Intervista a Marco Renzi, presidente del centro studi sul giornalismo Libertà di Stampa Diritto all'Informazione, co-fondatore e organizzatore di digit (il primo festival italiano dedicato al giornalismo digitale)
Come promotore di una manifestazione come Digit, tutta dedicata alla comunicazione digitale, come descriverebbe la nuova frontiera della comunicazione 2.0 per una pubblica amministrazione?
La pubblica amministrazione potrebbe essere di fronte ad un cambiamento di passo molto importante attraverso il passaggio operativo al digitale, cosa molto sbandierata ma tutt’altro che realizzata.
Il passaggio "vero" al digitale potrebbe finalmente riuscire a riunire insieme le esigenze di comunicazione con quelle di snellire le procedure di accesso e di realizzazione dei processi di assistenza e supporto che la pubblica amministrazione dovrebbe essere in grado di fornire al cittadino.
Per capirci meglio provo a fare un esempio. Non è abolendo i front office con le persone e sostituendoli con numeri verdi o con bot digitali che si realizza al meglio questo processo, ma permettendo al cittadino di realizzare in proprio la maggior parte di un qualsiasi processo/accesso ad un atto/documento utilizzando al meglio le tecnologie digitali.
Tale sistema che vede il cittadino protagonista ha senso e potrà essere realizzato solo se tutti i dipendenti della PA e tutti i cittadini saranno in grado di usare al meglio le tecnologie digitali e quindi prima di avviare qualunque tipo di riforma bisogna riformare l’accesso al mondo digitale aprendosi alla cultura digitale che non vuol dire insegnare il coding ai bambini delle elementari o peggio ancora dell’asilo. Vuol dire insegnare a tutti a partire dai bambini quale sia il corretto approccio al mondo digitale. Una sorta di alfabetizzazione al mondo digitale di natura culturale e non tecnologica.
Ormai la comunicazione sui social ha assunto un ruolo fondamentale. Secondo lei cosa dovrebbe fare in tale campo una pubblica amministrazione?
Formazione di base ai propri dipendenti per imparare come si sta sui social, come si scrive sui social, come si interagisce con i cittadini attraverso le reti sociali, come si gestisce un’emergenza attraverso i social, come si gestiscono i commenti (anche e soprattutto quelli malevoli) sui social, come si utilizzano i social per creare e gestire servizi per la comunità.
In altre parole e senza ripetere la risposta alla domanda numero uno, ritengo che non sia la moda del momento (leggi social) a dover essere cavalcata bensì il nuovo modo di stare nel mondo, il nostro mondo fatto perlopiù di “cose digitali” che presuppone una conoscenza diversa, più profonda e accurata della cultura digitale, non degli strumenti tecnologici che la supportano.
È abbastanza generalizzata una sostanziale sfiducia nei confronti delle istituzioni pubbliche, anche verso enti tecnici e scientifici come possono essere le Arpa. Come è possibile comunicare dati e informazioni scientifiche in questo contesto sociale?
Facendo del buon giornalismo. Qualche giorno fa ho letto di un corso, forse un master, in una prestigiosa università milanese per formare “influencers”. Il mondo del giornalismo si è sentito violato da questo ennesimo - secondo importanti commentatori - attacco nei confronti dei professionisti dell’informazione.
Questo esempio serve per provare a spiegare la mia idea di giornalismo 2.0 o per stare ancora di più sulla cresta dell’onda 4.0, come va tanto di moda oggi definire il futuro digitale.
Perdonate l’ironia, del tutto voluta, ma quello che mi sembra di percepire ancora oggi è una mancanza di comprensione vera del passaggio al digitale.
Se si fosse compreso quello che sta realmente accadendo, soprattutto in campo giornalistico, si sarebbe capito - a mio avviso - che la rivoluzione digitale è una enorme opportunità per i giornalisti e non un problema.
I professionisti dell’informazione hanno una metodo di lavoro che si adatta benissimo alle nuove logiche dell’ecosistema in cui il rapporto emittente-ricevente è stato annullato e in cui tutti siamo sia emittenti che riceventi.
La differenza fra un contenuto falso, distorto o semplicemente diffuso con approssimazione e goliardia, la possono fare proprio i professionisti dell’informazione. Realizzare un buon servizio per la comunità, confezionare delle narrazioni realmente utili, mettere a punto strumenti informativi che servano anche da orientamento per l’utente; questi sono solo alcuni dei modi in cui un professionista dell’informazione può fare la differenza oggigiorno.
Le agenzie ambientali sono enti tecnici, i temi da loro trattati hanno una complessità̀ non facile da rendere comprensibile a tutti. Quali suggerimenti può dare ai comunicatori delle agenzie ambientali?
Non vorrei ripetermi ma la differenza sta sempre lì nel mestiere e nel modo in cui il nostro mestiere si applica alla realtà che viviamo.
Non si tratta di tutelare una categoria o peggio che mai di difendere una lobby di potere. Non esiste più alcuna lobby: basta guardare i dati dell’ultima ricerca sulla professione realizzata dall’associazione Libertà di Stampa Diritto all’Informazione di cui mi onoro di essere presidente.
I giornalisti contrattualizzati sono scesi sotto le 15 mila unità contro un universo professionale composto di oltre 110 mila iscritti all’Ordine dei giornalisti.
La figura del giornalista, inteso come professionista dell’informazione, è già e sarà sempre di più l’unico riferimento possibile per l’utenza nel mare magnum dell’overload informativo.
La società sarà sempre più sommersa dai dati, chiamiamole notizie, chiamiamole informazioni; ma la sostanza non cambia, in mezzo a tutte queste tonnellate e tonnellate di terabyte, quello che farà la differenza sarà chi ci aiuterà a decifrare questi dati. Chi ci fornirà una giusta interpretazione di queste informazioni. Chi ci guiderà nella corretta interpretazione di queste notizie.
Le agenzie ambientali, fra i loro compiti istituzionali, hanno quello di raccogliere, organizzare e diffondere i dati ambientali. Che impressione ha della situazione esistente in tal senso e cosa dovrebbero invece fare le agenzie ambientali?
L’impressione è che non ci siano abbastanza sinergie fra la parte dell’acquisizione della conoscenza - i dati raccolti - e l’uso che se ne fa soprattutto in funzione della gestione delle emergenze e delle catastrofi ambientali.
L’esempio che cito sempre è quello del Giappone che, come è stato empiricamente dimostrato qualche tempo fa in occasione del lancio di una testata nucleare da parte della Corea del Nord per un esperimento, ha reagito con tempi e modi, al presunto attacco atomico, decisamente brevi dimostrando grande efficienza.
Noi, inteso come Paese Italia, siamo ancora fermi, in caso di allarme meteo grave o peggio di un’emergenza, ai fax dalle Prefetture che attivano la Protezione Civile e i Comuni.
Inoltre, e fuori da qualsiasi intento polemico, bisogna anche ricordare che viviamo nell’epoca della disintermediazione, periodo in cui le informazioni arrivano direttamente agli utenti senza essere mediate e interpretate dall’autorità e/o dagli esperti; e andiamo verso l’epoca dei sensori e dell’intelligenza artificiale ovvero nell’epoca in cui le macchine dialogheranno tra di loro per realizzare servizi e operazioni per il nostro benessere.
Quello che noi tutti dobbiamo imparare a fare è comprendere come tutti questi automatismi investiranno la nostra vita ma soprattutto come rimanere noi i registi di tutti questi processi, anche e soprattutto, nei segmenti professionali o istituzionali della gestione del sapere e della conoscenza come quello delle informazioni ambientali.
Come esperto di comunicazione, ed anche come cittadino, cosa si aspetta dall'attività di comunicazione e informazione di un’agenzia ambientale?
Mi aspetto grande competenza scientifica ma anche pari conoscenza e capacità di gestione degli strumenti di comunicazione per riuscire ad essere realmente efficaci nella capacità di informare gli utenti durante gli stati di crisi o di emergenza.
Ma senza giungere a casi estremi e urgenti, mi aspetto nella corretta gestione della comunicazione dell’agenzia, la capacità di riuscire a far giungere le notizie prodotte in seno all’agenzia sulla stampa generalista e nell’epoca della disintermediazione, la nostra epoca, direttamente sui device degli utenti per fornire a tutti le informazioni più utili e in tempo reale per migliorare la qualità della vita di ciascuno di noi.
Fonte: Arpat
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