Come nella malattia degenerativa, quando il malessere si mostra materialmente, nessun rimedio spirituale permette di recuperare la condizione di salute.
Progressismo: realtà derivata da scelte votate all’ordoliberismo, alla globalizzazione e all’atlantismo.
Ordoliberismo: terra della legge del mercato e del più forte.
Globalizzazione: dissoluzione in acido opulente delle identità.
Atlantismo: ola al vassallaggio e – impronunciabile obbrobrio – delega delle sovranità.
Davanti a certe critiche i progressisti ridono. “Oltre a criticare, proponi soluzioni!”, reagiscono con sarcasmo. Bene che vada ti danno del fascista. Altro non sanno dire.
Soluzioni? Non le cerco neppure. Le soluzioni che vedo non sono trasmissibili, come del resto tutta l’esperienza. Non le cerco, ma so che dipendono e scaturiscono da uno spirito. Quella bestia eterea che ogni buon materialista non è in grado di riconoscere. Finché lo spirito necessario a modificare lo stato delle cose non sarà diffuso, proposte e cambiamenti saranno sterili proclami, un frutto distribuito a piene mani.
Nonostante le parole immonde di Draghi pronunciate in occasione del recente incontro americano con Biden – “Garantire prosperità in un momento di forte recessione. Fino ad ora siamo stati all’altezza del compito” e “Abbiamo trasformato la pandemia in un’opportunità per invertire le disuguaglianze di vecchia data, migliorare la sostenibilità e favorire l’innovazione” (1) – l’organismo sociale è allo stato terminale.
L’infelicità è la condizione maggiormente condivisa. Le stanno appresso l’apparenza, la finzione, la competizione senza etica, l’ipocrisia, l’invidia, l’avidità, la tristezza e la disperazione. Ma non è tutto. In cima alla torta che sbuffa panna per tutti c’è la perdita dell’identità. C’è la garanzia che in questa società materialistica nulla sia più nobile del consumo e più necessario della tecnologia. La scuola progressista lo impone, così come altri impongono la democrazia, scambiandola come bene universale.
Nel nostro status quo, nulla è dedicato alla formazione di persone compiute. Un concetto tutt’altro che occulto. Basta esprimerlo con: persone all’altezza di se stesse, ovvero in grado di discernere secondo personale creatività, esigenza, non idonee a irreggimentarsi senza un’avveduta consapevolezza di cosa la delega di se stessi comporti, incapaci di attribuire responsabilità, idonee a riconoscere in se stesse tutte le responsabilità, in quanto sola modalità di annullamento dei conflitti e di riconoscimento delle altre concezioni del mondo.
Una persona compiuta è consapevole della propria natura e opera per realizzare se stessa attraverso quella. Conosce i propri punti deboli e sa come fare per ridurli. Educa la prole secondo il medesimo principio naturale e tiene alla larga quello artificioso del dominio e dell’apparenza. Una persona compiuta non si muove oltre la propria misura e, quando lo fa, se ne assume la responsabilità. Una persona compiuta ha in sé la responsabilità di tutto ciò cui assiste e che conosce, vede, incontra. Non si muove per avvantaggiare se stessa. Sa che la realtà non è un tinello dal quale entrare e uscire ma una relazione e questa la contiene sempre. Quindi, riconosce quando assorbire e quando attaccare. È una persona che si muove attraverso il ricreare, che ha visto gli inconvenienti del muoversi attraverso l’imitare. Le ideologie non la coinvolgono. Sa della reciprocità dei comportamenti che i ruoli liberi fanno girare come una giostra nietzschiana. Sa quanto un’emozione può allontanarla da se stessa e quanto un sentimento determini la realtà. Sa che la realtà è una propria creatura.
Così facendo, riconosce il valore dello spirito. In esso vede la genesi della realtà cosiddetta materiale. È totalmente consapevole quanto pensieri e sentimenti negativi impediscano lo scorrimento dell’energia vitale. Sa che se divengono ossessioni e durano lungamente provocano espressioni fisiche in forma di malesseri e malattie. Avidità e pensieri cattivi tendono a divenire forme-pensiero, egregore, veri moventi di realtà. Le è chiaro che se queste non sono concepite come avvisi ed allarmi, dei quali occuparsi per eludere lo squilibrio che li ha generati, porteranno a malattie degenerative. E che, a quel punto, non ci sarà altro da fare che attendere la morte.
L’uomo incompiuto, invece, nega il gioco ai bimbi, li educa all’inutile maschera considerandola cosa innocua, senza spessore spirituale, che non avrà peso nella costituzione della persona e della personalità. Così, il dispiegamento di comunicazione a favore del fideismo tecnologico non è per il pensiero comune un serio guaio che alienerà l’uomo dalla natura e dall’organismo Terra, del quale non sente di essere espressione, ma un valore assoluto. E la Russia? Nient’altro che qualcosa da abbattere, nonostante stia difendendo proprio quello spirito che l’Occidente non si è curato di mantenere e alimentare. Spirito sul ed entro il quale i russi sanno di esistere, oltre il quale e fuori dal quale sanno che periranno nel grande mare arido dell’uniformizzazione. L’uomo incompiuto è esaurito nel proprio ego, nessun mondo è più limitato, nessuna storia potrà essere senza conflitto.
Così l’alienazione non rappresenta un allarme, né la crescente curva delle psicopatologie, dei suicidi, delle sparatorie aggiustatrici di un malessere che è continuamente e pervicacemente annegato in spot obbligatori, in Champions, in auto a rate, in menzogne verdi e in bugie di progresso.
Cosa rispondere allora ai progressisti che chiedono rimedi? Tutti i rimedi ormai non sono che palliativi. La malattia è manifesta. Non è più possibile farla regredire. Restano soltanto espedienti per allungare l’agonia. Per tentare di tenere distante la necrosi che ha già preso le estremità. Per rifugiarsi in se stessi, senza più alcun contatto, relazione, continuità e contiguità con le genti. Alle quali i progressisti stringevano le mani, con le quali camminavano fianco a fianco.
Non resta che attendere la morte. Sarà il fatto migliore della nostra epoca. Razionalismo e meccanicismo non hanno gli elementi per sciogliere i nodi sanguinosi con in quali siamo legati tra noi. Sono impotenti, nonostante l’arroganza con la quale ritengono di essere le soli chiavi utili per intellegere la realtà, per gestire le relazioni.
Se non verranno i cruenti a cambiare lo stato tumorale della società, forse la provvidenza troverà come fare. Le sue – come le nostre – strade sono infinite. Anche in questi termini siamo divinità che le vibrazioni della bellezza rivelano a noi stessi.
Lorenzo Merlo
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