Il Ponte sullo Stretto è uno schiaffo. È l’ennesimo insulto a chi abita territori abbandonati, depredati e desertificati, simbolo di una politica che continua a scegliere il cemento invece delle persone. Il Sud, da secoli, è un territorio di conquista. Prima colonizzato, poi sfruttato, oggi devastato in nome della “vocazione turistica” e della “posizione strategica”. Parole vuote, dietro cui si nascondono solo povertà, disuguaglianze ed emigrazione, Oggi a emigrare non sono solo i giovani, ma anche i meno giovani, per lavorare al Nord o all’estero, a produrre ricchezza altrove per stipendi da fame, inghiottiti da affitti che non lasciano respiro. Insegnanti, operai, infermieri, impiegati, postini, lavoratrici e lavoratori che partono e lasciano dietro di sé città e paesi svuotati».
Il Ponte sullo Stretto – torna a essere il pretesto per imporre un modello di sviluppo fondato sull’aggressione territoriale e sull’estrazione di profitto dalle risorse e dalle biografie degli abitanti. Si tratta di un modello che esclude programmaticamente le comunità locali dai processi decisionali, ponendole di fronte a un’alternativa forzata: accettare il ricatto di promesse occupazionali e finanziamenti oppure subire la devastazione ambientale e sociale legata all’opera. È, in sintesi, un modello che espelle progressivamente la popolazione residente, poiché considerata un ostacolo al suo avanzamento». «D’altra parte le grandi opere seguono sempre la stessa logica: calate dall’alto, devastano i territori e ignorano chi li abita. È una logica disumana, cieca, che piega tutto al profitto. La stessa che ritroviamo nell’economia di guerra.
Il 29 novembre 2025 l’appuntamento è a Messina...
Rete Ambientalista
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