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giovedì 5 marzo 2020

Paesaggio bioregionale come bene primario


Risultato immagini per treia pannelli fotovoltaici a terra
Treia - Fotovoltaico selvaggio 

Il Consiglio di Stato riconosce il paesaggio come bene primario assoluto, prevalente rispetto a qualunque altro interesse Con la penuria di aree coltivabili nel nostro Paese a causa dell’urbanizzazione, delle infrastrutture viarie, ferroviarie ed aeree, nonché a causa dell’impossibilità di utilizzare terreni ormai compromessi dall’inquinamento o soggetti al fenomeno della desertificazione, è per noi profondamente immorale sottrarre alla produzione agricola ampi spazi di territorio per piazzare centinai e centinaia di pannelli fotovoltaici a terra. 

Ovviamente siamo più che favorevoli all’ampiamento in Italia e nel mondo della rete delle rinnovabili, ma non per questo annichilire i terreni a vocazione agricola. Anche sull’eolico selvaggio ci siamo sempre opposti, in particolare perché questo business green sta in parte in mano alla mafia, la quale non gli interessa deturpare uno degli ultimi beni che ci rimangono: il Paesaggio. Soprattutto nel viterbese sono diversi i comitati di cittadini che si oppongono a progetti di messa a terra in campi coltivabili di migliaia di pannelli solari. A questi palatini dell’ambiente ricordiamo che il Consiglio di Stato si è già pronunciato in tema di paesaggio: il supremo Organo di giustizia amministrativa 7 italiana ha ribadito (Cons. Stato, Sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2222) che il paesaggio – nel nostro Ordinamento – è un bene primario e assoluto. 

Risultato immagini per treia paesaggio
Paesaggio marchigiano - Tra Treia e San Severino Marche

La tutela del paesaggio è quindi prevalente su qualsiasi altro interesse giuridicamente rilevante, sia di carattere pubblico che privato. Contributo del prof. Fy. Albanese: Come è noto, sotto il profilo costituzionale l’art. 9 Cost. introduce la tutela del “paesaggio” tra le disposizioni fondamentali. Il concetto non va però limitato al significato meramente estetico di “bellezza naturale” ma deve essere considerato come bene “primario” ed “assoluto”, in quanto abbraccia l’insieme “dei valori inerenti il territorio” concernenti l’ambiente, l’eco-sistema ed i beni culturali che devono essere tutelati nel loro complesso, e non solamente nei singoli elementi che la compongono. Il paesaggio rappresenta un interesse prevalente rispetto a qualunque altro interesse, pubblico o privato, e, quindi, deve essere anteposto alle esigenze urbanistico -edilizie. Il piano paesaggistico costituisce una valutazione ex ante della tipologia e dell’incidenza qualitativa degli interventi ammissibili in funzione conservativa degli ambiti reputati meritevoli di tutela per cui i relativi precetti devono essere orientati nel senso di assicurare la tutela del paesaggio per assicurare la conservazione di quei valori che fondano l’identità stessa della nazione.

      AK. Informa N. 9 


venerdì 14 febbraio 2020

Bioregionalismo, ecologia profonda, spiritualità laica - Intervista di Lorenzo Merlo con Paolo D'Arpini, tenuta a Treia il 21 settembre 2019


Treia, 21 settembre 2019 

Intervista di Lorenzo Merlo  con  Paolo D’Arpini

LM: Paolo, come sei definito dalle persone?

P D’A: Sderenato. Anzi mezzo sderenato, perché sono anche una persona abbastanza equilibrata e anche un po' impegnata.

Ma mezzo sderenato penso sia una tua definizione di te stesso, le persone, come ti definiscono?

Se potessero conoscere il significato del termine mezzo sderenato credo che lo userebbero volentieri perché mi rappresenta.

Ma non conoscendolo?

Non conoscendolo forse potranno dire che sono un tipo particolare molto strano, un po’ mezzo sciroccato in sostanza, anche perché il mio modo espressivo si manifesta in questa forma.


In occasione della tua presentazione tenuta a Treia a una mia pubblicazione, ho scritto di te: "Uno dei referenti della ricerca umanistica, per non dire spiritualistica italiana". In che termini ti calza? O non ti calza?

Ci sta perché nella ricerca spirituale non è importante ricoprire una carica autorevole anzi, è esattamente il contrario. Se noi andiamo a vedere la funzione che svolsero gli insegnanti, o santi, o maestri che furono, erano sempre sotto traccia. Poi dopo, successivamente magari, venivano portati in auge e descritti come chissà che, ma nel momento in cui vivevano la loro normale esistenza terrena, erano persone normalissime, probabilmente anche abbastanza emarginate. È un aspetto da tenere in considerazione.

C’è una sorta di piccola vanità – senza accezione negativa – nel ricordare questa similitudine?

Certo, senza accezione negativa. Perché effettivamente non ci si può vantare di essere un maestro. E se non c’ è il vanto, non c’è neanche l’esposizione di se stessi nel mondo; ne è una conseguenza. O perché si è magari incapaci di esprimere sentimenti, pensieri o, scusa la parola, insegnamenti. Non si può fare come se fosse un insegnamento cattedratico dove uno si erge a maestro. Il compito o la missione deve essere, o può essere, compiuto senza pretese, in una forma del tutto semplice e conviviale.

Quanto hai appena detto, ha dei legami con la tua educazione, la tua famiglia, la tua biografia diciamo giovanile?

Può darsi. Nel senso che devi sapere che la mia famiglia (dal lato paterno) era di origine ebraica. Durante il periodo fascista, per evitare i problemi che tutti possiamo immaginare, mio nonno decise di cambiare il cognome e di convertirsi al cristianesimo e così evitò di essere perseguito. In seguito a ciò, non è che la nostra famiglia fosse diventata cristiana, però era diventata laica. Nel senso che non seguiva più nessuna forma religiosa. Questo imprinting in qualche modo mi è rimasto, nonostante a quel tempo non è che fossi particolarmente consapevole di ciò che era avvenuto. In seguito ne venni a conoscenza e compresi il motivo per cui non c’erano particolari convenzioni religiose nella mia famiglia e ci si limitava nel perseguimento di un’etica umana. Tutto ciò è stato importante per me, perché non sono stato impregnato di una particolare religione. In seguito alla morte di mia madre fui invece mandato in collegio dai salesiani e lì cominciai ad apprendere anche qualcosa della religione cattolica. La novità mi prese però per breve tempo, nel senso che appena capii che il cattolicesimo non era altro che una sequela di dogmi e favole, capii che tutto sommato non faceva per me e quindi proseguii sulla strada della laicità. Nella prima parte della vita tutti i bambini vivono in una dimensione dove ciò che sognano si realizza, perciò se sognano di cavalcare nel cielo, prendono una scopa e la cosa si compie. E non possono che riferire di aver cavalcato nel cielo.

Quell’incanto quando si è interrotto per te? Ti ricordi il momento, o la circostanza o l’episodio che ha provocato l’infrazione?

L’interruzione avvenne per un fatto fortuito che improvvisamente mi rese consapevole della vacuità di ciò che appare. Avvenne tantissimi anni fa quando i miei si erano trasferiti a Trieste a causa di mio padre che lavorava nelle ferrovie. Ero un bambino piccolissimo, avrò avuto forse tre anni, o qualcosa di più. Una sera, voci sotto casa annunciavano lo spettacolo di un circo. La promessa dei miei genitori, che mi avrebbero portato a vedere lo spettacolo, accese – come sarebbe accaduto ad ogni bimbo – la mia eccitazione.
Mi ero piazzato sotto al tavolo e mi agitavo come fa un bambino che cerca di attirare la attenzione. Improvvisamente, alzandomi in piedi sbattei la testa e persi i sensi. O forse no, perché ricordo che ero perfettamente consapevole di ciò che stava accadendo. Tuttavia caddi a terra senza più riuscire a muovermi. Intanto però vedevo che i miei genitori mi prendevano, mi portavano a letto, cercavano di rianimarmi. Ero completamente cosciente e allo stesso tempo non compivo alcun gesto, alcun movimento.
Fu da quell’esperienza che mi resi conto, che ciò che consideriamo reale, non è la realtà come se fosse un oggetto, ma è soltanto uno stato interiore della consapevolezza. Quello stato permaneva nonostante l’apparente o effettivo svenimento. Quando riaprii gli occhi mi ritrovai in mezzo al mondo con questa consapevolezza. Per la prima nella mia vita mi accorsi di non essere nel mondo pur essendo del mondo, almeno in qualche forma.

Lungo il tuo percorso ti sei avvicinato alla dimensione altra, alla dimensione che la cultura non ci passa, chiamiamola genericamente spirituale. Pur condividendo la tua critica al concetto di insegnamento, hai avuto un maestro?

Da un punto di vista formale intendi?

Volevo arrivare a chiederti, da cosa è scaturita la tua ricerca spirituale?

È scaturita soltanto da esperienze vissute, non da trasmissioni consapevoli, di conoscenza se così vogliamo chiamarla. A parte l’apprendimento attraverso libri in cui magari venivo a conoscenza di una certa forma di spiritualità “altra” basata sull’autoconsapevolezza e sulla ricerca di sé. Ma quello era un accrescimento se vogliamo intellettuale. Dal punto di vista invece spirituale vero e proprio, quella conoscenza non può essere trasmessa sul piano intellettuale. Può essere invece assorbita soltanto attraverso una trasmissione diretta, attraverso un riconoscimento diretto. Potremmo chiamarlo energetico, vibratorio o estetico. Ed è esattamente il tipo di rapporto che ebbi in primis con il mio maestro spirituale. Con il quale scambiai pochissime parole, ma tutto quanto passò attraverso una trasmissione energetica, diretta, immediata. Non c’era assolutamente bisogno di spiegazioni perché la consapevolezza avveniva da sé. Usare il termine telepatia è limitante. Avveniva perché c’era un’osmosi totale, una totale condivisione. E quindi quello che passava era semplicemente ciò che veniva risvegliato. Non poteva proprio essere definito un insegnamento.

Da allora, dalla giovinezza ad oggi, sono passati diversi decenni. Puoi puntualizzare i passaggi della tua evoluzione, della tua ricerca?

Corrispondono alle fasi della vita. Nei periodi in cui la giovinezza ci rende più baldi, più fieri e più dediti all’agire, le forme di esperienza si manifestavano anche in modi concreti come attraverso ad esempio dei viaggi. Intrapresi infatti un lungo viaggio in Africa con mezzi di fortuna, spesso a piedi. Tutta l’Africa nera mi insegnò il ritorno alla presenza nella natura, mi sentii vicinissimo agli animali. Incontrai anche animali che consideriamo pericolosi come leoni, elefanti, scimmie soprattutto. Sono una forma di riconoscimento della nostra origine che ci fa capire quanto siamo loro affini.

Il momento in cui sei inserito ora, sul quale sei concentrato, si chiama spiritualità laica, ecologia profonda e bioregionalismo?

In questa fase è come quando si va avanti con l’età. A un certo punto si fa una sintesi di tutto quello che si è vissuto e che si è appreso attraverso l’esperienza. In qualche modo si chiama elaborazione e rielaborazione, memoria, visione all’interno e proiezione. Accade anche in forma di dialogo, come stiamo facendo in questo momento.
Magari, come negli anni trascorsi, quando non ero così propenso a un dialogo di questo tipo, che in qualche modo comporta anche una concettualizzazione se vogliamo così chiamarla, avevo uno spirito più poetico, scrivevo poesie o raccontini. Adesso invece per poter condividere non disdegno l’uso anche di terminologie che forse potrebbero essere definite intellettualismi, perché comunque è un modo per precisare il significato.
Mi viene in mente un amico, Massimo Angelini. Un giornalista anche lui, che ha scritto (e che abbiamo presentato qui a Treia) un libro dal titolo Ecologia della parola. In cui, attraverso il percorso etimologico, si scoprono i cambiamenti dei significati. Si da un valore alla parola attraverso la sua vera accezione. È uno studio sui significati reali che le parole hanno assunto nel tempo, senza mai trascurare l’accezione originale. Quindi, quando si parla di spiritualità laica – un tema sul quale scrivo da diversi anni per la rivista NonCredo – Il primato laico del dubbio, tengo presente che il primo punto della spiritualità laica è quello di non identificarsi con qualsiasi credo, con qualsiasi fede religiosa, perché la spiritualità laica non è soltanto una forma di laicità o di laicismo, è la spiritualità naturale dell’uomo. Quella che in forma di ecologia profonda possiamo definire l’intelligenza-coscienza, che ci consente di poter testimoniare la vita.
Tuttavia, nella spiritualità laica c’è una predilezione della relazione con la natura o addirittura un annullamento della relazione con la natura, a causa di un’identificazione di noi stessi come parte della natura.


Questo non è in qualche modo legato al paganesimo o all’animismo e perciò con un contenuto di fede?

Ci sono delle affinità. La differenza sostanziale è che nel paganesimo si faceva riferimento ad enti, ad entità reali rappresentative della natura. Quindi Genius Loci o, Spiritus Loci. Mentre invece nella spiritualità laica si tiene conto della valenza di tutti gli elementi viventi, o anche non viventi che però rappresentano una sostanzialità nella natura, ma non come forme di dignità altre, sono solo espressioni diverse della totale manifestazione naturalistica. Allora potremmo definire l’ecologia profonda una forma di naturalismo, ma nell’accezione in cui tutto è, non nell’accezione di una parcellizzazione delle forme.
Questa differenza delle forme è chiaro che esiste come esiste la differenza tra tutti gli esseri umani o fra tutto ciò che è vivente. Non c’è una foglia dello stesso albero che sia uguale all’altra. Non c’è un granello di sabbia su migliaia e migliaia di granelli che sia uguale all’altro. Ciò non toglie che tutti rappresentino la medesima sostanza, origine, madre. Questo è importante.
Per cui la spiritualità laica, è laica perfino nei confronti della spiritualità laica.


Proviamo a descrivere la natura o l’identità del Bioregionalismo e dell’Ecologia profonda.

Inizialmente il bioregionalismo aveva un carattere prevalentemente geografico. Adottava gli habitat naturali per suddividere le regioni della natura. Dava all’area considerata il titolo di entità organica. In quanto i suoi differenti abitatori, minerali, vegetali e animali si erano aggregati a mo’ di organismo unico.
Peter Berg è stato colui che s’è inventato la parola. Di lui ricordiamo Alza la posta. Saggi storici sul bioregionalismo. La sua scia è stata seguita da altri, tra cui Gary Snyder con La pratica del selvatico. Buono, selvatico, sacro e altri titoli.
Nel frattempo – la questione era iniziata negli anni ’60 del secolo scorso, negli Stati Uniti, connessa alla Cultura Beat – il bioregionalismo ha evoluto il suo contenuto andando praticamente a condividere il principio base dell’Ecologia Profonda, ovvero che c’è una sola vita, che tutto è sua espressione.
Ma il tuo stesso libro Sul fondo del Barile - Crisi sociale e recupero del sé o quello di Guido della Casa, Ecologia Profonda, sebbene, appunto, in chiave di ecologia profonda fanno riferimento alle espressioni della natura come differenze formali, tutte interdipendenti, di una sola vita. Come è per i vari organi di un organismo vivente. Solo successivamente interviene la descrizione degli organi specifici, ma sempre tenendo presente che esso, come tutti gli altri sono terminali della stessa natura. Una montagna, un fiume, un deserto, una pianura, cioè ogni cosa, ha la sua specificità, in cui la vita si manifesta in un certo modo, con forme differenti e con aggregazioni funzionali. Un’eventuale pan-ingegneria sarebbe disastrosa.


Siamo espressioni di un grande corpo dunque?

Questo grande corpo non è soltanto la terra. Di solito nell’ecologia profonda ci occupiamo del pianeta Terra, Gaia, come una forma vivente in se stessa no? Allo stesso tempo l’ecologia profonda compie un passo verso quello che potremmo definire anche panteismo, secondo la visione di Giordano Bruno, dove tutto quanto ciò che è Uno si manifesta in ciò che è in tutte le forme.

Rispetto a questi tre temi Spiritualità Laica, Ecologia Profonda e Bioregionalismo, e coniugando la tua ricerca e contemporaneamente la conduzione di un blog e di diversi siti dedicati a questi argomenti, pensi di avere il polso della diffusione di questi concetti e della cultura che implicano? Oppure, qual è la maggiore difficoltà o il più frequente equivoco in cui le persone rischiano di incappare nei confronti di questi temi che interessano lo Spirito e il Tutto? Il Tutto in che cosa viene colto, in che cosa viene equivocato?

L’equivoco si manifesta a tutti i livelli, ad esempio nell’ambito bioregionale, ricordo che tanti anni fa partimmo con La Rete Bioregionale Italiana (ufficialmente nata ad Acquapendente nella primavera del 1996) e con l’idea di diffondere il bioregionalismo. Se ne appropriò la Lega Nord per definire le bioregioni come ambiti etnici, dove la vita delle persone era praticamente condizionata dalla cultura locale e quindi dall’etnia che viveva in quel luogo. Questo è stato un fraintendimento, perché tutti noi bioregionalisti ci riconosciamo nel luogo in cui siamo nati o viviamo.
Quindi bioregionalista può essere anche una persona che non è nata nel luogo, ma che vivendolo lo riconosce come un’espressione di sé. A quel punto si integra completamente nel luogo. Ma non solo nel luogo, anche nella comunità con cui vive. E non solo quella umana, ma di tutti gli esseri viventi che vi partecipano. Per questo chiunque può essere bioregionalista in qualsiasi luogo, perché è soltanto un’apertura verso la presenza nel luogo. Questo è stato il primo fraintendimento.
Il secondo fraintendimento riguarda l’ecologia profonda. Come dicevi prima si fa quasi menzione a una sorta di New-age, dove tutto quanto è legato alla natura e i riti Wicca e questo e quell’altro.
Anche noi bioregionalisti organizziamo le celebrazioni dei vari equinozi e solstizi… ci sono determinati momenti dell’anno che vanno riconosciuti come importanti. Però non gli diamo un’importanza assoluta in quanto riconoscimento di una qualche divinità naturalistica. È soltanto un percorso da celebrare per essere felici di poter vivere nel momento in cui siamo. Un modo per riconoscere che altri, più belli o più brutti, hanno un loro significato e valore.
La maggior parte della gente, soprattutto quelli che fanno riti un po', diciamo così, pagani, magari preferisce festeggiare il solstizio d’estate, ricordare i Celti, Stone Age e tutte le cose di quel genere, per contemplare la bellezza del sole nella sua pienezza. Ma altrettanto importante, chiaramente, è il solstizio invernale perché dopo la vita che si è richiusa ad approfondire le radici, risorge e pian piano ritorna ad esprimersi. Oppure l’equinozio di primavera, dove la vita ci riporta ad una bellezza. O quello d’autunno, come in questa occasione, dove condividiamo la consapevolezza che questa bellezza ha un grande valore.
Se in primavera di questo valore non ce ne rendiamo conto perché tutto quanto fiorisce, in autunno le cose che cominciano pian piano a scemare, hanno un significato più forte. Non a caso si dice che proprio l’autunno è il momento per la raccolta dei frutti migliori dell’uomo, per l’uomo. Come ad esempio la vite e l’ulivo. L’ulivo è simbolo di vita in assoluto, non soltanto in termini cristiani. La vite perché è quello spirito, il senso dello spirito e non a caso anche nella religione cristiana viene utilizzato il vino per la comunione.

Il mio pensiero è che il messaggio di Cristo abbia un grande valore, che i contenuti del cristianesimo abbiano un grande valore, mi riferisco per esempio non solo all’amore ma al perdono, soprattutto rispetto a quanto succede in altre religioni, dove il perdono è sostituito dalla legge del taglione. Il vero messaggio cristico più che cristiano, nella vulgata è andato perduto e sono rimasti quelli i dogmi, gli schemi, le gerarchie. Sei d’accordo con questa lettura? Sei d’accordo con il fatto che il cristianesimo abbia un grande annuncio da fare e l’ha fatto a suo tempo, del tutto frainteso, del tutto dimenticato?

Certamente sono d’accordo per quanto riguarda l’insegnamento del Cristo di cui noi abbiamo ricevuto soltanto briciole e anche travisate e manipolate. Sarebbe bella una ricerca, soprattutto per quanto riguarda dei messaggi più genuini di quelli che sono chiamati i Vangeli Apocrifi e anche dei famosi Rotoli di Qumran, dove c’è l’insegnamento esseno che corrisponde a quello cristico ma a lui antecedente. Comunque possiamo riscontrare che questa filosofia, continuiamo a chiamarla cristica, è sicuramente un messaggio innovativo all’interno di tutta una serie di impostazioni religiose che in quel periodo erano dominanti nel Medio Oriente mediterraneo.
Il senso del perdono che non è come viene inteso, un calcolo per sottrarci alle nostre responsabilità, come molti fanno nei confronti della confessione. Come stavo leggendo in un testo scritto da Franco Berrino, Daniel Lumera, David Mariani – Ventuno giorni per rinascere – Mondadori, dove il perdono è un reggente della guarigione se autentico amore.
Poi c’è il perdono razionale che calcola, che si considera valido per cancellare dalla nostra mente la tendenza alla recriminazione. E poi c’è quello emozionale, che è invece rivolto ad un perdono verso se stessi e quindi alla cancellazione anche del senso dell’offesa, perché si rivede nella trasposizione della posizione come: “è successo” e basta. E quindi non c’è neanche più bisogno del perdono.


Il perdono perciò corrisponde o è sovrapponibile a quello che la tradizione orientale ci tramanda come accettazione?

Io direi che è molto simile al concetto della compassione buddista. In quel caso la compassione equivale al perdono.

Quindi il perdono, la compassione, hanno un valore terapeutico nei confronti dell’individuo che riesce ad arrivare a quel livello per non ritenersi più offeso nell’orgoglio?

Certo non solo quello, ma è anche la porta di ingresso per poter accedere all’autoconoscenza. Perché poi essendo in grado di poterci identificare nell’altro attraverso il perdono, automaticamente siamo anche più propensi ad accettare noi stessi per quel che siamo e quindi siamo in grado di poterci vedere sempre più in profondità, fino a superare quel velo dell’illusione che ci fa identificare con un nome e una forma. Quel vedersi sempre più in profondità è ulteriormente terapeutico. Beh a quel punto direi che la terapia scompare. Fino ad un certo punto ci può essere, fino alla psicologia transpersonale noi possiamo intuire che c’è un percorso attraverso l’approfondimento, ma poi c’è una fase successiva che non può essere più razionalmente analizzata e quindi non ci può essere più neanche una terapia. Se vogliamo intraprendere un percorso in cui piano piano ci liberiamo della zavorra e dalle sovrastrutture è comunque corretto interpretarlo come perdono-terapia. Le vie spirituali, se sono sincere ed oneste tutto sommato danno questo indirizzo. Nel Taoismo, c’è l’abbandono. Pian piano impariamo a rilasciare ciò che ci aveva fatto assumere una posizione, che ci faceva considerare particolarmente benedetti, fino al punto di pensare di essere in grado di poter decidere, per la natura, per la vita, per gli altri esseri senzienti. Quindi fino a farci credere nel nostro egoismo.

Intervista rilasciata a Treia il 21 settembre 2019

Foto scattate da Rocco Trevis  Merlo

Fonte: 

domenica 23 settembre 2018

Treia - Resoconto del convegno "Ecologia, economia e moneta positiva" tenuto il 22 settembre 2018



Treia. Sala Multimediale - Da sinistra: Caterina, Paolo, Fabio, Barbara e Andrea


L'amicizia recente con una giovane coppia  marchigiana che risiede a Treia da tanti anni, ma che non avevamo ancora avuto l'occasione di incontrare, Andrea  e Barbara, è stata l'occasione per organizzare, da parte del Circolo Auser Treia, Comitato Treia Comunità ideale e Associazione Moneta Positiva, una interessantissima conferenza su "Ecologia, Economia e Moneta Positiva".

Andrea, che spesso corre con l'amico Crispino di Appignano, da lui era venuto a conoscenza dell'esistenza di questa associazione che si occupa di moneta, debito e soluzioni per risolvere i problemi relativi e del suo portavoce, Fabio Conditi, che, tra l'altro, è originario di Macerata, anche se attualmente vive a Bologna.

Dopo esserci incontrati con  questi nuovi  amici in agosto, è subito scattata la macchina organizzativa per la realizzazione di questo evento in occasione dell'equinozio d'autunno, sabato 22 settembre 2018: "Viene l'Equinozio, cadono le foglie e si accrescono le radici"; questo il sottotitolo, per significare che questo è il momento favorevole per radicarsi e riscoprire la realtà.

Una realtà "dimenticata" dagli organi di informazione ufficiali. Infatti, se quel 99% della popolazione mondiale che detiene solo una minima percentuale della ricchezza monetaria mondiale, fosse consapevole di questo fatto, non so come potrebbe reagire nei confronti di quell'1% che detiene la maggior parte delle ricchezze.

E così, dopo un bel tam tam, un bel numero di persone provenienti da varie parti delle Marche, ma pochi, ahimè dalla nostra bella Treia, si sono radunate alla spicciolata nella grande e luminosa sala multimediale di Via Cavour, gentilmente messa a disposizione dal Comune di Treia.

Paolo D'Arpini ha introdotto l'argomento dicendo, tra l'altro, che le due parole "Ecologia" ed "Economia" hanno lo stesso prefisso, perché tutte e due descrivono e riguardano l'ambiente (eco)  e la sua utilizzazione per la Vita. Ha anche sottolineato l'importanza del momento presente, l'Equinozio d'autunno, periodo in cui si gode degli ultimi frutti, dei quali si fa scorta.

Fabio Conditi ha poi preso la parola e per più di due ore ha tenuto attenta e sveglia la platea con parole, immagini e filmati per spiegare la creazione (nella sua assurdità) del debito pubblico, di banche pubbliche e private, di come il denaro passi da una categoria all'altra, in un ordine scalare gerarchico, senza che nessuno abbia da obiettare.

Egli ha parlato di una domanda fondamentale che molti si pongono: "Ma davvero manca il denaro?" e un'altra : "Ma questo debito deve essere saldato?"

I meccanismi della finanza sono perversi, fatti per schiacciare il popolo in uno stato di perenne senso di precarietà. Ma la conoscenza può farci rendere conto che le cose possono cambiare. L'Italia è uno dei paesi più ricchi al mondo per bellezze naturali e artistiche, ed inoltre esporta molti di più di quanto importi dall'estero... è mai possibile che dobbiamo sentirci così poveri da temere per il nostro futuro?

Meditate gente, meditate...

Caterina Regazzi



P.S. E' stato girato un video da parte di Andrea Santini dell'intera conferenza, che è in fase di montaggio,  che verrà pubblicato appena  possibile. 



Album fotografico di Giampaolo Damiani:

lunedì 17 settembre 2018

Treia: un orto urbano bioregionale che esiste e resiste...


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Da diversi anni mi sono trasferito a Treia, un tipico borgo marchigiano in provincia di Macerata che a Macerata molto somiglia, in piccolo, almeno nella struttura architettonica, essendo circondato da mura maestose, in buono stato di conservazione, e con al suo interno numerosi spazi verdi. Questi spazi, nei tempi che furono, avevano la funzione di garantire l'approvvigionamento minuto di vegetali freschi. Vengono infatti ancora definiti "orti urbani". I tempi son cambiati e non ci sono più rischi, perlomeno si spera, che la città venga assediata da truppe nemiche e che quindi in qualche modo debba sostenersi con quel poco che riesce a produrre al suo interno. Molti di questi "orti urbani" di Treia oggi sono stati trasformati in giardini, sia pubblici che privati, oppure son diventati prati e boschetti per far giocare i bambini o come luoghi di relax per anziani.

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Anch'io, grazie alla mia compagna Caterina, dispongo di un orto urbano che è una via di mezzo tra quelli dedicati espressamente alla coltivazione e quelli che vengono lasciati alla natura. Potrei chiamarlo un "orto urbano bioregionale", ovvero un terreno racchiuso fra le case con qualche albero da frutto e con erbe officinali e commestibili che vi crescono quasi spontaneamente. Infatti questa è la differenza tra un terreno completamente abbandonato ed uno in cui la presenza dell'uomo si fa ancora sentire, non però invasivamente, e questa mi sembra una giusta via di mezzo per convivere con altri esseri nella natura, senza rinunciare alla socializzazione ed al godimento di raccogliere una produzione propria.

Ovviamente l'orto di cui vi parlo non è stato inquinato da sostanze chimiche e nemmeno annaffiato artificialmente con l'acqua pubblica (salvo casi eccezionali). Piccoli accorgimenti sono stati da me presi per la conservazione delle acque piovane come pure cerco di trovare sistemi biologici per contrastare l'eccessiva presenza di animaletti considerati "nocivi" (lumache, insetti e pidocchi delle piante, etc.). Infatti la presenza dell'uomo  in un orto "bioregionale" dovrebbe essere quella del "calmieratore" e dovrebbe contribuire all'armonizzazione del biosistema che spontaneamente si viene  a creare.

Noi siamo abituati a pensare che un orto debba essere un fondo ben lavorato ed in cui crescono pomodori, zucchine, peperoni, melanzane, patate, etc. Senza però considerare che tutti questi vegetali non sono autoctoni, non appartengono alla nostra storia alimentare, sono stati tutti importati dalle Americhe e noi ne abbiamo fatto la base della nostra alimentazione. Cosa cresceva negli orti marchigiani sino a duecento o trecento anni fa? Partendo da questo interrogativo dovremmo cercare di fare un passo indietro e scoprirlo con i nostri occhi frequentando quei pochi terreni in cui l'uomo non è intervenuto massicciamente.

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Potremmo cominciare individuando tutta una serie di piante commestibili ed officinali che ancora crescono stagionalmente in natura: ramolaccio, erbe aromatiche, crespigni, agli selvatici, cicorie, piantaggine, porcacchia, finocchiella, etc. Potremmo raccogliere i semi di queste piante e spargerli a spaglio nel nostro orto  e vedere quali riescono ad attecchire. Molte piante crescono bene in compagnia e se si vuole mantenere l'umidità naturale nel terreno non sarà necessario vangare o zappare per estirpare l'erba che non ci interessa. Ed è esattamente quel che ho fatto anch'io.

In fondo ogni erba può avere la sua funzione anche quella che ci sembra la più inutile o infestante. Certo se scopriamo che un certo tipo di pianta tende ad allargarsi troppo possiamo cercare di contenerla. Questo- ad esempio- è il caso della parietaria, che cresce spontanea in prossimità dei muri, ma non è poi così inutile infatti è un'erba mangereccia, ricca di minerali e di calcio, tant'è che le galline ne vanno ghiotte. Ciò significa che nel nostro orto urbano bioregionale potremmo anche tentare di tenere in un piccolo recinto un paio di questi volatili, in modo da poterci disfare con profitto delle erbe in eccesso ed anche delle lumache e degli insetti, ed anche questo è stato un esperimento da me tentato, con due galline di batteria salvate dal macello, purtroppo non andato a buon fine per l'ostilità di alcuni vicini  non più abituati alla presenza di animali da cortile. 

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Altro animaletto che  avevo pensato di accogliere  è il riccio, utilissimo a limitare la presenza di pest ma non ne ho ancora trovato uno disposto a trasferirsi. In compenso l'orto è stato colonizzato da alcuni gatti che lo tengono libero dai roditori indesiderati.

Ma ora torno all'analisi delle coltivazioni possibili. Dopo aver osservato quali tipi di piante si acclimatano e si riproducono nel piccolo spazio verde a mia disposizione sono stato in grado di capire quali altri vegetali coltivati possono essere inseriti nel contesto, si tratta di biete, cicorioni, spinaci, brassicacee, agli e cipolle, etc. Avrete notato che non ho per nulla menzionato i soliti ortaggi che conosciamo, quelli che vi descrivevo all'inizio del racconto, ed infatti -secondo me- nell'orto dovrebbero crescere solo piante adatte al territorio ed al clima in cui viviamo, ed infatti ho tentato di inserivi quei pomidorini gialli semi selvatici che crescono da soli, quasi senza acqua, ed i topinambur che non richiedono grandi cure perché non son attaccati dai pest come le patate.

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In questo orto bioregionale di Treia ci stanno anche quattro piante di olive di San Francesco, piantate dai genitori di Caterina, ottime da fare in salamoia per l'inverno,  ed io vi ho inserito un alberello di mele che già fa frutto, prossimamente vorrei aggiungervi anche un caco ed ovviamente un fico e -perché no- una vite di uva fragola. Non mancano rosmarino ed altre aromatiche in modo da avere sempre a disposizione foglie per tisane e per condimenti. Credo che ciò possa bastare per vivere in città facendo pace con la natura, e questa pace può essere vissuta in compagnia di amici che amano l'ambiente. Il picnic è un ottimo metodo per convivializzare come pure lo è la raccolta stagionale dei frutti.

In questo modo il toccare la terra ci diviene sempre più familiare ed è  più facile coinvolgere i neofiti nell'azione collettiva di dedicarsi ad una produzione casalinga di cibo sano. Il  diverso sapore  ci fa capire l'importanza dell'autoproduzione e la conoscenza di erbe spontanee commestibili (a portata di mano) aiuta la sopravvivenza creativa e la buona qualità della vita.

Paolo D'Arpini

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Rete Bioregionale Italiana

venerdì 18 maggio 2018

Il solstizio della vita - Treia, 23 e 24 giugno 2018: "Collettivo Bioregionale Ecologista"


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Colline attorno Treia

Sabato 23 e domenica 24 giugno 2018, sulle colline di Treia, la Rete Bioregionale Italiana, assieme ad Auser Treia e Cooperativa La Talea, con la partecipazione di European Consumers ed altre associazioni,  organizza un incontro da non perdere.

Si tratta del "Collettivo Bioregionale Ecologista", che si ripete ogni anno in occasione del solstizio estivo.

Il giorno del solstizio estivo indica la pienezza della luce, essendo il momento in cui il sole resta più a lungo nel cielo, nella tradizione contadina questo momento corrisponde alla mietitura e quindi veniva festeggiato con riti naturalistici. Le donne che restavano gravide in questi giorni potevano partorire in corrispondenza dell’equinozio primaverile e questo era considerato un tempo estremamente fortunato per la nascita, anche perché nel mondo pagano corrispondeva all’inizio del nuovo anno.


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Tutto il pensiero mediterraneo è orbitato per millenni attorno alla concezione unitaria dell’Universo con la Vita. La realtà sensibile, concreta, stabile, è impersonificata in oggetti solidi (i primi simboli della religiosità sono sassi, pietre, luoghi di passaggio, etc.) fino alle statue ed ai simboli naturali, la religiosità della natura è strettamente interconnessa con la vita nelle sue manifestazioni essenziali: corporeità, sangue, linfa, nascita, morte, sessualità.

L’appuntamento di due giorni corrisponde alla celebrazione del San Giovanni, durante la quale condivideremo l’esperienza di vivere assieme un rito antico. Fra le varie attività previste:  una escursione paesaggistica, un laboratorio di cucina bioregionale, visita agli orti e conoscenza degli animali, esposizione di prodotti agricoli e lavorati, giro di condivisione di esperienze contadine, illustrazione delle proposte avanzate alla Regione Marche, espressioni poetiche, esibizione di foto rurali, musica popolare e degustazione di specialità  stagionali.

Si potrà dormire nel luogo accampandosi con propria tenda o anche ospiti da amici vicini, venire muniti di sacco a pelo.  Si potranno esporre e scambiare le proprie auto-produzioni sia culturali che agricole.

Paolo D'Arpini


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Info. bioregionalismo.treia@gmail.com - Tel. 0733/216293





martedì 1 maggio 2018

Bioregionalismo e convivialità delle differenze - Festa dei Precursori 2018, resoconto di Michele Meomartino

Treia, 29 aprile 2018 - Escursione erboristica con Aurora Severini


E’ sempre un piacere partecipare alle iniziative del Circolo Vegetariano VV.TT. di Treia presieduto da Paolo D'Arpini  e Caterina Regazzi. La festa dei Precursori, fin dalla nascita, in quel di Calcata nel Lazio, si pone l’obiettivo di divulgare idee e progetti, spesso ancora in fieri, che poi dopo adeguata maturazione e non senza difficoltà lungo il cammino sanno contaminare in modo fecondo il tessuto sociale in chiave ecologista e bioregionale.

Quello dei precursori è un lavoro prezioso e quasi sempre poco apprezzato, di chi tenda di frantumare la crosta della routine e indica modestamente altri percorsi alternativi, più a misura d’uomo, ai sistemi imperanti.

Così, anche in questa edizione, che si svolge da alcuni anni a Treia in provincia di Macerata, si sono intrecciate più storie e progetti. Dalla lavorazione della paglia con la terra cruda di Ferdinando Renzetti che ha coinvolto decine di persone nella sede dell’Auser Treia, il pomeriggio di venerdì 27 aprile,  alla dotta dissertazione,  
di sabato 28 aprile,  del prof. Alberto Meriggi,  attento storico di queste comunità, che ci ha narrato le consuetudini alimentari delle generazioni passate attraverso le vicende delle persone e dei mestieri coinvolti nel processo produttivo.

Con il Reading multimediale “C’era una volta il pane” di Michele Meomartino (scusatemi per l’auto citazione), un omaggio al principe degli alimenti e alle persone che amano ancora fare il pane, grazie alla lettura a cura del Laboratorio OFFTea, si chiudeva la programmazione pomeridiana del Sabato per poi riprendere dopo cena con i bhajan del vocalista Upahar Anand e del gruppo “Luce di stelle” diretto da Mara Lenzi.

Non meno interessante è stata la passeggiata erboristica della Domenica mattina condotta dalla colta e preparata Aurora Severini. A poche decine di metri dalla Fontana delle due Cannelle abbiamo scoperto una ricchissima vegetazione spontanea sapientemente illustrata con dovizia di particolari e cenni mitologici.

Nel pomeriggio nella sede del Circolo, prima la testimonianza di vita contadina di Simonetta Borgiani de La Rucola e poi gli interventi di Roberto Ferretti e di Loris Asoli hanno dato vita ad un bellissimo incontro che era iniziato con i saluti del vice sindaco di Treia Edi Castellani. L’intervento di Roberto Ferretti, conduttore della Scentella di Petritoli e animatore di importanti iniziative, non ha deluso le attese. Roberto, come sempre, in modo affabile e concreto, con una ricca documentazione fotografica, ci ha raccontato gli ultimi viaggi, Giappone e Belgio, delle Marche in Valigia, un mix tra cibo, arte, cultura e convivialità. Un progetto di turismo di relazione che da qualche anno alcuni operatori della Valdaso sta portando avanti nel mondo.

Apparentemente più ambizioso e idealista è il progetto della “Comunità per un nuovo Mondo” di Loris Asoli e dei suoi amici. Loris, mio vecchio amico con cui ho condiviso la bella esperienza della Rete Lilliput, non è nuovo nell’avviare progetti inediti. Per anni è stato tra i principali animatori della rete di economia solidale marchigiana e grande sostenitore dell’Agricoltura biologica. Oggi, Loris Asoli, non più giovanissimo, ha ancora la forza e l’entusiasmo di un ragazzo nell’intraprendere questa nuova avventura.

Nel corso del pomeriggio tutti hanno potuto integrare con le proprie testimonianze gli interventi dei relatori rivelando una ricchezza di differenze e di sensibilità che trovano, proprio in queste circostanze, momenti di ascolto, di dialogo e di confronto nella difficile ricerca di una “Convivialità delle differenze”, l’unica strada nonviolenta e pacifica, secondo il mio modesto avviso, per una convivenza possibile in armonia con la natura e tutti gli esseri viventi. A “cucire” i vari interventi canti e musiche e la prosa del poeta passotreiese Maurizio Angeletti.

A conclusione della giornata l’intervento finale del gruppo emiliano “Luce di stelle” con musiche e canti che hanno anticipato l’imminente festa del Wesak acquariano. Termino questa mia breve nota con i ringraziamenti a Paolo e Caterina, per la loro proverbiale accoglienza e ospitalità, che fa del Circolo e dei suoi amici una famiglia, come sottolineava amabilmente, in apertura dei lavori, Caterina, non senza un pizzico di emozione. Parto da Treia e ritorno a casa in Abruzzo con un po’ di nostalgia nel cuore e la speranza di ritornare ancora a condividere altre splendide esperienze.

Michele Meomartino



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Alcuni album fotografici dell'incontro:





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Commento/integrazione di Ettore Stella: 

"Non so se riuscirò mai a dare qualcosa di concreto alla causa del bioregionalismo, alla spiritualità laica o all'ecologia profonda, temi tanto cari all'amico, anzi, al fratello Paolo D'arpini. So per certo che quando parto per Treia, ho uno zaino vuoto. Niente da poter regalare ai precursori. E torno a casa che lo zaino è pieno. Di cosa? É difficile descrivere i regali ricevuti, ho sempre la sensazione che qualcosa debba decantare. Le note di un Sitar, le erbe di una scarpata, Ferdinando che canta seduto sul sipario del teatro, Loris e le sue comunità, Roberto in Giappone con le Marche in valigia, Upahar che alla stazione di Macerata urla con le braccia al cielo "Kamin! Osho!", Michele lo "smoderatore", le poesie di Maurizio, la chiave nella porta di Simonetta, una signora con i capelli rossi e i minuti contati, un archeologo coi Ray ban. Con l'occhio del tempo guarderò attraverso questo caleidoscopio di emozioni, esperienze, input e so che qualcosa prenderà forma e sarà modellato dalla mia passione e dal mio talento, tanto che un giorno anch'io partirò per Treia con qualche piccolo regalo. Grazie a tutti. Grazie Paolo e Caterina, vi voglio bene..." 



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Il discorso riprende  in occasione del Collettivo Bioregionale Ecologista che si tiene a Treia dal 23  al 24 giugno 2018: 

lunedì 3 settembre 2012

Vivere con cura nello spirito dell'ecolo​gia sociale e casalinga - Resoconto di un viaggio da Treia con permanenza a Capracotta​, dal 31 agosto al 2 settembre 2012

Partenza da Treia (Macerata)


Conobbi Antonio D'Andrea (o di Peppina e di Elena, come lui amerebbe essere chiamato) e Michele Meomartino a Treia alla Festa dei Precursori e mi avevano colpito per la intensità della loro partecipazione e della loro dedizione "alla causa"  (ecologista, vegetariana, umanitaria, conviviale).


Avevo sentito parlare a lungo di Capracotta e dell'esperimento di vita  associativa e conviviale che assieme stanno portando avanti da parecchi anni, della lunga amicizia fraterna e dalla condivisione di intenti tra Antonio e Paolo, che spesso si erano ritrovati a Calcata per i loro incontri al Circolo Vegetariano VV.TT sull'ecologia sociale e casalinga. Ero molto curiosa di incontrare questa realtà e così ho avuto il piacere e l'onore di accompagnare Paolo che da lungo tempo attendeva di visitare quel luogo.


Siamo stati invitati a partecipare alla giornata del primo settembre 2012, inserita nel programma delle attività di Vivere con Cura, la loro associazione, dedicata in particolare all'anniversario della nascita della zia di Antonio, Elena, una zia molto speciale, ma, secondo me, per quei tempi anche normale.

Zia Elena era una donna single, che amava la convivialità, era un'ottima donna di casa, cuciniera, ricamatrice provetta ed amava circondarsi di bambini, amici, parenti, semplici conoscenti. Donne così ne ho conosciute anch'io, ed una, che mi piace ricordare, era mia nonna Annetta, una donna burbera, bigotta, ma con un cuore d'oro ed una capacità di dare amore e dedizione che forse erano più comuni 50-60 anni fa, di quanto non lo siano oggi. Nell'occasione della giornata io e Paolo eravamo invitati a presentare il nostro libro "Vita senza Tempo".

Partiti da Treia nella tarda mattinata, siamo arrivati a Capracotta venerdì verso le 16, dopo quattro ore di viaggio tranquillo. Il tratto finale, dalla Val di Sangro in su, é stato tutto una meraviglia. Nell'inerpicarsi sempre più in alto (Capracotta si trova 1427 metri), la temperatura, dai 34 gradi scendeva piano piano fino ai 24, il verde della vegetazione (qua pare che la siccità non sia arrivata) diventava sempre più intenso; pascoli, boschi, paesini inerpicati sulle rocce si affacciavano al nostro sguardo. Quella che soffriva di più, per il momento, era la dolce Magò, la mia cagnolina, che avevamo dovuto portare per forza, che per tutto il viaggio ha ansimato, affannata dal caldo e sofferente per le curve.

Antonio ci ha raggiunto all'arrivo e ci ha prospettato diverse possibilità di sistemazione: infatti, dato che avevamo la cagnetta e poichè gli animali non sono ammessi alla casa madre, dopo aver visto i vari altri locali disponibili, abbiamo immediatamente scelto di sistemarci in una stanza di una casa separata, di proprietà di una zia, al momento assente. Una casa che necessiterebbe una piccola-grande ristrutturazione, ma che così è stata comunque un nido accogliente, specialmente dopo la sistemazione e l'arredata che gli ha dato Paolo, che così h potuto fare esercizio di sopravvivenza, tirando fuori la sua attrezzatura dalla borsetta piccola ma piena di meraviglie che pare la borsa di Mary Poppins.

Comunque c'erano due reti due materassi, due cuscini, due coperte, cassette e cassetti vari come armadi e comò, candele per la sera (mancava in quella stanza la luce elettrica), stuoie come scendiletti e pedana per Magò, attaccapanni e persino un vasetto di vetro in cui, il giorno appresso, abbiamo messo un pezzetto di geranio rosso fiorito, trovato a terra, spezzato forse da un gatto, forse da un bimbo, forse da un passante.

Durante le due giornate trascorse a Capracotta, i momenti più belli, o meglio, quelli che io ho apprezzato di più, sono stati i pasti, consumati nella grande ma pienissima cucina della casa, attorno al doppio tavolo che occupava quasi tutto lo spazio, apparecchiato con semplicità ma con cura da tutti i presenti, io, Paolo, Antonio, Michele, Roberta, le due deliziose bambine Maria e Carolina, Anna, Maria Luisa, Marilena, Bruna, Claudio, Pierpaolo. Il cibo è stato preparato sempre da Michele, cuoco vegetariano provetto, aiutato a volte da qualche volontaria/o. In particolare, Maria Luisa e Marilena hanno impastato con lui la pasta, con farina ottenuta anche da grani locali, che sono in via di recupero da parte di aziende agricole della zona.

Per esempio, in un pranzo, quella pasta è stata accompagnata da un condimento a base di cicerchia e tarassaco, squisito. Altra specialità,che abbiamo tutti gustato,  l'insalata alla "cafona" a base di patate, cipolla, olive ed erbette spontanee. Piatti prelibati, semplici, prodotti con materie prime genuine che conferivano sapori ogni volta diversi; un genere di cucina che mi ricorda molto quella del mio cuoco affezionato: Paolo.

E' certo che l'amore, l'attenzione, in una parola, la "cura" sono anch'essi ingredienti indispensabili. I pasti erano sempre accompagnati dalle parole, ma non chiacchiere vuote e intralciantesi una all'altra come spesso succede nelle tavolate numerose: ogni volta c'era un giro di condivisione in cui a turno i commensali raccontavano la mattinata od il pomeriggio trascorsi e le impressioni, i pensieri, le riflessioni, comprese le piccole divergenze di opinione . Un sistema "democratico" e rispettoso che è da prendere ad esempio, che sarebbe da prendere da esempio anche a livello "governativo".

La manifestazione per la ricorrenza di Zia Elena si è svolta nel bellissimo museo della Civiltà Contadina di Capracotta, all'interno del Comune: Anna, un'ostetrica di Viareggio che l'aveva conosciuta, ci ha letto un suo scritto sulla zia, molto toccante (sarebbe carino se Antonio ce ne facesse pervenire il testo). Antonio ha parlato anche lui della zia, raccontando alcuni spassosi ma significativi aneddoti e ha affermato la necessità della riscoperta dei valori della Riconoscenza, dell'Amore, della Convivialtà, della Semplicità, del rifuggere gli sprechi e del vivere con poco, grazie anche all'esempio di questi personaggi del passato, ma in alcuni casi anche del presente, cose che io condivido in pieno. Forse era sottinteso, ma l'unica nota carente, mi é parsa la mancanza di un riferimento diretto alle generazioni future, quasi come se fossimo noi i giovani in formazione.... malgrado la nostra età anagrafica.

Io e Paolo abbiamo letto alcune pagine del nostro libro. Il tutto è stato intervallato dalla musica dell'arpa e dalla voce di Roberta Pestalozzi, una musica delicata ma forte, con le sue ballate ispirate alla zia e alle vicende locali.

Che dire a conclusione? Complimenti sinceri ad Antonio e a Michele per il lavoro che stanno facendo ed un grazie per la possibilità che ci è stata data di condividere tutto ciò.
Forse i semi germogliano ed in quei giorni mi pare ne siano stati sparsi a volontà, anche in noi stessi!

Caterina Regazzi

Arrivo a Capracotta (Isernia)

domenica 19 agosto 2012

Treia e Poggio San Vicino.. idealmente unite dalla meditazione e dalla musica - Programma del 22 agosto 2012



Cari amici, siamo qui a Treia.

Mercoledì 22 agosto 2012 abbiamo un programmino collettivo che forse potrà interessarvi. Ci si incontra, per chi lo desidera, all'ora di pranzo (al Circolo Vegetariano VV.TT.), ognuno porta qualcosa da condividere. Nel pomeriggio, verso le 17.00, si tiene una meditazione guidata con Franco Augello.  Si tratta di meditazione psicodinamica integrata con la scuola Tibetana di Alice Bailey allo scopo di ottenere: Il controllo della mente, lo sviluppo dei suoi poteri sul corpo fisico. Allineamento tra corpo fisico, eterico, mentale. Entrare in contatto con il Testimone. Lo scioglimento dei nodi sul piano fisico e mentale. Ovviamnete coloro che partecipano al pranzo avranno la possibilità di dialogare con Franco sulla teoria meditativa da lui proposta, prima di passare alla pratica.....

All'incontro partecipano alcuni amici nostri ospiti che sono venuti a trovarci dall'Emilia.

Più tardi,  verso le h. 19.30, partiamo tutti assieme, sempre chi vuole ovviamente, per recarci a Poggio San Vicino, dove l'amico organista di Tarquinia, Luca Purchiaroni, tiene nella Chiesa di S. Maria Assunta, alle h. 21.00,  un concerto per organo antico con musiche di  G. F. HANDEL, BERNARDO PASQUINI, J. S. BACH,  G. F. HANDEL, W. A. MOZART ...  ed altri.

La partecipazione a tutti gli eventi della giornata è gratuita!

Cari saluti ed a presto, Paolo D'Arpini e Caterina Regazzi

Per info. Cell. 333.6023090 - O733/216293 -
circolo.vegetariano@libero.it

sabato 18 agosto 2012

Treia - Il grande ritorno del 18 agosto 2012 narrato da Paolo D'Arpini e Caterina Regazzi


Paolo D'Arpini e Caterina Regazzi


Care, cari,

eccoci giunti a Treia, il viaggio  è stato abbastanza piacevole, solo qualche coda qui e lì.. ma non ci siamo ritti più di tanto... abbiamo anche cantato Om Namah Shivaya soprattutto nei tratti più congestionati, in modo da non sentirci oppressi dal frena riparti frena delle file.

Una volta entrati nelle Marche, in prossimità di Senigallia abbiamo sentito l'aria di casa avvicinarsi e la stanchezza è volata via. Una volta a casa è stato un piacere rimettere le cose a posto, sistemare le vettovaglie e le suppellettili, annaffiare le piante che stanno in buona salute malgrado un mese e passa a secco, il computer funziona, anche la luce l'acqua ed il gas, cosa possiamo chiedere di più?

Tommaso il vicino ci ha informato dell'intromissione  di certi sderenati, forse ubriachi, che durante la nostra assenza hanno fatto un po' di bisboccia nell'androne esterno del secondo piano, aprendo una barricata che avevo chiuso con fili di ferro e cordicelle... E' stato un piacere ripristinare la serranda e ne ho approfittato per fare anche un ulteriore sbarramento con tavolette di legno inchiodate ed incastrate sullo stipite di una vecchia porta sfondata. Insomma ci stiamo preparando ben bene al the day after...  Domani (19 agosto) nel pomeriggio arrivano gli altri ospiti che resteranno con noi una settimana... per il compimento della vacanzetta vegetariana ecologista,  vi farò sapere nei giorni a venire gli sviluppi....

Paolo D'Arpini


Arrivo a Treia, l'altra versione:

“Eccomi a scrivere dalla postazione di Treia, dove siamo arrivati nel pomeriggio. Per me il viaggio è stato più faticoso, al mattino avevo lavorato ed avevo già macinato diversi chilometri e mi ero caricata di caldo. Ero contenta di aver lasciato le cose fatte e a posto. A casa prima della partenza avevo fatto lo stesso, ho cercato di lasciare tutto abbastanza in ordine. Per cui, alla partenza, ero già un po' stanca. Per fortuna al mio fianco c'era Paolo che mi ha tenuto sveglia con il canto, le parole, la presenza e l'incoraggiamento. Arrivati all'ultima salita la sensazione di casa e di bene e alla fine, aperta la porta, mi sono gettata sul letto della camera di nonna Annetta, ritornando bambina e finalmente mi sono presa un buon quarto d'ora di riposo. Treia, sono qui!

Caterina Regazzi

lunedì 4 giugno 2012

Il teatro del Circolo Vegetariano VV.TT... dagli happening di strada a Calcata alle performances effimere di Treia

Performance di Fulgor C. Silvi


Durante la scorsa edizione della Festa dei Precursori, tenuta a Treia dal 5 al 13 maggio 2012, abbiamo vissuto una varietà di eventi: tavole rotonde sull'agricoltura e cultura contadina, mostre d'arte, sessioni di canto rituale, sharing di esperienze di vita, esibizioni poetiche e musicali.. ed ovviamente alcune scenette di teatro d'avanguardia. Si trattava delle performances effimere di Fulgor C. Silvi e di Giancarlo Pucci e Rossella. Parlare di queste performances non è facile trattandosi di espressioni concettuali  simboliche. Essenzialmente si voleva veicolare un messaggio di "rottura" con gli schemi artistici tradizionali, attraverso l'ironia e la "distruzione" delle opere (con spargimento di cocci addosso ai presenti).     
Performance di Giancarlo Pucci e Rossella al Circolo  VV.TT. di Treia


Ma vorrei  qui fare una breve cronistoria di come  è nato il mio interesse per il teatro. Tra le finalità del Circolo vegetariano VV.TT. è scritto: “Scopo dell’associazione è quello di istituire e promuovere simposi naturisti, meditazioni collettive, sessioni di canto rituale, feste spettacoli e giochi all’aperto, passeggiate ecologiche, sperimentazioni di sopravvivenza in luoghi selvaggi, lavoro nei campi, attività artistiche ed artigianali, dimostrando così l’importanza di un’esistenza armonica e piena d’amore”.
Spesso mi sono chiesto come poter attuare un programma così vasto, soprattutto unendo la gioia di esistere al senso del dovere. La mia soluzione prediletta è quella di “vivere teatralmente” ma con la massima sincerità ed allo stesso tempo seguendo l’etichetta.
In questo modo distaccato di agire ho potuto osservare, nel corso di tutti questi anni, come le persone sovente assumano dei comportamenti finti, mettendo in risalto gli aspetti convenienti della propria personalità od oscurandone altri.


Con il mio metodo teatrale, invece, considerando che è tutta una “commedia”, non serve celare le pecche e i difetti, le antipatie e le simpatie (immotivate). E praticando tale filosofia  son vissuto mai nascondendo quel che sono, o meglio la partaccia alla quale sono chiamato in questa vita.


In verità la tendenza a far  teatro è una mia antica passione, sin da bambino piccolissimo ricordo che con le mie sorelline ed amichetti mettevo in scena delle vere e proprie recite inventate lì per lì, melodrammi romantici di cui forse nemmeno noi stessi capivamo il significato, semplicemente scimmiottando quanto osservavamo nel comportamento dei grandi….

Questa vocazione è rimasta per me stabile, è una mia caratteristica che mi consente di divertirmi nelle passioni e nei dispiaceri… purtroppo non piace alla maggior parte della gente con la quale vengo in contatto e spesso amicizie meravigliose o grandi amori svaporano come nebbia al sole della “ragionevolezza” cercata, perseguita e pretesa dagli altri. Peccato che essi non siano in grado di giocare come me al teatro della vita…

E questo “gioco” lo ho vissuto anche nell’esistenza del Circolo ed a questo punto dovrò raccontarvi anche come è nato questo Circolo… Prima di divenire  VV.TT. il circolo era semplicemente V.T. (che significa Vecchi Tufi). A quel tempo, eravamo negli anni ’70 del secolo scorso, l’attività primaria del gruppetto di primi arrivati a Calcata, amici che mi avevano seguito da Roma o che avevo ospitato “in rodaggio” (senza parlare ovviamente del lavoro serio che ancora svolgevamo disciplinatamente a Roma), era il far “teatro di strada”.

Quello era il tempo di una recitazione fantasiosa in mezzo agli ignari radi visitatori o compiacenti vecchi e nuovi residenti. Le recite erano improvvisate e coinvolgenti (come ai tempi della mia infanzia).

Questo render complici gli altri “forzosamente” mi serviva per rompere quel muro di ghiaccio che solitamente si instaura fra persone che non si conoscono, o che stentato a manifestarsi liberamente. In seguito scoprii che nel gergo teatrale questo approccio viene definito “happening” o “psicodramma” ma allora non sapevo che stavamo vivendo un nuovo stile di recitazione, io e gli altri accoliti giocavamo a “rompere le scatole” alla gente, con furbizia e curiosità, studiando le loro reazioni un po’ come facevano gli “amici miei” di Germi (che in diverse scene fu girato  a Calcata).

Ricordo bene alcune nostre sceneggiate di quel tempo beato, recitate al volo nelle viuzze anguste del borgo. Una piece alquanto seriosa fu la messa in scena delle 101 storie Zen che si svolgeva camminando, una specie di excursus spazio temporale su quello che è l’eterno messaggio dello Zen.

Un’altra volta il nostro gruppo, che pian piano andava assumendo le sembianze di una “compagnia teatrale” con tanto di regista, scenografi, addetti alle luci, etc., organizzò una recita all’aperto di poesie demenziali (inventate seduta stante). Al termine della recitazione il falso “fine dicitore” cadeva in deliquio e veniva allontanato da falsi infermieri manicomiali.

La gente che assisteva non riusciva a capire dove fosse il vero od il falso. In un’altra occasione mi inventai una “mostra nel parco, val della Troja” in una grotta (che ora fa parte dello studio dell’architetto Enrico Abenavoli, artista vero e rinomato).

Per attrarre i visitatori nella trappola avevamo allestito un ufficetto all’aperto, in piazza, con tanto di telefono (finto) e segretaria (Patrizia Palla, la genovese), lì venivano rilasciati inviti ad personam per visitare la “mostra” e gli incauti venivano accompagnati da una avvenente e giovane hostess (Mariangela Marrone, la napoletana) che conduceva gli sventurati nella cavità sotterranea (si trova esattamente sotto il Granarone) dove ad attenderli c’erano ipotetici critici, artisti, intellettuali, fotografi e giornalisti (tutti finti, in questo rispecchiando però una verità..) i quali coinvolgevano i malaccorti in situazioni bizzarre o noiose ed allorché essi cercavano di defilarsi venivano bloccati da due energumeni (Zi Tino e Nando di Faleria) i quali dicevano chiaramente che potevano uscire solo se erano disposti a farsi fotografare (a pagamento) assieme alla “mostra” (ovvero Sandra la secca vestita da cavernicola stracciona).

Credo che esistano ancora di queste foto in giro per il mondo….

Ma l’improvvisazione che ricordo con più simpatia, ed in cui sfogai la mia “passione” inventiva (fu anche l’ultima di quella serie fortunata poiché in seguito prese il sopravvento il sistema di regia codificato ed i copioni e tutte le altre scempiaggini classiche), la mettemmo in scena in un antro  vicino al castello (fatalità vuole che oggi sia diventato lo studio artistico di Sofia Minkova,  mia nuora e madre di tre miei nipotini).

Sofia Minkova davanti la famosa cantina, oggi suo studio d'arte a Calcata


Quella fu una vera tragedia “diabolica”, ci lavoravano almeno una dozzina di personaggi. Una coppia di attori, giovani ed alquanto piacenti (un maschio ed una femmina), girava per le vie di Calcata adescando i visitatori. I due figuri, atteggiandosi a pushers od a lenoni dall’aria sordida ed ambigua, sussurravano melliflui ai passanti: “Ehi tu, pss, pss… sì dico a te, vuoi assistere ad una commedia molto particolare…? Aspetta davanti a quella porta… ma zitto, mi raccomando… Pss, pss…”. Veniva così radunato un gruppetto di 5 o 6 persone che poi furtivamente erano introdotte all’interno di una cantina umida e buia.


All’improvviso veniva sprangato l’ingresso dall’interno e qualcuno accendeva una candela (che spesso era spenta da misteriosi soffi di vento), attraverso quella fioca luce venivano illuminate situazioni molto particolari (sospetto che Salvatores si sia ispirato a noi per il suo Nirvana).


Si iniziava con il drogato in una nicchia che dava segni forti di crisi d’astinenza ed all’improvviso prendeva ad urlare ed a contorcersi. Seguiva l’angolo del santone, all’inizio, che pian piano assumeva l’aria libidinosa e prendeva a palpare il culo delle ignare signore presenti. Poi c’era un morto vivente in catalessi e pure un ladro maldestro che tentava di borseggiare gli astanti ed un altro attore che accusava la necessità di soddisfare un impellente bisogno fisiologico e si metteva a pisciare proprio lì davanti a tutti (pisciava per davvero ed ero io a fare quella parte).



Ogni situazione contribuiva inesorabilmente a montare il pathos fra i presenti che si sentivano immersi in una realtà insopportabile, intima, dalla quale non potevano fuggire. I viandanti erano caduti nella trappola mefistofelica e quando disperati si avventuravano verso l’uscita si accorgevano che le porte erano bloccate (attenzione erano bloccate per davvero), alla fine noi stessi facendo sforzi sovrumani e caotici fra urla isteriche (non si apre… non si apre più..!) riuscivamo a spalancarle scardinando i rozzi ed arrugginiti battenti.



Potete immaginarvi la faccia degli astanti quando riuscivano finalmente a mettere il naso fuori… Per loro era il momento della rinascita!



Ecco vi ho raccontato alcune delle “fragranze” della fantasia recitativa che si respirano al Circolo… ma tutto sommato vedo che la gente conserva gelosamente nel proprie cuore queste memorie avventurose…. è il Teatro del VV.TT.



Paolo D'Arpini


Paolo D'Arpini nella parte di Cui Ning