venerdì 8 giugno 2018

Il lupo, come simbolo bioregionale dell'Italia, non va sterminato...



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Praticamente ogni paese “serio” è rappresentato da un animale che lo simboleggia: l’orso russo, il gallo francese, il toro spagnolo, l’aquila “calva” americana, la Cina con il suo drago, il bulldog inglese, l’Australia dal canguro e così via. Perfino il Messico si richiama al serpente sulla propria bandiera e la Grecia, nella sua miseria, dispone dell’elegante delfino. 

Anche Roma e  l’Italia hanno —avrebbero— un proprio animale  bioregionale: il “Lupo grigio degli Appennini” (Canis lupus italicus), una sottospecie del lupo grigio europeo comune, anche se i tassonomisti di altri paesi faticano a capire cos’avrebbe di particolare. Lo considerano un semplice “lupus lupus” e basta. 

Il lupo grigio italico fu riconosciuto come una sottospecie a sé nel 1921 da Giuseppe Altobello, un medico chirurgo di Campobasso, che notò come la sua particolare morfologia cranica mostrasse somiglianze con quella dello sciacallo dorato. Gli sciacalli non hanno un buonissimo nome, ma si fa notare come l’animale “gioca un ruolo importante nel folclore e nella letteratura mediorientale e asiatica, dove viene spesso raffigurato come un ingannatore, analogo della volpe nelle fiabe europee”. La designazione come animale nazionale risale agli anni Settanta. 

L’italianissimo lupo grigio era ridotto molto male e si stimava che non ne restasse che un centinaio in tutto il Paese, sia a causa della caccia (vietata nel ‘71) sia per lo “scarseggiare di prede dovuto alla crisi della zootecnia montana”—gli abitanti umani non allevavano più abbastanza bestiame per sfamare a dovere l’animale. 

Da allora la popolazione nazionale dei lupi è esplosa, crescendo di ben oltre venti volte. Voci popolari di segrete importazioni di esemplari dall’Est per rimpolpare i branchi sono state regolarmente smentite dalle organizzazioni ambientaliste. Il WWF dichiara: “Il lupo ha visto semplicemente aumentare il proprio numero e lo spazio occupato perché ne è stata saggiamente e giustamente vietata la caccia, perché sono aumentate le sue prede e per la minore presenza dell’uomo in montagna”. Intanto, l’animale italico ha riconquistato gran parte dell’Appennino arrivando fin su nelle Alpi dove, sempre secondo il WWF, si sarebbe semmai “ricongiunto” con la popolazione balcanica. Tanta nuova energia riproduttiva ha allarmato la Slovenia, che ha riaperto la caccia all’animale. 

Nel 2017 la Provincia di Bolzano è uscita dai progetti per il ripopolamento dopo le proteste degli allevatori per l’incidenza della predazione molto elevata sui pascoli alti. Secondo l’Ansa, è stato perfino sbranato— l’estate scorsa—un cucciolo di lama finito chi sa come nelle Alpi. Negli ultimi tempi i lupi, dall’Italia, sono rispuntati anche in Francia, Germania, Svizzera e Austria. Non tutti ringraziano. 

L’intento era nobilissimo, nessuno dei proponenti poteva immaginare che la cosa avrebbe funzionato anche troppo bene. E l’Italia, strada facendo, si è ufficialmente ritrovata—senza farci troppo caso—con una propria bestia simbolica. Però, l’anno scorso, quando è nata una controversia politica sul tema del ripristino della caccia al lupo, nemmeno una voce si è alzata per ricordarlo. Il predatore "nazionale" non è abbastanza morbido e coccoloso? Bisognerebbe trovarne un altro? Il furetto forse, in ovvio ricordo della forma elegante e sinuosa del Belpaese sulla carta geografica?

 James Hansen  - hansen@hansenworldwide.com

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