Sì, l’abbiamo piantata anche noi in giardino, la qualità alimentare di amaranto proveniente dal sud America, e le piante sono venute su belle forti e con tanti semi. L’amaranto combatte e vince. Anche le campagne di Treia sono piene di amaranto selvatico (la qualità autoctona) e spesso durante le passeggiate erboristiche ne raccogliamo le foglie.
In verità da quando l’agroecologo Giuseppe Altieri nel 2012 mi aveva scritto consigliando di procurarmi alcuni semi della qualità sudamericana, quella più ricca di sostanze e dai grani più robusti, sono andato alla ricerca di amaranto in varie erboristerie e centri del naturale finché ne ho trovato un tipo che veniva venduto come alimento, con dei semini rotondi più o meno grandi come il sesamo. Con Caterina li abbiamo cucinati e ci sono pure piaciuti molto, ne vien fuori una pastella mucillaginosa e saporita.
Ma il motivo per cui ci siamo decisi a tentare la semina dell’amaranto, come ultima ratio di sopravvivenza rurale, è perché abbiamo letto su alcuni bollettini di guerra contro gli OGM che questa pianta resiste alle contaminazioni e resiste pure al più mortifero pesticida della Monsanto che deve sempre accompagnare le coltivazioni transgeniche.
E tutto partì dalla ricerca di un gruppo di scienziati britannici del Centro per l’Ecologia e l’Idrologia, secondo cui si è prodotto un trasferimento di geni tra piante modificate geneticamente e l’amaranto. Le piante inca amaranto (kiwicha in Perù) hanno invaso le piantagioni di soia transgenica della Monsanto negli Stati Uniti come in una crociata per fermare queste dannose imprese agricole e passare un messaggio al mondo.
In quello che sembra essere un altro esempio di saggezza della natura, aprendo la strada, la specie amaranto è diventata un incubo per la Monsanto. Curiosamente, questa azienda nota per il suo male (”Mondiablo”) definisce questa erba sacra per gli Inca e gli Aztechi, come pianta infestante o erba maledetta. Il fenomeno di espansione della amaranto nelle colture in oltre venti stati degli Stati Uniti non è nuovo. E questa modesta pianta combattente, l’amaranto, merita di essere salvata, anche per celebrare le capacità e l’intelligenza della natura che si è opposta al gigante delle sementi transgeniche.
Nel frattempo negli Stati Uniti si preoccupano di come rimuovere questa pianta rustica che supera la tecnologia Monsanto: si riproduce in quasi tutte le condizioni climatiche, non si infetta da malattie o insetti che non hanno bisogno di prodotti chimici. Non sarebbe quindi meglio ascoltare il messaggio della natura e provare la trasformazione dei prodotti alimentari amaranto?
“Già diversi anni fa alcuni agricoltori di Atlanta avevano notato che i focolai di amaranto hanno resistito al potente erbicida “Roundup” a base di glifosato e divorato campi di soia GM. nel suo sito web la Monsanto raccomanda gli agricoltori di mischiare glifosato con erbicidi come 2,4-D, vietato in Scandinavia perché correlato con il cancro. E ‘curioso che il New York Times che oltre 20 anni fa ha scritto che Amaranto potrebbe essere il futuro del cibo nel mondo ora chiama questa pianta un “superweed” o “pigweed”, termini dispregiativi che riflettono una concezione di amaranto come una piaga. Secondo un gruppo di scienziati britannici del Centro di Ecologia e Idrologia, si è prodotto un trasferimento di geni di piante geneticamente modificate e di alcuni “indesiderabili” erbe come amaranto. Questo fatto contraddice le affermazioni di esponenti di organismi geneticamente modificati (OGM), che affermano che l’ibridazione tra una pianta geneticamente modificata e un impianto non modificato è semplicemente impossibile”. (Asociacion Civil Develar)
Sempre negli Stati Uniti gli agricoltori hanno dovuto abbandonare cinquemila ettari di soia transgenica e altre cinquantamila son gravemente minacciate a causa dell’amaranto che ha deciso di opporsi alla multinazionale Monsanto, tristemente famosa per la sua produzione commerciale di semi transgenici.
L’amaranto considerata per l’agroindustria transgenetica una pianta diabolica è invece una pianta sacra e santa. Appartiene agli alimenti più antichi del mondo. Ogni pianta produce una media di 12.000 chicchi e le foglie, più ricche di proteine della soia, contengono vitamine A e C, e sali minerali. Dal punti di vista nutritivo l’amaranto ha certamente più proteine della soia e contiene anche vitamine A e C.
Paolo D’Arpini
Rete Bioregionale Italiana: bioregionalismo.treia@gmail.com
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