giovedì 29 giugno 2023

L'Emilia Romagna affonda...



I recenti e ripetuti eventi calamitosi in Emilia-Romagna hanno sollevato il velo sulla “sindrome della dimenticanza”, come Fausto Tinti (sindaco di Castel san Pietro) ha etichettato l’attivarsi a buoi fuggiti dalla stalla, con il brusco risveglio sulla imprescindibilità di un efficace governo del suolo e delle risorse idriche PRIMA che si verifichino disastri. 

Messo da parte il folklore sulle nutrie e sui feroci ambientalisti  che impedirebbero di pulire i fiumi, qui il tentativo è di fare un sintetico ragionamento a partire dai dati messi a disposizione dalla banche dati PUBBLICHE, come ISTAT, la Regione Emilia Romagna, ISPRA – cioè Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – eccetera, aggiungendo qualche valutazione già letta e condivisa da parte di esperti studiosi delle nostre zone.

La Regione Emilia-Romagna, in un documento molto interessante, datato 2020, la «CARTA DEI SERVIZI ECOSISTEMICI DEI SUOLI DELLA PIANURA EMILIANO-ROMAGNOLA», spiega dettagliatamente come il suolo non è affatto un elemento inerte e irrilevante ma costituisce un capitale naturale, in quanto fondamentale nel rendere una serie di fondamentali servizi ecosistemici di cui generalmente non ci rendiamo conto quando funzionano…  ma che rimpiangeremmo subito e amaramente se venissero compromessi. 

Elencando brevemente i principali servizi resi dal suolo, troviamo la funzione di habitat BIO, per gli organismi del suolo, che riguarda il ciclo della sostanza organica (senza la quale il terreno è sterile come un deserto e non consentirebbe nemmeno di produrre cibo), la funzione protettiva – che consente di filtrare e depurare le acque da inquinanti vari – e la funzione di stoccaggio del carbonio, tra i principali alleati contro la presenza di CO2 in atmosfera; e ancora la funzione di infiltrazione dell’acqua e riserva idrica oltre a quella, che ovviamente tutti siamo in grado di percepire, di fornitura del nostro cibo. 

Ognuna di queste caratteristiche è soggetta a variazioni, in base alla qualità e quantità  del suolo, ad esempio – come prevedibile – il valore più basso dell’indicatore BIO si registra nelle aree urbane. 

IE proprio SPRA arriva  a quantificare il valore monetario per la perdita di questi basilari servizi in circa 100.000 euro all’anno per ettaro (ma a mio parere conviene considerare non solo il valore di scambio ma anche il valore d’uso, come per l’aria e per l’acqua, che è inestimabile).

Fra il 2020 e il 2021 l’Emilia-Romagna è stata la terza Regione italiana per consumo di suolo, più 658 ettari cementificati nel solo 2021, pari al 10,4% di tutto il consumo di suolo nazionale, corrispondenti alla perdita di risorse per quasi 66 milioni in un solo anno, che mancheranno per ognuno degli anni a venire. A questo proposito giova ricordare che la Regione Emilia-Romagna ha previsto di poter edificare fino al 2050 per una ulteriore superficie complessivamente pari al 3% del territorio urbanizzato 2017, corrispondente grosso modo a è stato urbanizzato nel solo 2021. Tuttavia, ad oggi la legge urbanistica regionale risulta sterilizzata dai tempi di approvazione dei nuovi strumenti urbanistici attuativi, per cui si continua a costruire sulla base dei vecchi piani. Mantenere lo stesso ritmo significa sottoporre il territorio a un depauperamento molto difficile da compensare e recuperare: potenzialmente significa arrivare a ricoprirlo completamente  in 30 anni, compresi i calanchi, prospettiva del tutto angosciante e distopica.

Se più o meno tutti concordano che edificare sui calanchi potrebbe non essere conveniente, allora in generale per il territorio regionale ai fini edificatori e di adeguata gestione dei fenomeni, per una pianificazione consapevole e adeguata prevenzione dell’emergenza, non dovrebbe essere possibile prescindere dalla approfondita analisi e conoscenza delle complesse dinamiche idrografiche, geoidrologiche e geologiche, sia in prospettiva storica che attuale. Sappiamo che la pianura padana è di origine alluvionale, in buona parte bonificata, che il corso dei fiumi si è più volte modificato, che la stratificazione del substrato può essere anche particolarmente articolata e queste caratteristiche non rendono tutti i terreni ugualmente idonei per l’urbanizzazione: la superficialità di alcune scelte è aggravata dal fatto che, parallelamente alla mancata valorizzazione delle competenze più tecnico/scientifiche, si è persa negli ultimi decenni la conoscenza collettiva, che potremmo definire esperienziale e pratica, sia a livello privato che pubblico, in materia di  gestione delle acque locali, della  manutenzione diffusa del reticolo idrografico. Una conoscenza diretta che comportava la consapevolezza di vivere in un territorio soggetto a continue e inevitabili trasformazioni, che possono solo essere in parte  irregimentate e regolate ma non totalmente controllate.

In conseguenza di questo atteggiamento, che si potrebbe definire con buona approssimazione disattento, consumistico quando non predatorio, risulta ancora frequente il  malvezzo di continuare a costruire in zone critiche e precedentemente soggette ad alluvioni o nell’immediata prossimità dei fiumi e in generale di acque classificate come pubbliche. Esempi evidenti per la cronaca: la Casa del Fiume a Faenza (un bel condominio recente con tunnel per una quarantina di garage),  praticamente costruita in quello che storicamente era già stato alveo di piena  e puntualmente finita sott’acqua oppure lo stesso Autodromo di Imola, che si vede lambire i fianchi dalle rive erose del Santerno. 

Ai costi collettivi stimati da ISPRA per il consumo di suolo possiamo quindi tranquillamente aggiungere gli ulteriori ingenti costi per il recupero dei danni provocati dal dissesto idrogeologico derivante da incuria e ignoranza, sia a livello di infrastrutture e servizi, che richiedono risorse pubbliche, sia  per gli abitanti che l’ambiente degradato.

  Ipazzia(*) Ipazzia – due z, sì – abita a Imola dove lavora, ascolta jazz e si impegna nella solidarietà sociale. Si firma Ipazzia per un evidente rimando a Ipazia (scienziata e filosofa assassinata dai fanatici cristiani) ma forse perché in napoletano “ipazzia” suona bene e lei – che è romagnola ma poliglotta – lo sa. E visto che proprio a Imola torna “la grande discarica”… presto leggerete un altro suo articolo. Per chi nulla sapesse la discarica vicino a Imola nasce, viene contestata, muore e poi rinasce. Per le istituzioni è un bene o un sacrificio “necessario”; per chi ha un po’ visto di cosa si tratta è un incrocio fra la Godzilla dei film e le reali “terre avvelenate” nell’Italia di oggi. 



Continua:  https://www.labottegadelbarbieri.org/consumo-di-suolo-nellemilia-romagna-che/



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