L’agricoltura industriale è molto simile all’industria mineraria. Per ottenere rese elevate, è necessario estrarre i nutrienti dalla terra e poi applicare quantità crescenti di fertilizzanti chimici per compensare l’estrazione. A loro volta, i fertilizzanti chimici sono prodotti dall’estrazione di minerali e combustibili fossili in altre aree.
Esistono modi di fare agricoltura senza impoverire i terreni ma, nel corso degli anni, le multinazionali dell’agroalimentare e i governi hanno scartato queste alternative. I piccoli agricoltori e agricoltrici, che possiedono le conoscenze, le pratiche e le sementi per mantenere il suolo sano, sono stati cacciati dalle loro terre e criminalizzati.
Anche coloro che studiano come ridurre i fertilizzanti rafforzando le radici delle piante o la biodiversità del suolo sono emarginati, sono stati privati dei finanziamenti e le loro ricerche sono state chiuse. Nel frattempo, milioni di ettari di foreste, savane e terreni coltivati, fertili praterie contadine vengono “disboscati” per far posto a sterili piantagioni di poche varietà di colture dipendenti dalla chimica e destinate alla produzione di materie prime.
Il risultato è una perdita catastrofica di materia organica nel suolo, componente principale per lo sviluppo di terreni sani. Più della metà della materia organica dei suoli agricoli a livello mondiale è già andata persa, con oltre 2 miliardi di ettari di terreni coltivati gravemente danneggiati (1). Ciò si traduce in un calo della resa dei raccolti, in un aumento dell’inquinamento dei sistemi idrici dovuto al deflusso dei fertilizzanti e, poiché la materia organica è composta principalmente di carbonio, nel rilascio di enormi quantità di carbonio nell’atmosfera.
Tuttavia, le principali aziende responsabili della catastrofe del suolo, si stanno reinventando come salvatrici delle terre. L’azienda leader mondiale di fertilizzanti, Yara, ha recentemente formato un’alleanza per cercare “una nuova soluzione alla nostra sfida del carbonio basata sul suolo“.
Cargill, uno dei più grandi distributori globali di materie prime, sta lanciando diverse nuove iniziative per sostenere quella che definisce “agricoltura rigenerativa“. ” Con la salute del suolo ci guadagnano tutti“, afferma la Cargill. Negli ultimi due anni, quasi tutte le principali corporations agroalimentari hanno avviato o aderito a iniziative per ripristinare il carbonio nei suoli agricoli.
La ragione è semplice: ora è possibile guadagnare denaro con lo stoccaggio del carbonio nel terreno. I governi e le imprese sono alla disperata ricerca di nuovi modi per evitare di ridurre realmente le proprie emissioni derivanti dall’uso di combustibili fossili, e sono disposti a pagare altri per catturare il carbonio in modo da poter continuare a bruciare combustibili fossili. La sfida consiste nel trovare luoghi dove realizzare la cattura di questo carbonio – e quale miglior luogo dei terreni agricoli a livello mondiale già impoveriti di carbonio?
Secondo alcune stime, la capacità di catturare il carbonio nelle terre agricole può arrivare a 3,4 Gt (giga tonnellate) all’anno, pari a circa un terzo delle emissioni annuali provenienti dai settori dei combustibili fossili e del cemento.(2)
Con un prezzo attuale di mercato per i crediti di carbonio di circa 20 dollari per tonnellata di carbonio catturato, si tratta di una grande quantità di denaro che, potenzialmente, si può guadagnare. Abbastanza da attirare le più importanti imprese minerarie #ff0000;">dei suoli.
Se questo “guadagno per tutti” sembra troppo bello per essere vero, è perché effettivamente lo è.
Certamente, come La Via Campesina e molte altre organizzazioni sostengono da tempo, dobbiamo reimmettere il carbonio nel suolo per affrontare la crisi climatica (3).
Ma questo richiede un ampio programma di agroecologia, la ridistribuzione delle terre e il ritorno ai sistemi alimentari locali. E questo non può certo essere attuato al costo di permettere un aumento delle emissioni da combustibili fossili. I programmi per la cattura del carbonio, per i quali le multinazionali stanno attivamente spingendo, sono pieni di problemi e equivalgono all’accaparramento delle terre. Si tratta di programmi che sono stati concepiti per tingere di verde l’immagine della contaminazione, e consolidare il controllo sul cibo e sull’agricoltura nelle mani di un piccolo numero di multinazionali, le cui attività sono sempre più integrate attraverso piattaforme digitali.
L’ABC del carbon farming
Il tipico programma della coltivazione per il sequestro di carbonio nel suolo (carbon farming), ha la seguente forma.
Chi si dedica all’agricoltura si registra attraverso Internet, successivamente deve iniziare a mettere in atto determinate pratiche agricole che dovrebbero catturare il carbonio nei loro terreni. Di solito l’attività si limita alla pacciamatura e a lavorare meno, o per niente, il terreno; può anche però includere l’integrazione di alberi o l’applicazione efficiente di fertilizzanti.
Agricoltrici e agricoltori registrano le loro pratiche su piattaforme digitali delle corporations, ma i loro campi sono monitorati da aerei o satelliti. Alcuni programmi richiedono a queste persone di presentare campioni di terreno; altri si affidano interamente a sistemi di verifica in remoto. Le persone interessate a questo programma sono generalmente tenute a mantenere queste pratiche e, nel rispetto del contratto, sono responsabili del mantenimento del carbonio catturato nei loro terreni per un periodo che va dai 5 ai 10 anni. Tuttavia questi tempi possono essere estesi fino a 20 o 25 anni.
Le persone che possiedono aziende agricole vengono quindi pagate in base alla quantità calcolata di carbonio catturato nel suolo e al costo del carbonio sul mercato globale dei crediti di carbonio. In genere il 20-25% viene detratto per le future perdite di carbonio che potrebbero verificarsi dopo la fine del programma, o a causa di catastrofi come siccità e incendi. Di solito la compagnia trattiene un altro 25% come commissione.
Esiste un numero crescente di programmi per il carbon farming, la maggior parte dei quali gestiti da una multinazionale dell’agroalimentare o ad essa collegati. Quasi tutti si trovano in zone in cui l’agricoltura è dominata da grandi aziende che producono poche coltivazioni per materie prime, come negli Stati Uniti, in Brasile, in Australia e in Francia. Si concentrano quasi esclusivamente sull’adozione di due semplici pratiche: la rotazione delle colture di copertura e una lavorazione del terreno ridotta o assente (zero tillage), che consiste essenzialmente nell’uccidere le erbe infestanti con erbicidi ad ampio spettro come il glifosato.
Le eccezioni sono poche. Yara sta valutando un programma pilota in India attraverso la sua organizzazione Agora Carbon Alliance, mentre il finanziatore olandese del settore agroalimentare Rabobank ha stretto una partnership con Microsoft che paga le piccole aziende agricole in Asia, Africa e America Latina per piantare alberi sui loro terreni. Rabobank intende sottoscrivere contratti con 15 milioni di piccoli agricoltori entro il prossimo decennio. (4)
Il pensiero magico
Le corporations stanno spingendo per andare avanti con i programmi di crediti di carbonio, anche se ci sono molti problemi e limiti ben noti. (5)
Il problema più evidente è che si tratta di programmi che si basano tutti sulle neutralizzazioni. Le compagnie finanziano i loro programmi attraverso la vendita di crediti a società o governi perché neutralizzino le loro emissioni effettive provenienti dalla combustione dei fossili. Ma non è possibile che il suolo assorba una quantità di carbonio sufficiente a neutralizzare, in modo significativo, le emissioni globali dei combustibili fossili. Nel migliore dei casi, i terreni potrebbero assorbire più o meno la stessa quantità di carbonio che storicamente è andata persa a causa dell’agricoltura industriale, dopodiché non ci sarebbe più alcun sequestro aggiuntivo.
La ritenzione del carbonio nel suolo non può, in alcun modo, sostituire ciò che potrebbe consentire una riduzione immediata e significativa delle emissioni provenienti dai combustibili fossili.6 Inoltre, poiché i terreni sono uno dei pochi grandi serbatoi di carbonio esistenti, dovremmo utilizzarli solo per permettere le emissioni prodotte da fonti inevitabili per la nostra sopravvivenza, e non per neutralizzare le emissioni di società come Walt Disney o PepsiCo.
Un altro problema importante di questi programmi è la mancanza di permanenza.
Le limitazioni alle emissioni di combustibili fossili sono reali e immediate, ma non c’è alcuna garanzia che il carbonio sequestrato dalle coltivazioni tramite crediti di carbonio non venga rilasciato nuovamente nell’atmosfera. La maggior parte dei programmi di coltivazione con crediti di carbonio hanno una durata di dieci anni, ma il carbonio deve essere immagazzinato per un periodo non inferiore ai 100 anni per fare una differenza significativa nel riscaldamento globale.
Una volta terminato il programma, il terreno può essere trasformato in un parcheggio o può essere arato o irrorato con fertilizzanti chimici senza alcuna sanzione. Una cosa è certa, i cambiamenti climatici provocheranno un maggior numero di eventi, come siccità e incendi, che aumentano notevolmente il rischio di rilascio di carbonio dal suolo.
Per ovviare a questa mancanza di conservazione, i programmi di coltivazione di crediti di carbonio di solito detraggono, come garanzia, il 20-25% dei crediti guadagnati dai partecipanti, ma non ci sono prove scientifiche a sostegno di questa cifra. In realtà, come ammette una società statunitense che si occupa di crediti di carbonio, i crediti basati su 100 anni di sequestro di carbonio nel suolo costerebbero più di dieci volte tanto.7 Nessun acquirente di crediti di carbonio è disposto a pagare così tanto.(8)
C’è poi il problema di come misurare il sequestro del carbonio. Le analisi annuali dei suoli e le visite sul campo sono costose e, in pratica, proibitive senza sussidi o un prezzo del carbonio molto più alto. L’ OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) stima che questi costi, insieme ai pagamenti per le commissioni finanziarie, possono arrivare fino all’85% del valore totale dei crediti di carbonio. 9 Il sistema LifeCarbonFarming dell’Unione Europea calcola che per ogni azienda agricola i costi per la convalida, la verifica e la registrazione sul mercato si aggirano tra i 110 -240 mila euro (124.483-271.600 dollari) per i primi cinque anni!10
In alcuni casi, l’agricoltore o l’agricoltrice deve pagare questi costi; nella maggior parte dei casi i costi sono integrati nel programma. In ogni caso, i costi elevati fanno sì che una verifica rigorosa sia completamente fuori portata per le piccole aziende agricole e a malapena accessibile anche per le aziende più grandi.
Per ridurre i costi, le corporations stanno concentrando i loro sforzi sullo sviluppo di sistemi di verifica a distanza o remota, in cui il monitoraggio satellitare e aereo, le registrazioni storiche del suolo e i modelli vengono utilizzati per stimare la quantità di carbonio catturato.11
Ma la verifica a distanza non potrà mai essere accurata come l’analisi dei terreni. Ad esempio, i ricercatori che hanno analizzato i crediti di carbonio acquistati da Microsoft da piccole aziende agricole di pascolo su larga scala in Australia, dove è stata utilizzata la verifica a distanza, hanno scoperto che i livelli di sequestro del carbonio erano altamente sovrastimati.12
La verifica a distanza diventa ancora meno accurata quando non sono coinvolte monocolture su larga scala e pratiche industriali uniformi. Le variazioni del carbonio nel suolo non possono essere misurate in modo adeguato in sistemi agricoli agro-ecologici complessi, in cui sono integrate più colture, bestiame e alberi.
In effetti, anche l’analisi del suolo ha i suoi limiti. Una recente indagine a livello globale ha rilevato che l’agricoltura a zero lavorazioni, o no-till, aumenta la materia organica solo a livello superficiale del suolo, dove vengono prelevati i campioni. Quando però i campioni vengono prelevati più in profondità, non risulta una variazione significativa del presenza di carbonio.13
Un altro problema che le corporations devo affrontare per la cattura del carbonio riguarda la “addizionalità”. Per qualificarsi come neutralizzazione di carbonio, coloro che vogliono partecipare ai programmi dei crediti devono dimostrare di star captando carbonio che non sarebbe stato catturato in altro modo.
Ad esempio, se un programma viene avviato in un’area in cui le persone avevano già iniziato a piantare colture di copertura per altri motivi (ad esempio per ripristinare la salute del suolo), non sarà possibile determinare quanta semina “addizionale” di colture di copertura sia dovuta al programma. Ciò è particolarmente vero per i programmi delle corporations, che si basano quasi esclusivamente sull’adozione da parte delle piccole aziende agricole di pratiche come le colture di copertura e la riduzione della lavorazione del terreno. Tuttavia, molti agricoltori e agricoltrici hanno già adottato queste pratiche senza essere necessariamente impegnati in sistemi di sequestro del carbonio, ed è probabile che le adotteranno quando si presenteranno altri incentivi, come programmi pubblici o nuovi mercati per le colture di copertura.14
In Brasile, ad esempio, il governo sostiene di aver già convertito 8 milioni di ettari alla “lavorazione zero” del terreno, attraverso un programma di riduzione delle emissioni che fornisce prestiti a basso tasso di interesse a coloro che partecipano, senza bisogno dei crediti di carbonio.15
E poi c’è il problema delle emissioni di gas serra generate proprio dai crediti di carbonio. La maggior parte dei programmi si concentra solo sul carbonio sequestrato nel terreno e non considera le emissioni totali prodotte dall’agricoltura industriale. Non tengono conto della quantità di input chimici che vengono applicati in un’azienda agricola o della quantità di combustibili fossili che vengono bruciati per far funzionare trattori e altri macchinari, né tengono conto dell’aumento delle emissioni che può verificarsi nei primi anni di transizione verso la “lavorazione zero” del terreno.16 Come non tengono conto delle emissioni prodotte dai loro sistemi di verifica a distanza, dall’energia necessaria per immagazzinare i dati che questi sistemi generano, fino ad arrivare agli aerei o ai satelliti utilizzati per monitorare le aziende agricole.
E si basano sull’adeguamento a un modello di agricoltura industriale che dipende pesantemente da input chimici e che alimenta un sistema di produzione di alimenti enormemente dispendioso e altamente inquinante.17
Considerando tutti questi problemi, semplicemente non c’è modo che il carbonio che questi programmi affermano di trattenere nel suolo, possa essere pari alle effettive riduzioni delle emissioni di gas serra. Eppure, le corporations agroalimentari continuano a portare avanti sempre più progetti, mentre chi inquina il clima, come Shell e Nestlé, acquistano voracemente crediti – e l’Unione Europea, gli Stato Uniti, il Brasile e altri governi cercano di emulare l’Australia e di rendere questi programmi parte dei loro piani climatici nazionali.
Originale in spagnolo da GRAIN.
Versione italiana tratta da Ecor.Network.
Traduzione Marina Zenobio.
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