne sarà sempre più, in questo momento di crisi e nella eventuale ulteriore crisi futura dovuta all'impoverimento delle riserve di combustibili fossili e di altre fonti energetiche non rinnovabili.
Il cibo diventerà un bene, ritornerà anzi, un bene primario, al quale dare il giusto valore, anche in funzione di un recupero di uno stato di benessere inteso proprio come salute del genere umano che per troppo tempo si è "accontentato" di cibarsi di prodotti ottenuti da terreni impoveriti e contaminati da prodotti tossici, da liquami, con un'aria e piogge piene di gas di scarico, di fumi di fabbriche e di riscaldamenti domestici, da animali allevati in condizioni stressanti, al limite della sopravvivenza, che non sopravvivono se non riempiti di antibiotici.
Se torniamo ad un'alimentazione naturale, basata principalmente sui prodotti della terra, avremmo tutti da mangiare e senza bisogno di ricorrere a tante sostanze di sintesi. In questo mondo il mestiere del contadino, potrebbe diventare quello più importante e ben pagato o comunque tale da dare a tanti piccoli operatori da che vivere più che dignitosamente, senza bisogno da parte delle ausl di fare tanti controlli.
Caterina Regazzi

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martedì 28 agosto 2018

TAP. Storia di un gasdotto che viaggia in Italia (per andare in Germania)...


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TAP.... un po’ di storia

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Ufficialmente, per essere meno dipendenti dalle forniture di gas della GAZPROM russa e dal suo realizzando gasdotto SOUTH STREAM, l’Unione Europea decise a suo tempo di finanziare la realizzazione dei gasdotti di altri fornitori. Alcuni consorzi di aziende si proposero di trasportare il gas dei giacimenti Azeri in Europa con un gasdotto composto di varie tratte. Tale gasdotto parte da BAKU in AZERBAIJAN con la tratta SCP attraversa la GEORGIA e consegna il gas al confine turco alla tratta TANAP che attraversa tutta la TURCHIA.
Nel 2006 fu proposto il progetto alternativo del consorzio TAP che avrebbe attraversato GRECIA ed ALBANIA per giungere attraverso l’adriatico alla marina di MELENDUGNO, San FOCA, in provincia di Lecce in ITALIA. Da San Foca proseguirebbe fino alla prevista centrale di decompressione di MELENDUGNO ed infine collegarsi a SNAM. SNAM, dal canto suo aveva previsto, per trasportare questa ed altre forniture di gas, di realizzare il cosiddetto “Raddoppio della Linea Adriatica” che andrebbe da MELENDUGNO a MINERBIO in Emilia Romagna.
Il gas in questione è già, per la sua quasi totalità, riservato alla GERMANIA, con i contratti di fornitura, direttamente dalla proprietà dei giacimenti azeri a copertura di circa il 5% dei suoi fabbisogni.
Stessa sorte è prevista per buona parte del gas che attraverserà l’Italia, a favore di altri Paesi.
Tutti questi consorzi ed aziende trasportano semplicemente il gas, non ne sono i proprietari.
Nel 2013  si decise a favore della tratta complessivamente più lunga, più tortuosa e più difficile dal punto di vista progettuale, TAP (come si evince analizzando sia le tratte TAP che SNAM).
Riassumendo, il gas che TAP trasporterà parte dal lontano Azerbaijan per approdare a Melendugno, provincia di Lecce, poi viene presa in carico da SNAM, che a zig zag lungo la penisola la porta fino a Minerbio in Emilia Romagna. Da qui prosegue al confine tra Austria e Germania. E sarà la Germania dunque, secondo un’aggettivo assai in voga un po’ di tempo fa, l’utilizzatore finale…  

L’Italia (sembra un film di Fantozzi) paga banchetto e viaggio di nozze , ma non riceverà un solo confetto, né si può dire, un metro cubo di gas, fatta eccezione di una piccolissima fornitura, sul totale del gas trasportato dal TAP in Italia, ad HERA (una società controllata fondamentalmente da alcune amministrazioni comunali emiliane). Non solo. Una volta approvato dallo Stato italiano, un gasdotto, un elettrodotto o qualunque altra opera inerente il settore energetico, diviene ufficialmente un opera di “infrastrutturazione energetica” di interesse nazionale, quindi, in base all’articolo 12 comma e) della suddetta legge 481 del ‘95, ogni consulenza fantasiosa, ogni prestito finanziario o pedaggio, ogni costo inerente o reso inerente a questa opera verrà risarcito INTEGRALMENTE E SENZA LIMITI DI SPESA.

Il banchetto sarà praticamente senza fine… per tutti i commensali (indovinate quali). In tutto questo c’è chi rimesta nel torbido parlando di costi, penali e multe se il “matrimonio” non si avesse a fare, ma la verità è un’altra. Non sono previste ne’ multe ne’ risarcimenti se si impedisse un’opera che all’Italia ed alla sua economia reale non serve affatto. E, come si diceva in tempi di campagna elettorale, “si potrebbe bloccare in soli dieci giorni” . Porterà però una marea di denaro dei cittadini e delle aziende italiane nelle tasche di privati, ovvero un’operazione che, in mancanza di questa specifica legge a supporto, si potrebbe definire fraudolenta. Negli scacchi si chiama deviazione: fingere di puntare un obiettivo che in realtà è un altro. Qui l’obiettivo sembra il gas Azero, ma in realtà sono i soldi dei cittadini italiani.
Ora la domanda è: riuscirà il governo del cambiamento a cambiare anche le insane abitudini di una classe politica di un Paese che “non si vuole bene?”
Attendiamo fiduciosi una risposta coraggiosa…
Emanuela Leo - Stralcio di un articolo da: www.imolaoggi.it

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Fonti

lunedì 27 agosto 2018

Una memoria storica sul percorso della Rete Bioregionale Italiana



 Gli incontri, sul tema del bioregionalismo, dell’ecologia profonda e della spiritualità della natura, in Italia, sono iniziati dal 1984, presso il Circolo Vegetariano VV.TT. di Calcata, però dal punto di vista ufficiale la Rete Bioregionale Italiana nacque ad Acquapendente (Vt), nel parco di Monte Rufeno, nella primavera del 1996. Quindi le proposte politiche e sociali relative all’attuazione bioregionale ebbero “inizio” ufficialmente in quell’anno.
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Personalmente fui uno dei fondatori del movimento bioregionale in Italia e sono rimasto nella Rete malgrado le correnti avverse che, come spesso accade, hanno suddiviso il gruppo iniziale in rivoli e rivoletti con varie etichette. Nel frattempo, a mano a mano che qualcuno usciva c’è stato anche qualcuno che entrava e tutto sommato possiamo dire che il movimento ecologista profondo, facente riferimento alla Rete Bioregionale Italiana, è tutt’ora vivo e vegeto e fortemente operativo.
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Una chicca storica  sulle azioni bioregionali del passato ve la voglio sottoporre, si tratta di un comunicato stampa ripreso da Antonello Palieri dell’ADNkronos, risalente al 1996. Non so se ricordate che in quell’anno Umberto Bossi aveva iniziato il pattugliamento sul fiume Po, per promuovere il suo federalismo separativo. Noi partimmo da Calcata ed organizzammo un contro-presidio, sulle rive del Po. Potranno testimoniarlo Antonio D’Andrea di Capracotta  ed anche Lina Boner di Verona, che erano presenti, ed altri che ora non ricordo.. Ah, c’era pure Stefano Disegni, il vignettista, che aveva disegnato il logo del nostro Ostello per Erbivori.
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Lì sul Po, in provincia di Mantova, vissi una esperienza mista.
Eravamo arrivati al mattino presto, la natura era molto bella, passeggiai in lungo ed in largo sulle sponde del fiume, mentre i navigli della Lega facevano avanti ed indrè sull’acqua limacciosa, A contrastarli c’era una mongolfiera della Lega per l’Ambiente ormeggiata a terra, con tanti bei colori… Ma la lunga giornata al sole mi aveva proprio incocciato.. ed infatti ricordo che dovetti andare a rifugiarmi in un boschetto per sfuggire ai cocenti raggi e perciò non potei intervenire sul palco dove si tenevano gli interventi. Ma Stefano Disegni disse qualcosa su di noi, tanto per stabilire la nostra presenza. Sostanzialmente la proposta da noi portata avanti, di attuazione del bioregionalismo, è sotto riportata dall’Adnkronos. Ah ricordo che finimmo pure in prima pagina su La Repubblica….
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Storico flash di agenzia: BIOREGIONALISMO LA PROPOSTA SARA’ RILANCIATA SUL PO IL 15 SETTEMBRE
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Roma, 30 ago. 1996 (Adnkronos) – ”Bossi faccia pure il suo raduno fluviale il 15 settembre, noi ci batteremo per il riconoscimento di un nuovo ordinamento regionale basato sul ”bioregionalismo” (luoghi riconoscibili per le affinità culturali, dialettali, della flora e della fauna) e su effettive automonie locali.” Lo dichiara il Presidente del Circolo vegetariano VV.TT. di Calcata, Paolo D’Arpini che la settimana scorsa ha lanciato ”con grande successo” la proposta del bioregionalismo. ”Il 15 settembre, giorno dell’imbarazzante ‘uscita fluviale’ di Bossi, noi riproporremo l’Italia dei bioregionalismi e del federalismo effettivo che ci unisca nel nome d’Italia -ma nel rispetto autentico delle autonomie- e non separi quanto e’ stato unito attraverso drammatiche e secolari vicende.”
”Lo riproporremo in tre diverse sedi e manifestazioni: il primo sull’altra sponda del Po, davanti a Ponte di Legno (nell’ambito di una manifestazione dell’Unione italiana ed Europea), il secondo nell’incontro di San Benedetto del Po, organizzato dai verdi della Regione Lombarda ed infine il terzo a Calcata, nella Valle del Treja, per rilanciare il modello etrusco come metodo di aggregazione per una bioregione sperimentale dell’Etruria”.
Intanto ”giungono lettere di adesione alla nostra proposta” precisa Paolo d’Arpini” anche dagli abitanti della cosiddetta ‘Padania’. Dai confini di questa inesistente ‘regione federata’ M.F. di Gorizia ci comunica che chiede asilo politico a Calcata nell’evetualita’, sia pure remota, di una vittoria bossista. Lo chiede in qualita’ di ‘barbaro illirico simpatizzante’ con il bioregionalismo etrusco’”
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Purtroppo l’idea bioregionale non ha ancora attecchito, ed il sistema “federalista politico-economico” ha nel frattempo dimostrato tutte le sue pecche. Le Regioni sono carrozzoni che appesantiscono il bilancio dello Stato e servono solo a mantenere una massa di corrotti e di scansafatiche. Dividendo inoltre gli ambiti omogenei e le comunità. Per quanto riguarda la visione bioregionale e su quello che dovrebbe essere l’ordinamento e la riorganizzazione territoriale dello stato (secondo la nostra visione), vi rimando agli articoli:   https://www.google.com/search?client=gmail&rls=gm&q=no%20regioni%20carrozzoni%20paolo%20d’arpini
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Beh, la nostra battaglia bioregionale continua, vi aspettiamo agli Incontri annuali del  Collettivo Bioregionale Ecologista, che solitamnete si tengono in corrispondenza del Solstizio Estivo, aperti a tutti coloro che si riconoscono nell’ecologia profonda e nella spiritualità laica.
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Paolo D’Arpini

Rete Bioregionale Italiana 
Via Mazzini 27 - Treia (Mc) - Tel. 0733/216293
Email: bioregionalismo.treia@gmail.com

Blogs: 






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Articolo collegato: 

Chi può definirsi bioregionalista?
Questo termine non denota una appartenenza etnica bensì la capacità di rapportarsi con il luogo in cui si risiede considerandolo come la propria casa, come una espansione di sé. La definizione diviene appropriata nel momento in cui si vive in sintonia con il territorio e con gli elementi vitali che lo compongono... - Continua: http://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2013/06/chi-puo-definirsi-bioregionalista-il.html 

domenica 26 agosto 2018

In difesa delle identità bioregionali - No all'accorpamento amministrativo di Recanati, Porto Recanati, Loreto e Montelupone


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Vorrei esprimere il mio totale disaccordo sulla proposta recentemente  reiterata da alcuni esponenti  del pd,  regionale Marche  e provinciale maceratese, di accorpare in una mega-aggregazione  metropolitana le comunità di Recanati, Porto Recanati, Loreto e Montelupone, in virtù della Legge Del Rio, ancora in vigore. 

Questa distruzione delle identità locali bioregionali è una iattura per gli abitanti del territorio e causa di malfunzionamento della macchina amministrativa. Dico ciò non per opposizione politica, in quanto io stesso  iscritto al pd (nonché membro di minoranza del direttivo nella sezione di Treia), essendo pienamente consapevole dei danni alle comunità causati in altri ambiti regionali da tali accorpamenti (ad esempio in Val Samoggia in Emilia, dove la popolazione piange amare lacrime dopo la fusione di  diversi comuni non omogenei tra loro (poiché suddivisi tra montagna e pianura). 

Ma la  perdita d'identità locale che subentra con le indicazioni livellatrici della legge Delrio, non è il solo male degli accorpamenti  spuri. Si dice accorpare ma il vero significato è “accoppare”. E poi chi l'ha detto che risulterebbero dei vantaggi nei servizi da tali accorpamenti, da “aree vaste” prive di radicamento nel senso comunitario? I servizi peggiorano, date le distanze e la burocratizzazione dei vari uffici decentrati, la popolazione perde ulteriormente contatto con i propri amministratori, gli interessi dei centri più grandi prevalgono -per la solita legge democratica della maggioranza- su quelli più piccoli.

Se si vogliono soddisfare le esigenze di una buona amministrazione locale risparmiando sui costi, si cominci con l'eliminare le prebende agli amministratori, si crei un servizio di volontariato a rotazione per quei servizi che possono essere condivisi, magari utilizzando il tempo libero degli anziani o dei giovani studenti. Sarebbe un servizio civile utile alla comunità ed a costo quasi 0, soprattutto a km. 0. 

Mentre con l'annessione amministrativa per raggiungere gli uffici decentrati bisognerebbe fare la spola  tra i vari uffici  decentrati, in macchina, avanti ed indrè. Per non parlare di altri inconvenienti,  come ad esempio il subentrare di un ulteriore estraniamento fra cittadini e amministratori... 

Questo sistema dell'aggregazione omologante dei comuni non tende al miglioramento dei servizi bensì all'annullamento del senso di comunità ed al controllo sociale della cittadinanza, e mi fa venire alla mente la vicenda di Loudun, nella Francia della prima metà del 1600, descritta magistralmente nel libro di Aldous Huxley "I diavoli".

Paolo D'Arpini  - Rete Bioregionale Italiana

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Post scriptum: 

Il discorso dell'aggregazione di piccoli  comuni contigui di un certo ambito omogeneo, può avere un senso anche dal punto di vista bioregionale, ma  nel  caso esaminato  le differenze  culturali sono troppo andate lontano e le realtà che forse un tempo potevano avere una certa affinità culturale di tradizioni e di attività umane sono ora troppo disomogenee, in questo momento -secondo me- è meglio mantenere le comunità per come sono andate strutturandosi nel corso degli ultimi anni. Pensate alla differenza attuale di interessi e di attività economiche e sociali tra i due comuni di Recanati e Porto Recanati, nati parecchio tempo fa da un'unica matrice... ma oggi completamente diversi e con interessi diametralmente opposti. Ma non dobbiamo considerare solo questi aspetti di disomogeneità culturale ed economica... pensiamo soprattutto all'aspetto della difficoltà amministrativa di un nuovo mega-comune che oltre a cancellare il senso di identità territoriale dei suoi abitanti li pone in difficoltà logistiche e di rappresentanza democratica, come dice il proverbio latino "ubi maior minor cessat". Il Comune con più abitanti farà prevalere i suoi interessi ed avrà maggiore rappresentanza nel nuovo consiglio.  Affinché  le istituzioni possano continuare ad essere vicine agli abitanti e ai loro bisogni: come verrebbero distribuiti gli uffici in caso di Comune unico? Ufficio anagrafe e stato civile, uffici tecnici, come possono essere decentrati o accorpati? 
Sindaco e assessori dove "risiederebbero"? In un momento storico in cui la gente è sempre più disaffezionata alla politica è il caso di allontanare anche fisicamente i rappresentanti delle istituzioni locali?  Il discorso è molto complesso e non può essere esaurito in un semplice post...

P.D'A.

venerdì 24 agosto 2018

Pianeta Terra - Cronologia delle estinzioni di massa già avvenute e previsioni per quella prossima


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Mi vien da sorridere, si fa per dire, ogni qualvolta leggo o sento slogan sul tipo: “ Salviamo la Terra”, oppure “ Fermiamo l’uomo che sta distruggendo la Terra”. La Terra, il nostro pianeta, nella sua lunga storia di qualche miliardo di anni ha assistito a ben 5 estinzioni quasi totali di esseri viventi che ospitava, ma poi, dopo qualche secolo, ha rivisto fiorire la vita sulla sua superficie. Al nostro pianeta quindi poco interessa quello che fanno gli umani, lei resta sempre li immutabile. I prossimi slogan ecologisti, pertanto, dovrebbero essere del tipo: “Fermiamo l’uomo che distrugge la vita animale e vegetale sul nostro pianeta”. 

Parlavamo delle cinque estinzioni di massa ed ora gli scienziati ci informano del pericolo reale che anche noi potremmo essere vittime di una fase irreversibile che potrebbe portarci alla sesta estinzione di massa. La differenza è che nelle precedenti estinzioni non c’era l’uomo e le cause erano eventi astronomici, climatici o vulcanici, oggi la causa è soprattutto l’uomo. Ma prima di addentrarci nella questione delle attuali estinzioni di animali e vegetali causate dall’uomo, facciamo un rapido esame sulle precedenti estinzioni di massa sulla Terra. 

Ordoviciano-Siluriano
Circa 450 milioni di anni fa, tra il periodo Ordoviciano e Siluriano, si verificò una prima grande estinzione. Sono diverse le teorie sulle causa, ma la più accreditata al momento è che l’estinzione è stata causata da una glaciazione che ha portato alla morte molti pesci primitivi che abitavano le acque più calde come i trilobiti.  Da quell’evento negativo per le forme di vita superficiali, sicuramente si sono salvati i primitivi pesci abituati a vivere nelle profondità marine dove l’acqua ha mantenuto una temperatura consona alla stessa vita. Ultimamente però sta prendendo piede un’altra teoria quella cosmica e cioè che l’esplosione di una supernova relativamente vicina al nostro sistema solare abbia bombardato la Terra con deleteri raggi gamma (Gamma-Ray Bursts). Anche in questo caso si sarebbero salvati creature marine abissali, protette dalla stessa superficie marina. 

Evento Kellwasser
Circa 380 milioni di anni fa (Devoniano superiore), si è verificata un’altra estinzione non immediata come la prima ma avvenuta in maniera graduale, almeno in 2 milioni di anni. Gli scienziati teorizzano l’impatto di asteroidi che hanno oscurato il cielo per un lunghissimo periodo. 

Permiano-Triassico 
Conosciuto come Great Dying è un periodo in cui si registra l’ estinzione di massa più grande, ritenuta la più catastrofica per la vita sul pianeta (252 milioni di anni fa). Diverse sono in questo caso le teorie, anche in questo caso si parla dell’impatto con un grosso meteorite, teoria avvalorata dal ritrovamento di un vasto cratere in Antartide. Alcuni scienziati però pensano che sia più credibile una intensa e continua attività vulcanica che ha provocato un marcato effetto serra, con modificazione della stessa struttura atmosferica, in parole povere con la presenza di gas tossici, alcuni dei quali, come la CO2, hanno acidificato gli oceani. Si spiegherebbe così la perdita del 96% delle creature marine a differenza del 60% di quelle terrestri. Fu l'unica estinzione di massa documentata di insetti. Si è stimato che si estinsero quasi il 60% di tutte le famiglie e l'83% di tutti i generi. Poiché andò persa così tanta biodiversità, la ripresa della vita sulla Terra fu un processo molto più lungo - si ipotizzano 10 milioni di anni -rispetto ad altre estinzioni di massa. Questo evento è stato descritto come la "madre di tutte le estinzioni di massa". Tra gli animali estinti in questa fase catastrofica troviamo il Dinogorgon, una sorta di antenato dei dinosauri. 

Triassico-Giurassico 
Circa 203 milioni di anni fa, a causa di forti variazioni climatiche che hanno portato al surriscaldamento globale, si sono estinti il 76% degli esseri viventi. Durante questa estinzione la temperatura aumentò di oltre 6° C e nel contempo diminuì l’ossigeno nei mari, forse a causa alla liberazione di metano dal fondo degli oceani. Tuttavia nell’arco di “soli” 150 anni, proprio il calore ha eroso il 400% delle rocce disperdendo nell’aria biossido di carbonio e riportando alla normalità la temperatura. Durante questa estinzione scomparirono i terapsidi ed i bivalvi. 

Cretaceo-Paleocene  
È l’estinzione dei dinosauri insieme al 76% degli esseri viventi avvenuta 66 milioni di anni fa. La causa ormai accettata da tutti è stato l’impatto di un gigantesco un meteorite. La presenza considerevole di iridio, elemento poco presente sulla Terra, sarebbe una prova, ma ancora più schiacciante come prova il gigantesco cratere di oltre 10 Km di diametro scoperto nella Yucatan. Rispetto alle catastrofi precedente questa volta la Terra ci mise appena un secolo per far tornare la vita. 

Filippo Mariani  (A.K. Informa N. 34)

Risultati immagini per la sesta estinzione di massa è  già cominciata


Post Scriptum:  

Ci sarà una sesta estinzione di massa? 
E’ da qualche anno che scienziati e studiosi nel campo specifico della biodiversità della Terra ci fanno notare che sono moltissimi gli animali e i vegetali che vanno estinguendosi rapidamente a discapito del futuro di tutto l’ecosistema planetario. Le cause, come abbiamo già detto all’inizio, sono molto probabilmente da attribuire all’operato scorretto dell’uomo nei confronti dell’ambiente....  - Continua: https://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2017/10/estinzioni-di-massa-volte-ritornano-la.html