martedì 31 gennaio 2017

Bioregionalismo e società - Vivere bene e responsabilmente


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Di tutto ciò che facciamo nella nostra Vita, per un verso o per l’altro, direttamente o indirettamente, ne siamo responsabili in prima persona. Questo significa anche, per riflesso, che la nostra Vita dipende da noi e non da altro o altri. Non dipende neppure dal “Sistema” che pure questa sola Vita che abbiamo ce la rende difficile. Quando le cose vanno bene questo dipende da noi e quando vanno male altrettanto. Quando vanno male abbiamo la possibilità, assumendoci la responsabilità della nostra Vita, di farle andare bene. Fare andare questa nostra Vita in un modo piuttosto che in un altro dipende da noi e non da altro o altri.
Mi si potrebbe obiettare, ad esempio, che se si nasce e vive in Siria sotto le bombe dell’Occidente democratico (seppur sganciate per interposta persona, ma questo è un altro discorso), hai voglia te a parlare di responsabilità in prima persona della tua Vita. Ma a parte il fatto che questo è un caso “estremo” che non riguarda chi come noi è cresciuto e vive nella bambagia del consumismo e dell’intrattenimento/rincoglionimento mediatico, anche qui, tutto sommato, qualcosa si può pur sempre fare (pensiamo a coloro che fuggirono dai campi di concentramento nascosti tra i cadaveri dei compagni morti). Il punto, in ogni caso, è che sempre, in ogni situazione, per quanto disperata, c’è un margine di manovra (più o meno ampio) che dipende esclusivamente da noi. Concentriamoci su quello e non su tutto il resto.
Ad esempio, come assumersi la responsabilità della propria Vita nel caso di una malattia? Nel caso di una malattia lo spazio delle variabili è ampissimo e può portare alla guarigione o, nei casi più limite, alla morte. Si parte dall’approccio “perché la malattia ha colpito proprio me”, alla presa di coscienza di cosa è la malattia, del perché mi sono ammalato di quella data malattia, al percepire la malattia come strumento di crescita interiore, a infinito altro ancora. Le variabili che possono portarci ad ammalarci sono infinite, ma di sicuro una malattia (qualunque malattia) non viene a caso.
Se io “credo” (convinzione) che un cancro mi porterà alla morte o comunque lo vivo come fonte di sofferenza, paura, tensione estrema, gli aspetti negativi del cancro aumenteranno in maniera esponenziale e magari mi porteranno davvero alla morte o comunque a vivere male. Se invece credo (nutro la convinzione profonda) che il cancro non è altro che un processo di guarigione del mio organismo (come tra l’altro è, anche se questo la medicina ufficiale non ve lo dice), reagiremo in maniera diametralmente opposta cercando, con fiducia e conseguente approccio sereno, di metterlo (il mio organismo) nelle migliori condizioni possibili per tornare al suo naturale stato di equilibrio omeostatico (ovvero ad essere in salute nel senso più ampio del termine). Questo semplicemente per dire che ciò che penso della “malattia” che mi ha colpito e come reagisco ad essa, fa tutta la differenza del mondo nel mio processo di guarigione. La responsabilità della malattia, e della mia Vita, è la mia e solo la mia. Nel bene e nel male.
Di conseguenza a questo mio pensiero/credenza/convinzione, ma soprattutto di conseguenza alla presa di responsabilità relativamente alla “malattia” che mi ha colpito, io penserò, proverò stati d’animo, prenderò decisioni che possono essere diametralmente opposte tra loro. E’ bene dunque capire in maniera netta e inequivocabile, che la questione di fondamentale importanza non è affatto la “malattia” in sé, bensì come io “reagirò alla malattia”, quindi come mi curerò, come rivedrò le priorità della mia vita, in definitiva quale cammino di guarigione e di Vita sceglierò di percorrere. Tutto ciò dipende esclusivamente da me e non dalla malattia che mi ha colpito. La disponibilità economica, la classe sociale, il livello di “cultura”, non fanno alcuna differenza (anzi, a volte sì ma per il verso contrario di come siamo comunemente portati a pensare). L’unica cosa che fa la differenza è la nostra disponibilità (o meno) ad assumerci la responsabilità della nostra salute e quindi della nostra Vita. L’unica cosa che fa differenza è la nostra ferma, feroce, imprescindibile, volontà di “guarire” (anche perché senza quella guarire è semplicemente impossibile). Se poi vogliamo fare un passo ancora oltre, capiamo che ciò che conta davvero non è tanto guarire quanto vivere bene. Ci sono infatti persone (poche) che “vivono” fino alla morte mentre altre (la maggior parte purtroppo) vivono da “morti”.
In ogni caso “vivere” (vivere bene) è una nostra precisa responsabilità; non del medico, del guru, del maestro, del life coach o mind coach che sia. Non ci sono scorciatoie: vivere bene è una nostra precisa responsabilità e fino a che non ce la assumeremo bene non vivremo mai.
Se alla fine dei nostri giorni avremo rimpianti significa che avremo vissuto male, se non ne avremo avremo vissuto bene. Ma siccome non è molto intelligente scoprire questa cosa solamente alla fine del nostro cammino, il metodo più semplice, efficace ed infallibile, è verificare quotidianamente se ci alziamo con gioia la mattina per vivere la giornata che abbiamo davanti e se andiamo a letto felici la sera contenti della giornata che abbiamo vissuto senza dover recriminare per quella giornata andata e che non tornerà mai più. Se abbiamo una percentuale alta di “belle giornate” significa che stiamo vivendo “bene”, altrimenti no. Fate di questa semplice pratica la vostra meditazione quotidiana. Sono sufficienti dieci minuti al giorno, cinque al mattino quando ci si sveglia e cinque alla sera prima di coricarsi. E’ tutto qua, così banale che preferiamo non crederci, non provarlo, non verificarlo, anche perché crederci, provarci e verificarlo significa mettersi in gioco in prima persona; è più facile lamentarsi di tutto e di tutti, che poi è esattamente quello che fanno tutti (o almeno quasi tutti).
Se decidiamo di assumerci la responsabilità della nostra Vita è necessario cambiare i nostri schemi di pensiero che, giocoforza, sono quelli della società in cui siamo nati e cresciuti. Ad esempio, noi crediamo che la medicina ci salverà ma invece è l’esatto opposto perché noi non viviamo grazie alla medicina ma nonostante questa (e dati e statistiche lo confermano, visto che l’apparato medico-farmaceutico è la prima causa di morte negli Usa e la terza in Europa). Perché allora continuiamo a rivolgerci ad essa quando stiamo male? Semplicemente perché quello è il nostro schema di pensiero, lo schema di pensiero di tutti, quello della società in cui viviamo. Se si sta male si va dal medico, si fanno le analisi, si prendono le medicine, si fa una chemio (molte chemio), ci si fa togliere qualche pezzo di organo. Del resto lo fanno tutti no? Ma tu non sei tutti, bensì te stesso. Ti pare poco essere te stesso?
Chi guarisce davvero, così come chi vive bene davvero, sempre, inevitabilmente, si è preso la responsabilità della propria Vita. Sempre, inevitabilmente, ha pensato diversamente da come pensano tutti. Sempre, inevitabilmente, ha agito diversamente da come agiscono tutti.
Per farla breve il solo ingrediente indispensabile ma anche ineludibile ad ogni vera “guarigione” (intesa in senso ampio), cioè ad ogni Vita degna di essere vissuta, è semplicemente vivere davvero, cioè assumersi la responsabilità della propria Vita.
Ma poiché è più semplice, facile, deresponsabilizzante, non assumersi questa responsabilità e anzi almeno per noi che siamo cresciuti e viviamo vive nella bambagia del consumismo continuare a pensare e fare come abbiamo sempre fatto, cioè pensare come pensano tutti e fare come fanno tutti, è altrettanto ovvio che siano molto più numerosi i malati dei sani, molto più numerosi quelli che vivono male rispetto a quelli che vivono bene. In attesa di prendervi la responsabilità della vostra Vita, a ognuno il suo.
Andrea Bizzocchi 
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