domenica 24 febbraio 2019

Caterina Regazzi: "Vi racconto la prima trance del mio viaggio in India..."

L'immagine può contenere: 11 persone, tra cui Tina Donini e Mataji Mara Lenzi, persone che sorridono, persone in piedi

Accingendomi a scrivere qualcosa di ritorno dal mio viaggetto in India, non sapevo da che parte cominciare e così mi è venuto il pensiero (perché è arrivato da solo, non l’ho cercato) di scrivere per pensieri, che potranno diventare capitoletti, sulle cose e situazioni che, a mano a mano, o tutte insieme, mi hanno colpito.

Arrivi a Chennai (ex Madras, terra di stoffe?) esci dall’aereoporto, di notte, brulicante di persone che aspettano qualcuno, con un cartello con un nome. Il nostro era: MARA LENZI. Mi veniva da chiedermi: ma se quando arrivi la persona col cartello che ti riguarda non c’è, che c…o fai? Ok, comunque, il nostro c’era. Non parlava italiano, ma carichiamo borse e valige e si parte. Non ricordo granché di questo primo tratto, solo fino ad un alberghetto, modesto ma decoroso e pulito, con sul letto un asciugamano avvoltolato in forma di cigno. Ricordo però il traffico ed i clacson a tutto spiano. Si dirà ed io l’ho anche pensato: ma perché suonano tanto il clacson?
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Poi, col tempo l’ho capito. Non suonano per “sgridare” chi fa l’infrazione o chi va troppo piano e non si muove, no, è un suono breve, appena accennato, un pi-pi, quasi gentile, per dire: “Guarda che sto arrivando, mi sto spostando, attento!” Io non potrei mai guidare in un caos del genere, si spostano da una corsia all’altra freneticamente, per andare avanti dove c’è spazio, per sorpassare, con la necessità di avere un’attenzione e una visuale almeno a 180 gradi che non so come fanno a mantenere. Su questo discorso potreste anche dire: “Ma a me che me frega del traffico dell’India e di quanto sono attenti guidatori e capaci gli indiani e invece no, belli miei, da questo scaturisce (e non solo da questo) una considerazione per me molto importante per valutare (che brutta parola) il popolo indiano.
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Il popolo indiano, almeno per quello che ho visto, è un popolo giovane e SVEGLIO, molto presente a se stesso e al di fuori di sé, molto vivo e molto vitale. Credo che sia gente molto intelligente e capace e dinamica, che, volendo, chissà dove potrà arrivare, nel tempo. Il consumismo è già arrivato e se ne vedono le tracce: l’immondizia in giro per le strade trafficate è tanta e se fosse tutta organica, pazienza. Ci sono vacche libere, cani liberi, scimmie libere, ecc. che frugano nella spazzatura, ma la plastica non se la mangiano neanche loro.
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Per fortuna devono avere emanato qualche legge che vieta i sacchetti di plastica, per cui rarissimamente te ne danno. Al loro posto o tieni la roba in mano, o hai la tua borsa, o sacchetti di carta varia. In un negozio il sacchetto di carta era fatto con una pagina di giornale ripiegata e graffettata, fantastico. Certo di plastica ne fanno largo uso (come noi del resto: bottiglie di acqua e bibite – non ho visto neanche una bottiglia di vino o birra), confezioni di prodotti vari, ecc. Anche in certi ristoranti ti danno da mangiare in piatti di plastica, ma non quelli usa e getta, lavabili.
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La vita in India: dicevo che è un popolo vitale, ma non solo gli umani: i cani sono vitali e spesso di notte si sentono abbaiare a lungo, senza mai sentire una voce umana a zittirli, i pavoni strillano notte e giorno, le mucche e i vitelli stanno lì pacificamente, a volte legati sul ciglio della strada o in piccolo campo adiacente, a volte liberi, le scimmie vitalissime, ti sfrecciano al fianco, senza considerarti, per andare chissà dove.
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Io e Tina (una delle due amiche viaggiatrici assieme a me) abbiamo assistito ad una scenetta memorabile. Eravamo sul grande terrazzo di casa a leggere (un terrazzo che serve anche per stendere il bucato), quando da un albero vicino è arrivata una prima scimmia, seguita dopo un paio di secondi dalla sua compagna. La prima si è avvicinata ad un rubinetto sul muro del terrazzo l’ha aperto e si è messa a bere, poi si è allontanata ed è arrivata la seconda, che ha fatto altrettanto. Dopo essersi dissetate, se ne sono andate trotterellando, senza chiudere il rubinetto e senza ringraziare (!). Abbiamo chiuso noi ed io più tardi sono andata dal padrone di casa, un giovane indiano evidentemente benestante (la casa era molto bella e nuova con diversi appartamenti, di cui uno abitato dalla famiglia) e gli ho detto, nel mio stentato inglese: “Ehi, do you know that on the roof there are monkeys? But maybe you don’t know that they come to drink water opening the pipe (non so se rubinetto si dice così, l’avevo chiesto a Viola su whatsup e lei mi aveva detto così) and after they don’t close it! We have close it but you’d better change with one they cannot open!” E lui.”Oh! They always give problems! Thank you!” 
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Ritornando al consumismo e alle tecnologie, sono tutti attrezzati di smartphone (tranne i fuori casta, che mendicano ai lati delle strade, i sadhu e pochi altri) e lo usano con grande scioltezza. Quando eravamo sulla spiaggia di Mamallapuram, in gita due giorni noi tre più Upahara e Venu, tutti si facevano foto e smacchinavano col cellulare (parlo di giovani, ovviamente) e in diversi si sono voluti fare un selfie con la sottoscritta ed io mi sono fatta fotografare, divertendomi moltissimo. A casa “nostra”, appena arrivate, dato che c’era il wi-fi, ci siamo fatte sistemare tutti i nostri smartphone dal nostro padrone di casa, Bala, che l’ha fatto in due e due quattro. Quando la pala nella stanza dove dormiva Mara si è rotta, mettendosi ad andare a tutta velocità, a sera la pala era di nuovo funzionante. Insomma, sono svegli e svelti, bravi!
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Hanno uno sguardo vivo, loro, ancora!
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Caterina Regazzi
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To be continued…
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Chi volesse vedere gli albums fotografici del viaggio in India di Caterina dovrebbe andare nella sua pagina Caterina Katia Regazzi di Facebook  https://www.facebook.com/caterina.regazzi   ed entrare nello scomparto “Foto-Album”

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