Eleonora Abbagnato e le Stelle dell’Opéra di Parigi
CivitanovaDanza 2014 - XXI Festival Internazionale nel nome di Enrico Cecchetti
Teatro Rossini – Civitanova Marche. 11 luglio ’14 h 21.30
“In the Middle Somewhat Elevated” (poco traducibile, ma più o
meno “Al centro, qualcosa di alto”) è forse uno dei passaggi più belli
della serata, coreografia di William Forsythe, sulle ossessive
martellanti note di Thom Willems. Ma “Qualcosa di alto” è anche
metafora di questa sera di danza - e che danza - al Teatro Rossini:
mostri sacri della coreografia internazionale (Béjart e Forsythe,
Nureyev e Petit, Preljocaj e Stevenson), e interpreti che danno corpo
all’idea di perfezione, stelle dell’Opéra di Parigi ed Eleonora
Abbagnato su tutte, raro amalgama di rigore formale, intensità
espressiva e travolgente seduzione.
Il percorso - antologico - segue uno schema circolare che
dall’apertura sulle intermittenze amorose dei Three Preludes
coreografati da Stevenson su musica di Rachmaninoff, si chiude nella
seconda parte sulle tre coreografie In the Night da notturni di Chopin
eseguiti dal vivo al pianoforte da Enrica Ruggiero.
All’interno del “circolo”, il programma trascorre dalle vette
del balletto classico all’inquieto vigore della danza contemporanea
fra simmetrie e antitesi: il più romantico dei passi a due, dal Romeo
e Giulietta di Prokofiev coreografato da Nureyev, è contrapposto a
quello modernissimo di In the Middle Somewhat Elevated di Forsythe
sulle note urticanti di Thom Willems. Interpretati dalla stessa coppia
di danzatori, il primo imprime alla drammatica sensualità degli sposi
il presagio dell’incombente destino, mentre la coreografia di Forsyte
è pura forza vitale, “balletto astratto fatto di puro movimento” che
destrutturando il linguaggio classico conferisce alla danza “la
caratteristica della dinamica atletica”.
Il classicismo mozartiano della coreografia di Uwe Scholz con la
forza teatrale del suo “Jeune Homme”, torna nell’intenso “Le Parc” (la
Abbagnato con Benjamin Pech) del franco-albanese Preljocaj, perfetta
congiunzione di età classica e coreografia moderna.
Le tragiche figure di Esmeralda e Quasimodo (Abbagnato e LeRiche) in
Notre Dame de Paris animano un balletto d’azione di prorompente
energia drammatica; e ancora, il potente assolo, di assoluta
perfezione formale, di Alessio Carbone (primo ballerino dell’Opéra)
sensuale e sulfureo nel béjartiano “Arepo” su musica di Gounot.
Ce n’è quanto basta per elettrizzare qualsiasi spettatore. Ma
proprio qui è forse il limite della serata: a dispetto
dell’eccellenza, indiscussa cifra di questo appuntamento, è difficile
sottrarsi alla sensazione di aver assistito ad una serata
“volutamente” accattivante, con un impianto antologico eterogeneo e di
sicura presa sul grande pubblico. Penso, per quel che vale, che una
partitura unica o comunque più coesa rispetto ad un’antologica pur
stellare, avrebbe impresso alla serata un sapore forse meno
“piacione”, forse meno turistico, di certo più corroborante.
Tra il pubblico, presenze decisamente poco consapevoli: quelli che
arrivano in ritardo, quelli che scartano rumorosamente caramelle,
quelli che perfino pescano patatine dal loro bravo sacchetto…
Più di una pecca, purtroppo, nell’organizzazione: sorvolando
sulla struttura pochissimo funzionale della sala (e quei bagni da
stazione ferroviaria…), dirò “solo” dell’incomprensibile scelta di far
entrare il pubblico in sala tutto insieme (immotivata, essendo i posti
tutti numerati) e a pochi minuti dall’orario d’ inizio: risultato,
ammassare i presenti scomodamente e rumorosamente nell’atrio per un
tempo infinito, rallentare inopportunamente la sistemazione in sala
creando disagio e ritardo nell’inizio; dirò dell’assurda tolleranza di
ammettere scostumatissimi ritardatari a spettacolo iniziato; del
continuo passaggio di operatori televisivi e/o altri - chissà quali -
“addetti ai lavori” lungo i corridoi laterali durante lo spettacolo;
del vezzo di non comunicare la durata dell’intervallo (basterebbe
indicarlo, insieme alla durata della serata, nel programma di sala
come si fa altrove), che lascia nell’incertezza i puntuali e
incoraggia la maleducazione di chi ama tornare al suo posto all’ultimo
secondo e a proprio comodo. E, ahimè, quel “saluto dell’autorità” in
apertura, insopprimibile insostenibile municipalistica mania
autoctona…
Una serata stellare, ma anche una serata normale, meritano di meglio.
Sara Di Giuseppe
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