domenica 1 novembre 2015

La carne rossa ed il pesce fanno male ma i cibi sintetici, che le multinazionali stanno preparando, fanno peggio!



Condanna senza appello per la carne. La severa sentenza è giunta dall’Agenzia per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Sotto accusa, carne rossa lavorata, wurstel, insaccati, salsicce, equiparati come pericolosità al quarto posto dopo il fumo e il benzene. Non si salva neppure quello che fino a ieri era il “presunto innocente” prosciutto, dato come cibo salutare a bambini e malati. La notizia non ci sorprende. Sapevano da tempo che la carne, soprattutto quella rossa, non era un toccasana per la salute. Lo sosteneva da anni il Prof. Umberto Veronesi, basandosi sulla sua lunga esperienza clinica nella lotta ai tumori. 

Ce lo avevano detto i vegani, i vegetariani, i macrobiotici, i salutisti in genere e perfino i buddisti, gli induisti e gli asceti del monte Athos. La carne rossa lavorata fa male. Quella alla brace anche di più. Qualche attenuante generica è stata concessa alle bistecche al tegame, ma niente assoluzione. Restano sospetti per la carni cosi dette bianche, come pollo, conigli e tacchini, per le quali indiziati sono alcuni foraggi che vengono loro somministrati in vita. 

Se poi parliamo di mangimi ci resta un dubbio atroce anche per il latte e i formaggi, dal momento che tutti ricordiamo la vicenda della mucca pazza, ove la malattia era stata generata dalle farine di derivati animali date ai bovini, assolutamente non carnivori. A proposito di mangimi, non dimentichiamo i pesci di allevamento, spesso alimentati con misture addizionate con potenti antibiotici per farli sopravvivere sani fino alla dimensione e peso richiesti dal mercato: sostanze che ingurgitiamo insieme a orate e branzini, senza sapere che effetti potranno produrre qualora ci sia bisogno di contrastare svariati agenti patogeni che diventano sempre più aggressivi e resistenti ai farmaci. Non parliamo poi di cozze e vongole, che assorbono quanto c’è di peggio nei bacini di allevamento o di raccolta. 

E i pesci di mare? Il tanto apprezzato “pescato” non è privo di rischi: mercurio e altri metalli pesanti sono presenti non solo nel Mediterraneo, ma anche nei Mari del Nord e negli Oceani e nessuna specie sembra essere indenne da queste fonti di inquinamento. Passiamo alle verdure: fitofarmaci e pesticidi infestano quasi tutte le colture industriali. Il cosi detto “biologico” è tale perché ammette solo in parte l’uso di queste sostanze. Si salva il raccolto dei piccoli produttori o di orti privati, dove parassiti e insetti di ogni genere trovano rifugio per sfuggire allo sterminio chimico applicato su larga scala. L’olio di oliva è risultato in alcuni casi contaminato da arsenico, nichel, piombo e cromo, che non sono il massimo per il nostro canale digerente. Per combattere la mosca olearia viene usato ampiamente un insetticida che nella sua scheda tecnica viene dichiarato “moderatamente pericoloso”. 

Il vino contiene i solfiti: sostanze che alcuni sostengono essere prodotti dal vino stesso e non essere dannosi alla salute, mentre altri li indicano come nocivi. Sulle etichette delle bottiglie è scritto “contiene solfiti”: è un avvertimento o inutile informazione? Perché molti produttori si vantano di produrre vino senza solfiti o a bassa percentuale degli stessi? E perché molti clinici sostengono che i solfiti possono produrre allergie? Se i solfiti fossero totalmente innocui non ci sarebbe bisogno di alcun avviso! Nelle etichette di quasi tutte le bevande e gli alimenti troviamo indicati coloranti, conservanti, antiossidanti, esaltatori di sapidità e molte altre sostanze identificate solo una sigla che al consumatore non spiega assolutamente nulla, a meno che non sia un superesperto. Insomma è difficile difendersi dai potenziali pericoli che quasi tutti i cibi presentano più o meno nascosti. 

Poi, un discorso a parte andrebbe fatto per tutti quei prodotti transgenici, sui quali restano non pochi sospetti, che arrivano sulla tavola a nostra insaputa. In ogni caso, l’avvertimento dell’OMS sulla carne è il frutto di ricerche scientifiche e anche se voci autorevoli lo contestano, andrebbe accolto senza eccessive critiche perché rappresenta un passo avanti nella lotta contro il cancro. A parte le considerazioni etiche dei vegetariani sulle sofferenze inflitte agli animali, ci sono anche valutazioni ambientali che non vanno assolutamente taciute: pensiamo alla quantità d’acqua che viene consumata negli allevamenti e all’inquinamento prodotto dalle deiezioni non recuperate o trattate, soprattutto in quei paesi dove non esistono ancora normative adeguate. 

Mentre non si placano le polemiche sulla carne, giunge da oltreoceano un attacco nientemeno che al “pesto alla genovese”, ingrediente principe della dieta mediterranea. A formularlo è il biologo, Jonathan Slaght, che sul New York Times ha attaccato questa rinomata salsa italiana. L’uso dei pinoli nel gustoso condimento ligure avrebbe un duro impatto sull’ambiente. Secondo il ricercatore statunitense, la maggior parte dei pinoli che arriva negli Usa per la produzione industriale del pesto proviene dalla Siberia orientale, in quantità tale da provocare la deforestazione del pino coreano. Slagh spiega: “… la foresta pluviale temperata di questo angolo selvaggio della Russia rappresenta solo l’1 per cento del territorio del paese, ma contiene circa un quarto dei vertebrati in via di estinzione. I pinoli sono il cibo preferito da molte specie e rientrano in tutta la catena alimentare che nutre animali che vanno dai gufi alle tigri, che si cibano ovviamente di animali che si nutrono di pinoli .” 

Auguriamoci che lo studio del biologo corrisponda a metodiche scientifiche o non sia piuttosto maturato nel rinnovato clima di guerra fredda che tende a boicottare i prodotti russi in Occidente. Il biologo americano suggerisce di sostituire i pinoli con noci, anacardi o mandorle, ma i più accreditati chef italiani tagliano corto: senza pinoli, non è più pesto! 

Intanto, il 28 ottobre 2015 l’Unione Europea ha aggiornato la procedura per l’autorizzazione dei “nuovi cibi”. Alghe, insetti, semi di chia, proteine di colza, flavonoidi derivati dalla Glycyrrhiza glabra, nuovi coloranti, alimenti prodotti in laboratorio con nanomateriali potranno finire sulla tavola, se avranno il via libera dell’Efsa, l’agenzia europea per la sicurezza alimentare. A preoccupare non sono tanto gli insetti o le alghe, che sono cibi tradizionali in molti paesi del mondo che sono già autorizzati in Belgio, Olanda, Danimarca e Gran Bretagna, quanto i cibi che nasceranno in laboratorio e a base di nanotecnologie, rese segrete dai loro brevetti.

Carlo Sacchettoni 


(Fonte: Accademia Kronos)

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