giovedì 26 giugno 2014
Biodiversità e conservazione delle sementi naturali
Siamo bombardati da articoli e dichiarazioni di difensori dei
"diritti dei contadini" sulle sementi. Inutile commentarli uno per uno
poiché quasi tutti questi articoli, in maniera assolutamente
superficiale, inesatta e a volte completamente falsificata, riprendono
comunicati stampa senza andare nel dettaglio né delle direttive
comunitarie in materia di sementi, né della sentenza della corte di
giustizia (C-59/11 del 12/07/2012). Peggio, non tengono conto di
quanto almeno dai lontani anni '80 il movimento contadino per la
difesa dell’agrobiodiversità sta facendo.
Ad esempio, scrive Italo Romano: “Fin dal 1998 è in vigore una
direttiva comunitaria che riserva la commercializzazione e lo scambio
di sementi alle ditte sementiere (Monsanto e altre multinazionali)
vietandolo agli agricoltori”.
Suona forte e radicale ma è un’affermazione essenzialmente falsa. La
direttiva europea 98/95 non riserva lo scambio delle sementi alle
ditte sementiere, bensì regola la commercializzazione delle sole
varietà “industriali”, che sono coperte da un diritto di proprietà
intellettuale ed iscritte al catalogo varietale. La direttiva
autorizza invece a stabilire condizioni specifiche per varietà da
conservazione o non inscritte al catalogo (così come fatto in seguito
dalle leggi sementiere italiane) per la commercializzazione delle
sementi e per la conservazione della biodiversità in situ, comprese le
miscele di specie o le specie adattate all’agricoltura biologica.
I contenuti della 98/95 sono stati meglio precisati a distanza di
dieci anni da altre due direttive europee, la 2008/62 e la 2009/145,
le quali pongono i termini per la registrazione delle varietà di
"conservazione" (riservato a specie agricole, patate e verdure) e di
quelle "create per rispondere (a particolari) condizioni di
coltivazione"(riservato per gli ortaggi). Queste direttive comunque
non modificano il campo di applicazione della normativa comunitaria
relativa alla natura e alla gestione del catalogo varietale.
Pertanto non esiste nessun obbligo di iscrizione al catalogo per le
varietà dette “da conservazione” e per l’uso di sementi ad esclusivo
uso non commerciale, come quelle utilizzate per la conservazione della
biodiversità nei campi, le sementi contadine o per il giardinaggio
(“agricoltura hobbistica” perché queste vengono subito messe a dimora
nei campi o nei balconi). Per esempio, il contadino può vendere i
propri semi al commerciante di sementi oppure al suo vicino che le
pianta nel proprio campo: nel primo caso si tratta di un uso
commerciale e la varietà dovrà essere iscritta nel catalogo, mentre
nel secondo non c'è alcun tipo di obbligo a cui sottostare.
Vale la pena di ripeterlo, l’attuale quadro giuridico comunitario (una
riforma è prevista nel prossimo anno) si applica alla produzione di
sementi per la commercializzazionee detta norme relative alla
circolazione "per lo sfruttamento commerciale" delle sementi stesse.
Queste due direttive, per la loro natura fluide, hanno consentito a
quanti da 20 anni seminano e riseminano nei loro campi varietà non
commerciali che regolarmente scambiano con altri agricoltori di
rimettere in coltivazione per migliaia di ettari le vecchie varietà. I
contadini stessi hanno avviato una gestione dinamica
dell’agrobiodiversità, grazie a sistemi di grandi dimensioni anche
settoriali basati sulle reti di sementi contadine, come il caso delle
varietà di grano tradizionali non iscritte a nessun catalogo
(www.semencespaysannes.org). Hanno rimesso in moto la capacità di
creazione varietale da parte degli agricoltori stessi, nei campi e non
nei laboratori, anche in collaborazione con ricercatori attenti ai
processi di erosione genetica, propria della creazione varietale
dell’industria sementiera. Una parte molto importante della produzione
bio si sostiene proprio grazie alle sementi contadine. Questo processo
collettivo ha prodotto un rinnovamento ed un forte allargamento delle
conoscenze contadine nella gestione delle sementi in azienda,
aumentandone la “sovranità” e l’autonomia rispetto all’industria
sementiera, e, più in generale, rispetto al modello agricolo
dominante. La credibilità dei risultati ottenuti si è rafforzata anche
da un punto di vista scientifico (cfr. Tesi di dottorato sul processo
di creazione varietale partecipativo del Dott. Calogero di Gloria,
2011) e ciò ha permesso un’efficace strategia legale a difesa delle
sementi contadine nei campi.
Certo quelle direttive hanno elementi non condivisibili e spesso la
normativa nazionale è molto diversa da paese a paese, a seconda del
peso politico dell’industria sementiera. La legislazione francese, ad
esempio, ha continuato ad applicare in modo riduttivo o a eludere
totalmente le normative comunitarie sui semi, tentando di imporre
l’iscrizione obbligatoria delle varietà contadine nel catalogo delle
varietà industriali; la posizione del governo francese è stata
abbondantemente utilizzata per attaccareKokopelli, un’associazione che
da anni commercia sementi di varietà tradizionali provenienti da tutto
il mondo.
Veniamo a cosa c’è scritto nella famosa sentenza della corte di
giustizia dell'Unione europea del 12 Luglio 2012. Secondo Guy Kastler,
uno dei fondatori della Réseau Semences Paysannes, la rete sementi
contadine francese, leader della Confédération Paysanne e de La Via
Campesina e partecipante ai lavori dei comitati tecnici europei:
“Nella sua sentenza, la Corte di giustizia non si è impegnata nel
merito, ma semplicemente ha risposto ricordando la forma: - la
legislazione europea vigente è coerente con le priorità che le sono
state assegnate;
- si è aperto nel 2008 un nuovo quadro di riferimento per tener conto
delle nuove esigenze della società (varietà da conservare) e ha già
previsto che questo nuovo quadro sarà presto adattato sulla base di
una valutazione della sua attuazione [...] Per quanto riguarda
l'accusa contro Kokopelli, questa sentenza […] non offre nessuna
spiegazione sull’interpretazione della legislazione vigente in Francia
(le attività di commercializzazione ricadono sotto la disciplina del
catalogo varietà amatoriali o sotto quelle delle varietà
industriali?)“. Per quello che riguarda la questione dei regolamenti
comunitari in vigore, “…questa sentenza non cambia niente, non fa che
richiamarne i contenuti e non si esprime in nessun modo sui limiti del
loro campo d’applicazione.”
Per questo dobbiamo avere un’idea chiara di chi sta seminando la
confusioneattraverso azioni di comunicazione che – senza andare nei
contenuti effettivi delle decisioni prese e delle questione proprie
alle sementi contadine – si allinea sulle parole d’ordine
dell’industria sementiere che, dietro lo slogan delle “sementi
libere”, vuole ridimensionare i “diritti degli agricoltori” sulle
sementi.
Le sementi non appartengono all’umanità, né alle industrie, ma agli
agricoltori, quindi non possono circolare liberamente senza che questi
abbiano prima ottenuto la necessaria protezione dei diritti – tutti di
natura collettiva – che detengono su queste “risorse”. E’ impensabile
che si possa difendere e sostenere la gestione dinamica
dell’agrobiodiversità o più semplicemente proteggere le varietà
tradizionali senza unquadro normativo, che deve essere definito prima
di tutto dai contadini che producono ed utilizzano le sementi. Tale
quadro deve proteggere esplicitamente diritti come quello di scambiare
o vendere sementi “per un loro uso non commerciale” ad altri
contadini.
Solo così potremo avere una produzione di prodotti di qualità o
biologici che non siano di nicchia ma rivolti ad un consumo popolare
ampio. Noi immaginiamo milioni di ettari di terra seminati di varietà
tradizionali o create dai contadini stessi.
La beffa peggiore delle campagne di comunicazione in corso per le
“sementi libere” è che i commercianti di semi pretendono di avere le
mani libere in nome dei diritti degli agricoltori e, alla fine, si
rischia di cancellare i diritti degli agricoltori per mettere un freno
al libero mercato. Guy Kastler lo dice con chiarezza “… le
informazione incomplete fornite rafforzano la propaganda
dell’industria sementiera e dei suoi sostenitori nell’amministrazione
pubblica, allo scopo di non riconoscere l’esistenza dei diritti degli
agricoltori al di fuori fuori dell’obbligo di iscrizione al catalogo
(delle sementi industriali)”.
I diritti degli agricoltori vanno praticati e devono trovare un quadro
giuridico e delle politiche pubbliche che li sostengano. Questo
richiede iniziative continue di mobilitazione collettiva. Se al
contrario ci rinunciamo alcuni, pochi, avranno la possibilità di agire
“clandestinamente”, ma la gran massa delle aziende contadine finirà
per dover accettare di comprare le sementi, e poco importa se a
venderle sarà una gentile impresa di commercializzazione di sementi,
come Kokopelli o una cattivissima multinazionale.
Antonio Onorati, CROCEVIA
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