Lo studio sull’effetto delle espressioni positive psicologiche negli adolescenti, condotto presso la Northwestern University, dal 1994 al 2001 su di un campione di 10.147 ragazzi, rappresenta uno dei primi lavori sull’argomento, è stato pubblicato nel luglio 2011 sul Journal of Adolescent Health.
I risultati sono parte del National Longitudinal Study of Adolescent Health (Add Health) nel corso del quale sono stati monitorati, con utilizzo di questionari mirati, i comportamenti di un grande numero di ragazzi in età adolescenziale.
L’adolescenza è l’età delle angosce e i ragazzi che attraversano questa delicata fase di vita, nel corso della quale si cerca di diventare individui, sono spesso preda di comportamenti carichi di ansia, di impulsività, di rabbia e di ribellione. Secondo lo studio in questione gli adolescenti che, invece, vivono questa tumultuosa fase all’insegna della solarità, della gioia, della positività, sembra sviluppino un rapporto migliore con lo stato di salute psico-fisica.
Il rischio di cadere preda di comportamenti autolesivi e comunque poco sintonici al mantenimento della salute (uso di droghe, affezione agli alcoolici, soprattutto abitudine alle binge drinking, tabagismo, alimentazione insalubre, inquinamento psichico da musiche sataniche ad altissimo volume, etc...) sembra nettamente ridotto in questa seconda tipologia di adolescenti.
Secondo Lindsay Fino Hoyt, primo autore dello studio, questa è una dimostrazione del fatto che promuovere e valorizzare in modo positivo il benessere nel corso dell’adolescenza può rappresentare un ottimo strumento teso al miglioramento della salute a lungo termine.
In relazione alla misurazione del benessere adolescenziale, il team, facente capo alla Hoyt, ha valutato una sequela di domande poste ai ragazzi già dal ’94 riguardanti argomenti che potessero in qualche modo misurare lo stato di benessere di cui godevano o meno.
Gli argomenti trattati focalizzavano l’attenzione sul loro vissuto di felicità, sulla loro voglia di vivere, sulla loro speranza per il futuro, la loro autostima e il loro vissuto di accettazione sociale.
La ricerca ha assunto un significato nel momento in cui si è fatta una seconda valutazione riguardante gli stessi adolescenti, poi giovani adulti in riferimento allo stato di salute o meno nel quale versavano.
A completamento e a specifica valutazione del lavoro nell’insieme non si è potuto non considerare alcuni dati: lo stato di salute durante l’adolescenza, lo status socio-economico, eventuali sintomi di depressione e di altri noti fattori predittivi di salute o malattia a lungo termine.
Emma K. Adam, co-autore e professore associato di istruzione e di politica sociale alla Northwestern University, dice: “i nostri risultati mostrano con chiarezza che il benessere derivante dal vissuto positivo durante gli anni dell’adolescenza è significativamente associato a comprovato stato di buona salute in età adulta”.
Certo è che se il vissuto positivo adolescenziale riduce le possibilità di tenere comportamenti lesivi, risulta facile comprendere come in età adulta si possa ambire ad una qualità di vita migliore.
I programmi di intervento clinico o sociale destinati ai giovani dovrebbero tenere in considerazione i dati in prospettiva emersi dallo studio, rinforzando e cercando di sviluppare le caratteristiche psicologiche tese alla positività.
L’approccio in questo senso, secondo i ricercatori americani, dovrebbe essere utilizzato nel
contenimento di problematiche legate alla delinquenza e al rendimento scolastico, considerando quanto e come possa contribuire al miglioramento della salute dei giovani e, a seguire, degli adulti che saranno.
Luisa Barbieri
(Rete Civica Napoli)
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