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lunedì 25 gennaio 2021

Bioregionalismo - Un esperimento alchemico tra ecologia e spiritualità



Usando un termine un po’ inflazionato potremmo dire che la nostra è un’azione sulla memoria degli elementi: acqua, aria, terra, fuoco ed etere, aggiungendovi l’essere umano in quanto elemento cosciente della natura. 

Se si perde il senso di appartenenza all’intera comunità dei viventi, infatti, si va verso l’annichilimento della nostra gloriosa specie umana.

Come dice l’amica bioregionalista  Aurora Bussi: “Tutte le civiltà nascono e muoiono raggiungendo il limite di ciò che sfruttano”. In questo contesto occorre fare un parallelo fra elementi naturali e la presenza umana, nonché il rapporto fra i vari esseri.

Finché si continua a vedere l’uomo e la donna come separati dal resto del mondo non avviene quel processo alchemico trasmutativo della coscienza in termini di condivisione globale dell’uomo nella natura. Il nostro è un
viaggio verso ciò in cui siamo sempre stati: la Casa Terra. Ed una volta realizzato che siamo già a casa possiamo cominciare a prendere in considerazione un ritmo diverso, uno stile di vita diverso della nostra presenza sul pianeta. Possiamo definirlo Armonia?

“La flessibilità dell’ambiente ecologico e della civiltà umana, che risulta dalla combinazione di entrambi, è così un sistema ecologico che si definisce per ‘variabili interconnesse’ con soglie di tolleranza superiori ed inferiori. L’adattamento si consegue con la modificazione delle variabili”.

L’obiettivo sociale della Rete Bioregionale Italiana   è quello di creare una  connessione fra gli ecologisti e gli spiritualisti laici e sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi  ambientali e sociali. 

Paolo D'Arpini




lunedì 16 novembre 2020

Bioregionalismo, decrescita, ecologia sociale, localismo, solidarietà, etc. sono diversi approcci della stessa visione biocentrica...

 


Bioregionalismo, decrescita, ecologia sociale, localismo, solidarietà… etc. sono  diversi  approcci della stessa visione biocentrica, basata sulla comune appartenenza all’evento vita sulla Terra.   La visione biocentrica, o biopolitica,  implica una conduzione ordinata e rigorosamente etica ed ecologicamente sostenibile della società,  nella consapevolezza delle interconnessioni che esistono tra tutte le forme viventi e non viventi  del pianeta.

Questa concezione naturalistica è andata avanti senza grandi sovvertimenti sino all’inizio del secolo scorso, momento in cui si è avviata una “rivoluzione di sistema”, una rivoluzione apparentemente incruenta e non specificatamente voluta, ma il risultato è  stato un repentino mutamento d’indirizzo e l’assunzione  di modelli utilitaristici ad esclusivo vantaggio di una elite umana. Coincide con l’inizio dell’era industriale, dell’economia di mercato e del consumismo,  della crescita dei grossi insediamenti urbani  e conseguente  allontanamento dal contesto naturale. In una società così degradata  la sopravvivenza  di una  struttura sociale  solidaristica è andata pian piano scomparendo. Ma forse siamo ancora in tempo a prendere coscienza di ciò ed attuare una repentina inversione di marcia prima del precipizio.

La soluzione alla crisi umanitaria  che la nostra società sta vivendo  sta nella così detta “decrescita” ovvero nel superamento dei modelli consumistici e dello schema sociale piramidale per ritrovare in una socialità allargata nuove espressioni per la solidarietà umana, in modo da ricreare in noi lo stimolo primario della gioia di vita e la capacità creativa per produrre qualcosa che abbia lo spirito del necessario e del bello.  In questo contesto ritengo che il primo passaggio per un cambiamento di paradigma  debba iniziare  dalla produzione del nostro cibo.

L’agricoltura nel corso degli ultimi 50 anni  è stata offesa, bistrattata e mortificata. Oggi iniziamo a renderci conto che per ritrovare una via di salvezza per l’umanità occorre ripartire proprio da un rapporto più sano e corretto con la Terra, attraverso, in particolare, colture il più possibile biologiche, la distribuzione dei prodotti a Km 0 con il rapporto diretto tra produttore e consumatore, evitando il ricorso ai pesticidi chimici, agli ogm, promuovendo i gruppi di acquisto solidali e, soprattutto, rispettando il lavoro contro ogni forma di sfruttamento.

Tutto questo può avvenire solo nel quadro di un nuovo modello  economico, umano e culturale, vedi, in particolare, la cosiddetta “decrescita felice” e l'attuazione bioregionale…

Paolo D’Arpini









mercoledì 9 settembre 2020

Bioregionalismo. Nuova dimensione per l'umanità - Una pratica di vita ecologista

Free picture: wood, nature, water, leaf, landscape, ecology, tree, river,  moss

Vivi la tua giusta relazione con la terra e il cielo. (Jacqueline Fassero) 

Il bioregionalismo  e le sue idee sono state propagandate in tutto il mondo da filosofi, ecologisti, scrittori e poeti, facendo presa sulle persone più sensibili e alla ricerca di un diverso e più profondo rapporto con la natura. 

Il bioregionalismo è legato al territorio - luogo - in cui si vive, considerato come un insieme omogeneo dal punto di vista morfologico e da quello degli esseri viventi, un insieme in cui tra le piante, gli animali, i monti, i suoli, e le acque, l'uomo è solamente una parte della complessa rete ecosistemica, in una prospettiva non più antropocentrica bensì biocentrica. Il termine bioregione viene dalla parola greca bios (vita) e da quella latina regere (governare). Si tratta quindi di un territorio geografico omogeneo in cui dovrebbero essere predominanti le regole dettate dalla natura e non le leggi che spesso l'uomo ha definito artificialmente a proprio uso e consumo. 

Ognuno di noi vive all'interno di una bioregione e lo sforzo da fare è quello di riconoscerla, ritrovarsi in essa come nella propria casa, e di questa conoscere tutte le potenzialità e le risorse naturali, sociali e culturali, alla ricerca di un modo di vivere sostenibile e locale in armonia con le leggi della natura e con tutti gli esseri viventi e non viventi. 

Stefano Panzarasa - Gaia newsletter 

     (Fonte: AAM Terra Nuova) 

mercoledì 2 settembre 2020

Bioregionalismo. L’autosufficienza non è un mito...


Bioregionalismo e Stati Generali dell'Ecosofia - Terra Nuova

L’esodo verso i luoghi abbandonati dal moderno, iniziato sul finire degli anni 70′, e che aveva dato vita alle prime comunità rurali degli Elfi, degli Zappatori senza padrone, del Monte Peglia … aveva come fine proprio l’autosufficienza e il rifiuto, il distacco dalla società "civile". 

Amazon.it: Per una vita migliore ovvero il libro dell'autosufficienza -  Seymour, John - Libri

In tutti quei luoghi si trovava il libro di John Seymour  “Per una vita migliore ovvero il libro dell’autosufficienza”, che era uno dei pochissimi testi di riferimento per quella generazione . Per tutti gli anni 80′-90′ una moltitudine di singoli, coppie, gruppi hanno intrapreso quei sentieri per cercare una alternativa al moderno. 

La scommessa della decrescita

Poi è comparsa la "Scommessa della  Decrescita" di Serge Latouche che ha dato costrutto filosofico e politico ad un vero e proprio movimento di utopia concreta, poi sono arrivate le Transition Towns e un forte interesse per le pratiche della  Permacultura: sia la Transizione che la Permacultura richiedono un grosso lavoro di progettazione e pratica collettiva, non sono sentieri individuali per “allontanarsi” dallo spirito di questo tempo ma progetti di cambiamento collettivo. Sono ad ogni modo teorie e pratiche  condivise, per ora, da un numero esiguo di persone (almeno nel nostro paese)

L'ecologia profonda

Nel rapporto empatico tra individui, collettività e territorio l’Ecologia Profonda e il Bioregionalismo ci insegnano che Ri-abitare il mondo in cui viviamo significa andare oltre i ‘confini’ che abbiamo tracciato, significa conoscere l’intreccio di relazioni che lega le nostre vite con l’ambiente che ci circonda. 

Significa pensare a noi stessi come parte interdipendente del mondo naturale, e, forse ancora più importante, sviluppare un senso del posto che sappia andare oltre il dogma dell’uomo signore e padrone del creato, e allargare invece il senso di comunità con tutti i viventi: umani e non-umani che siano.

I principi dell'Ecologia Profonda e l'adesione al movimento del  Bioregionalismo - LtEconomyBlog

Ancora oggi l’autosufficienza è  un percorso graduale che ciascuno può intraprendere quale che sia il luogo dove si vive, è l’inizio di un distacco che consente la riappropriazione di memorie, saperi  e manualità perdute o dimenticate, ma forse è una meta che non è ancora raggiungibile... 

Nel frattempo teniamoci  legati alla ricerca di una parziale autosufficienza, alla semplicità volontaria e alla diminuzione del tempo di lavoro necessario per vivere con una visione di vita improntata all’Ecologia Profonda e al Bioregionalismo.

Selvatici 


martedì 21 luglio 2020

Bioregionalismo - Potpourrì informativo sulla pratica bioregionale e sulla Rete Bioregionale Italiana




Secondo definizioni "ufficiali" il bioregionalismo è un fenomeno culturale con risvolti politici, economici ed ambientali legato al territorio in cui si vive. Cercando di dare una spiegazione consona dei concetti relativi ai neologismi -quali  bioregionalismo ed  ecologia profonda- dobbiamo  ricorrere alla semantica ed alla glottologia, poichè non esiste neologismo che non trovi origine in altre parole simili. Forse non sarebbe nemmeno necessario trovare nuovi termini se la parola originaria, eventualmente abbinata ad un aggettivo, può dare il senso di quanto si vuole descrivere.

Ad esempio  usando il neologismo "bioregionalismo" si evoca un'immagine persino più riduttiva del reale  significato che viene sottinteso con questa parola. Poichè nell'individuazione di un ambito "bioregionale" non si tiene conto esclusivamente dell'habitat  bensì dell'insieme organico, morfologico, geografico, geologico del territorio prescelto, ivi compresi -ovviamente- gli elementi botanici e zoologici che vi prosperano. Insomma si esamina l'omogeneità dell'area esaminata e definita "bioregione" e lì si traccia una leggera linea di demarcazione (non divisione) per individuarne i "confini". Va da sè che questi confini sono semplicemente teorici, poichè l'organismo bioregionale della Terra è in verità un tutt'uno indivisibile. Potremmo per analogia definire le bioregioni gli organi dell'organismo Terra.

Andando avanti. Nel significato originale della parola "ecologia", rispetto alla sua consimile "ambientalismo" è già delineata una differenza d'intedimento, pur che l'esatta traduzione di "ecologia" è "studio dell'ambiente". Mentre in "ambientalismo" si presume il criterio della semplice conservazione. Allorché si aggiunge al termine "ecologia" l'aggettivo "profonda" ecco che si tende ad ampliarne il significato originario integrandovi il concetto di ulteriore ricerca all'interno della struttura ambientale. Insomma si va a scoprire il substrato e non si osserva solo la superficie, la pelle dell'ambiente.

Si può  dire di essere bioregionalisti il momento  in cui si vive in sintonia con il territorio e con gli elementi vitali che lo compongono, indipendentemente dalla  propria origine etnica. Infatti chiunque può essere bioregionalista nel luogo in cui vive,  praticando l'ecologia profonda del vivere  in sintonia col mondo che ci circonda, in un modo in cui, pur sentendosi liberi, non si ha bisogno di provocare danni all'ambiente, cercando di riportare a quell'equilibrio fra  l'uomo, l'habitat e gli altri esseri viventi,  equilibrio che, soprattutto negli ultimi 100 anni, è stato più o meno inconsapevolmente stravolto.

E' molto importante che, anche nei rapporti con gli altri umani, si tenga sempre presente questo "spirito", cioè per me l'ecologia diventa "profonda", quando è una costante della vita, come un sottofondo profumato, e non viene dimenticata mai, per ritornare alla superficialità, alla falsità, al consumismo!



Per quanto riguarda la definizione delle  bioregioni e  loro confini va considerato che   esse possono essere molto piccole, ad esempio una valle (come la valle del Treja), una montagna isolata (il Soratte), un'insenatura, etc. oppure abbastanza grandi da comprendere più regioni  o addirittura continenti e la Terra stessa nel suo insieme. La bioregione non ha confini precisi ma tende ad allargarsi o restringersi se vengono esaminati aspetti specifici.

Quel che conta, nel vivere bioregionale, è che ogni "visione" richiede un cambiamento di vita e non una professione ideologica di difficile attuazione, in quanto si presuppone una  radicale modifica nel proprio stile esistenziale e nell'approccio generale verso l'habitat, gli animali ed il resto del genere umano.  Il bioregionalismo non tende a separare ma ad unire, sia in chiave di società umana ed animale che di ambiente....

Siccome il bioregionalsimo e l'ecologia profonda si praticano nel territorio in "cui si vive" ci si riconosce idealmente con qualsiasi altro movimento che si definisce bioregionale e che opera in qualsiasi altra parte del mondo, Ma non esistono veri e propri legami operativi. Certamente si condividono le informazioni e si  cerca di dialogare ed informare... ad ampio raggio...

Si è bioregionalisti il momento che si comprende e si vive sapendo che tutto ciò che ci circonda è noi stessi.  Questo pensiero è stato espresso molto appropriatamente dal saggio Ramana Maharshi, verso i primi anni del 1900, molto prima che venisse coniato il termine "bioregionalismo": “Una società è l’organismo; i suoi membri costituenti sono gli arti che svolgono le sue funzioni. Un membro prospera quando è leale nel servizio alla società come un organo ben coordinato funziona nell’organismo. Mentre sta fedelmente servendo la comunità, in pensieri, parole ed opere, un membro di essa dovrebbe promuoverne la causa presso gli altri membri della comunità, rendendoli coscienti ed inducendoli ad essere fedeli alla società, come forma di progresso per quest’ultima”.



Per finire  dirò che la Rete Bioregionale Italiana non è un movimento compatto, esistono varie realtà anche disgiunte che si occupano di bioregionalismo ed ecologia profonda. Noi della Rete ci occupiamo essenzialmente di aspetti pratici e di vivere in prima persona l'esperienza bioregionale e dell'ecologia profonda. La Rete Bioregionale Italiana è stata fondata nel 1996 come incontro di varie realtà che si occupavano e si occupano di ecologia profonda e bioregionalismo.  La rete consente libertà di azione locale e il perseguimento di fini comuni, collegati e coniugati ai diversi territori e tematiche bioregionali. Dal 2010 la Rete ha leggermente cambiato strutturazione, passando da nodi territoriali a nodi tematici.  

L'adesione al Movimento/Rete avviene per semplice condivisione dello stile di vita e delle tematiche, lasciando ad ognuno la propria libertà di occuparsi degli argomenti che di volta in volta emergono, per dare risposte necessarie contingenziali ai problemi e per proporre iniziative che possano aiutare le comunità.
(Vedi Carta degli Intenti:  http://retebioregionale.ilcannocchiale.it/?r=28856)  

Paolo D'Arpini

     bioregionalismo.treia@gmail.com




martedì 9 giugno 2020

Bioregionalismo. Il ritorno alla Terra...

Parteciparte Teatro Dell'oppresso - Home | Facebook
(...) Nel passaggio a un’economia post Covid, dobbiamo tenere conto di tutti i costi ecologici, sociali e politici di ciò che ci viene offerto e delle scelte che facciamo. Rendere invisibili i costi alla terra e alle persone è stato il modo attraverso il quale la ricchezza si è accumulata nelle mani di coloro che sfuggono alla responsabilità sociale ed ecologica, lasciando che questi costi siano sostenuti dalla terra e dalle comunità vulnerabili; ecco perché il degrado ecologico e la disuguaglianza economica stanno aumentando.
Invece di prendersi cura della propria casa e di creare giustizia ecologica, sociale ed economica obbedendo alle leggi ecologiche e rispettando i limiti ecologici e condividendo la ricchezza che la terra e le comunità creano, i colonizzatori scappano costantemente dai luoghi e dagli spazi che hanno distrutto e inquinato, per trovare nuove colonie da occupare ed estrarre, altri luoghi e altre persone da dominare e saccheggiare.
Foto tratta dalla pagina fb Semi di Comunità – CSA Roma

Questo modello di colonizzazione della natura e dell’uomo è ormai al limite ed è necessario considerare altre opzioni.
Invece di fare piani per fuggire dal questo pianeta, la strada che dovremmo seguire è quella di ritornare alla Terra, come un’unica comunità che ha il potenziale di creare e coprodurre con la natura per rigenerarla e provvedere ai bisogni di tutti.
Il ritorno alla Terra inizia nella nostra mente, liberandoci dalle illusioni che ci hanno spinto sull’orlo dell’estinzione, che l’1 per cento ha creato e sta creando.
È ancora possibile recuperare il nostro potenziale creativo per plasmare le nostre economie e democrazie dal basso verso l’alto. È ancora presente nelle nostre menti, nei nostri cuori e nelle nostre mani.

Vandana Shiva adere ao abaixo-assinado Lula Livre - Comitê ...

lunedì 8 giugno 2020

Bioregionalismo, etnologia e antropoarchigroltura

La Rete delle Reti: Bioregionalismo e antropologia del paesaggio ...
Calcata (Vt) - Costruita con il tufo nel tufo

L’antropoarchigroltura è una scienza che studia le forme del paesaggio partendo dall’abitazione. La casa è il punto fermo della vita dell’uomo, allo stesso tempo, una meridiana e una clessidra. Come meridiana solare, indica nel ciclo dell’anno la direzione delle semine e da la forma ai campi, nell’immediato contesto della casa. Nel ciclo di vita, invece, attraverso il lavoro delle generazioni che la abitano, da forma al territorio e al paesaggio. Al suo interno, la casa funziona come una clessidra, segnando la vita dell’uomo nello scorrere delle stagioni e degli anni, nei suoi rapporti sociali e naturali più intimi. In pratica, materiali come pietre, terra, legnami, canne, vengono trasformati in abitazioni, inserite in modo naturale nel paesaggio che le circonda. 

Durante il ciclo di vita la casa, assorbe tutti i prodotti della terra. Il lavoro dell’uomo struttura lo spazio abitativo in rapporto al clima e ai materiali naturali presenti. Si può usare come metodo di analisi, per schematizzare, la forma dei cerchi concentrici, come quando si butta una pietra nell’acqua. La casa segue la vita degli uomini nelle diverse generazioni, finché è abitata, vive, caricata della fatica di quelli che l’hanno costruita, vissuta, abitata. Al centro c’è sempre l’uomo, visto da vicino, con le tradizioni, il modo di muoversi, di pensare, i suoni, gli amori, il cibo. L’unico modo di approfondire la conoscenza è di studiarne le radici culturali: l'etnologia.

Agli inizi degli anni 50, due geografi Mario Ortolani e Piero Dagradi, pubblicano i risultati della loro ricerca in abruzzo in “ la casa rurale negli Abruzzi” e “memoria illustrativa dell’utilizzazione del suolo degli Abruzzi” sovrapponendo questi due testi si ottiene la mappa archigrolturale degli Abruzzi negli anni 50-60. In linea generale a una determinata architettura, corrispondono specifiche coltivazioni, a seconda dell’altitudine, delle qualità del terreno e dalla presenza o meno di acqua. Per esempio attorno alla Maiella orientale ci sono una serie di paesi, tutti diversi, per modalità costruttive e coltivazioni.  

Lettomanoppello - Wikipedia

Lettomanoppello: il paese della pietra morbida calcarea della Maiella, usata in blocchetti per costruire case e stalle: attività prevalenti la lavorazione della pietra e la pastorizia, coltivazioni cereali di montagna, legumi patate ortaggi.  

Manoppello: il paese del grano, il nome stesso deriva da manoppolo fascio di spighe. La presenza rilevante di cave di argilla ha portato all’impianto di fornaci, per la cottura dei mattoni.  

Serramonacesca: paese dove si sono mischiati diversi materiali, si possono trovare abitazioni in terra cruda, pietra riccia della rocca, pietra della Maiella, pietre di fiume e mattoni cotti, a seconda delle esigenze, delle vicinanze e delle possibilità. Si trovano muri costruiti riciclando tutte le pietre trovate. Attività prevalente pastorizia; coltivazioni grano, patate, legumi, ortaggi, olive.

Roccamontepiano: paese famoso per la pietra riccia o travertino fossile; usata per costruire abitazioni, frantoi, stalle e fienili, infatti attività prevalente era l’allevamento delle mucche da latte. Coltivazioni olive da olio, frutta e ortaggi, per l’abbondante presenza di acqua.  

Casalincontrada: il paese della terra cruda. Centinaia di case in terra. Coltivazioni specifiche sono grano, mais, pomodori e peperoni adattati alla secca, per la poca acqua presente.  

Pretoro: la roccia dura calcarea è scavata e poi usata per costruire sopra i vuoti scavati, ipogei. Attività prevalente, lavorazione del legno; coltivazioni, ortaggi, legumi, patate olive. 

Gessopalena: i banchi di gesso venivano scavati e usati in mille modi.  

Questo per dire delle varietà dei materiali presenti in un territorio di circa 100 chilometri quadrati, naturalmente a ogni materiale è stato adattato un metodo e uno stile costruttivo. Anche le coltivazioni sono state adattate nel tempo dalle diverse generazioni. Un analisi approfondita ci darebbe foto, rilievi e disegni di stili e tecniche di costruzione, cosi come le coltivazioni specifiche, paese per paese, zona per zona.

Architetture rurali sempre diverse in relazione al clima, ai materiali e al sapere condiviso, con coltivazioni sempre diverse in relazione alla presenza di acqua, qualità del terreno, adattamenti e scambi dei semi, nella rete sociale di appartenenza, un sistema abitazione-coltivazione unico, sempre diverso, anche dal vicino, sia in senso verticale, sia in senso orizzontale. Quindi se adoperiamo il metodo dei cerchi concentrici, al centro mettiamo l’uomo e le sue radici, poi la casa, di seguito coltivazioni, vegetazione ed altri organismi viventi, qualità del suolo, correnti d’aria e precipitazioni.

Condizioni pessime - Recensioni su Grotta Sant'Angelo ...

Etnodiversità; archidiversità; agridiversità;
biodiversità; geodiversità; climadiversità.

Una semisfera trasparente come quelle di vetro che si rovesciano con la neve dentro.

Dagli anni 60 questo sistema archigrolturale è stato quasi azzerato, come se qualcuno si fosse divertito a stendere sulla superficie, una mano di vernice uniforme, sul paesaggio, a base di cemento, asfalto, plastica, lamiere, ferro e poche varietà agronomiche vendute dai consorzi. Nel tempo la vernice si è scolorita e si sta mischiando con i forti colori locali e stanno venendo fuori nuovi e affascinanticolori. Quindi anche se quel sistema è andato perduto, possiamo recuperare quello che ancora si trova, senza mettere tutto in un barattolo, mischiando e ridiffondendo casualmente. Facciamolo in modo sistematico, senza fare confusione. Ognuno mantiene il caratteristico colore del proprio territorio, cercando magari di riavvicinarsi a quello originario. Ricicliamo, ristrutturiamo, restauriamo! Dal senso di vuoto e dagli spazi ampi degli anni 60, ora viviamo luoghi pieni, merci dappertutto, macchine e costruzioni. L’immensa memoria del mondo è satura di cemento, ferro, lamiere e plastica. pensiamo e lavoriamo per sottrazione!

Il principio è solo uno

stop al consumo di territorio

cemento zero

Come quando nevica l’aria si pulisce e i rumori sono attutiti. Incredibile come basta un po di silenzio, per cambiare ciò che quotidianamente abbiamo davanti agli occhi, liberiamo la mente, rallentiamo la nostra vita e contempliamo meglio quanto la realtà quotidiana ci mette davanti.

La casa di terra di Treia e il suo piccolo museo - I viaggi di ...
Lettura di un paesaggio. Casa di terra a Treia (Mc)

La casa di terra è stata costruita agli inizi del 900 sul bordo della collina, per preservarla dal ristagno e arearla naturalmente. La tecnica adoperata è quella del massone, impasto di terra bagnata e paglia. La casa è dello stesso colore della terra della collina. Mani sapienti come un gioco di bambini sulla sabbia, hanno trasformato la terra della collina in una struttura monolitica abitativa, asciugata e seccata dal sole. Nella cultura costruttiva locale, non ci sono riferimenti a uno stile o a un nome di un costruttore, quindi architettura come espressione di una volontà costruttiva collettiva. Aria e luce: Esposizione del versante della collina, nel nostro caso verso sud-est, rifrazione e incidenza della luce. Studio delle correnti d’aria.


Ferdinando Renzetti 




domenica 26 aprile 2020

Biocentrismo, altro nome del Bioregionalismo, e l'alba della nuova civiltà umana


La proyección de los Derechos de la Naturaleza – Systemic Alternatives
  
La conferenza dell’Unisco del 1977 aveva come obiettivo principale quello di suscitare un impulso a superare la visione antropocentrica della cultura occidentale che ha prodotto la perdita della visione unitaria del reale e favorire lo sviluppo di una mentalità biocentrica già presente nelle grandi culture orientali, africane e amerinde. In Italia fautore di tale cultura fu l’allora ministro delle Pubblica Istruzione Galloni che nel 1989 mediante circolare affermava: “La scuola deve creare una nuova cultura che trasformi la visione antropocentrica in quella biocentrica in modo da portare i giovani a comportamenti di salvaguardia della natura”.

            La cultura occidentale si caratterizza nella separazione dagli esseri umani dalla natura secondo l’anacronistico concetto aristotelico e cartesiano. Ma grandi personaggi hanno contestato il dogma antropocentrico moderno: Montaigne, Voltaire, Leonardo da Vinci, Tolstoj, Wagner, Giacomo Leopardi, Shaw, Shelley, Lamartine, Hugo, Goethe, Martinetti, Schopenhauer,  Einstein, Gandhi, Schweitzer, Capitini ecc.

            Il Biocentrismo (che è un altro nome del Bioregionalismo) pone al centro di ogni suo principio non la specie umana ma la Vita come valore assoluto; si contrappone alla visione antropocentrica considerata la causa della disumanizzazione della coscienza umana e come ciò che inclina l'essere umano a convivere con l'idea della violenza e del predominio del forte sul debole, al deprezzamento della diversità e delle esigenze vitali delle creature non umane e quindi come ciò che maggiormente preclude l'evoluzione civile, orale e spirituale dell'essere umano.
            
La filosofia del Biocentrismo si identifica nei tre fondamentali principi etico-spirituali comuni a tutte le grandi dottrine:"Non fare ad altri ciò che non vorresti ti fosse fatto." "Non ammazzare."e "Ama il prossimo tuo come te stesso", principi che la filosofia biocentrica estende dall'uomo ad ogni essere senziente superando il concetto antropocentrico che limita il diritto al rispetto, alla libertà e alla vita ai soli esseri umani. Ritiene che ogni violenza ed ogni ingiustizia scaturisce dall'incapacità dell'animo umano di condividere le l'altrui necessità vitali. Ritiene che l'indifferenza verso il dolore e la morte degli animali, portatori naturali di diritto, che l’uomo sfrutta ed utilizza per i suoi interessi, lo rende ingiusto e insensibile anche nei confronti della sofferenza e della morte dei suoi stessi simili.

            Nell'ottica dell’Etica Universale, il Biocentrismo promuove e sostiene ogni cultura che ha come scopo la difesa degli animali e della natura e, di conseguenza, il riconoscimento della sacralità della Vita in tutte le sue espressioni. Ritiene gli animali quali soggetti di diritto e si dissocia da ogni attività umana improntata al loro sfruttamento e tutto ciò che comporta restrizione alla loro libertà e alle loro esigenze etologiche.

Franco Libero Manco





Nota a latere

Secondo Bruce Lipton, biologo cellulare autore di best seller internazionali come La Biologia delle Credenze, dice che ognuna delle cellule del nostro corpo è un essere umano in miniatura;  che è la membrana cellulare il vero cervello della cellula e i segnali delle emozioni sono la principale causa nello sviluppo della malattia. La chimica cellulare attiva o disattiva i nostri geni. L’alimentazione, le credenze, le tossine attivano la chimica cellulare che a sua volta regola l’espressione dei geni. Secondo Lipton le influenze ambientale sono molto più potenti dei geni nel causare le malattie. I più evidenti studi sul cancro evidenziano come i fattori genetici influenzano l’insorgere della malattia al 10% dei casi, mentre per il 90% è l’ambiente responsabile delle nostre malattie. Insomma, cambiando i nostri pensieri possiamo vivere nella gioia e in ottima salute.


domenica 29 marzo 2020

"Bioregionalismo. Stati generali dell'ecologia profonda", in programma a Tivoli il 20 e 21 giugno 2020 - Breve introduzione di Paolo D'Arpini



Comincio dal discorso sul bioregionalismo:

L’idea bioregionale consiste essenzialmente nel riprendere il proprio ruolo all’interno della più ampia comunità di viventi e nell’agire come parte e non a parte di essa, correggendo i comportamenti indotti dall’affermarsi di un sistema economico e politico globale, che si è posto al di fuori delle leggi della natura e sta devastando, ad un tempo, la natura stessa e l’essere umano.
Il bioregionalismo è una forma attuativa dell’ecologia profonda. Nel senso che l’ecologia profonda analizza il funzionamento delle componenti vitali e geomorfologiche ed il bioregionalismo riconosce gli ambiti territoriali in cui tali componenti si manifestano.

Per fare un esempio concreto: il funzionamento generale dell’organismo vivente viene compreso attraverso il riconoscimento e lo studio delle sue funzioni vitali e dei modi in cui tali funzioni si manifestano ed il bioregionalismo individua gli organi specifici che provvedono a tale funzionamento e le correlazioni fra l’organismo e l’insieme degli organi che lo compongono, descrivendone le caratteristiche e la loro compartecipazione al funzionamento globale. 

Per cui non c’è assolutamente alcuna differenza fra ecologia profonda e bioregionalismo, sono solo due modi, due approfondimenti, per comprendere e descrivere l’evento vita.

Scriveva Italo Carrarini nel  2018: "Ai fini della “tutela” del patrimonio forestale nazionale come bene di rilevante interesse pubblico, si vuole introdurre in maniera generalizzata la “gestione attiva” da attuarsi attraverso la selvicoltura. Non è riconosciuto dallo stato il carattere autonomo degli ecosistemi forestali, la loro evoluzione naturale e complessità e, con l’attenzione rivolta al solo sfruttamento economico industriale immediato, si apre così la strada ad un processo di speculazione sul legname, foriero di artificializzazione, fragilità, semplificazione e bruttezza dei boschi e delle foreste italiane."

Il continuo depauperamento dell'eco-sistema silvestre avrebbe, com'è logico, una conseguenza sui suoli, sulla purezza dell'aria, sulla qualità della vita e sulla salute  di tutti i viventi.
 
Il problema inoltre non riguarda solo il taglio di legname  nelle residue foreste ma anche i continui abbattimenti di alberi nelle aree urbane e lungo le strade statali, provinciali e comunali, con la scusa di ipotetici danni alla circolazione o per necessità edilizie.  Il pianeta respira attraverso la vegetazione  che, riprendendo l'esempio di cui sopra,  rappresenta il polmone della Terra. 

In seguito alla sintonia creatasi su questo importante tema ambientale, è iniziata tra Italo Carrarini e me una sinergia d'intenti. Italo mi propose di contribuire con le mie esperienze personali ad un'intervista-articolo sul bioregionalismo, che apparve   sul giornale "La piazza di Castel Madama"  nel 2018. (Vedi: https://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2018/04/bioregionalismo-unapplicazione-locale.html)  e  da allora continuammo a collaborare proficuamente. 

In seguito Italo, l'8 dicembre del 2019, venne in visita a Treia, dove attualmente risiedo, e decidemmo così di  collaborare a  questa manifestazione  "Bioregionalismo. Stati generali  dell'ecologia profonda" che si tiene a Tivoli, il 20 e 21 giugno 2020,  presso il Casale Anio Novus, un contesto naturalistico ed archeologico.  Italo, propose questo luogo, molto vicino al luogo in cui egli risiede, poiché conta di installarvi una "stele" commemorativa da lui realizzata con l'iscrizione di alcuni dei precursori del bioregionalismo in Italia;  tale opera è posizionata in una aiuola con erbe  ed arbusti dedicati anche  ad altri ecologisti. L'inaugurazione di questo "giardino profondo"  è il clou della manifestazione solstiziale in programma. (Vedi:  https://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2020/03/bioregionalismo-stati-generali.html).

Partecipando io a questo evento, anche in veste di relatore, avrò  l'occasione, assieme alla  mia compagna Caterina Regazzi e ad altri amici treiesi,  di ricambiare la visita che Italo  ci fece a Treia e rivedere Tivoli per la seconda volta dopo 65 anni (la prima volta ci andai in visita scolastica all'età di 11 anni).

Mi farebbe piacere che all'incontro del 20 e 21 giugno partecipassero anche gli amici di Roma e del Lazio che non vedo più da  diversi anni. Una rimpatriata tra vecchi ecologisti delle prime ore, quando si ha quasi un piede nella fossa, non guasta...  


Paolo D'Arpini: Alberi selvatici ed alberi addomesticati... e la ...

Referente della Rete Bioregionale Italiana  


Per coloro che metterebbero in pericolo la foresta
Gli spiriti degli alberi abbattuti,
gli spiriti delle piante, gli spiriti del muschio, gli spiriti della roccia
ti affidano un inferno
senza uccelli, un arido inferno di scorta dove
il tuo nome non sarà noto –
sarai conosciuto come desolazione,
distruttore di pianeti, anima solitaria che
vive senza l’amicizia della vita,
senza il conforto delle specie –
i fantasmi di coloro che hai
messo da parte ti seguiranno appena
ti muoverai verso aridità, polvere
e cieli vuoti –
di sicuro la bontà e la pietà
lasceranno intatta la tua vita miserabile,
come se tu abitassi per sempre in
una terra senza vita,
cercando di ricordare il suono
degli uccelli, il suono del vento,
il suono del tuo cuore.
(Gary Lawless)

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venerdì 14 febbraio 2020

Bioregionalismo, ecologia profonda, spiritualità laica - Intervista di Lorenzo Merlo con Paolo D'Arpini, tenuta a Treia il 21 settembre 2019


Treia, 21 settembre 2019 

Intervista di Lorenzo Merlo  con  Paolo D’Arpini

LM: Paolo, come sei definito dalle persone?

P D’A: Sderenato. Anzi mezzo sderenato, perché sono anche una persona abbastanza equilibrata e anche un po' impegnata.

Ma mezzo sderenato penso sia una tua definizione di te stesso, le persone, come ti definiscono?

Se potessero conoscere il significato del termine mezzo sderenato credo che lo userebbero volentieri perché mi rappresenta.

Ma non conoscendolo?

Non conoscendolo forse potranno dire che sono un tipo particolare molto strano, un po’ mezzo sciroccato in sostanza, anche perché il mio modo espressivo si manifesta in questa forma.


In occasione della tua presentazione tenuta a Treia a una mia pubblicazione, ho scritto di te: "Uno dei referenti della ricerca umanistica, per non dire spiritualistica italiana". In che termini ti calza? O non ti calza?

Ci sta perché nella ricerca spirituale non è importante ricoprire una carica autorevole anzi, è esattamente il contrario. Se noi andiamo a vedere la funzione che svolsero gli insegnanti, o santi, o maestri che furono, erano sempre sotto traccia. Poi dopo, successivamente magari, venivano portati in auge e descritti come chissà che, ma nel momento in cui vivevano la loro normale esistenza terrena, erano persone normalissime, probabilmente anche abbastanza emarginate. È un aspetto da tenere in considerazione.

C’è una sorta di piccola vanità – senza accezione negativa – nel ricordare questa similitudine?

Certo, senza accezione negativa. Perché effettivamente non ci si può vantare di essere un maestro. E se non c’ è il vanto, non c’è neanche l’esposizione di se stessi nel mondo; ne è una conseguenza. O perché si è magari incapaci di esprimere sentimenti, pensieri o, scusa la parola, insegnamenti. Non si può fare come se fosse un insegnamento cattedratico dove uno si erge a maestro. Il compito o la missione deve essere, o può essere, compiuto senza pretese, in una forma del tutto semplice e conviviale.

Quanto hai appena detto, ha dei legami con la tua educazione, la tua famiglia, la tua biografia diciamo giovanile?

Può darsi. Nel senso che devi sapere che la mia famiglia (dal lato paterno) era di origine ebraica. Durante il periodo fascista, per evitare i problemi che tutti possiamo immaginare, mio nonno decise di cambiare il cognome e di convertirsi al cristianesimo e così evitò di essere perseguito. In seguito a ciò, non è che la nostra famiglia fosse diventata cristiana, però era diventata laica. Nel senso che non seguiva più nessuna forma religiosa. Questo imprinting in qualche modo mi è rimasto, nonostante a quel tempo non è che fossi particolarmente consapevole di ciò che era avvenuto. In seguito ne venni a conoscenza e compresi il motivo per cui non c’erano particolari convenzioni religiose nella mia famiglia e ci si limitava nel perseguimento di un’etica umana. Tutto ciò è stato importante per me, perché non sono stato impregnato di una particolare religione. In seguito alla morte di mia madre fui invece mandato in collegio dai salesiani e lì cominciai ad apprendere anche qualcosa della religione cattolica. La novità mi prese però per breve tempo, nel senso che appena capii che il cattolicesimo non era altro che una sequela di dogmi e favole, capii che tutto sommato non faceva per me e quindi proseguii sulla strada della laicità. Nella prima parte della vita tutti i bambini vivono in una dimensione dove ciò che sognano si realizza, perciò se sognano di cavalcare nel cielo, prendono una scopa e la cosa si compie. E non possono che riferire di aver cavalcato nel cielo.

Quell’incanto quando si è interrotto per te? Ti ricordi il momento, o la circostanza o l’episodio che ha provocato l’infrazione?

L’interruzione avvenne per un fatto fortuito che improvvisamente mi rese consapevole della vacuità di ciò che appare. Avvenne tantissimi anni fa quando i miei si erano trasferiti a Trieste a causa di mio padre che lavorava nelle ferrovie. Ero un bambino piccolissimo, avrò avuto forse tre anni, o qualcosa di più. Una sera, voci sotto casa annunciavano lo spettacolo di un circo. La promessa dei miei genitori, che mi avrebbero portato a vedere lo spettacolo, accese – come sarebbe accaduto ad ogni bimbo – la mia eccitazione.
Mi ero piazzato sotto al tavolo e mi agitavo come fa un bambino che cerca di attirare la attenzione. Improvvisamente, alzandomi in piedi sbattei la testa e persi i sensi. O forse no, perché ricordo che ero perfettamente consapevole di ciò che stava accadendo. Tuttavia caddi a terra senza più riuscire a muovermi. Intanto però vedevo che i miei genitori mi prendevano, mi portavano a letto, cercavano di rianimarmi. Ero completamente cosciente e allo stesso tempo non compivo alcun gesto, alcun movimento.
Fu da quell’esperienza che mi resi conto, che ciò che consideriamo reale, non è la realtà come se fosse un oggetto, ma è soltanto uno stato interiore della consapevolezza. Quello stato permaneva nonostante l’apparente o effettivo svenimento. Quando riaprii gli occhi mi ritrovai in mezzo al mondo con questa consapevolezza. Per la prima nella mia vita mi accorsi di non essere nel mondo pur essendo del mondo, almeno in qualche forma.

Lungo il tuo percorso ti sei avvicinato alla dimensione altra, alla dimensione che la cultura non ci passa, chiamiamola genericamente spirituale. Pur condividendo la tua critica al concetto di insegnamento, hai avuto un maestro?

Da un punto di vista formale intendi?

Volevo arrivare a chiederti, da cosa è scaturita la tua ricerca spirituale?

È scaturita soltanto da esperienze vissute, non da trasmissioni consapevoli, di conoscenza se così vogliamo chiamarla. A parte l’apprendimento attraverso libri in cui magari venivo a conoscenza di una certa forma di spiritualità “altra” basata sull’autoconsapevolezza e sulla ricerca di sé. Ma quello era un accrescimento se vogliamo intellettuale. Dal punto di vista invece spirituale vero e proprio, quella conoscenza non può essere trasmessa sul piano intellettuale. Può essere invece assorbita soltanto attraverso una trasmissione diretta, attraverso un riconoscimento diretto. Potremmo chiamarlo energetico, vibratorio o estetico. Ed è esattamente il tipo di rapporto che ebbi in primis con il mio maestro spirituale. Con il quale scambiai pochissime parole, ma tutto quanto passò attraverso una trasmissione energetica, diretta, immediata. Non c’era assolutamente bisogno di spiegazioni perché la consapevolezza avveniva da sé. Usare il termine telepatia è limitante. Avveniva perché c’era un’osmosi totale, una totale condivisione. E quindi quello che passava era semplicemente ciò che veniva risvegliato. Non poteva proprio essere definito un insegnamento.

Da allora, dalla giovinezza ad oggi, sono passati diversi decenni. Puoi puntualizzare i passaggi della tua evoluzione, della tua ricerca?

Corrispondono alle fasi della vita. Nei periodi in cui la giovinezza ci rende più baldi, più fieri e più dediti all’agire, le forme di esperienza si manifestavano anche in modi concreti come attraverso ad esempio dei viaggi. Intrapresi infatti un lungo viaggio in Africa con mezzi di fortuna, spesso a piedi. Tutta l’Africa nera mi insegnò il ritorno alla presenza nella natura, mi sentii vicinissimo agli animali. Incontrai anche animali che consideriamo pericolosi come leoni, elefanti, scimmie soprattutto. Sono una forma di riconoscimento della nostra origine che ci fa capire quanto siamo loro affini.

Il momento in cui sei inserito ora, sul quale sei concentrato, si chiama spiritualità laica, ecologia profonda e bioregionalismo?

In questa fase è come quando si va avanti con l’età. A un certo punto si fa una sintesi di tutto quello che si è vissuto e che si è appreso attraverso l’esperienza. In qualche modo si chiama elaborazione e rielaborazione, memoria, visione all’interno e proiezione. Accade anche in forma di dialogo, come stiamo facendo in questo momento.
Magari, come negli anni trascorsi, quando non ero così propenso a un dialogo di questo tipo, che in qualche modo comporta anche una concettualizzazione se vogliamo così chiamarla, avevo uno spirito più poetico, scrivevo poesie o raccontini. Adesso invece per poter condividere non disdegno l’uso anche di terminologie che forse potrebbero essere definite intellettualismi, perché comunque è un modo per precisare il significato.
Mi viene in mente un amico, Massimo Angelini. Un giornalista anche lui, che ha scritto (e che abbiamo presentato qui a Treia) un libro dal titolo Ecologia della parola. In cui, attraverso il percorso etimologico, si scoprono i cambiamenti dei significati. Si da un valore alla parola attraverso la sua vera accezione. È uno studio sui significati reali che le parole hanno assunto nel tempo, senza mai trascurare l’accezione originale. Quindi, quando si parla di spiritualità laica – un tema sul quale scrivo da diversi anni per la rivista NonCredo – Il primato laico del dubbio, tengo presente che il primo punto della spiritualità laica è quello di non identificarsi con qualsiasi credo, con qualsiasi fede religiosa, perché la spiritualità laica non è soltanto una forma di laicità o di laicismo, è la spiritualità naturale dell’uomo. Quella che in forma di ecologia profonda possiamo definire l’intelligenza-coscienza, che ci consente di poter testimoniare la vita.
Tuttavia, nella spiritualità laica c’è una predilezione della relazione con la natura o addirittura un annullamento della relazione con la natura, a causa di un’identificazione di noi stessi come parte della natura.


Questo non è in qualche modo legato al paganesimo o all’animismo e perciò con un contenuto di fede?

Ci sono delle affinità. La differenza sostanziale è che nel paganesimo si faceva riferimento ad enti, ad entità reali rappresentative della natura. Quindi Genius Loci o, Spiritus Loci. Mentre invece nella spiritualità laica si tiene conto della valenza di tutti gli elementi viventi, o anche non viventi che però rappresentano una sostanzialità nella natura, ma non come forme di dignità altre, sono solo espressioni diverse della totale manifestazione naturalistica. Allora potremmo definire l’ecologia profonda una forma di naturalismo, ma nell’accezione in cui tutto è, non nell’accezione di una parcellizzazione delle forme.
Questa differenza delle forme è chiaro che esiste come esiste la differenza tra tutti gli esseri umani o fra tutto ciò che è vivente. Non c’è una foglia dello stesso albero che sia uguale all’altra. Non c’è un granello di sabbia su migliaia e migliaia di granelli che sia uguale all’altro. Ciò non toglie che tutti rappresentino la medesima sostanza, origine, madre. Questo è importante.
Per cui la spiritualità laica, è laica perfino nei confronti della spiritualità laica.


Proviamo a descrivere la natura o l’identità del Bioregionalismo e dell’Ecologia profonda.

Inizialmente il bioregionalismo aveva un carattere prevalentemente geografico. Adottava gli habitat naturali per suddividere le regioni della natura. Dava all’area considerata il titolo di entità organica. In quanto i suoi differenti abitatori, minerali, vegetali e animali si erano aggregati a mo’ di organismo unico.
Peter Berg è stato colui che s’è inventato la parola. Di lui ricordiamo Alza la posta. Saggi storici sul bioregionalismo. La sua scia è stata seguita da altri, tra cui Gary Snyder con La pratica del selvatico. Buono, selvatico, sacro e altri titoli.
Nel frattempo – la questione era iniziata negli anni ’60 del secolo scorso, negli Stati Uniti, connessa alla Cultura Beat – il bioregionalismo ha evoluto il suo contenuto andando praticamente a condividere il principio base dell’Ecologia Profonda, ovvero che c’è una sola vita, che tutto è sua espressione.
Ma il tuo stesso libro Sul fondo del Barile - Crisi sociale e recupero del sé o quello di Guido della Casa, Ecologia Profonda, sebbene, appunto, in chiave di ecologia profonda fanno riferimento alle espressioni della natura come differenze formali, tutte interdipendenti, di una sola vita. Come è per i vari organi di un organismo vivente. Solo successivamente interviene la descrizione degli organi specifici, ma sempre tenendo presente che esso, come tutti gli altri sono terminali della stessa natura. Una montagna, un fiume, un deserto, una pianura, cioè ogni cosa, ha la sua specificità, in cui la vita si manifesta in un certo modo, con forme differenti e con aggregazioni funzionali. Un’eventuale pan-ingegneria sarebbe disastrosa.


Siamo espressioni di un grande corpo dunque?

Questo grande corpo non è soltanto la terra. Di solito nell’ecologia profonda ci occupiamo del pianeta Terra, Gaia, come una forma vivente in se stessa no? Allo stesso tempo l’ecologia profonda compie un passo verso quello che potremmo definire anche panteismo, secondo la visione di Giordano Bruno, dove tutto quanto ciò che è Uno si manifesta in ciò che è in tutte le forme.

Rispetto a questi tre temi Spiritualità Laica, Ecologia Profonda e Bioregionalismo, e coniugando la tua ricerca e contemporaneamente la conduzione di un blog e di diversi siti dedicati a questi argomenti, pensi di avere il polso della diffusione di questi concetti e della cultura che implicano? Oppure, qual è la maggiore difficoltà o il più frequente equivoco in cui le persone rischiano di incappare nei confronti di questi temi che interessano lo Spirito e il Tutto? Il Tutto in che cosa viene colto, in che cosa viene equivocato?

L’equivoco si manifesta a tutti i livelli, ad esempio nell’ambito bioregionale, ricordo che tanti anni fa partimmo con La Rete Bioregionale Italiana (ufficialmente nata ad Acquapendente nella primavera del 1996) e con l’idea di diffondere il bioregionalismo. Se ne appropriò la Lega Nord per definire le bioregioni come ambiti etnici, dove la vita delle persone era praticamente condizionata dalla cultura locale e quindi dall’etnia che viveva in quel luogo. Questo è stato un fraintendimento, perché tutti noi bioregionalisti ci riconosciamo nel luogo in cui siamo nati o viviamo.
Quindi bioregionalista può essere anche una persona che non è nata nel luogo, ma che vivendolo lo riconosce come un’espressione di sé. A quel punto si integra completamente nel luogo. Ma non solo nel luogo, anche nella comunità con cui vive. E non solo quella umana, ma di tutti gli esseri viventi che vi partecipano. Per questo chiunque può essere bioregionalista in qualsiasi luogo, perché è soltanto un’apertura verso la presenza nel luogo. Questo è stato il primo fraintendimento.
Il secondo fraintendimento riguarda l’ecologia profonda. Come dicevi prima si fa quasi menzione a una sorta di New-age, dove tutto quanto è legato alla natura e i riti Wicca e questo e quell’altro.
Anche noi bioregionalisti organizziamo le celebrazioni dei vari equinozi e solstizi… ci sono determinati momenti dell’anno che vanno riconosciuti come importanti. Però non gli diamo un’importanza assoluta in quanto riconoscimento di una qualche divinità naturalistica. È soltanto un percorso da celebrare per essere felici di poter vivere nel momento in cui siamo. Un modo per riconoscere che altri, più belli o più brutti, hanno un loro significato e valore.
La maggior parte della gente, soprattutto quelli che fanno riti un po', diciamo così, pagani, magari preferisce festeggiare il solstizio d’estate, ricordare i Celti, Stone Age e tutte le cose di quel genere, per contemplare la bellezza del sole nella sua pienezza. Ma altrettanto importante, chiaramente, è il solstizio invernale perché dopo la vita che si è richiusa ad approfondire le radici, risorge e pian piano ritorna ad esprimersi. Oppure l’equinozio di primavera, dove la vita ci riporta ad una bellezza. O quello d’autunno, come in questa occasione, dove condividiamo la consapevolezza che questa bellezza ha un grande valore.
Se in primavera di questo valore non ce ne rendiamo conto perché tutto quanto fiorisce, in autunno le cose che cominciano pian piano a scemare, hanno un significato più forte. Non a caso si dice che proprio l’autunno è il momento per la raccolta dei frutti migliori dell’uomo, per l’uomo. Come ad esempio la vite e l’ulivo. L’ulivo è simbolo di vita in assoluto, non soltanto in termini cristiani. La vite perché è quello spirito, il senso dello spirito e non a caso anche nella religione cristiana viene utilizzato il vino per la comunione.

Il mio pensiero è che il messaggio di Cristo abbia un grande valore, che i contenuti del cristianesimo abbiano un grande valore, mi riferisco per esempio non solo all’amore ma al perdono, soprattutto rispetto a quanto succede in altre religioni, dove il perdono è sostituito dalla legge del taglione. Il vero messaggio cristico più che cristiano, nella vulgata è andato perduto e sono rimasti quelli i dogmi, gli schemi, le gerarchie. Sei d’accordo con questa lettura? Sei d’accordo con il fatto che il cristianesimo abbia un grande annuncio da fare e l’ha fatto a suo tempo, del tutto frainteso, del tutto dimenticato?

Certamente sono d’accordo per quanto riguarda l’insegnamento del Cristo di cui noi abbiamo ricevuto soltanto briciole e anche travisate e manipolate. Sarebbe bella una ricerca, soprattutto per quanto riguarda dei messaggi più genuini di quelli che sono chiamati i Vangeli Apocrifi e anche dei famosi Rotoli di Qumran, dove c’è l’insegnamento esseno che corrisponde a quello cristico ma a lui antecedente. Comunque possiamo riscontrare che questa filosofia, continuiamo a chiamarla cristica, è sicuramente un messaggio innovativo all’interno di tutta una serie di impostazioni religiose che in quel periodo erano dominanti nel Medio Oriente mediterraneo.
Il senso del perdono che non è come viene inteso, un calcolo per sottrarci alle nostre responsabilità, come molti fanno nei confronti della confessione. Come stavo leggendo in un testo scritto da Franco Berrino, Daniel Lumera, David Mariani – Ventuno giorni per rinascere – Mondadori, dove il perdono è un reggente della guarigione se autentico amore.
Poi c’è il perdono razionale che calcola, che si considera valido per cancellare dalla nostra mente la tendenza alla recriminazione. E poi c’è quello emozionale, che è invece rivolto ad un perdono verso se stessi e quindi alla cancellazione anche del senso dell’offesa, perché si rivede nella trasposizione della posizione come: “è successo” e basta. E quindi non c’è neanche più bisogno del perdono.


Il perdono perciò corrisponde o è sovrapponibile a quello che la tradizione orientale ci tramanda come accettazione?

Io direi che è molto simile al concetto della compassione buddista. In quel caso la compassione equivale al perdono.

Quindi il perdono, la compassione, hanno un valore terapeutico nei confronti dell’individuo che riesce ad arrivare a quel livello per non ritenersi più offeso nell’orgoglio?

Certo non solo quello, ma è anche la porta di ingresso per poter accedere all’autoconoscenza. Perché poi essendo in grado di poterci identificare nell’altro attraverso il perdono, automaticamente siamo anche più propensi ad accettare noi stessi per quel che siamo e quindi siamo in grado di poterci vedere sempre più in profondità, fino a superare quel velo dell’illusione che ci fa identificare con un nome e una forma. Quel vedersi sempre più in profondità è ulteriormente terapeutico. Beh a quel punto direi che la terapia scompare. Fino ad un certo punto ci può essere, fino alla psicologia transpersonale noi possiamo intuire che c’è un percorso attraverso l’approfondimento, ma poi c’è una fase successiva che non può essere più razionalmente analizzata e quindi non ci può essere più neanche una terapia. Se vogliamo intraprendere un percorso in cui piano piano ci liberiamo della zavorra e dalle sovrastrutture è comunque corretto interpretarlo come perdono-terapia. Le vie spirituali, se sono sincere ed oneste tutto sommato danno questo indirizzo. Nel Taoismo, c’è l’abbandono. Pian piano impariamo a rilasciare ciò che ci aveva fatto assumere una posizione, che ci faceva considerare particolarmente benedetti, fino al punto di pensare di essere in grado di poter decidere, per la natura, per la vita, per gli altri esseri senzienti. Quindi fino a farci credere nel nostro egoismo.

Intervista rilasciata a Treia il 21 settembre 2019

Foto scattate da Rocco Trevis  Merlo

Fonte: