lunedì 3 giugno 2024

Il principio di indeterminazione coinvolge la dimensione umana...

 


Come per la fisica quantistica, che ha rivoluzionato la concezione del mondo e della conoscenza analitico-materialista, così accade per certe consapevolezze: traguardi della realtà di tipo magico-energetico che nulla hanno a che vedere con il supposto assolutismo del principio dell’oggettività del reale, della sua separazione da noi. Tuttavia, nonostante la sostanza differenza di visione, le forme del reale rimangono le stesse. Un ulteriore segno che siamo noi a descrivere il mondo, e quindi a costituirlo. Piccola escursione sul sentiero della fisica quantistica e dell’uomo.


Il culto dell’intelligenza analitica, quello del mito della logica, il fideismo nel razionalismo, hanno comportato una reificazione dell’uomo ridotto a macchina. Non soltanto la sua struttura fisica ma anche quella metafisica, in questo caso intesa come pensiero, immaginazione, concezione di sé, degli altri, della realtà e del mondo.

Senza quel culto, quel mito e quel fideismo, razionalismo, logica e conseguente materialismo e meccanicismo, non sarebbero venuti meno, ma semplicemente sarebbero rimasti limitati alla sfera storico-relazionale-sociale, ovvero alle questioni pratiche, unanimemente riconosciute e condivise da tutti, qui dette amministrative. Se così fosse andata avrebbero fornito il miglior servizio all’uomo, ma non ne avrebbero castrato il potenziale infinito di creatività, educazione e politica.

Le culture del mondo e del tempo, in cui il monopolio razionalista non è avvenuto, hanno espresso una conoscenza olistica, non analitica, né duale. Una visione che oggi, anche il mercificato Occidente, a suo modo, ha raggiunto, e nel quale si sta lentamente diffondendo attraverso la parafrasi delle conoscenze tradizionali disponibile nei principi della fisica quantistica.

Questa, ha avuto soprattutto il merito di deuniversalizzare la concezione meccanicista della conoscenza, attribuita, per puro scientismo, alla fisica o meccanica classica. Un territorio di pensiero assai valido per le questioni amministrative dell’uomo, ovvero superficiali rispetto alla sua molteplice, olistica e olografica dimensione esistenziale.

Non pare infatti fuori luogo ritenere che lo stato politico-sociale-culturale attuale – sinteticamente disponibile ad essere definito di degrado a tutto tondo – sia il vero seminatore di malessere psico-fisico, in cui versa il mondo, dai vertici ai paria. Più esattamente quella moltitudine che, con famelicità e quindi senza riguardo alcuno per tutte le altre verità, ha voluto, accettato o ha subito quel culto, quel mito e quel fideismo, inizialmente citati, triplice unità della concezione materialista, cioè disumana, della vita.

Come detto in altre occasioni, quanto affermato dalla fisica quantistica – il cui principio di indeterminazione non è che la sintesi – in merito al mondo atomico e a quello sub-atomico, si presta a descrivere anche quanto accade in ambito relazionale umano, cioè nella realtà sottile o energetica implicata nel guscio del pensiero e in quello del linguaggio. In pratica, tutta la conoscenza analitico-superficiale-deterministica-riduzionistica di derivazione meccanicista, cuore della meccanica classica, dimostra la sua inettitudine alla conoscenza dell’umano. In termini meno consuetudinari, i principi della fisica quantistica esprimono e contengono quanto la scienza suprema, ovvero la magia, con variazioni di forma, ha affermato da millenni.

Così, l’entanglement – termine anglosassone per dire intreccio, ingarbuglio irrisolvibile – che allude alla corrispondenza e contemporaneità di reazione ad uno stimolo, di particelle separate secondo lo spazio-tempo meccanicista, permette di riconoscere la natura del sentimento e dell’emozione.

Il primo, come legame che non sottostà e non risente – se non positivamente, finché sussiste l’esigenza nelle parti – della concezione ordinaria dello spazio. Ovvero, la distanza dall’affetto evidenzia e rafforza il legame stesso e tiene unite parti apparentemente separate.

La seconda non risente della presunta verità – o dell’incantesimo – del tempo lineare, irreversibile e sempre identico a se stesso. È infatti un’emozione che riporta nel presente il passato a noi noto e anche quello a noi ignoto. È per un’emozione che ci sovviene una visione, un’idea, una consapevolezza, una libertà e una malattia.

In un’emozione si osserva il potere magico. Nient’altro che la visione del mondo pre-formale, ovvero delle dinamiche e delle forze energetico-creative che soggiacciono a tutte le circostanze della vita. Un’emozione realizza il mondo che crediamo di vedere, ricompone la memoria, fa variare la durata del tempo e lo rende reversibile. È per un’emozione che accadono i miracoli, che i pochi archetipi si mostrano in tutte le infinite forme della storia, che può avvenire la scoperta del proprio sé o avviarsi il processo di individuazione junghiano. Eventi ed eventualità che la conoscenza cognitiva, l’erudizione, la scienza neppure sfiorano.

Se un’emozione fa il mondo, essa fa anche il nostro miglior benessere e malessere. Essere consapevoli della corrispondenza tra ciò che afferma la fisica quantistica, e l’esistenza e la conoscenza, permette di riconsiderare e valorizzare il significato umanistico delle tradizioni sapienziali del mondo, ovvero di porre rimedio al precipitare cultural-positivistico in cui versiamo. Permette di recuperare il legame con l’origine oggi creduto tralasciabile. E anche di conoscere il mistero della vita sottraendo alla gabbia logica in cui ci troviamo il potere di contenere il nostro pensare: il mistero non c’è senza la domanda con la quale lo si vorrebbe indagare e conoscere, quasi fosse un uovo coriaceo che ancora nessuna tecnologia è riuscita a penetrare.

Ma non è tutto. Lo stesso principio di indeterminazione – che tecnicamente riferisce dell’impossibilità di conoscere contemporaneamente la posizione nello spazio e la quantità di moto di una particella – coinvolge la dimensione umana. O meglio, più che coinvolgerla, mostra l’indivisibilità del tutto e, contemporaneamente, l’arroganza scientista di ridurre quel tutto a materia e di poterla conoscere separandone pezzo per pezzo.

Come nelle relazioni umane, incluse quelle infrapersonali, avviene che l’interlocutore reagisca o risponda in modo da noi non previsto o inconcepibile, così di una particella non si può prevederne il comportamento, in quanto esso varia in funzione dell’interlocutore, ovvero dell’osservatore. Proprio come avviene tra noi, che possiamo essere onda in un’occasione e particella in un’altra. Cioè avere esigenze variabili, per noi stessi imprevedibili, in quanto scaturibili proprio nel momento della relazione. Una specie di conclamazione che l’uomo non è una macchina, che risente di invisibili dinamiche energetiche, mai permanenti sempre oscillanti. Ovvero che il razionalismo è semplicemente disumano. Che solo attraverso il sé possiamo averne consapevolezza.

C’è dell’altro. In merito alla fisica quantistica si parla anche di campi e di salti quantici. Altri due suoi concetti che hanno la disponibilità a raccontare l’umano. Come nelle relazioni, la condivisione della realtà la rende vera, oggettiva e difendibile. Significa che in essa ci riconosciamo e troviamo perciò la nostra ragione d’essere. In sostanza, la avvertiamo di fronte a noi e ne viviamo la coerenza secondo un’ignara selezione dell’infinito compiuta dal filtro biografico. Così, in contesto quantico, avviene che la disposizione delle possibilità relative al comportamento delle particelle, si ordini a dare forma ad una soltanto di esse, secondo una coerenza olistica ad esso relativo.

Impossibile non citare ancora la magia quale conoscenza avvenuta senza tecnologia. Non tanto con l’osservazione analitica degli eventi, ma con la concezione olistica e organicistica del cosmo, del mondo, di noi.

Infine, i salti quantici. Se in contesto esistenziale-relazionale, non amministrativo, tra tutte le infinite possibilità che l’energia dispone per divenire questo o quest’altro, la reificazione di una cosa o dell’altra non avviene secondo un processo lineare, prevedibile, secondo un protocollo replicabile, ma serendipidicamente e nel rispetto di tutte le forze in campo. È ciò che, in contesto umano, avviene in occasione delle prese di coscienza e di consapevolezza. Può servire una canzone, una battuta di spirito, un dolore, una perdita. I salti quantici, in ambito umano non sono che emozioni che compongono una visione differente da quella appresa all’università degli stampini.

Senza che nulla del mondo sia cambiato, abbiamo a che fare con un’altra realtà, con un altro noi stessi. Possiamo ora riconoscere le profonde ragioni dei comportamenti e delle scelte, dello stato in cui ci troviamo e della forza o vulnerabilità in cui versiamo. Della nostra attitudine a realizzare serenità o malessere.

Lorenzo Merlo



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