Sapete che sono nato l’anno della Scimmia, e tutti dicono che la scimmia è un animale dispettoso. Ma non è vero, ve l’assicuro, solo che la scimmia vuole scoprire le reazioni degli altri, la verità che si nasconde dietro le apparenze, ed è per questo che gioca tiri birboni a tutti quanti e li sfida in mille modi, per capire come reagiscono e come si manifestano nelle situazioni particolari.
Essendo questa la mia prerogativa va da sé che tutte le situazioni in cui mi son venuto a trovare comprendevano risvolti machiavellici in cui saggiavo il terreno dei compartecipi al gioco della vita.
Ciò è avvenuto anche con i membri della Rete Bioregionale Italiana, quelli che vengono definiti –solitamente- i più ecologisti fra gli ecologisti, il massimo dei massimi nella consapevolezza ambientale. Ma sarà poi vero? Di certo posso dire che alcuni suoi membri sono persone oneste e sincere e non si atteggiano a “santoni dell’ambiente”, ma altri soccombettero alle mie pesanti trovate… e restarono nudi sotto il mio sguardo imparziale e crudele.
Già alla riunione fondativa della Rete, che si tenne ad Acquapendente i primi anni ’90, compii diversi magheggi. Dovete sapere che conobbi il bioregionalismo (Nota 1- come termine ben inteso, in quanto si tratta semplicemente di considerarsi parte integrante del territorio e del contesto vitale in cui si vive, che è un principio antico ed universale) prima dalle pagine di Frontiere di Edoardo Zarelli (che successivamente fu esautorato perché di matrice destro-etno-europeista mentre nella Rete prese il sopravvento il ramo americanista di Snyder, Berg, etc.) e successivamente tramite l’amico Stefano Panzarasa e la sua compagna Jacqueline Fassero. Essi mi invitarono all’incontro fondativo che era stato indetto da Zarelli (poi scomparso dalla scena) informandomi però che durante l’incontro della “crema degli ecologisti italiani” non avrei dovuto parlare di vegetarismo, perché molti di loro erano contrari, e soprattutto non avrei dovuto coinvolgere le istituzioni, perché la maggior parte erano fricchettoni. Promisi di attenermi alle direttive ma come potete immaginare non lo feci affatto.
In primis: invitai l’allora presidente della Provincia di Viterbo (della quale Acquapendente è un comune), Ugo Nardini, che nell’imbarazzo, considerando il gelo con il quale fu accolto, profferì qualche parola di saluto e buon auspicio e se ne partì. In secundis: quando fu il mio turno di intervenire nel cerchio dei convenuti, feci un accorato discorso sul salvataggio della terra che è possibile solo se si rinuncia agli allevamenti intensivi ed all’uso smodato di carne. Ricevetti molte critiche e non volendo creare separazioni me ne partii la sera stessa, dopo una cena alquanto insapore, lasciando come miei rappresentanti Claudio Viano, e la sua compagna Daniela, entrambi vegetariani convinti, (di Claudio ho narrato la recente disavventura con i cinghiali del Treja). Essi non poterono inserire alcuna istanza vegetariana ma fecero del loro meglio per ammorbidire ed accorciare il documento d’intesa che doveva essere approvato e che all’inizio constava di parecchie pagine, ora è ridotto ad una mezza paginetta (forse ancora troppo essendo il succo quanto da me affermato nella nota 1).
Comunque in seguito inviai due lettere formali di adesione alla Rete, una a nome del Circolo vegetariano VV.TT. (ramo culturale, vegetariano e spiritualista) e l’altra a nome del Punto Verde Calcata (ramo politico laico). Poi iniziai la battaglia interna, tanto per cominciare avviai un discorso di attuazione bioregionale partendo dalla riaggregazione delle Regioni in nuovi ambiti amministrativi, prendendo ad esempio l’identità culturale ed ambientale della Tuscia od Etruria, che poteva fungere da esempio di un nuovo modello di bioregionalismo applicato agli ambiti omogenei. In questa battaglia fui lasciato quasi da solo, poiché molti altri bioregionalisti preferivano occuparsi di agricoltura e vita in campagna. Solo alcuni amici “intellettuali”, come Pietro Toesca, Aurelio Rizzacasa, Alessandro Curti, Fulvio di Dio ed altri mi seguirono in questo filone.
Poi fu la volta del nuovo approccio laico applicato all’ambiente. Sino allora gli ambientalisti si consideravano di sinistra e ciò comportava una sperequazione, ponendo l’ecologia in un settore che doveva invece esserne esente. Compii questa operazione allorché dapprima invocai la collaborazione dell’allora presidente della Regione Lazio, Piero Badaloni, che partecipò ad un convegno sul tema bioregionale, da me organizzato a Sant’Oreste, assieme a vari assessori e consiglieri, di cui ora ricordo Bonadonna (PRC), Daga (DS) e Bonelli (Verdi). E fin qui non ricevetti critiche di sorta dai miei co-membri, anche se nessuno d’essi si degnò di partecipare al convegno (considerato troppo ufficiale).
Poi successivamente quando organizzai un incontro annuale della Rete a Calcata (sul tema dell’economia sostenibile) ed erano presenti gran parte dei capi-rete, durante il convegno nella sala consiliare del Comune ci fu -da parte dell’allora sindaco Luigi Gasperini- la lettura del patrocinio concesso e del saluto dell’allora presidente regionale Francesco Storace (sì proprio lui) e qui le facce di molti “compagni” bioregionalisti si fecero “nere” (si fa per dire..) ed alcuni si rifiutarono di fare un intervento in quel consesso, dominato tra l’altro da un numero incredibile di vegetariani ed animalisti. Quella volta, dopo il pranzo finale di commiato al Tempio della Spiritualità della Natura, la vidi brutta e sentii quasi il venticello della scomunica su di me… mi salvò solo l’intervento con invito al sincretismo di mia sorella Daniela, che aveva lavorato indefessamente al servizio della causa per due giorni, ed il silenzio benevolo di Etain Addey.
Ora potrai continuare a raccontare quanti altri “dispetti” ho fatto a questi benedetti membri della Rete, ma ve li lascio immaginare… e chiudo.
Paolo D’Arpini
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