Nell’Oceano Pacifico esiste una discarica fluttuante chiamata Great Pacific Garbage Patch (Grande chiazza di rifiuti del Pacifico) che ha l’estensione del Canada. Non si tratta di una montagna di rifiuti e nemmeno di un’isola piena di spazzatura, bensì di una “zuppa” di plastica dispersa in mare, una vastissima massa galleggiante costituita perlopiù da pezzi sminuzzati in piccoli frammenti a causa dell’erosione meccanica dovuta all’acqua e al vento oltre all’azione di degrado della radiazione solare. Le dimensioni di questo fenomeno sono impressionanti e sono state ampiamente descritte da Charles Moore, scienziato, navigatore e ambientalista nel suo libro “L’oceano di plastica – la lotta per salvare il mare dai rifiuti della nostra civiltà”.
L’isola di plastica è una porzione di oceano di alcuni milioni di km quadrati, compresa nell’anello delle correnti del Pacifico, nella quale galleggiano milioni di tonnellate di rifiuti, di cui circa l’80% sono di materiale plastico. Questo accumulo si è formato a partire dagli anni ’80, con la dispersione nell’ambiente di detriti plastici che sono finiti nelle correnti oceaniche del Vortice subtropicale del Nord Pacifico, una vasta porzione di oceano nella quale i rifiuti galleggianti si aggregano tra loro rimanendo intrappolati in un movimento a spirale.
Ma questa non è la sola isola di plastica, sono cinque i grossi vortici subtropicali presenti negli oceani del mondo (nord e sud pacifico, nord e sud atlantico e oceano indiano) nei quali si stanno accumulando enormi quantità di rifiuti plastici, e una sesta isola di detriti galleggianti sembra essere in formazione nel mare di Barents, in prossimità del circolo polare artico.
I rifiuti di origine biologica si degradano spontaneamente, invece la plastica, che non è biodegradabile, subisce un processo di fotodegradazione che la riduce progressivamente in pezzi sempre più piccoli, sino a dare origine ad una “zuppa”, estremamente dannosa per gli uccelli marini che si nutrono sulla superficie del mare, e naturalmente per i pesci. Questi animali si cibano di questa brodaglia sintetica scambiandola per cibo, con effetti allarmanti sulla catena alimentare, e quindi anche sull’uomo.
In un’intervista a Repubblica (settembre 2017) il navigatore Giovanni Soldini racconta il suo incontro con una di queste isole di plastica a largo del Pacifico e ad un certo punto dice “Anche volando sull’acqua a trenta nodi di velocità si vede chiaramente che ormai siamo a arrivati a un punto critico. Il mare è pieno di quella roba, nel 2050 ci sarà più plastica che pesci.”
Fonte: Accademia Kronos Informa
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