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mercoledì 20 luglio 2011

Treia, dall’8 al 15 agosto - Visione pagana, popolare e cristiana per l’annuale pioggia di stelle cadenti


Abbiamo già preannnunciato i festeggiamenti previsti a Treia per l’8 di agosto: http://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2011/07/treia-e-lacqua-cotta-del-8-agosto-2011.html


Vorrei ora integrare l’informazione annunciando la consueta pioggia di stelle cadenti che si manifesta proprio  nel periodo sopra menzionato, in particolare il 10 di agosto. Nella tradizione cristiana si parla di “lacrime di San Lorenzo” ma dovete sapere che in precedenza tale pulviscolo di comete veniva definito il getto di sperma del Dio Priapo, anche definito Dioniso,  che dal cielo feconda la terra.

Memoria  di Giorgio Vitali:.

Nel  “De cupiditate divitiarum”, Plutarco così ci illustra la processione in onore del Gran Dio Priapo, il giorno 10 di agosto e giorni seguenti:
In testa è portata un’anfora di vino misto a miele, ed una ramo di vite.
Poi un uomo che trascina un caprone da immolare al Dio (poi nel tempo, sostituito da un asinello). Poi un altro processionista con un cesto di fichi. Infine, le Vergini portatrici del fallo gigantesco col quale erano irrorati i campi.  (In Grecia, invece, le processioni col fallo terminavano con una pioggia di acqua mista a miele e succo d’uva indirizzata verso i campi, quale eiaculazione del SEME PRIMORDIALE, origine della VITA.
[Falloforìe, feste in onore di Dionso, prima, poi di Priapo.]

Le divinità della fecondazione sono: Priapo, che è venerato assieme a PAN, Dioniso, Luperco, Inu, Fauno. Sono festeggiate il 10 agosto, giorno dello Sciame meteorico annuale, simbolo della pioggia del SEME FECONDATORE.

Esso si chiama Lacrime di San Lorenzo per questa ragione: La Divinità etrusca Acca Larentia, poi acquisita dai Romani, un tempo: Madre Terra, poi: Sacra Prostituta (che si prostra ), protettrice di plebei e della fertilità dei campi, era assimilata a Fauno e Lupesco. Da Larentia a San Lorenzo il passo è brevissimo.

Per quanto riguarda altri riti priapei, Piedigrotta è quello più celebre.
“neapolitana ubi sacellum Priapi et sacra abdita.”

Il culto di Priapo risale ai tempi di Alessandro Magno, proveniente dall’Ellesponto o dalla Propontide, sempre come simbolo della forza sessuale maschile e fertilità della Natura. Nel Mito, egli risulta cacciato dall’Olimpo per avere cercato di stuprare la Dea Vesta. (Ci chiediamo ora, in piena desacralizzazione, che significato può avere il negare la potenza rigeneratrice della Natura. Quale altra forza, se non quella degenerata della MONETA o della POTENZA nucleare a FINI DI MORTE, può proporre il POTERE contronatura che governa il FATO degli umani?)

CANTO DI PRIAPO.
per me le corolle di fiori in primavera
per me le bionde spighe nel cuore dell’estate
per me i dolci grappoli dell’uva che si matura
per me la glauca oliva formatasi nel freddo.

……………..

Commento in chiave popolare di Antonella Pedicelli:

Caro Paolo.
Ringrazio Giorgio Vitali   per il suo splendido contributo dedicato alla pioggia di stelle agostona e al suo significato in chiave “pagana”: mi sono appassionata nella lettura e ho sentito, in tante immagini evocative, la pienezza e la forza di questo rito che, spero, possa essere sempre riproposto alla nostra attenzione in queste giornate di piena estate.

Ti invio la descrizione di un rito volto, anch’esso alla “fecondazione” della Terra, ma in una chiave un po’ diversa: questo rito viene celebrato nel paese di Lula, in Sardegna. C’è una componente, anche qui, tipicamente maschile che permette diverse associazioni a livello “evocativo”.  Spero sia una piacevole lettura!

Sulle tradizioni locali, presenti a Lula, meritano menzione: “su ballu e sa vaglia”, una sorta di rito per vanificare il potere malefico del malocchio, e la maschera de su Batileddu: maschera protagonista del carnevale di Lula, la vittima. È vestito di pelli di pecora o montone, ha il volto sporco di fuliggine e di sangue e la testa coperta da un
fazzoletto nero femminile, porta un copricapo con corna caprine, bovine o di cervo tra le quali è sistemato uno stomaco di capra (”sa ‘entre ortata”). Sul petto porta i “marrazzos” (campanacci), sulla pancia seminascosto dai campanacci porta “su chentu puzone”, uno stomaco di bue pieno di sangue e acqua, che ogni tanto viene bucato per bagnare la terra e fertilizzare i campi. Riguardo all’origine della maschera molte teorie riportano ai riti dionisiaci, con la rappresentazione della passione e la morte del dio, e più in generale ai riti agrari arcaici di fecondazione della terra con il sangue. 
La maschera del Battileddu, abbandonata nella prima metà del Novecento, forse a causa della miseria e dei lutti provocati dalla guerra, cadde nell’oblio. È stata riproposta nel 2001, in un clima teso alla valorizzazione delle antiche maschere sarde e di spiccato interesse scientifico e antropologico verso la maschera di Lula.


………


Nota in chiave cristiana di Rita De Angelis:

Caro Paolo.
Il 10 Agosto vale sicuramente la pena di stare svegli sino alle prime luci dell’alba per esprimere i desideri che ognuno dei noi cela nel cuore , affidandole alle scie luminose. La scienziata Margherita Hack, ci ricorda che le stelle cadenti sono di anno in anno meno frequenti, e per avere un massiccio rifornimento di polvere da cometa, bisognerà attendere il 2126.

A proposito di stelle, un gruppo internazionale di scienziati, ci comunica che per la prima volta è nata nella nostra costellazione una stella gigante, è venuta  alla luce,nella costellazione del Centauro, ed ha oltrepassato il bozzolo prenatale di polvere e gas, nel quale si è formata. Venti volte più massiccia del nostro Sole, e con un raggio cinque volte superiore,è appena venuta al mondo ed ha mosso i suoi primi passi unendosi così a tutte le altre stelle presenti nel nostro firmamento.

Si dice che la maggior concentrazione di stelle cadenti potrebbe esserci tra il 12 ed il 13 Agosto. Ma la notte di San Lorenzo,  dall’avvento del cristianesimo, è dedicata al martirio di San Lorenzo, che dal III secolo è sepolto nell’omonima Basilica a Roma, e le stelle cadenti sono le lacrime versate dal santo durante il suo supplizio,  che vagano in eterno nei cieli, e scendono sulla terra, soltanto nel giorno in cui Lorenzo morì, creando così un’ atmosfera del tutto magica e carica di speranza. In questa notte infatti, si crede, si possano avverare i desideri di tutti coloro che ricordano il dolore di San Lorenzo, e con il naso all’insù si aspetta di vedere una stella cadente dal cielo  e si pronuncia quasi un desiderio o una filastrocca che così recita: “Stella,  mia bella stella, desidero che…”, e sognando come in una fiaba si attende che l’evento desiderato si avveri e verifichi durante  l’anno!

…………

Vi aspettiamo a Treia, dove l’aria è dolce, per assistere dall’alto della collina alla discesa del “pulviscolo d’oro” di metà agosto.

Paolo D’Arpini

Circolo Vegetariano VV.TT.
Via Sacchette 15/a – Treia (Macerata) – Tel 0733/216293

sabato 21 maggio 2011

Treia, da invisibile a visibile.. Storie e sensazioni di un luogo poco conosciuto



“La coscienza è un singolare; il plurale dalla quale ci è sconosciuto; vi è un’unica sola cosa, e ciò che sembra essere una pluralità è semplicemente una serie di differenti aspetti di questa sola cosa, prodotta da un’illusione (maya); la stessa illusione si produce in una galleria di specchi...”  (Erwin Schrodinger)

"Per me le corolle di fiori in primavera,
per me le bionde spighe nel cuore dell’estate,
per me i dolci grappoli dell’uva che si matura,
per me la glauca oliva formatasi nel freddo"
(Priapo - Canto delle Stagioni)


Voglio  contribuire a rendere visibile la realtà di Treia, per come io l'ho conosciuta e vissuta.  Passeggio ogni giorno sotto le sue mura gagliarde, per le sue stradine medioevali, vago in piazze, vialetti, piazzette e vicoli, talvolta mi sembra di stare a Venezia, se non fosse che non incontro mai il mare quando mi affaccio dai dirupi,  sul vuoto attorno che mi circonda.. vedo solo campagna, una distesa di verde variegato che segue i colori delle stagioni e che talvolta diventa giallo, rosso, marrone, bianco... E a distanza, colline e montagne.. Alcuni mi dicono che là, dove s'erge il Monte Conero, il mare c'è,  e che nelle giornate terse di primavera si può scorgere l'Adriatico ed i suoi riflessi azzurrini.. ma  la mia vista non mi consente di scoprirne la realtà...

La gente incontrata per strada mi saluta, ho imparato a conoscerne i visi, senza conoscerne i nomi. Eppure di Treia conosco il nome e la forma ed anche un poco la sua storia.. Ho cercato di alleviare la carenza  leggendo qualcosa... cominciando dalle targhe affisse ai muri, ascoltando le voci di chi mi ha raccontato storie e storie del passato e del presente ed osservando...

Treia,  dove solidarietà, antichità, efficienza, pulizia ed eleganza si uniscono… in miniatura.
Treia é costruita su una lunga collina, in mezzo c’é una grande piazza, congiunta nei due lati da una specie di corso, una Via Monte Napoleone in miniatura. Sì perché questo borgo, non so perché, forse per la sensazione di efficienza e ordine, pulizia delle vie, giardinetti pensili ben curati,  mi ricorda anche Milano. La strada che unisce i due estremi della cittadina é costeggiata di botteghe luminose che da una parte all’altra fanno pendent...

Da un estremo, verso la porta Vallesacco, domina la maestosa Cattedrale  e dall’altro estremo -dove esisteva un vecchio castello longobardo- ci sono due conventi di suore, con belle chiese affiancate e persino un albero di senape ben vivo (questa pianta é nominata da Gesù in una sua famosa parabola), in una di queste chiese, quella di Santa Chiara, viene conservata una statua lignea della Madonna Nera (si dice che codesta e quella di Loreto fossero due statue gemelle ma l’attuale di Loreto é una copia rifatta dopo l’incendio che distrusse la paredra originaria).

Andando da una parte all’altra di Treia si nota la presenza di tante attività parallele, un orefice gioielliere da una parte e uno dall’altra. Un paio di baretti di qua ed un paio di là, una fruttivendola per ogni opposto, due pizzerie, qualche negozio di moda paesana, due tabaccai, etc. Insomma é un paese che fa da specchio a se stesso….

Ma tutta questa minuzia e precisione sembra quasi sprecata… già perché -come scrisse Dolores Prato- “nella piazza non c’é nessuno..”. Radi sono i passanti e radi gli avventori, anche se -lo dico egoisticamente- fa piacere in fondo entrare in un baretto e vedersi servire subito senza attese né dover chiedere, perché le ragazze “ricordano”, avendo a disposizione tavoli e divani, giornali quotidiani e pure la televisione accesa (magari quella se la potrebbero pure risparmiare… però…).

Secondo la nostra cultura ogni luogo ha valore  per il senso di presenza che vi si manifesta... senza la presenza, o senza la descrizione,  il luogo in se stesso è irrilevante. Questo non significa che quel luogo è inesistente ma il modo in cui noi possiamo conoscerlo è solo attraverso la nostra presenza... Una presenza che si manifesta nel tempo e che ha reso il luogo quello che oggi noi lo conosciamo.


La Storia di Treia

380 a.C. circa, il primo insediamento, ad opera dei Piceni o dei Sabini, è lungo un ramo della via Flaminia a circa due km dall’attuale centro storico. Il luogo diventa colonia romana e prende nome da un’antica divinità, Trea.

II sec. a. C., Treia diventa municipio romano.

X sec. (inizio), gli abitanti della Trea romana, per sfuggire ai ripetuti saccheggi, individuano un luogo più sicuro sui colli e costruiscono il nuovo borgo che prende il nome di Montecchio, da monticulum, piccolo monte.

XIII sec., Montecchio si dota di un sistema difensivo comprendente una possente cinta muraria e si allarga fino a comprendere tre castelli edificati su tre colli, Onglavina, Elce e Cassero. Nel 1239 è assediata dalle truppe di Enzo, figlio naturale di Federico II, e nel 1263 da quelle di Corrado d’Antiochia, comandante imperiale che viene catturato dai treiesi.

XIV sec., Montecchio passa alla signoria dei Da Varano e poi a Francesco Sforza. 1447, posta dal Pontefice sotto il controllo di Alfonso d’Aragona, Montecchio viene in seguito ceduta da Giulio II al cardinale Cesi, e da allora segue le sorti dello Stato della Chiesa.

1778, si apre la prima sezione pubblica dell’Accademia Georgica dei Sollevati, importante centro culturale ispirato ai principi dell’Illuminismo.

1790, il Pontefice Pio VI restituisce al luogo l’antico nome di Treia, elevandolo al rango di città.


Il mistero dell’infinito…

Mura turrite che evocano il Duecento, ma anche tanti palazzi neoclassici che fanno di Treia un borgo, anzi una cittadina, rigorosa ed elegante, arroccata su un colle ma razionale nella struttura. L’incanto si dispiega già nella scenografica piazza della Repubblica, che accoglie il visitatore con una bianca balaustra a ferro di cavallo e le nobili geometrie su cui si accende il colore del mattone. E questo ocra presente in tutte le sfumature, dentro il mare di verde del morbido paesaggio marchigiano, è un po’ la cifra del luogo. La piazza è incorniciata su tre lati dalla palazzina dell’Accademia Georgica, opera del Valadier, dal Palazzo Comunale (XVI-XVII sec.) che ospita il Museo Civico e dalla Cattedrale (XVIII sec.), uno dei maggiori edifici religiosi della regione. Dedicata alla SS. Annunziata, è stata costruita su disegno di Andrea Vici, discepolo del Vanvitelli, e custodisce diverse opere d’arte tra cui una pala di Giacomo da Recanati. Sotto la panoramica piazza s’innalza il muro di cinta dell’arena, inaugurata nel 1818 e poi dedicata al giocatore di palla con il bracciale  Carlo Didimi.

Da Porta Garibaldi ha inizio l’aspra salita per le strade basse, un dedalo di viuzze parallele al corso principale e collegate tra loro da vicoli e scalette. Qui un tempo avevano bottega gli artigiani della ceramica. Continuando per la circonvallazione, a destra la vista si apre su un panorama di campi rigogliosi e colline ondulate. L’estremo baluardo del paese verso sud è la Torre Onglavina, parte dell’antico sistema fortificato, eretta nel XII secolo. Il luogo è un balcone sulle Marche silenziose, che abbraccia in lontananza il mare e i monti Sibillini.

Entrando per Porta Palestro si arriva in piazza Don Cervigni, dove a sinistra risalta la chiesa di San Michele, romanica con elementi gotici; e di fronte, la piccola chiesa barocca di Santa Chiara con la statua della Madonna di Loreto: quella originale, secondo la tradizione. Proseguendo per via dei Mille, si attraversa il quartiere dell’Onglavina che offrì dimora a una comunità di zingari, al cui folklore si ispira in parte la Disfida del Bracciale.

Dalle vie Roma e Cavour, fiancheggiate da palazzi eleganti che conservano sulle facciate evidenti tracce dei periodi rinascimentale e tardo settecentesco, e denotano la presenza di un ceto aristocratico e di una solida borghesia, si diramano strade e scalinate. Nell’intrico dei palazzi, due chiese: San Francesco e Santa Maria del Suffragio. E tra di esse, un curioso edificio: la Rotonda. Nei pressi, la casa dove visse Dolores Prato, ricordata da una lapide, e il Teatro Comunale, inaugurato il 4 gennaio 1821 e dotato nel 1865 di uno splendido sipario dipinto dal pittore romano Silverio Copparoni, raffigurante l’assedio di Montecchio. Il soffitto è decorato con affreschi e motivi floreali arricchiti nel contorno da ritratti di letterati e musicisti; la parte centrale reca simboli e figure dell’arte scenica.

La Chiesa di S. Filippo a Treia è una delle più prestigiose nel novero delle ben 26 catalogate e studiate nelle Marche: un patrimonio, questo, “riscoperto” e pressoché inedito per la sua vastità. L’erezione dell’Oratorio a Treia avvenne su concessione del Vescovo di Camerino nel 1631,  dove presisteva una cappellina dedicata a S. Antonio Abate.  Il tempio completato e già consacrato nel giugno 1777, venne infine officiato il 26 maggio 1778 con dedica a San Filippo, mantenendo assieme il vecchio titolo di S. Antonio Abate.

Si può lasciare Treia uscendo dall’imponente Porta Vallesacco del XIII secolo, uno dei sette antichi ingressi, per rituffarsi nel verde. Resta da vedere, in località San Lorenzo, il Santuario del Crocefisso dove, sul basamento del campanile e all’entrata del convento, sono inglobati reperti della Trea romana, tra cui un mosaico con ibis. Qui sorgeva l’antica pieve, edificata sui resti del tempio di Iside. Il santuario conserva un pregevole crocefisso quattrocentesco che la tradizione vuole scolpito da un angelo e che, secondo alcuni, rivela l’arte del grande Donatello.


Note Recenti

Poco prima dell'accesso per  Porta Mentana o Montana (dai treiesi detta anche Porta Montegrappa),  c'è un'antica fonte di acqua purissima, attinta anche ai nostri giorni, salendo per una ripida salita a gradoni ed entrando nella Porta si noterà a sinistra un vecchio pozzo (ora fuori uso) dal quale evidentemente in antichità si attingeva l'acqua, che ora sgorga dalla fonte, restando all'interno delle mura. Al lato sinistro del pozzo c'è una stradina che si inerpica verso la via Mazzini, si chiama Via delle Sacchette, percorsi una ventina di metri si scoprirà verso destra un rientro ove si scorge un poggiolo su strada, con una ringhiera in ferro battuto, alla base del quale ci sono delle piante di rose, sopra la porta c'è un vecchio cartello in legno con su scritto "Circolo vegetariano VV.TT."  a fianco della porta è anche affisso il numero civico "15/a".


Paolo D'Arpini


Presidente del Circolo Vegetariano VV.TT.
Via delle Sacchette, 15/a - Treia (Macerata)
Tel. 0733/216293 - bioregionalismo.treia@gmail.com