“Comunque, si cade subito in errore, se si scambia per legge viva
dello sviluppo umano in generale uno schema di sviluppo”. (1)
Lo scientista non sa di esserlo. Arriva a pensare di poter scrivere
qualcosa che sia solo scientifico perché non è consapevole del suo
stesso credo, quello che gli impone di
non avere
altra scienza al di fuori di quella meccanicista,
di non
chiamare scienza nient’altro che quella in mano sua,
di ricordare
di santificare Descartes, Newton e Einstein,
di onorare
padre e madre ovvero il razionalismo e la logica,
di uccidere
ogni pensiero contrario a questo decalogo,
di non
lasciarsi andare a prendere in considerazione altro che non sia
entro il campetto di gioco del meccanicismo,
di non
appropriarsi di prospettive di conoscenza altrui,
di mentire
liberamente o inconsapevolmente pur di difendere la propria fede,
di non
desiderare una
scienza altra dalla propria,
di non
desiderare concetti diversi da quelli imposti dalla logica.
In sostanza, ritiene che scrivere e pensare
scientificamente lo sottragga dall’essere un devoto
all’altare scientista, ovvero al principio secondo
il quale oltre alla scienza non v’è modo – né ragione –
di perseguire la conoscenza e la verità.
Va da sé che dal suo punto di vista deridere
il resto dell’universo, ovvero ciò che sta fuori il piccolo
recinto del suo campetto di gioco, non comporta essere scientista, ma
essere semplicemente vero e giusto.
«L’ordinamento dialettico è il più mobile di tutti, poiché
ordina soltanto concetti. Assolutizzando i puri ordinamenti e
tralasciando affatto gli oggetti dell’osservazione esso non
assolutizza nessun particolare processo dello spirito, delle forze e
delle posizioni in cui si esprimono le visioni del mondo. [...] Come
pura sistematica dei concetti di vita e di esistenza concreta esso
non è una sistematica della vita e della esistenza concreta medesime
(che sarebbe impossibile, e condurrebbe al vicolo cieco di una
prevaricazione razionalistica, che estrania gli uomini
dall’esistenza). [...] Si può soltanto evitar l’errore di
credere che l’ordinamento dialettico sia più di quel che è». (2)
Insomma la matrice scientista del suo
pensiero, generata dalla fede nell’idea della scienza, non gli è
nota e se lo è se ne vanta, per questo è
capace con nonchalance di sfidare chiunque a trovare cosa ci sia di
scientista nel suo commento. CVD.
Ma è proprio nel suo sfidare chiunque che lo scientista va premiato
con la S lunga del supermercato. Che le prospettive sul mondo
– l’aveva già detto Platone, e tanti altri, ma lui della
filosofia se ne frega – siano ontologicamente parziali se ne fa un
baffo, in nome e in difesa della scienza. Va detto!
Ecco cosa arriva a dire lo scientista ignaro del ruolo che copre:
“Visto che Merlo mi ha chiamato in causa direttamente (citando un
mio commento in cui sfido chiunque a rintracciare tracce di
«scientismo»), ne riporto un altro, fatto a seguito del primo.
Io non voglio dare del cialtrone a nessuno, e men che meno a chiunque
sia curioso delle novità e degli stimoli che derivano dagli sviluppi
recenti (ormai, recenti di un secolo) della fisica, quantistica o
meno che sia. Vorrei solo che si avesse un po’ più
di contezza di ciò di cui si parla, se se ne vuole parlare, e
non ci si limitasse all’uso arbitrario di metafore suggestive
quanto fuorvianti”. (3a)
“Sfido chiunque” è una formula il cui habitat di nascita e vita
riguarda il dualismo, ovvero quel territorio creato dal pensiero
logico-meccanicista che genera e sancisce la separazione tra oggetto
e soggetto. È, ontologicamente, l’affermazione della presunta
superiorità di ogni affermazione a sostegno del soggetto che la
pronuncia. Ed è perciò, contemporaneamente, anche la costante
rivelazione di non avere consapevolezza della sua ineludibilità, in
quanto convivente del soggetto che ritiene – come da sussidiario –
di poter guardare neutralmente il mondo. Ed è anche, purtroppo,
l’origine della pretesa di superiorità, minimo comun denominatore
dell’arroganza e della sopraffazione. Per la prova del nove, così
cara allo scientista ignaro di se stesso, si veda il prodotto sociale
e politico delle ideologie o anche quello delle relazioni sofferenti.
Ma “sfido chiunque” è anche una formula idonea per essere
incompatibile e
inconcepibile in contesto quantistico, la cui prima natura è
quella di far divenire la realtà in funzione di chi ne è al
cospetto.
Ma torniamo a noi. Un po’ più di “contezza”
dice. Ma secondo quali regole? Quelle in possesso suo? Quelle
che danno per scontata e certa la separazione tra oggetto e soggetto?
Quelle cartesiane? Quelle newtoniane? Quelle della vulgata
illuministica che parla della supremazia della ragione? Quelle del
metodo scientifico, che separa il mondo in pezzetti credendo di
studiarlo? Di più, di conoscerlo? Quelle uguali per tutti? Come la
legge? E, soprattutto, perché? Non possono essercene altre, con
dinamiche differenti che le distorcono e contengono, che delle sue
non sanno che farsene se non per giocare a scala quaranta? La
situazione è drammatica!
Come può quindi un io sfidare tutti senza ergersi sprovvedutamente
sopra gli altri? Come si possono ergere a legge assoluta banali
convenzioni arbitrarie e autopoietiche, e utilizzarle come martelli
divini impropriamente utilizzati per tutti i chiodi del pensiero
logico, ma purtroppo anche di quello estetico, lirico, contemplativo,
meditativo, non duale?
Passare col rosso è sempre sbagliato solo e soltanto per il codice
della strada e solo se qualche specifico probiviro della legge ti
denuncia.
“Ogni volta che abbiamo parlato della vita ci siamo accorti subito
che facendo ciò coglievamo soltanto un elemento, un involucro o un
processo di dissoluzione. [...]. Noi costringiamo, nei limiti del
possibile, pur sapendo di sbagliare, tale inconcepibile in concetti
che sono pensabili complessivamente come concetti in termini
paradossali, solo nella forma del metodo dialettico. [...] Le forze
supreme che debbono essere ora il nostro oggetto sono infinite, sono
totalità, e per questa loro natura non possono essere oggetto per
noi nello stesso modo degli altri oggetti. Il nostro sarà perciò un
continuo parafrasare e girare attorno. Due risultati appaiono
tuttavia possibili alla nostra conoscenza: in primo luogo la
coscienza dell’esistenza di questi termini supremi che non sono mai
raggiungibili e compiutamente concepibili; e in secondo luogo la
chiarificazione di un patrimonio di concetti specifici, paradossali,
che sono sempre lo strumento (corrente nella bocca di ognuno)
mediante il quale la nostra ratio parla dell’incomprensibile nel
tentativo di comprendere”. (4)
“Fuorvianti”? Dunque, il giudizio fa testo, ma descrive una
realtà che è solo nel pensiero di chi la descrive. Oltre a quelle
del bravo scolaretto, il dubbio che esistano prospettive differenti
dalla sua non assale lo scientista. Le streghe ci sono sempre. Povero
Popper e compagnia.
“E lo ribadisco. Poi, se Merlo non può fare a meno di dividere
l’umanità in scomparti separati e appiccicare etichette (per cui
da «scientisti» si diventa anche affossatori delle verità altrui,
vocati alla prepotenza e alla sopraffazione, prevaricatori culturali
del prossimo, tecnici al servizio di chiamate vanitose e materiali,
affiliati di un «clero civile votato alla chiesa del determinismo,
del riduzionismo, del razionalismo e del meccanicismo», fino alla
vergogna suprema di essere laureati e intellettuali) questo è un
problema suo e non mio. Vale sempre l’antica saggezza (che sfugge
al dominio logico-razionale) secondo cui spesso «ciò che Pietro
dice di Paolo non descrive Paolo ma Pietro»”. (3b)
Ci sarebbe da divertirsi se la faccenda riguardasse me e chi ce l’ha
con quello che scrivo. Ma la questione diviene seria quando dentro il
campetto giocano anche i campioni.
“Ovviamente la sua [di Stephen Hawking, nda] fede è riposta nella
scienza, che da sempre studia l'universo per capire com'è stato
creato e trovare una risposta scientificamente comprovabile alle
domande dell'umanità. In contrapposizione con l'indicazione delle
religioni che, a sua detta, sono così sospettose verso la scienza da
scoraggiarla attivamente. «Cosa faceva Dio prima della creazione?
Preparava l'inferno per le persone che si ponevano queste domande?»
ha chiesto ironicamente Hawking, per poi scherzare sul fatto di
essere contento di non essere perseguito dall'inquisizione”. (5)
Forse al professore inglese sfugge che l’esperienza non è
trasmissibile, che ricreare è necessario, che nelle parole ci sono
infiniti universi, uno per ogni persona che le sentirà e le
pronuncerà, che come dice Hegel, “ogni contenuto della coscienza è
pensiero” (6) che ridurre tutto entro una sola semantica è il più
grande problema delle culture a derivazione
cartesiano-illuministica-scientista. “Le singole forme della
coscienza [...] hanno la loro verità solo in quanto sono e rimangono
in lui stesso”. (7)
“Ciò che può prendere atto solo come viva esperienza, e al quale
nessuno può essere indotto da motivi razionali, e il cui processo
avviene nelle forme dell’esperienza come sentimento, intuizione,
rappresentazione, ciò è per Hegel «pensiero». Quando si
descrivono tali processi nella forma costituita dalle prove
dell’esistenza di Dio, le descrizioni non vogliono, come ci si
potrebbe attendere dal pensiero, convincere colui che non fa
esperienza del processo, non vogliono condurre a Dio il senza Dio.
«Le prove dell’esistenza di Dio», scrive Hegel, sono «spacciate
per tali, che sembra quasi che, mediante la loro conoscenza e la
convinzione operata da esse, possa essenzialmente, e così soltanto,
operarsi la fede e la convinzione dell’esistenza di Dio. Tale
affermazione farebbe tutt’uno con quella che a noi non sia
possibile mangiare finché non abbiamo ottenuto la conoscenza delle
proprietà chimiche, botaniche o zoologiche degli alimenti».” (8)
Come la realtà di ciò che crediamo di essere, di ciò che crediamo
essa sia, si concretizza nel pensiero, così la scienza seguita a
sbattere contro un muro che si è fatto da sola. Non è attraverso la
domanda che si può trovare la risposta. Un intento simile al fare
cilecca, visto che ha ragione d’essere unicamente nel ristretto
campetto della logica formale e, soprattutto, in quello microscopico
in cui gli uomini credono che solo il campo logico possa dare
risposta. Un guaio!
Infatti, è la domanda stessa (preceduta dal corrispettivo pensiero)
che vorrebbe indagare la natura del mistero, che genera il mistero
stesso. Un buon emblema rivelatore della realtà come pensiero.
Da quell’incipit che sfida il mondo, sfacciato e sprovveduto,
pregno di fideismo logico-razionalista, segue
una catena con cui la nostra cultura è costretta a terra, incapace
di volare. È l’assurdità per la quale stando entro i criteri
della logica si possa scientisticamente credere di dare una risposta
universale a qualcosa.
Una cultura che costringe entro la sua rete tutti i pensieri e tutta
la creatività; dalla quale deriva il male e il degrado che possiamo
osservare costantemente a tutti i livelli, politici, geopolitici,
sociali, individuali, educativi, legislativi, scolastici, economici,
relazionali, biologici, di salute; terminale somatizzazione di
corrispondenti dinamiche spirituali, le quali la scienza e gli
scientisti non sanno che ridicolizzare e deridere. In ogni caso, il
malessere, che come un velo nero ricopre tutti gli orizzonti vicini e
lontani, è la manifestazione di un sistema
egoico-meccanicistico-materialistico, perché il mondo, l’infinito,
la vita non stanno sotto un vetrino, né su un piano cartesiano, né
dentro la piatta geometria euclidea. Tutti espedienti bambineschi,
come i castelli di sabbia e le piste per le biglie con Anquetil e
Balmamion, che del mondo potranno solo fare cataloghi, categorie ed
elenchi, proprio come la Pagine gialle (9).
“Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto
non possono imparare nulla, tranne la tecnica” (10).
Lorenzo Merlo
Note
Karl
Jaspers, Psicologia delle visioni del mondo, Roma,
Astrolabio, s.d. p. 42.
Karl
Jaspers, Psicologia delle visioni del mondo, Roma,
Astrolabio, s.d. p. 43-44.
a)
https://gognablog.sherpa-gate.com/ops/#comments
b) https://gognablog.sherpa-gate.com/ops/#comments
Karl
Jaspers, Psicologia delle visioni del mondo, Roma,
Astrolabio, s.d. p. 378-379.
https://altrarealta.blogspot.com/2015/01/stephen-hawking-vi-spiego-perche-dio.html
Karl
Jaspers, Psicologia delle visioni del mondo, Roma,
Astrolabio, s.d. p. 425.
Karl
Jaspers, Psicologia delle visioni del mondo, Roma,
Astrolabio, s.d. p. 426.
Karl
Jaspers, Psicologia delle visioni del mondo, Roma,
Astrolabio, s.d. p. 423-424.
Raccolta
cartacea delle aziende commerciali, artigianali e di servizio,
suddivise per categoria e per comuni e zone d’Italia.
Gregory
Bateson, Mente
e natura,
Milano, Adelphi, 1894, p. 42.