Visualizzazione post con etichetta Socrate. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Socrate. Mostra tutti i post

martedì 14 agosto 2012

Osho, Socrate, il lavoro nei campi e l'insegnamento spirituale

Osho, un po' sbiadito


Sono sicuro che Osho fosse un grand'uomo, sicuramente un maestro spirituale (un caro amico, che ha scritto vari libri ad argomento religioso, scomparso prematuramente, lo teneva in camera come un'icona), infatti gli USA, per liberarsene, lo hanno arrestato con una scusa e lo hanno tenuto uin gattabuia per 15 gg. a dormire su di un pagliericcio pieno di tallio che è velenoso anche per contatto.
Ma senza sminuire la notevole figura di Osho, se proprio vogliamo dare uno sguardo al nostro retroterra culturale, già Socrate, circa 2.400 anni fa, adottava il metodo maieutico, cioè egli diceva che il suo compito non era "versare" conoscenza nelle menti dei suoi allievi (come liquido in una bottiglia vuota) bensì di far sbocciare il seme che era già in essi.
Spirituale è qualunque cosa che ci aiuta a vedere che non siamo solo cibo e sesso, anche senza difficili esercizi di masturbazione mentale.
Basterebbe (per "ani-maiali" di città, abituati al più a battere la tastiera) andare una settimana a lavorare in una fattoria: alzati all'alba, cura le bestie (mungi, spala me.da, lava le pellacce, conserva la biada, spargi la biada), zappa la terra, pota i rami secchi, raccogli i pomodori-zucchine-melanzane, spacca la legna, fai le buche, riempi le buche, lava-stendi-raccogli-stira-rammenda-conserva i panni, cucina e poi pulisci fornelli e piatti, spazza-lava a terra, lava i vetri, aggiusta le cose rotte, etc.
Voglio vedere (sempre se si resiste...) se non provi qualcosa di spirituale, con le vesciche sulle mani, la schiena rotta, le gambe che tremolano, i piedi gonfi, la testa che gira, il fiatone, il sudore che ti cola davanti e dietro.
Solo poggiare le stanche membra su di un pagliericcio, prima di crollare addormentato, ti farà sentire in paradiso...
Tanti saluti
AlexFocus


................


Commenti ricevuti:
 
 
Lolli Fabricio:  Veramente mi pare ingeneroso accostare Osho con Socrate. Osho fu condannato perchè lui stesso(ripeto...lui stesso) ammise di aver istigato episodi di teppismo nei confronti degli abitanti di un paese che non gradiva la sua setta (lui la def...inì così). Ammise persino di aver preparato una bomba batteriologica da usare contro non ricordo quale città (lui l'ammise e per questo fu scacciato dalla America). Socrate, fu il primo pacifista antesignano della storia. Preferì morire suicida che rischiare di portare disordini (molti giovani ateniesi lo amavano) nella sua città. Il suo unico delitto fu....sposare Santippe
 
 
Caterina Regazzi:  Santippe..... un mito
 
 
Ajad Paolo Milano:  Per informazione, Osho non è stato condannato, è stato avvelenato (è un po' diverso). E ve lo immaginate Osho che prepara un bomba batteriologica? Avvelenato ed espulso dagli Stati Uniti e rifiutato dalle altre "democrazie" occidentali, perché avrebbe aiutato troppe persone a crescere in libertà e consapevolezza.
 
 
Lolli Fabricio:  Mi spiace Paolo, ma dovresti informarti meglio. Osho è stato condannato perchè la sua setta (ripeto, non lo dico in termini spregiativi, ma era lui stesso che la definiva così) diverse volte era entrata in contrasto con gli abitanti del pos...to giungendo (non lui personalmente, ma diciamo che esortava con il verbo) anche a episodi di teppismo da entrambe le parti. In quanto alla bomba batteriologica, anche a me sembra incredibile, ma lui stesso ammise al processo che avevano tentato di fabbricarla per sterminare gli abitanti di questo paese posseduti dal demonio. In quanto all'avvelenamento non ne so nulla...io sapevo che era morto di cancro. So anche che dopo essere stato estradato dagli Usa tentò di entrare praticamente in tutti gli stati europei Italia compresa ma fu sempre tenuto alla larga per timore che provocasse dei disordini...certo non lui personalmente ma alcune delle persone invasate che lo seguivano e che lo consideravano una specie di divinità. Non tutti i seguaci di Osho erano equilibrati e rispettosi delle opinioni altrui, ma una parte, come purtroppo accade in tutte le religioni e simili non possedevano il dono della saggezza....dono che aveva Socrate.
 
 
Ajad Paolo Milano:  Caro Fabricio, mi piace il tuo tono sereno e aperto al confronto, quindi senza animosità proseguo il dialogo. Non so se affermi queste cose per sentito dire o per lettura, posso dirti che ho incontrato Osho in Oregon e in quel periodo i med...ia americani erano scatenati contro di lui con enormi dosi di invenzioni e manipolazioni. L'espressione 'posseduti dal demonio' ci dovrebbe far capire che siamo nel campo delle fandonie... di cui peraltro appare chiara la matrice! L'avvelenamento invece (a cura del governo americano) è dimostrato da molti libri in inglese e almeno uno in italiano intitolato (guarda un po') Operazione Socrate, basati su documenti, testimonianze e sul processo. Nel quale è stato accusato di più di cento capi d'accusa, tutti caduti. I suoi legali e discepoli lo hanno convinto a farsi estradare, essendo chiaro che lo volevano uccidere. Aggiungo che uno stato 'democratico' non può tenere alla larga un individuo mai condannato soli per il timore che... (accettano terroristi di ogni specie!), a meno che non obbedisca ad un ordine illegale emesso da una grande potenza straniera. Infine, certo non tutti i seguaci corrispondono ala grandezza del maestro, ma di questa verità è piena la storia delle religioni...
 
 
Lolli Fabricio:  Su Osho avevo letto diverse cose anni fa e avevo alcune amiche che tenevano il suo poster in camera e praticavano la meditazione in contatto con lui. E proprio questo aspetto mi aveva incuriosito (parlo di 20-25 anni fa, forse di più).... Le mie amiche erano perennemente alla ricerca di qualcosa di interiore che risolvesse il loro malessere interiore e Osho fu solo una tappa nella loro ricerca...ora credo che almeno una di loro stia affrontando la fase cattolica-integralista,le altre non so, perse di vista. Dicevo che mi aveva incuriosito e affascinato come certe menti deboli fossero disposte a farsi plagiare da chiunque avesse sufficiente carisma per farlo. Non dubito che Osho avesse ottimi principi, o meglio...non ho motivi per dubitarne in quanto quello che ha sempre detto il governo americano su di lui per me era solo carta straccia. Ma il facile degenerare verso il fanatismo di queste sette che si creano, o meglio di gruppi appartenenti a queste sette, lo ritengo insano e pericoloso. Penso lo stesso del cattolicesimo e delle sue aberrazioni, per non parlare dell'islamismo ecc...Con questo sono assolutamente convinto che Gesù fosse un'ottima persona. Insomma, per riassumere, la spiritualità dovrebbe essere una cosa interiore, intima e privata. Quando senti il bisogno di condividerla con il gruppo, io dubito....ma il mondo è bello perchè siamo tutti diversi.













Articoli di riferimento su Osho: http://bioregionalismo-treia.blogspot.it/search?q=osho 

venerdì 15 giugno 2012

La ritrosia nel giudizio e la lucidità dell’osservazione nella spiritualità laica - Memorie di viaggio e rapporto con alcuni “santi”

Paolo D'Arpini, a sinistra, in veste di guaritore 


Molto spesso ho notato che una volta che qualcuno è stato riconosciuto come “santo” tutti quelli che lo incontrarono, nel bene e nel male, hanno qualcosa da raccontare su di lui, magari si professano suoi discepoli, pur che -con il “santo” in vita- non avevano avuto con lui particolari rapporti, forse l’avevano ignorato, chissà, o erano stati ignorati dal “santo” stesso.

Insomma succede come per la gente famosa del mondo una volta decollata nelle classifiche trovano sempre qualcuno pronto a dire “Ah, io lo conoscevo bene, da tanti anni ho avuto rapporti con lui, abbiamo mangiato tante volte nello stesso piatto, eravamo culo e camicia…”.

Ciò avviene ancor di più se la persona esaltata, di cui ci si vanta i favori, è defunta e non può quindi controbattere o replicare. Credo sia successa la stessa cosa con tanti saggi che magari in vita erano vilipesi e spernacchiati e dopo -giunta la fama e la morte- vengono osannati e vantati.

Ramana Maharshi era un saggio che visse i primi anni della sua permanenza a Tiruvannamalai come un mendicante ed i suoi estimatori erano ben pochi, giusto una banda di “sderenati” par suo… Poi l’odore della sua saggezza raggiunse i quattro quadranti della terra e tutti coloro che l’avevano conosciuto anche solo per averlo salutato per strada, si dichiararono poi suoi ferventi devoti ed estimatori.

Ricordo che alcuni di questi “vecchi devoti” frequentavano anche l’ashram di Swami Muktananda, il mio Guru, ma lui –da buona Scimmia- diceva sempre che “un vecchio devoto è sinonimo di uno che puzza…”. Ed in verità cos’è la “conoscenza del Sé” se non qualcosa di perennemente fresco, eternamente nuova come esperienza? Infatti i saggi realizzati vengono definiti “Jirangivi” ovvero Eternamente Giovani, non perché “portino bene gli anni” ma semplicemente perché sono aldilà di ogni collegamento col tempo e con lo spazio…

Non so per quale ragione ho dovuto fare questa premessa prima di raccontare l’esperienza che segue… non voglio però che quanto ho detto fuorvii l’impressione od il giudizio del lettore. Considerate queste mie parole come un inciso “generale” e godetevi il racconto di questo incontro avuto tanti anni fa con Swami Lakshmana, che credo sia ancora in vita e bazzichi tutt’oggi in quel di Tiruvannamalai, dove si è trasferito qualche anno fa mi riferirono degli amici comuni.

Come si deve osservare un santo? Per capirlo vado ad incontrane uno….

Ancora una volta in viaggio, stavolta con mio figlio, in una città il cui suolo è cosparso di allume, ovunque svolazzante polveroso, lucido e nero. In questo posto poco piacevole dell’Andra Pradesh, a Gudur, vado ad incontrare un diretto discepolo del grande saggio Ramana Maharshi, si chiama Lakshmana Swami. Ho avuto la dritta da alcuni amici di Tiruvannamalai, tramite David Godman che sta lentamente scrivendo un libro su di lui, e me ne parla Nigel Quigly che vive sulle pendici di Arunachala, la sacra montagna rossa simbolo di Shiva: “vai a trovare Lakshmana e Saradamma, due grandi anime che vivono a Gudur, poi noi ti raggiungiamo lì fra qualche giorno”.

Anche allora viaggiavo per l’India con mio figlio Felix, noi da soli come pellegrini alla ricerca dell’amore e della conoscenza. Partimmo senza sapere cosa avremmo trovato, il viaggio in treno non era lungo, poche ore da Madras, quando arrivammo alla stazione di Gudur era notte fonda e ci fermammo sotto una veranda al primo piano della stazione per riposare. La pace fu presto rotta da una banda di scimmie per nulla benintenzionate che ci minacciava forse pensando che così avremmo dato loro qualcosa da mangiare, non avevo nulla per rabbonirle ed ero preoccupato per Felix, dopo un po’ di lotte e scacciamenti usciamo in fretta dalla stazione per ritrovarci in quel paesaggio lunare, di mica, con un primo raggio rosso di sole nascente che rendeva tutto ancor più alieno. Per fortuna un chai-shop era aperto e così potemmo rifocillarci. La prima cosa da fare quando si vuole soggiornare in un luogo è accertarsi di aver trovato una sistemazione per la notte ed appena finita la colazione salgo, sempre con il pargolo al fianco, su un riktsciò e mi faccio portare verso l’ashram del santo. Un posto in mezzo alle spine ed ai cactus, arido e veramente poco abitato, stradine polverose e contorte dove si trovano solo rade capanne, capre o vacche libere e cani randagi, tutto è piatto e cosparso di allume luccicante.

Da fuori il posto del santo sembra più una casa di campagna che un ashram, ci sta all’ingresso una signora indiana che ci accoglie, forse una parente di Saradamma la discepola che affianca Lakshmana nella ministrazione religiosa. C’è anche una ragazza straniera che sta lì da un po’ di tempo e che svolge vari servizi: reception, cucina, attendenza, etc. “Lakshmana e Saradamma escono di rado ma domani verranno fuori per una cerimonia –dice- e li potrai vedere”.

Mi viene data una casetta, credo l’unica oltre il cottage del santo e la portineria-foresteria dove stanno le donne. La casetta è strapiena di bottiglie, lattine cicche, un numero impressionante di mozziconi gettati un po’ ovunque e persino all’esterno, sul di dietro della cucina vi sono altre cicche e cartacce ed altri rifiuti. Non fa una bella impressione ma cerco di pensare positivo “forse è una prova per me, per tutte le volte che ho sporcato in casa d’altri”. Non mi perdo d’animo e facendomi aiutare da Felix raccolgo e sposto le immondizie il più possibile lontano e dove non diano fastidio alla vista ma, mi accorgo dopo, molto vicine al recinto che delimita la casa di Lakshmana, ormai è troppo tardi per pensare ad altri spostamenti, è notte, e lascio le cose così.

L’indomani c’è l’incontro o darshan con la coppia di santi, in una specie di tempietto colonnato aperto su quattro lati.

Lakshama siede e non parla, ci sono un po’ di canti guidati da Saradamma, qualche arati, una distribuzione di prasad, insomma niente di speciale. Penso comunque di fermarmi qualche giorno, almeno per aspettare gli amici che mi hanno mandato qui. La notte, rifletto pensieroso, sentendomi un po’ deluso, mi fumo due tre bidi, pensando “tanto non importa anche se è vietato, qui pare che hanno fumato tutti…” e mi addormento al fianco di mio figlio. Un incubo incredibile mi afferra, un’esperienza incancellabile, mi vedo scalare una montagna di vetri rotti, debbo salire in cima ma ogni passo è doloroso e sanguinoso, avanzo arrancando ed ad un certo punto preso dallo sconforto e da una rabbia irrefrenabile inizio ad ingoiare schegge e tocchi di vetro, una sorta di sfogo autolesionista per l’impotenza e la frustrazione in cui mi trovo, la mia gola è in fiamme, penso di morire soffocato, mi sveglio di soprassalto e mi ritrovo nel letto, forse ho la febbre.

Ma la mattina dopo la “discepola” mi dice che dobbiamo lasciare la stanza perché sono attesi altri ospiti, mi sembra un po’ strano e sono veramente scocciato, mi mandano via così, ammalato, con un bambino piccolo al fianco. Prima di partire compare Saradamma con delle caramelle, dice “queste sono per il bambino, poi guardandomi aggiunge, sono solo per lui…”. Non fa nulla, mi dico, se c’è un messaggio dietro tutto ciò sono pronto a scoprirlo.

Ripercorro la strada del ritorno, un bel pezzo a piedi, prima di trovare un risciò, divido le caramelle con Felix pensando “non può mangiarle tutte ed io ho mal di gola una caramella mi farà bene”.

Fatto strano appena scendo dal triciclo che ci riporta a Gudur mi viene un conato di vomito e rigetto un liquido dolciastro, la caramella che avevo ingoiato. Infine trovo una stanza in un alberghetto, vicino ad un tempio dedicato ad Hanuman, il posto è pieno di scimmie che allungano le mani tra le sbarre della finestra.

Per alcuni giorni non posso alzarmi dal letto, non posso deglutire nemmeno la saliva, dolori lancinanti alla gola che non ho mai provato prima in vita mia, non posso bere, tantomeno mangiare, posso solo respirare a fatica ed ho la febbre, un calvario che dura parecchi giorni, in compagnia delle malefiche scimmie. Poi arrivano gli amici di Tiruvannamalai, che vanno a stare comodamente nell’ashram, nella stessa casetta da me occupata per due notti ed in cui ebbi quel sogno.

Io e Felix restiamo all’alberghetto, pian piano mi riprendo, finché un giorno mi dicono che ci sarà un successivo incontro con Lakshmana. L’esperienza sinora vissuta è talmente anomala che decido di andare anch’io, sempre con Felix. Stavolta il darshan è nel cottage di Lakshmana e Saradamma, ci sono solo quattro o cinque persone, ascolto in silenzio quel che vien detto, non mi importa nulla di nulla, non penso a nulla, non giudico, non trovo colpe né pregi in tutto quello che mi è successo e mi succede, resto lì un’oretta a guardare le formiche sul pavimento.

“So di non sapere” diceva Socrate.

Paolo D’Arpini

domenica 3 giugno 2012

Spiritualità laica, eutanasia, suicidio e morte cerebrale... di Paolo D'Arpini

Riflessione aperta e serena sulla “dolce morte”… e sulla ipocrisia medica, religiosa  e  legislativa….


Paolo D'Arpini che medita sulla morte


Tutto il discorso si può dire  che inizia con Socrate e con la sua decisione di sottomettersi volontariamente all’intossicazione, ovvero di non fuggire alla condanna inflittagli dagli ateniesi per avvelenamento con la cicuta. 

Ai suoi tempi alcuni dei discepoli stretti gli consigliarono di non accettare la sentenza e di salvare la pelle scappando da Atene ma il filosofo imperterrito suggerì: “Prima o poi la morte arriva comunque, ora se io fuggissi per amore della vita negherei i valori della democrazia, in cui sempre ho creduto,  e del verdetto popolare liberamente espresso, inoltre non conoscendo ciò che mi attende nel  post mortem  la curiosità innata del ricercatore che è in me  mi spinge a non scantonare da questa esperienza,  che  viene spontaneamente. Se dopo la morte non vi è più nulla  potrò godermi un meritato riposo se invece vi è ancora coscienza ed esistenza allora potrò    finalmente corrispondere con spiriti nobili ed elevati ed avere una interessante condivisione sul significa dell’Essere. In entrambi i casi perché preoccuparsi?”

Con queste parole serene Socrate bevette l’infuso mortale e se ne  morì descrivendo dettagliatamente le sue esperienze  fisiche e psichiche in ogni momento del processo di dipartita.

Dal punto di vista etico, l’eutanasia  volontaria  ha una sua  dignità morale, non solo nella cultura occidentale ma anche in oriente, ove è accettato il “suicidio” onorevole, vedi il caso  dell’auto sbudellamento (harakiri) in Giappone, o l’ascesa sulla pira degli asceti ancor vivi in India (ed a questo proposito ricordo la storia del guru prelevato da Alessandro Magno  nella piana gangetica e che si  immolò sul fuoco ardente poco prima della morte di Alessandro stesso). 

Anche in Cina e nella cultura indioamericana la “morte sacrificale” viene accettata come un fatto normale, addirittura nella storia mesoamericana si narra che la creazione del mondo avvenne proprio in seguito al “sacrificio” di due importanti Dei (uno brutto ed uno bello) che si gettarono nel fuoco primordiale e da ciò fecero nascere la vita sulla terra.

Allo stesso tempo, sempre da epoche immemorabili, viene posto l’accento sulla gravità del suicidio come atto di regressione karmica, ad esempio nella tradizione cristiana ai suicidi è comminato un girone infernale pessimo e persino in India ed in Tibet ai suicidi vengono riservate numerose reincarnazioni espiative (come ciechi o malati gravi).  Ma in questo caso si parla di atti di suicidio in cui si vuole fuggire dal proprio dovere karmico, non si ha il coraggio cioè  di affrontare le prove che la vita ci manda e quindi queste prove devono essere riportate davanti all’anima.

Insomma c’è sempre il dubbio che  la morte auto indotta sia una specie di fuga o noncuranza  verso la vita, come nel caso di morte causata da eccessi e vizi,  in tal senso persino la persecuzione terapeutica -che tiene in vita il malato a “tutti i costi”-  potrebbe esser vista come una forma karmica espiativa.
Mentre, dal punto di vista del giuramento di Ippocrate,  la cosiddetta “donazione” degli organi non è altro che un omicidio legalizzato, infatti molti anestesisti si rifiutano di certificare la “morte cerebrale” di infortunati (soprattutto giovani) ai quali vengono poi espiantati degli organi sani, poiché  tali asportazioni possono avvenire solo su “un organismo  vivo”  -il cuore della vittima  ancora batte-  mentre l’esame delle onde pensiero segnalanti l’attività cerebrale  indica  una linea piatta.

Il che non significa però che tale “morte cerebrale” sia reale decesso, infatti la stessa condizione si manifesta ad esempio in uno stato di assorbimento profondo, come il samadhi dello yogi, ma già sappiamo che dal samadhi si può tranquillamente uscire e riprendere le funzioni vitali…

Dal che se ne deduce che “materialmente” la donazione degli organi avviene “uccidendo” il donatore. Queste ipocrisie e falsità mediche sono poi  “pareggiate” dal punto di vista moralistico nel mantenimento in vita di un corpo malato irrimediabilmente che viene mantenuto artificialmente “vivo” come tanti casi eclatanti descritti dalla cronaca…

Lasciando  da parte la “morale” resta comunque aperto il discorso della legalità e del diritto umano,  in Italia come nel resto de mondo  il legislatore decide (in teoria) su base  razionale e quindi la normativa  è ancora aperta sia pur confusa.


Paolo D'Arpini

martedì 13 dicembre 2011

...................ritrosia nel giudizio e lucidità dell’osservazione nella spiritualità laica!




Molto spesso ho notato che una volta che qualcuno è stato riconosciuto come “santo” tutti quelli che lo incontrarono, nel bene e nel male, hanno qualcosa da raccontare su di lui, magari si professano suoi discepoli, pur che -con il “santo” in vita- non avevano avuto con lui particolari rapporti, forse l’avevano ignorato, chissà, o erano stati ignorati dal “santo” stesso. Insomma succede come per la gente famosa del mondo una volta decollata nelle classifiche trovano sempre qualcuno pronto a dire “Ah, io lo conoscevo bene, da tanti anni ho avuto rapporti con lui, abbiamo mangiato tante volte nello stesso piatto, eravamo culo e camicia…”. Ciò avviene ancor di più se la persona esaltata, di cui ci si vanta i favori, è defunta e non può quindi controbattere o replicare. Credo sia successa la stessa cosa con tanti saggi che magari in vita erano vilipesi e spernacchiati e dopo -giunta la fama e la morte- vengono osannati e vantati.

Ramana Maharshi era un saggio che visse i primi anni della sua permanenza a Tiruvannamalai come un mendicante ed i suoi estimatori erano ben pochi, giusto una banda di “sderenati” par suo… Poi l’odore della sua saggezza raggiunse i quattro quadranti della terra e tutti coloro che l’avevano conosciuto anche solo per averlo salutato per strada, si dichiararono poi suoi ferventi devoti ed estimatori. Ricordo che alcuni di questi “vecchi devoti” frequentavano anche l’ashram di Swami Muktananda, il mio Guru, ma lui –da buona Scimmia- diceva sempre che “un vecchio devoto è sinonimo di uno che puzza…”. Ed in verità cos’è la “conoscenza del Sé” se non qualcosa di perennemente fresco, eternamente nuova come esperienza? Infatti i saggi realizzati vengono definiti “Jirangivi” ovvero Eternamente Giovani, non perché “portino bene gli anni” ma semplicemente perché sono aldilà di ogni collegamento col tempo e con lo spazio…

Non so per quale ragione ho dovuto fare questa premessa prima di raccontare l’esperienza che segue… non voglio però che quanto ho detto fuorvii l’impressione od il giudizio del lettore. Considerate queste mie parole come un inciso “generale” e godetevi il racconto di questo incontro avuto tanti anni fa con Swami Lakshmana, che credo sia ancora in vita e bazzichi tutt’oggi in quel di Tiruvannamalai, dove si è trasferito qualche anno fa mi riferirono degli amici comuni.

Come si deve osservare un santo? Per capirlo vado ad incontrane uno….

Ancora una volta in viaggio, stavolta con mio figlio, in una città il cui suolo è cosparso di allume, ovunque svolazzante polveroso, lucido e nero. In questo posto poco piacevole dell’Andra Pradesh, a Gudur, vado ad incontrare un diretto discepolo del grande saggio Ramana Maharshi, si chiama Lakshmana Swami. Ho avuto la dritta da alcuni amici di Tiruvannamalai, tramite David Godman che sta lentamente scrivendo un libro su di lui, e me ne parla Nigel Quigly che vive sulle pendici di Arunachala, la sacra montagna rossa simbolo di Shiva: “vai a trovare Lakshmana e Saradamma, due grandi anime che vivono a Gudur, poi noi ti raggiungiamo lì fra qualche giorno”.

Anche allora viaggiavo per l’India con mio figlio Felix, noi da soli come pellegrini alla ricerca dell’amore e della conoscenza. Partimmo senza sapere cosa avremmo trovato, il viaggio in treno non era lungo, poche ore da Madras, quando arrivammo alla stazione di Gudur era notte fonda e ci fermammo sotto una veranda al primo piano della stazione per riposare. La pace fu presto rotta da una banda di scimmie per nulla benintenzionate che ci minacciava forse pensando che così avremmo dato loro qualcosa da mangiare, non avevo nulla per rabbonirle ed ero preoccupato per Felix, dopo un po’ di lotte e scacciamenti usciamo in fretta dalla stazione per ritrovarci in quel paesaggio lunare, di mica, con un primo raggio rosso di sole nascente che rendeva tutto ancor più alieno. Per fortuna un chai-shop era aperto e così potemmo rifocillarci. La prima cosa da fare quando si vuole soggiornare in un luogo è accertarsi di aver trovato una sistemazione per la notte ed appena finita la colazione salgo, sempre con il pargolo al fianco, su un riktsciò e mi faccio portare verso l’ashram del santo. Un posto in mezzo alle spine ed ai cactus, arido e veramente poco abitato, stradine polverose e contorte dove si trovano solo rade capanne, capre o vacche libere e cani randagi, tutto è piatto e cosparso di allume luccicante.

Da fuori il posto del santo sembra più una casa di campagna che un ashram, ci sta all’ingresso una signora indiana che ci accoglie, forse una parente di Saradamma la discepola che affianca Lakshmana nella ministrazione religiosa.


C’è anche una ragazza straniera che sta lì da un po’ di tempo e che svolge vari servizi: reception, cucina, attendenza, etc. “Lakshmana e Saradamma escono di rado ma domani verranno fuori per una cerimonia –dice- e li potrai vedere”. Mi viene data una casetta, credo l’unica oltre il cottage del santo e la portineria-foresteria dove stanno le donne.

La casetta è strapiena di bottiglie, lattine cicche, un numero impressionante di mozziconi gettati un po’ ovunque e persino all’esterno, sul di dietro della cucina vi sono altre cicche e cartacce ed altri rifiuti. Non fa una bella impressione ma cerco di pensare positivo “forse è una prova per me, per tutte le volte che ho sporcato in casa d’altri”. Non mi perdo d’animo e facendomi aiutare da Felix raccolgo e sposto le immondizie il più possibile lontano e dove non diano fastidio alla vista ma, mi accorgo dopo, molto vicine al recinto che delimita la casa di Lakshmana, ormai è troppo tardi per pensare ad altri spostamenti, è notte, e lascio le cose così.

L’indomani c’è l’incontro o darshan con la coppia di santi, in una specie di tempietto colonnato aperto su quattro lati.

Lakshama siede e non parla, ci sono un po’ di canti guidati da Saradamma, qualche arati, una distribuzione di prasad, insomma niente di speciale. Penso comunque di fermarmi qualche giorno, almeno per aspettare gli amici che mi hanno mandato qui. La notte, rifletto pensieroso, sentendomi un po’ deluso, mi fumo due tre bidi, pensando “tanto non importa anche se è vietato, qui pare che hanno fumato tutti…” e mi addormento al fianco di mio figlio. Un incubo incredibile mi afferra, un’esperienza incancellabile, mi vedo scalare una montagna di vetri rotti, debbo salire in cima ma ogni passo è doloroso e sanguinoso, avanzo arrancando ed ad un certo punto preso dallo sconforto e da una rabbia irrefrenabile inizio ad ingoiare schegge e tocchi di vetro, una sorta di sfogo autolesionista per l’impotenza e la frustrazione in cui mi trovo, la mia gola è in fiamme, penso di morire soffocato, mi sveglio di soprassalto e mi ritrovo nel letto, forse ho la febbre.

Ma la mattina dopo la “discepola” mi dice che dobbiamo lasciare la stanza perché sono attesi altri ospiti, mi sembra un po’ strano e sono veramente scocciato, mi mandano via così, ammalato, con un bambino piccolo al fianco. Prima di partire compare Saradamma con delle caramelle, dice “queste sono per il bambino, poi guardandomi aggiunge, sono solo per lui…”. Non fa nulla, mi dico, se c’è un messaggio dietro tutto ciò sono pronto a scoprirlo.


Rifaccio la strada del ritorno, un bel pezzo a piedi, prima di trovare un risciò, divido le caramelle con Felix pensando “non può mangiarle tutte ed io ho mal di gola una caramella mi farà bene”. Fatto strano appena scendo dal triciclo che ci riporta a Gudur mi viene un conato di vomito e rigetto un liquido dolciastro, la caramella che avevo ingoiato. Infine trovo una stanza in un alberghetto, vicino ad un tempio dedicato ad Hanuman, il posto è pieno di scimmie che allungano le mani tra le sbarre della finestra.

Per alcuni giorni non posso alzarmi dal letto, non posso deglutire nemmeno la saliva, dolori lancinanti alla gola che non ho mai provato prima in vita mia, non posso bere, tantomeno mangiare, posso solo respirare a fatica ed ho la febbre, un calvario che dura parecchi giorni, in compagnia delle malefiche scimmie. Poi arrivano gli amici di Tiruvannamalai, che vanno a stare comodamente nell’ashram, nella stessa casetta da me occupata per due notti ed in cui ebbi quel sogno. Io e Felix restiamo all’alberghetto, pian piano mi riprendo, finché un giorno mi dicono che ci sarà un successivo incontro con Lakshmana.


L’esperienza sinora vissuta è talmente anomala che decido di andare anch’io, sempre con Felix. Stavolta il darshan è nel cottage di Lakshmana e Saradamma, ci sono solo quattro o cinque persone, ascolto in silenzio quel che vien detto, non mi importa nulla di nulla, non penso a nulla, non giudico, non trovo colpe né pregi in tutto quello che mi è successo e mi succede, resto lì un’oretta a guardare le formiche sul pavimento.

“So di non sapere” diceva Socrate.
 
Paolo D’Arpini