La questione urbana delle grandi città, la
questione delle periferie - balzata oggi agli “onori” della cronaca nazionale
con gli episodi di Tor Sapienza - rischiano di diventare i nuovi incubi dei
governi degli anni a venire sovrapponendosi tragicamente alla crisi economica
in corso e producendo una miscela esplosiva dalle conseguenze imprevedibili.
Quando le questioni si fanno complesse da analizzare per ritardi storici, per
deficit di analisi, incapacità o altro e quando le soluzioni non sono a portata
di mano, c’è un meccanismo efficace che mette quiete le coscienze: la ricerca
del capro espiatorio. Ce lo ha insegnato la storia; sull’argomento tanto ha
scritto l’antropologo e filosofo francese René Giscard. E’ il meccanismo
attraverso il quale si identifica irragionevolmente in una persona (o in un
gruppo) la causa responsabile di tutti i problemi non risolti, quasi sempre con
l’obiettivo nascosto di evitare di affrontare le vere cause o i veri
responsabili. Questa volta il ruolo di capro espiatorio è toccato al maldestro
e incauto Marino sulle cui spalle sono state fatte cadere tutte le
responsabilità di un disastroso declino delle condizioni urbane di Roma che
perdura in realtà sottotraccia da anni. La persona si presenta adatta al ruolo:
fuori dalle lobbie politiche, non romano, uomo che prende da solo decisioni che
le regole del politicamente corretto vorrebbero che fossero invece concertate
con gli apparati, persona che non riscuote particolari simpatie dei media. Peccato che in altre grandi città
italiane, governate da sindaci eletti fuori dalle consorterie politiche e per
espressa volontà popolare, come Doria a Genova, Pisapia a Milano, De Magistris
a Napoli, le cose non vadano poi così diversamente, tanto che è più che lecito
chiedersi se il declino urbano delle grandi città non sia piuttosto da
ricercare ben più in alto o ben più in profondità. Perché alle varie anime del PD romano non par vero di poter indicare il capro
espiatorio di quanto accaduto nel sindaco Marino, e cosi rimettere in moto la
vecchia macchina clientelare, mentre a sinistra, si denuncia – non certo a
torto – il montare dell'intolleranza xenofoba, che offre varchi di consegna
agli imprenditori politici della paura, sempre attivi nella destra italiana. In
realtà i fatti degli ultimi giorni meritano uno sguardo non solo meno
strumentale e ravvicinato, ma soprattutto più ampio e generale.
Quando dopo il quindicennio di governo
delle sinistre (Rutelli prima e Veltroni dopo), venne candidato per la seconda
volta al ruolo di Sindaco della capitale lo stesso Rutelli, la sinistra rimase
attonita dalla sconfitta subita cui contribuirono pesantemente gli abitanti
delle periferie, quelli che un tempo venivano chiamate “le cinture rosse, lo
zoccolo duro del PCI”. Tanto che il mediocre Alemanno rimase lui stesso
incredulo per il consenso ricevuto che gli permise di salire al colle del
Campidoglio. Le fantasmagorie del cosiddetto “Modello Roma” (il Pil urbano al 4.5%,
Roma come locomotiva d’Italia, Roma come Barcellona, Dubai, ecc. ecc.), avevano
fatto velo a un crescente disagio delle condizioni di vita nelle periferie
tanto che in quei tempi riscosse un certo successo mediatico la parola
“risentimento” per esprimere lo stato d’animo degli abitanti. Risentimento per
essere stati lasciati soli al loro destino, risentimento per avere il PD
abbandonato ogni lavoro sul territorio (smantellamento di tutte le sezioni di
partito che tanto avevano storicamente contribuito alla formazione di una
emancipazione delle coscienze). Pochi e inascoltati furono coloro che tentarono
di spiegare come i “successi” di Veltroni non avevano alcun riscontro in questi
luoghi lontani dal centro dove, invece, si continuava a cementificare oltre
ogni ragionevole misura, creando nuove e mostruose periferie urbane.
L’approvazione del Piano Regolatore Generale, alla fine del mandato Veltroni,
non segnò una inversione di tendenza rispetto al passato: il blocco degli
immobiliaristi continuava quasi indisturbato a decidere per Roma uno sviluppo
ancora insostenibile con la complicità di apparati amministrativi e politici.
La disfatta di Alemanno è tutta a suo
“merito”, la sinistra non c’entra; il Sindaco ex squadrista, eletto “a sua
insaputa” dal moto di risentimento profondo contro la sinistra, trascorse il
suo mandato tra gaffe e inefficienza ma ciò nonostante il PD non aveva più la
forza per imporre al ruolo di Sindaco un uomo del suo apparato. Così che
Ignazio Marino, il “marziano”, l’uomo fuori dal gioco delle consorterie
politiche catturò il favore del popolo romano che di professionisti della
politica non ne voleva più sentir parlare. Questo, in breve e schematicamente
per spiegare la presenza di un Sindaco mai accettato dalla gran parte del PD e
tanto più avverso per aver scelto personalmente molti uomini (e donne) della
sua Giunta.
Ma è stata la crisi economica e le
politiche comunitarie ad aver ulteriormente aggravato una situazione già di per
sé esplosiva. Le condizioni di ulteriore e progressivo impoverimento della
popolazione delle periferie hanno aggravato le condizioni di vita delle persone
favorendo il diffondersi di attività criminali, spaccio della droga,
infiltrazioni camorristiche. A ciò si aggiunge l’insostenibile condizione di
disoccupazione che affligge i giovani spesso arruolati in attività di spaccio e
microcriminalità. Le politiche neoliberiste hanno creato disuguaglianze feroci
producendo una lotta darwiniana per la sopravvivenza così che sono saltati
tutti i vincoli di solidarietà che in passato si stabilivano tra persone
povere, tra persone che stringevano patti di mutua collaborazione e cooperavano
per sopravvivere. Già a partire dagli anni Settanta/Ottanta è prevalso un
modello di vita basato sull’affermazione e il successo personale; modello che è
stato il più grande alleato dell’offensiva neoliberista. Poi c’è la spending review che favorisce la
svendita ai privati dei servizi che i comuni non sono più in grado di garantire
o la cui funzionalità comunque comporterebbe sacrifici sotto forma di tasse
tale da rendere impopolare l’amministrazione che praticasse tale obiettivo. Molte amministrazioni inoltre,
per fare cassa rilasciano concessioni ad edificare senza badare molto alle
conseguenze urbanistiche e a quelle del consumo di suolo, o ai dissesti
idrogeologici: ogni minuto in Italia scompaiono quattrocento metri quadrati di
suolo coperti dal cemento. Il rilascio di concessioni ad edificare è diventato
uno dei principali modi di reperire denaro alimentando una bolla immobiliare
simile a quella che provocò la crisi americana dei subprime. L’immobiliare, afferma Tocci, è stato il proseguimento
della finanziarizzazione con altri mezzi, con la complicità di molte archistar
che valorizzano territori con i loro oggetti sradicati dai luoghi e in linea
con l’immaginario globale. Roma ne è esempio con lo stadio del nuoto a Tor
Vergata rimasto uno scheletro nel deserto o con la costosissima Nuvola che
divora immense risorse finanziarie per non parlare del ventilato progetto di costruire un nuovo
stadio in un’area a rischio idrogeologico a Tor di Valle in barba al Piano
Regolatore e al buon senso con
discutibili criteri di presunta utilità pubblica. Meglio sarebbe se il Sindaco
desistesse da queste iniziative sbagliate e riprendesse invece il dialogo con
la città che lotta e che soffre come pure faticosamente sta provando a fare con
gli abitanti di Tor Sapienza distinguendo fra le buone ragioni delle proteste
dei cittadini romani e le strumentalizzazioni
dei nuovi barbari ed inquinatori
della coscienza civica.
In
questo quadro desolante arrivano a colmare la misura gli immigrati con tutto il
loro carico di pene e sofferenze, mai accolti come si dovrebbe da parte di una
città veramente capitale e utilizzati a scopo elettorale da propagande di segno
opposto. Così che diventano anch’essi i capri espiatori di tutti i mali
prodotti dal neoliberismo. Paghiamo il prezzo di anni di assuefazione al
pensiero unico che esalta la competitività, il consumismo, la crescita ad ogni
costo, l’individualismo proprietario. Ideologie che hanno lentamente avvelenato
la nostra vita quotidiana riuscendo a far breccia in ciascuno di noi. E’ da qui
che bisogna ripartire: da un progetto di convivenza e convivialità e di
accoglienza che faccia rinascere nelle nostre città quei principi di vita
associativa e fiorire della cultura che fecero dei comuni italiani ed europei i
luoghi da cui nacque il Rinascimento. Un governo della città che si apra ad una democrazia pubblica fondata sulla partecipazione delle
comunità locali e dei quartieri, con nuove
istituzioni di prossimità che
sappiano interpretare e rappresentare il
bisogno di sicurezza, di solidarietà, di condivisione che pure sono sentiti dai
cittadini romani e sconfiggere la piaga dell’egoismo, della competizione
selvaggia, della caccia all’untore che
indebolisce le comunità a tutto vantaggio
di ideologie razziste e xenofobe che avvelenano gli animi e i cuori e
lasciano dietro di se solo macerie e
rovine fisiche e morali, e distruggono
la convivenza civile e democratica. Ci piacerebbe riprendere con tutti quelli che lo vorranno il
filo di un impegno civile collettivo per non lasciare la nostra bella città nelle mani dei poteri forti e della
cattiva politica che l’hanno seviziata ed oltraggiata o dei mestatori dell’odio sociale e della
guerre etniche e di religione.
Enzo Sandurra, Piero Bevilacqua, Antonio Castronovi, Roberto Sardelli, Paolo Berdini
(Il Manifesto: La questione urbanistica e il capro espiatorio - Editoriale del 17 novembre 2014)
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