Paolo D'Arpini, osservando il riflesso sull'acqua...
Molto spesso parlando con amici del concetto di Spiritualità Laica mi son trovato a dover difendere quella che è la funzione del Guru in questo percorso. Solitamente, come spesso dichiarato dai due Kishnamurti (Jiddu e U.G.), sicuramente esponenti di un filone anti-religioso, si intende che la ricerca spirituale debba essere indirizzata unicamente all'auto-conoscenza, intendendo che ciò che è fuori di noi è sicuramente anche dentro di noi, quindi non serve cercare all'esterno quel che abbiamo già all'interno.
Per conoscere se stessi -come diceva lo stesso Ramana Maharshi- non c'è bisogno di alcuna istruzione o azione, "il Guru può solo indicare la strada ma non può darti quello che già sei". Ma c'è da dire che per le tendenze inveterate a rivolgersi verso l'esterno non siamo in grado di affondare e ricongiungerci nel Sé. Perciò sentiamo il bisogno di un aiuto, perlomeno un esempio, un gesto di simpatia e di amore che ci incoraggi verso la meta.
La mia esperienza in tal senso, vissuta con un maestro realizzato, può forse risultare significativa per l'accorto lettore. Il mio rapporto Guru / Discepolo rappresentava una relazione molto "animale". Poco o nulla appariva sul piano dell'insegnamento "formale". Mi sentivo stimolato ad avvicinarmi a lui con un approccio silenzioso, rivolto all'osservazione, alla mimica, alle azioni compiute, alla leggerezza, al calore dimostrato. In effetti era solo un gioco al "nascondino" in cui spiavo da dietro l'angolo ogni suo gesto e movimento. In alcuni momenti, quelli più intimi, mi sembrava che la conoscenza mi venisse trasmessa attraverso queste forze giocose.
Mi viene in mente, per analogia, l'immagine di una mamma gatta che gioca con il suo micio. Attraverso il gioco, le leccate, le zampate, il rotolarsi, il ringhiare, il miagolare, la mamma gatta trasmette conoscenza di sè... Ed il gattino scopre la sua natura felina, istintivamente, in quel gioco amoroso. Altrettanto è avvenuto per il risveglio interiore che si è manifestato spontaneamente al contatto con il mio Guru.
Tutto succedeva senza pensarci, come effetto della presenza nello stesso luogo e nello stesso tempo, vivendo situazioni comuni. La conoscenza trasmessa in tal modo è intrisa di varie emozioni, talvolta ribellione, talvolta affetto, gestualità, sguardi, odori, leggeri tocchi, persino ironia e senso del ridicolo.. Alla fine il risultato di quel fantastico rapporto, potrei definirlo d'amore, è la conoscenza per sottile "induzione" (o intuizione?), per risveglio della memoria ancestrale.. Il Guru non faceva altro che rappresentare quel che anch'io sono.. E' come guardarsi allo specchio, una volta riconosciuta la propria immagine non serve null'altro da aggiungere.. poiché "l'immagine" dello spirito è permanente, non è mutevole come quella di un volto che invecchia, lo spirito.. è eternamente giovane.
Questo il mio sentire... Infatti la spiritualità laica è un percorso che supera ogni concetto di religione e di comportamento, sta al di fuori degli indirizzi morali ed anche di quelli immorali.
Ciò potrebbe dar adito a dubbi ed anche a fraintendimenti. In effetti per come è stata descritta e giudicata, soprattutto nelle religioni di matrice giudeo/cristiana, l’amoralità e l'immoralità vengono spesso equiparate alla mancanza di coscienza spirituale. Ma questo pensiero è dovuto al fatto che si è sovrimposta una norma di comportamento, basata sull’etica e sulla morale religiosa, sullo stato naturale dell’uomo e sulla sua genuina espressione spirituale.
La spiritualità laica non può essere un “atteggiamento” od il risultato di un conformarsi alle norme scritte da qualcuno, spiritualità laica è semplicemente essere consapevolmente quello che si è, senza vergogna e senza modelli di sorta. Perciò la capacità del Guru di “insegnare” attraverso la vita quotidiana, in termini spirituali laici, sta nell'abilità intrinseca di “trasmettere” la “verità” in tutto ciò che noi manifestiamo o che a noi si manifesta.
Il Guru non è una persona, quindi, o perlomeno non soltanto una persona visto che comunque può apparire in ogni forma, bensì l’intelligenza illuminante che ci libera dalle sovrastrutture mentali e dalle finzioni religiose o morali.
A questo proposito vorrei raccontare 3 storielle esemplificative, la prima è una mia personale esperienza, la seconda appartiene alla tradizione ebraica e la terza è riportata negli annali di un monastero zen.
Nel 1973 mi ritrovai per la prima volta in vita mia a dovermi confrontare con me stesso, aldilà del giudizio altrui ed essendo pulitamente in sintonia con la mia natura. Avvenne allorché incontrai il mio Guru Muktananda a Ganeshpuri. Con il contatto diretto con la sua limpidezza, spontaneamente, si risvegliò dentro di me la discriminazione e fui perciò “obbligato”, tramite una spinta interiore alla chiara visione, a rivedere tutti i parametri di spiritualità e religione che sino ad allora erano stati accumulati nella mia mente. Un giorno sentii che una prova grande mi attendeva, riguardava la comprensione della verità interiore. Così osservandomi mi ritrovai a camminare lungo la strada asfaltata che univa l’ashram di Muktananda al tempio/tomba di Nityananda, il famoso Guru del mio maestro. Durante il percorso sentivo di dover tenere una via mediana, non considerando gli estremi ma il mezzo della vita. Con questi pensieri giunsi al tempio, molti di voi sapranno che in India si entra nei luoghi sacri senza scarpe, ed infatti presso ogni tempio c’è un custode che riceve le calzature dei viandanti e le custodisce per la durata della visita, ma dentro di me pensai “che differenza c’è fra il dentro ed il fuori del tempio? Anche le mie scarpe sono sacre visto che mi hanno portato sin qui”.
E seguendo la spinta interiore invece di depositare le mie ciabatte all’esterno le presi in mano e mi avvicinai devotamente all’altare di Nityananda, dove il prete di servizio riceveva le offerte rituali, ed a lui offrii le mie vecchie scarpe. Ovviamente il prete restò allibito ma forse comprese che qualcosa stava accadendo in me ed infine accettò che io depositassi lì nel sancta sanctorum le mie sporche e sgangherate espadrillas. Dopo essermi inchinato e soffermato per qualche tempo in meditazione ripresi la via del ritorno, a piedi nudi…. Ed ancora prove solenni mi aspettavano… chi conosce il caldo dell’India saprà che l’asfalto in estate diventa molle dal calore, i miei piedi erano bruciacchiati ma la voce interiore mi diceva che dovevo restare nella via di mezzo, perciò non potevo spostarmi ai bordi della strada ma camminare al centro.
Il momento difficile fu quando sopraggiunse una corriera carica di pellegrini che vedendomi in mezzo alla strada (appena sufficiente a contenere la corriera stessa per quanto era stretta) prese a strombazzare rumorosamente per avvertirmi e farmi spostare… Macché, la voce discriminante che mi stava mettendo alla prova era più forte di ogni ragionamento, restai caparbiamente in mezzo alla strada… il conducente si fermò a pochi metri da me e mi invitò in tutti i modi, circondato da alcuni passeggeri, affinché mi togliessi di mezzo, ma non mi spostai di un centimetro restando in assoluto silenzio… Alla fine il conducente risalì sull’autobus e con grande fatica riuscì allargandosi lateralmente a scansarmi e procedere nel percorso.
Allora anch’io mi mossi e proseguii, sempre al centro della strada, con l’asfalto sempre più bollente. Ecco che di lì a poco un’altra corriera sopraggiunse a gran velocità, stavolta capii che l’autista non aveva alcuna intenzione di fermarsi, infatti l’autobus giunse quasi a toccarmi e si arrestò di botto con un sussulto dell’ultimo momento… L’autista ed alcuni passeggeri uscirono infuriati e presero ad insultarmi con foga, ma siccome non mi muovevo e guardavo mesto per terra con i piedi in fiamme, alla fine incerimoniosamente mi spinsero fuori dalla carreggiata e quasi caddi nella mota che stava sui bordi….
Oh che piacere quella terra… non mi sentivo per nulla offeso… finalmente la mia via di mezzo aveva trovato una piacevolezza, stavo con i piedi per terra e non sull’asfalto infuocato….. Mentre i pellegrini infuriati mi abbandonavano al mio destino di folle dello spirito, mi ritrovai tutto contento a capire che la via di mezzo significa accettare sia la gloria che l’infamia, sia il successo che l’insuccesso, sia il riconoscimento che l’offesa. Pian piano con la mente serena me ne tornai all’ashram di Muktananda, stranamente sollevato e felice, i miei piedi rinfrescati dal fango e la mia mente rischiarata. Ad attendermi un compagno ashramita che per la prima volta da quando stavo lì mi sorrise fraternamente e mi offrì un infuso caldo di erbe, com’era buono!
Ed ora lo spirito della legge, secondo Baal Shem.
Un giorno un ebreo che stava viaggiando di venerdì, ebbe un incidente al suo carro, le ruote si staccarono, dovette di fretta riparare il danno ma malgrado tutti gli sforzi non riuscì ad arrivare in tempo alla funzione del sabato. Il suo rabbino Mickal gli inflisse una dura punizione, obbligandolo ad una lunga e severa penitenza. L’uomo non sapeva che fare, in aggiunta al suo lavoro per mantenere la famiglia ora doveva sobbarcarsi questa imposizione del rabbino ed era disperato, allorché sentì che lì dappresso stava viaggiando il famoso santo Baal Shem Tov e si recò immediatamente da lui invocando la sua misericordia per il peccato commesso.
Baal Shem fu molto dolce e gli disse “Porta un oncia di candele alla casa di preghiera” e questa fu la sola penitenza che gli inflisse. L’uomo temeva che il santo non avesse compreso la portata della sua mancanza e gliela ripeté ma Baal Shem confermò quanto detto aggiungendo: “Per favore riferisci al rabbino Mickal se gradisce di venire a trovarmi a Chvostov dove officerò il prossimo Sabbath”. E così fu fatto.
La settimana successiva il rabbino Mickal stava viaggiando verso Chvostov per raggiungere il maestro, ma il suo carro si ruppe irrimediabilmente all’asse, egli continuò la strada a piedi e malgrado andasse persino di corsa non riuscì a giungere in tempo alla cerimonia. Il suo cuore era a pezzi. Quando arrivò davanti al santo la cerimonia era iniziata e Baal Shem aveva in mano il calice dell’offerta rituale, il maestro gli sorrise e gli disse: “Benvenuto rabbino Mickal, mio puro amico, sino ad oggi non avevi potuto gustare il dolore del peccato, il tuo cuore non aveva mai tremato dalla disperazione.. non è cosi? Forse d'ora in poi capirai meglio il significato e la misura delle penitenze imposte…!”
La storia amorosa della monaca Ryonen.
Un tempo in Giappone viveva una bellissima monaca di nome Ryonen, famosa per la profondità del suo intelletto e per la sua discriminante attenzione. Un monaco che stavo nello stesso monastero si innamorò perdutamente di lei ed una notte si introdusse furtivamente nella sua stanza. Ryonen non si turbò affatto ed accettò volentieri di giacere con lui. Ma l’indomani quando l’innamorato si ripresentò ella disse che in quel momento non era possibile… Il giorno seguente si svolgeva nel tempio una grande cerimonia per commemorare l’illuminazione del Buddha alla presenza di una gran folla e di parecchi monaci venuti da lontano. Ryonen entrò senza indugi nella sala colma e con totale naturalezza si pose di fronte al monaco che diceva di amarla, si denudò completamente e gli disse: “Eccomi, sono pronta, se vuoi amarmi puoi farlo qui, ora…”.
Il monaco se ne fuggì per non far più ritorno mentre Ryonen con quel gesto aveva reciso le radici di ogni illusione.
La storia di Ryonen e la sua totale adamantina aderenza alla verità continua, come pure continua la morale/non-morale di Baal Shem e pure la mia avventura prosegue nella sua crudezza, ma a chi interessano i risvolti di tutto ciò?
La spiritualità laica è un fiore che mai appassisce!
Paolo D’Arpini
Così da semplice laico riassumo che, quando l'innocente nudo amore si mostra al pubblico vince in pudicizia sul illusione carnale
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