mercoledì 6 febbraio 2019

Consumismo. Il rifiuto del "rifiuto" nella società dei consumi che produce solo rifiuti


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Il problema dei rifiuti negli ultimi decenni ha assunto dimensioni e effetti ben diversi rispetto a prima: da fenomeno locale è diventato globale.  Ma questo non deve distoglierci dal problema Italia, cui dossier è dedicato.  Va subito chiarito che la problematica è ben diversa da regione a regione e da città a città, con evidenti maggiori criticità nel Sud. Accademia Kronos è ben consapevole che probabilmente non esiste una ricetta facile, che porti alla soluzione di tutti i problemi in tempi rapidi. Ma certo è che se le linee seguite fino ad ora hanno dato questi risultati è, non solo opportuno, ma doveroso cercare di aprire i nostri orizzonti, aprendoci alla ricerca e alla sperimentazione di modelli già efficaci in altri Paesi. 

Perché non lo si è fatto fino ad ora? Il sospetto è che fra le maggiori motivazioni vi sia il semplice fatto che seguire nuove strade non sia stato giudicato conveniente per chi in questo sistema prospera o spera di prosperare. Eppure modi diversi di procedere esistono. Ma per prima cosa cerchiamo di capire perché il problema rifiuti in Italia non trova ancora dopo anni ed anni una concreta soluzione. Il problema di base è che ci sono pochi impianti adeguati e c’è troppo materiale da smaltire, e la combinazione di questi due fattori – che ha varie cause – sta portando tutto il sistema in una situazione di stallo. Di fatto non riusciamo più a sostenere lo smaltimento di tutti i rifiuti prodotti. 

Non si tratta soltanto dei cassonetti stracolmi di alcune città che tante volte hanno fatto parlare di “emergenza spazzatura”, ma soprattutto di un problema ben più vasto che riguarda tutto il sistema nazionale di gestione di questo settore. Si parte con una eccessiva produzione di rifiuti ( che potrebbe e dovrebbe essere al più presto controllata), si continua con uno spesso inadeguato apparato di raccolta e si conclude con un complesso quanto insufficiente e costoso sistema di smaltimento. I sempre più frequenti incendi dolosi nei capannoni, la scoperta di nuove discariche abusive, gli impianti sovraccarichi di materiale sono le dirette conseguenze di questo stato di cose. 

L’uso dei termovalorizzatori, eredi degli inceneritori, rimane spesso soggetto a contestazioni di popolo a causa del particolato che emettono e di gas tossici tra cui la diossina. Questa è la realtà ma anche se così non fosse, al momento, la rete di termovalorizzatori di ultima generazione in Italia non rappresenta, anche per la loro dislocazione geografica, una soluzione adeguata e immediata alle esigenze di smaltimento di tutta la nazione,. 

Cerchiamo ora di capire come funziona, in linea di massima, la gestione rifiuti in Italia. La gestione dei rifiuti si può suddividere in due grandi blocchi distinti: operazioni di recupero e operazioni di trattamento-smaltimento. Delle prime si occupano principalmente gli impianti che gestiscono i rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata, mentre delle seconde si occupano discariche, inceneritori, impianti di trattamento meccanico-biologico: lo smaltimento viene definito tale anche se successivamente può avere come risultato secondario il recupero di sostanze o di energia. Forse pochi ci crederanno, ma è così: per quanto riguarda il recupero dei rifiuti, l’Italia è un paese piuttosto virtuoso. Eppure ciò non basta a tenere in piedi tutto il sistema di smaltimento. 

Ogni anno più del 50 per cento dei rifiuti urbani – quelli prodotti dai singoli cittadini, e non dalle industrie – viene riciclato: un dato sopra la media dell’Unione Europea, dove viene sottoposto a riciclo il 47 per cento dei rifiuti urbani. Il 25 per cento dei rifiuti finisce ancora in discarica, un valore che il Parlamento Europeo ha stabilito debba essere limitato al 10 per cento entro il 2035. Nel 2016, secondo il rapporto del 2017 dell’ISPRA sui rifiuti urbani (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), in Italia sono stati prodotti 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, mentre sono state 135 milioni le tonnellate di rifiuti speciali (cioè i rifiuti industriali), a loro volta divisi in pericolosi e non pericolosi. 

A occuparsi del riciclo dei rifiuti urbani frutto della raccolta differenziata sono gli impianti di recupero, mentre per i rifiuti indifferenziati ci sono gli impianti di smaltimento. Tra quelli più utilizzati ci sono gli inceneritori (chiamati anche termovalorizzatori quando il calore prodotto dalla combustione dei rifiuti viene utilizzato per produrre energia) dove finiscono anche diverse tipologie di rifiuti speciali, come quelli ospedalieri e industriali. 5 La raccolta differenziata La raccolta differenziata è, paradossalmente, uno dei fattori principali che stanno causando questa situazione di stallo nella gestione dei rifiuti. In Italia se ne fa sempre di più – nel giro dieci anni si è passati dal 28,5 per cento del 2006 al 52,5 per cento del 2016 – ma succede che spesso venga fatta male, mischiando rifiuti che non andrebbero messi insieme. Gli impianti di riciclo che ricevono questi rifiuti dividono quelli riciclabili da quelli non riciclabili, e finiscono per riempirsi di materiale di scarto da avviare a smaltimento. 

C’è poi, per assurdo, un altro problema che riguarda la raccolta differenziata, e cioè che se ne fa troppa rispetto alla domanda del mercato. I materiali derivati dal riciclo hanno sempre meno spazio sul mercato, e quello che non si riesce a vendere si prova a mandarlo in discariche o inceneritori. Quando questi ultimi sono pieni, però, può succedere quello che racconta Jacopo Giliberto sul Sole 24 Ore a proposito della plastica: «La plastica che non riesce a finire negli inceneritori viene accumulata dai riciclatori che non trovano acquirenti del prodotto finito, con un rischio grande di incidenti. Oppure finisce in mano alla malavita, che riempie di plastica di capannoni che poi bruciano». A nessuno verrebbe in mente che in questa situazione di mal funzionamento del sistema raccolta differenziata ci siano di mezzo anche i cinesi… è invece è così. 

Tra le varie cause di sovraccarico degli impianti è la decisione presa dal governo cinese già nel 2017 di diminuire le importazioni dei rifiuti plastici e cartacei: una scelta che ha messo in crisi non solo l’Italia ma tutta l’Europa, che vendeva alla Cina gran parte dei suoi rifiuti differenziati. In Italia questa decisione ha riguardato soprattutto il settore della carta e in particolare quella da macero, cioè i residui impuri della carta riciclata: il blocco delle importazioni da parte della Cina infatti non ha riguardato tutti i materiali plastici e cartacei, ma solo quelli con impurità superiori allo 0,5 per cento. Nel 2016 l’Italia esportava 1,9 milioni di tonnellate di carta e più della metà finiva in Cina, che poi la riconvertiva in carta da imballaggio; ora che le nostre esportazioni di rifiuti sono in calo, il ciclo dei rifiuti ha avuto un improvviso rallentamento e gli impianti italiani si sono trovati con un surplus di carta da macero da smaltire. “Not in my backyard” 

A complicare la situazione c’è lo stato attuale degli impianti italiani, sia di riciclo che di smaltimento. Per quanto riguarda i primi, alla buona notizia dell’aumento progressivo dei materiali da riciclare non è seguito nel corso degli anni un aumento del numero degli impianti, costringendo così l’Italia a esportare sempre più rifiuti all’estero, in particolare in Europa verso Austria e Ungheria. Nel rapporto dell’ISPRA si nota infatti come nel 2016 i rifiuti esportati siano stati il doppio di quelli importati: 433mila tonnellate contro 208mila. La soluzione sarebbe la costruzione di più impianti, ma negli anni amministrazioni locali e proteste dei cittadini hanno rallentato l’espansione, chiedendo in molti casi la chiusura degli impianti esistenti. Si tratta non solo del cosiddetto fattore nimby – acronimo per not in my backyard (“non nel mio cortile”), ma anche dagli effetti negativi sull’ambiente e sulla salute dei cittadini rilevati nelle aree prospicienti agli impianti di termovalorizzazione o di inceneritori (sostanze chimiche rilasciate da questi impianti anche se in minima quantità: SO3, NO2 e CO2, nonché il particolato). Una certa ostilità popolare si è osservata anche in prossimità dei centri di raccolta e lavorazione rifiuti e questo per i cattivi odori emessi. Questa ostilità ha riguardato, con più o meno intensità, tutta Italia e le amministrazioni di tutti gli schieramenti politici. In questo bailamme si trova invischiato anche l’attuale governo. La Lega segue la linea di realizzare comunque nuovi termovalorizzatori, mentre il Movimento Cinque Stelle invece è contrario a questa 6 soluzione e propende invece per sistemi nuovi e non impattanti con l’ambiente e la salute pubblica. 

A tal proposito il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, anche lui contrario a nuovi inceneritori, ha affermato: «Quando arriva l’inceneritore, o termovalorizzatore, il ciclo dei rifiuti è fallito». Il “contratto di governo” comunque tratta l’argomento rifiuti solo in modo molto vago, con i soliti richiami a “incentivare la raccolta differenziata”, ma senza essere indicazioni precise. Di Maio, a tal proposito ha anche dichiarato che in Campania «non bisogna fare il business degli inceneritori ma bisogna fermare il business dei rifiuti». A proposito degli inceneritori, nel 2014 il governo Renzi inserì nel cosiddetto decreto “Sblocca Italia” un articolo, il 35, che prevedeva la costruzione di 12 nuovi impianti – da aggiungere ai 42 attualmente attivi – e la decisione fu molto contestata dalle opposizioni e dalle associazioni ambientaliste, AK compresa. Lo scorso aprile un ricorso presentato da alcuni comitati è stato accolto dal TAR del Lazio, che ha bloccato l’attuazione del decreto rinviandone la valutazione alla Corte di giustizia dell’Unione Europea; il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha fatto sapere che ne proporrà la modifica in Parlamento. 

La proposta di Renzi, però, già all’epoca aveva trovato l’opposizione del suo stesso partito a livello regionale. È il caso del Lazio, dove nel 2016 l’allora ministro dell’Ambiente Galletti chiedeva la costruzione di un nuovo inceneritore per migliorare la gestione dei rifiuti, a cui si oppose il suo collega di partito, il presidente della regione Nicola Zingaretti. Non solo alla fine il nuovo inceneritore non si è fatto, ma il 16 ottobre dello scorso anno per decisione di Zingaretti è stato chiuso l’inceneritore di Colleferro, che era rimasto fermo per oltre un anno a causa delle proteste dei cittadini. Roghi E arriviamo così ai molti roghi di rifiuti avvenuti negli ultimi mesi anche nel Nord Italia, una delle conseguenze più tangibili della grave situazione in cui versa il sistema della gestione dei rifiuti. Per capire la causa di così tanti roghi bisogna fare un passo indietro: con l’articolo 35 del decreto “Sblocca Italia” non si è solo proposta la costruzione di nuovi inceneritori, ma si è anche introdotta una nuova norma sulla gestione dei rifiuti urbani tra le varie regioni. 

Se prima dello “Sblocca Italia” i rifiuti urbani indifferenziati potevano essere smaltiti solo nelle zone in cui venivano prodotti, ora è possibile portarli in altre regioni. Questo ha aiutato le regioni del Centro e del Sud – con impianti e discariche spesso piccoli e tecnologicamente arretrati, e che rifiutano più delle altre di costruirne di nuovi – a portare i loro rifiuti nei più grandi impianti del Nord, ovviamente pagando, ma ha avuto diverse altre conseguenze. La prima è che gli impianti che si occupano di smaltimento al Nord si sono ritrovati saturi di materiale da gestire, e per poter continuare a ricevere rifiuti hanno dovuto alzare le tariffe; la seconda è che, con gli impianti pieni e i costi aumentati, sono diventati sempre più frequenti, specialmente in Lombardia, vedi i casi di roghi in discariche abusive e capannoni abbandonati. 

Quello che succede è che alcuni imprenditori, piuttosto che cercare di portare i rifiuti in un impianto di smaltimento a prezzi elevati, preferiscono pagare qualcuno perché stipi i rifiuti in uno dei tanti capannoni vuoti del Nord Italia, a cui poi viene dato fuoco per liberarsi del problema. Ovviamente quello dei roghi non è un fenomeno che riguarda solo il Nord, lo abbiamo visto recentemente anche a Roma, e naturalmente nelle regioni meridionali.

Accademia Kronos

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