Treia - Un momento della recita su Dolores Prato (foto di Lauretta Mattiacci)
Una commedia, una dolce ma
densa di sentimento commedia della vita, rivissuta in movimento per
le strade, nelle piazze, negli androni, nelle chiese, nei giardini di
Treia. Questa la passeggiata in compagnia di Dolores Prato, una
Dolores Prato bambina che sembrava volere correre davanti a noi, in
una continua “ricreazione” della sua vita a Treia.
Mi son
trovato così nel tiepido sole di una mattina ottobrina a compiere un
viaggio a ritroso nel tempo, a giocare in una recita che pur aveva
della realtà tutti gli aspetti, gli odori e le fatiche. A dare
inizio al percorso Milena Mengoni, una guida colta, come Virgilio,
che ci ha condotti per mano attraverso le tre fasi di esistenza
vissute a Treia dalla futura scrittrice, rappresentate da tre
attrici del gruppo locale “Teatro in corso”, Rachele, Sara e
Alessandra che impersonavano Dolores nella infanzia, adolescenza e
giovinezza. A rendere viva la scena non soltanto la narrazione
didascalica e la rievocazione storica, studiata dal regista Victor
Carlo Vitale, ma anche l'attivarsi quasi spontaneo ed improvviso
di salti, scenette e dialoghi. Tutte memorie tratte dal libro “Giù
la piazza non c'è nessuno” che restituivano ai luoghi la sembianza
di quel che erano nei momenti in cui ci visse la nostra scrittrice.
Su Dolores Prato, tra l'altro, sta puntando molto l'amministrazione
di Treia che ha già messo in piedi un progetto sperimentale di
ricerca con la scuola secondaria ed una serie di letture nella
primaria. E la stessa amministrazione, durante la passeggiata del
FaiMarathon del 12 ottobre 2014, era compartecipe con la presenza del
sindaco Franco Capponi e dell'assessore alla cultura Edi Castellani.
Di tanto in tanto entrambi sono intervenuti, lungo il percorso, per
dare ragguagli su alcuni aspetti storici e sulle attività in corso a
Treia. Ma torniamo a Dolores, il suo nome come è stato spiegato
dalla nostra anfitriona del FAI, le venne impartito da una madre
che la concepì fuori dal matrimonio e che inizialmente nemmeno la
volle riconoscere, poi le concesse il suo cognome, Prato, ma la
affidò a certi suoi parenti che vivevano a Treia, che le fecero da
genitori adottivi, Si trattava di un prete convivente con la sorella
zitella. Potete già da questo immaginare che tipo di infanzia e che
sensazioni visse Dolores, che non ebbe praticamente alcun rapporto
con la vera madre, ed era perfettamente consapevole della sua
condizione di “bastarda”.
Eppure crebbe, eppure studiò, eppure
divenne persino una insegnante ed alla fine della sua vita scrisse
le sue memorie su Treia e sulla sua crescita. Mi sovviene di quel che
disse un moderno saggio ai suoi discepoli: “Non aver paura! Esci
dalla tua ignoranza protettiva, esci dal tuo ego. Esci dal tuo
carattere, esci dalla tua limitata coscienza. Accetta la sfida!
All'inizio in te accadrà molta infelicità e sofferenza ma se
riuscirai a superare questo inizio, se riuscirai ad essere realmente
totale, allora passerà. E quella sofferenza sarà stata simile ad un
fuoco che ti avrà purificato di ogni imperfezione, ti avrà reso
simile all'oro. Quella sofferenza avrà distrutto ogni impurità che
in te non è oro”. Così ho avuto la sensazione di percepire
Dolores Prato, purificata, resa nobile nell'aver accettato una
esistenza di dure prove che infine l'hanno santificata, l'hanno resa
integra.
Son contento che l'amministrazione di Treia abbia voluto
prendere Dolores Prato come un esempio di virtù treiese. Ed in
verità di questa virtù Treia avrebbe bisogno: il coraggio. Un
coraggio di cui tutti oggi necessitiamo, viste le difficoltà
dell'esistenza moderna. Ma forse è lo stesso coraggio che
dimostrarono gli avi, che non si fermarono mai, pur in mezzo alle
difficoltà, nel cercare di dar senso e amore alla propria esistenza,
mantenendo la civiltà nel luogo e nella comunità.
Che questa civiltà sia
stata un fatto reale, concreto, lo abbiamo potuto appurare nelle
numerose puntate ai vari monumenti e siti di bellezza ambientale
visitati lungo la nostra passeggiata.
Grazie Treia.
Paolo D'Arpini
............................
Servizio fotografico ed intervento di Simonetta Borgiani:
Malgrado l'influenza che mi tortura da giorni, non ho mancato all'appuntamento con Paolo in piazza, alle 10,00 per questa iniziativa Faimarathon a Treia. fatte giusto in tempo le nostre iscrizioni, parte il giro del primo gruppo della giornata, cui seguiranno altre partenze a cadenza di un'ora. La visita consisteva in un tour del centro storico con filo conduttore i luoghi vissuti e raccontati da Dolores Prato, la nota scrittrice che qui risiedette fino a 18 anni ospite di zii, cui la madre l'aveva affidata perché illegittima.
Le tappe si alternavano tra spiegazioni di una bravissima guida, e scenette di vita della scrittrice rappresentate da attori. Il tutto è parte di un progetto che si sta sviluppando a Treia tra volontari, proloco e scuole medie, in questa occasione in collaborazione con il FAI. La giornata di sole ne ha favorito la perfetta riuscita. Queste occasioni sono imperdibili per le notizie ed i luoghi che normalmente non sono accessibili, rendono le visite particolari e coinvolgenti.
Come giustamente il Sindaco Franco Capponi ha osservato, con la crisi molta gente rinuncia alla vacanza e si rivolge al turismo locale, alle visite mordi e fuggi delle piccole località, e questo deve essere uno stimolo ancora maggiore per valorizzare questi magici luoghi. La mia teoria è che finora, per colpa di secoli di oppressione, la gente della nostra regione si sentisse indegna alla conoscenza, avesse come paura di alzare la testa e godere di ciò che aveva intorno.
Poi con il boom economico, questa mentalità è stata modificata in "vado in vacanza lontano perché fa figo" continuando a disprezzare cose meravigliose che ora stanno tornando finalmente alla luce, ed al giusto onore che gli spetta. Dobbiamo rivalutare la nostra terra, recuperare un orgoglio di appartenenza che cancelli il concetto distorto che abbiamo: ignoranti senza storia, e invece di storia ne abbiamo, eccome, è il nostro giardino segreto, e così dobbiamo trattarla, prendere la chiave, aprire la porta, fare pulizia delle erbacce e riportare questo giardino favoloso al suo originario splendore, e anche di più.
Tornando alla visita, ho colto l'occasione di fotografare tanti piccoli particolari che ho collegato ad altri luoghi, il mio resoconto perciò è alternativo, ma non vuole distogliere l'attenzione da Treia, ma anzi ricollegarla a chissà quali storie ed avventure dimenticate anche dalla memoria orale.
La chiesa di San Francesco, mi rapisce per la ricchezza dei decori, ma ciò che più mi attira, è un affresco che poche volte si intravede, perché sta dietro al confessionale, alla destra dell'ingresso. E' una deposizione di Gesù, tra le braccia di Maria, a destra la Veronica e a sinistra la Maddalena. C'è anche un altro affresco che affiora di fianco ad un altare, sempre a destra: un vero peccato che nessuna delle opere sia descritta.
Visitando poi gli ingressi di vari palazzi, con colonnati, reperti di anfore, iscrizioni, non si può non pensare a quali tesori possano essere custoditi (spero, custoditi) negli appartamenti e nei sotterranei...
La stessa cosa viene evocata durante la visita alla chiesa di Santa Chiara, dove accediamo ad alcuni locali del convento: sopra alla grata che era il limite invalicabile tra le suore ed il mondo esterno, è ancora affissa la foto di papa Ratzi, che ci ricorda con tristezza che qui il tempo si è fermato a quando le ultime clarisse sono state trasferite e il convento chiuso. All'interno dicevo, immortalo una piccola acquasantiera di pietra con scolpita una mano sul lato inferiore. Mi è tornata in mente un'acquasantiera più grande della stessa forma, esposta su una parete ad Apiro a mo' di reperto archeologico, ed una uguale di cui assistetti al ritrovamento in una frazione di san Severino durante una demolizione.... ma questa è un'altra storia.
Proseguendo per la chiesa di fronte, la maestosa san Michele, dove mi soffermo ai resti di affreschi affiorati , anche qui, grazie a Santo Terremoto del '97. Proseguiamo per i giardini si San Michele, che per fortuna il Comune utilizza per concerti e rappresentazioni, altrimenti nessuno questo luogo lo vedrebbe mai; si prosegue intorno alle mura e poi di nuovo in centro passando per i vicoli. a porta "mercato" mi soffermo a guardarne il soffitto, a mattoni messi a spirale, mi ricorda San Maroto... Ma mi fermo o mi trascinano le passioni Carolinge di cui si parlerà in altra sede...
Alla fine visitiamo la Cattedrale, dove ci accoglie entusiasta Don Vittorio, che ci ha battezzati, cresimati tutti, e insegnato religione. Ci fa visitare anche la sagrestia, e ci spiega dettagli che i nostri occhi frettolosi e impreparati di sicuro non noterebbero: mi colpisce, e peccato non sia approfindito nel recente e bellissimo libro "La Santissima Annunziata" presentato la scorsa settimana: a destra dell'altare c'è una lapide dedicatoria del canonico Attone (pag.37 del libro), con sulla testa una piccola Madonna del Fuoco, e sotto, non visibile nel libro, uno stemma, realizzati in micromosaico, tessere rettangolari minutissime, stessa tecnica che ho potuto ammirare a Camerino, presso il museo dei Cappuccini di Renacavata, che consiglio a tutti di visitare.
Un ultimo saluto a Carlo Didimi, uno dei nostri personaggi storici più noti, rappresentato con il gioco del pallone nel recente film "il giovane favoloso", perché ammirato e anche immortalato in una lirica del Leopardi, forse, non tanto per la bravura e la fama come giocatore, ma soprattutto per l'appartenenza al movimento Carbonaro.
La diretta discendenza dei Didimi risiede a Senigallia, e guarda caso, chi avrà l'onore di essere il prossimo conte è un diplomato ISEF.
La chiesa di San Francesco, mi rapisce per la ricchezza dei decori, ma ciò che più mi attira, è un affresco che poche volte si intravede, perché sta dietro al confessionale, alla destra dell'ingresso. E' una deposizione di Gesù, tra le braccia di Maria, a destra la Veronica e a sinistra la Maddalena. C'è anche un altro affresco che affiora di fianco ad un altare, sempre a destra: un vero peccato che nessuna delle opere sia descritta.
Visitando poi gli ingressi di vari palazzi, con colonnati, reperti di anfore, iscrizioni, non si può non pensare a quali tesori possano essere custoditi (spero, custoditi) negli appartamenti e nei sotterranei...
La stessa cosa viene evocata durante la visita alla chiesa di Santa Chiara, dove accediamo ad alcuni locali del convento: sopra alla grata che era il limite invalicabile tra le suore ed il mondo esterno, è ancora affissa la foto di papa Ratzi, che ci ricorda con tristezza che qui il tempo si è fermato a quando le ultime clarisse sono state trasferite e il convento chiuso. All'interno dicevo, immortalo una piccola acquasantiera di pietra con scolpita una mano sul lato inferiore. Mi è tornata in mente un'acquasantiera più grande della stessa forma, esposta su una parete ad Apiro a mo' di reperto archeologico, ed una uguale di cui assistetti al ritrovamento in una frazione di san Severino durante una demolizione.... ma questa è un'altra storia.
Proseguendo per la chiesa di fronte, la maestosa san Michele, dove mi soffermo ai resti di affreschi affiorati , anche qui, grazie a Santo Terremoto del '97. Proseguiamo per i giardini si San Michele, che per fortuna il Comune utilizza per concerti e rappresentazioni, altrimenti nessuno questo luogo lo vedrebbe mai; si prosegue intorno alle mura e poi di nuovo in centro passando per i vicoli. a porta "mercato" mi soffermo a guardarne il soffitto, a mattoni messi a spirale, mi ricorda San Maroto... Ma mi fermo o mi trascinano le passioni Carolinge di cui si parlerà in altra sede...
Alla fine visitiamo la Cattedrale, dove ci accoglie entusiasta Don Vittorio, che ci ha battezzati, cresimati tutti, e insegnato religione. Ci fa visitare anche la sagrestia, e ci spiega dettagli che i nostri occhi frettolosi e impreparati di sicuro non noterebbero: mi colpisce, e peccato non sia approfindito nel recente e bellissimo libro "La Santissima Annunziata" presentato la scorsa settimana: a destra dell'altare c'è una lapide dedicatoria del canonico Attone (pag.37 del libro), con sulla testa una piccola Madonna del Fuoco, e sotto, non visibile nel libro, uno stemma, realizzati in micromosaico, tessere rettangolari minutissime, stessa tecnica che ho potuto ammirare a Camerino, presso il museo dei Cappuccini di Renacavata, che consiglio a tutti di visitare.
Un ultimo saluto a Carlo Didimi, uno dei nostri personaggi storici più noti, rappresentato con il gioco del pallone nel recente film "il giovane favoloso", perché ammirato e anche immortalato in una lirica del Leopardi, forse, non tanto per la bravura e la fama come giocatore, ma soprattutto per l'appartenenza al movimento Carbonaro.
La diretta discendenza dei Didimi risiede a Senigallia, e guarda caso, chi avrà l'onore di essere il prossimo conte è un diplomato ISEF.
Simonetta Borgiani
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