martedì 2 aprile 2013

Una domanda sulla Rete Bioregionale, considerazioni varie sul rapporto uomo animali e sul cristianesimo e una prosa poetica

Dipinto di Franco Farina

Caro Paolo D'Arpini,
giorni fa, parlando di Gino Sansone (che conobbi molti anni or sono), avevi accennato ad una scissura all’interno della Rete Bioregionale. Mi potresti per cortesia spiegare in breve quali sono le differenze tra le due due correnti.

Ho apprezzato il commento di Caterina Regazzi sul vegetarismo. L’ho trovato equilibrato e saggio. Tuttavia, benché non concordi con l’ideologia vegana (che invano tenta di estirpare anche la violenza connaturata - non per nostra scelta - all’esistenza e le differenze tra le specie), devo dire che, allo stato attuale, ritengo possibile un’agricoltura priva di animali. 

La ricerca del grande Fukuoka, la permacoltura ed altre pratiche agricole hanno aperto la strada a sperimentazioni che stanno dando discreti risultati. In fondo alcuni uomini aspirano ad essere semplici raccoglitori, affrancandosi dal lavoro e dalla dipendenza-sfruttamento degli animali. Certo, in termini concreti, bisognerebbe vedere che cosa succederebbe se si dovesse tornare all’autonomia totale, difendendosi dai cinghiali che minacciano il grano o dovendo far salire dal fondo valle la legna per la sopravvivenza.

Un conto è parlare della servitù della gleba come di una barbara ingiustizia o del ritorno alla terra come di un astratto giocherellare,  magari standosene seduti in un appartamento ed andando al super mercato ad acquistare il cibo, ma tutt’altra cosa è confrontarsi corpo ed anima con la Terra; questa non è solo anna-purna, colma di cibo, ma è pure madre severa, esigente e, per certi versi, crudele. Sono certo che i contadini tibetani preferirebbero di gran lunga tornare alla servitù della gleba (gleba significa “zolla”) della tradizione lamaista, piuttosto che sottostare alla dura schiavitù imposta loro dal moderno comunismo cinese. La prima ti chiedeva obblighi e restrizioni, ma ti concedeva pure ampi spazi di dignità e di spiritualità, la seconda ti toglie tutto, trattandoti come una cosa. 

Del resto nel sistema capitalistico non è molto diverso: hai la libertà del consumatore disanimato. A meno che tu abbia trovato una strada di liberazione, innanzitutto interiore.

Scrive Alessio Mannino nell’interessante articolo “Società aperta?”: «Prima dell’industrialismo e della sua smania borghese di regole, l’individuo subiva molte meno interferenze nella propria vita privata di quante ne subisce oggi. Il contadino pre-moderno poteva passarsela parecchio male per ragioni economiche, perché magari il raccolto dell’annata era andato male, ma anche quando era un servo della gleba i suoi obblighi si limitavano alle corvées e alla decima, per il resto viveva sul suo senza obblighi di sorta che non fosse il legame ereditario alla sua terra [...] la libertà non va confusa con la possibilità astrattamente illimitata. Una libertà è tale nel momento in cui, se voglio, posso goderne. Adesso, nella democrazia che si proclama liberale, sono libero ma solo all’interno di tante e tali regole che, di fatto, non sono più libero» (fonte: Il Ribelle).

E infine, riguardo all’articolo di Uriel, credo sia importante sottolineare come tradizionalismo e tradizione sapienziale siano due realtà diverse. Il primo riguarda la trasmissione di forme transitorie, soggette all’emergere e allo scomparire; la seconda riguarda il purushartha, il fine essenziale, ultimo dell’uomo e quindi è sostanzialmente immutabile. Non diceva forse il Cristo, in India considerato un mahavatar: “Passeranno il mare e le montagne, ma non le mie parole”? Inoltre aspettarsi che tutti gli aderenti ad una religione realizzino i suoi contenuti è utopistico. Ciò non è avvenuto nel Buddhismo, nel cosiddetto Hinduismo, nell’Islam, ecc.  Al massimo in quest’era oscura un exoterismo può dare un orientamento, ed è già molto, viste le barbarie imperanti.

Ed in ultimo ti mando una mia breve prosa poetica (vedi di seguito).
Un cordiale saluto, Subramanyam - gigorl@email.it 


So che non sarò mai cenere

Cerco di ricordare la bellezza silvana anche mentre me ne sto immobile, ad occhi chiusi, all’alba. Penso al bosco che sprofonda a nord, sotto la sorgente, assediato dal muschio e dai rampicanti che abbattono i salici. La sua bellezza non è solo un insieme di parole pronunciabili, ma è soprattutto rivoli argentei, impronte animali, nubi che corrono oltre i rami.

Quando ci si ferma è facile dimenticarlo e arenarsi nel fastidio dei nervi e dei muscoli tesi o dei lievi rancori che ronzano di là dai sogni.

Per questo ne parlo; per fissare in me la bellezza connaturata all’apparenza vibrante. Se le ombre mutevoli nel loro migrare raggiungono una tale intensità, infinitamente maggiore sarà lo splendore della Forza che le muove. Così insisto nell’acquietare le distrazioni e mi immergo nell’atmosfera azzurro-scura dello spazio interiore.

E bevo l’ebbrezza in respiri viepiù sottili che si alimentano delle ore a venire, traducendole in Oro.

Oro, consapevole di sé; Oro che adora l’Oro; Oro che in tutti i tempi è stato, che c’era già, a cui non potrai sottrarti.

L’acqua fredda sgorga dalle rocce e dalla terra, accresce l’erba e gli alberi, disseta tutti, cacciatori e cacciati, instilla generosità, deterge, nutre la purezza.

Voglio ritornare a quell’Ineffabile che sta prima di qualsiasi inizio, da cui sono disceso sospinto da gioco divino. Che l’oceano riaccolga sé medesimo in quest’onda luminosa, il cui nome riposa nelle stelle.

Così, avendo ancora braccia, gambe ed occhi, mi inchino e sacrifico ed esulto per ogni soffio che s’unisce al vento sulle colline.

So che non sarò mai cenere, ma bellezza e meraviglia, sempre.    


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Mia rispostina:

Caro Fratello Aquila Grigia, alias Subramanyam,

riesci a toccare i punti dolenti come farebbe un medico od un guaritore chiedendo "ti fa male qui?". Il percorso di crescita di ogni anima, come quello di un albero, non è fatto solo di allargamenti in cerchi concentrici ma anche di nodi. Il termine che si usava nella Rete Bioregionale prima della "svolta" -come io ho definito la scissione avvenuta nel 2010. 


Appena ora ho ricevuto la telefonata di Caterina che visse assieme a me quei momenti e ne abbiamo lungamente parlato... Ma se non si è al corrente delle caratteristiche di alcuni attori principali, come furono Giuseppe Moretti ed Etain Addey, e dell'altro attore che ha funzionato da elemento dirompente, Stefano Panzarasa. Non si può spiegare la trama del film che non è un film ma un lento percorso in un dramma in cui ancora siamo immersi. Dire che la separazione è avvenuta perché Stefano voleva "imporre" la dieta vegana all'interno della Rete è molto riduttivo ed anche non corrispondente alla verità. Allo stesso tempo denunciare  l'incapacità di Moretti ed Etain di andare oltre alle consuetudini alimentari nelle quali si erano radicati giustificandole come espressioni di un vivere bioregionale era altrettanto fallace.

Lo psicodramma dell'ecologia profonda vissuto all'interno della Rete Bioregionale -secondo me- alla fine si è ben risolto. Le parti ideologizzate -da un lato e dall'altro- si sono esautorate vicendevolmente, pur che restano ancora degli strascichi.

Il discorso che tu mi fai riguardo all'agricoltura possibile ed alla collaborazione con gli animali senza sfruttamento è talmente vasto  che richiederebbe giorni e giorni,  forse vite e vite, di discussione e sperimentazione. La ricerca va avanti, comunque. Ne parleremo anche durante l'Incontro Collettivo Ecologista che si terrà a Vignola dal 22 al 23 giugno di quest'anno. Sei invitato a partecipare. 

Tralascio di commentare le opinioni di Uriel in merito al cristianesimo... (http://bioregionalismo-treia.blogspot.it/2013/03/il-cristianesimo-e-morto-ma-i-cristiani.html). In fondo considero certi argomenti  di sofismo religioso completamente avulsi dal mio sentire... 

"Allora perché pubblico certi articoli?" - potresti chiedermi - Semina a spaglio, pastura per pesci  che forse abboccano, gusto dell'osservazione delle reazioni altrui accompagnato da una buona dose di stoicismo. Insomma se tu sapessi cosa vuol dire  rappresentare una Scimmia di Legno, accompagnata da Cavallo e Capra, potresti capirlo da te.

Cari saluti, Paolo D'Arpini

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Commento ricevuto:

Sono e rimango convinta che il veganismo sia una virtù e per quanto riguarda la violenza connaturata, è mia opinione che dovrebbe riguardare solo il mondo animale che uccide SOLO per necessità, cosa che non ha niente a che fare con l'essere umano che può benissimo (anzi meglio) campare senza massacrare gli animali. E per capirlo basta guardare il nostro apparato digerente e confrontarlo con quello degli animali carnivori. Per inciso, nemmeno la Genesi dice che l'uomo si deve nutrire di animali. "Dominare" non è massacrare. E lo dico da non credente.
Sonia Toni


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Risposta di Subramanyam:

Caro Paolo,
ti ringrazio per la risposta e per le esaurienti indicazioni circa la scissione avvenuta all’interno del bioregionalismo.
Secondo me, è giusto seguire con coerenza il tipo di alimentazione o la pratica agricola che si ritiene buona, ma non si deve cadere nella trappola di farne una “religione” da imporre agli altri come unica panacea. La vecchia mania-malattia di “imporre” è dura a morire. Così spesso, anche nell’ambito cosiddetto “alternativo”, benché si cambino gli abiti, si conserva intatto all’interno quell’uomo omologato e conflittuale che si dovrebbe trasformare.
Ti ringrazio anche per l’invito all’incontro bioregionale di Vignola, al quale non sono ancora in grado di dire se potrò partecipare.
E’ ovvio che non puoi essere identificato con gli articoli di vario tenore o con gli interventi che ospiti. Non capisco alla lettera l’immagine della Scimmia di Legno accompagnata da Cavallo e Capra, ma me la sento risuonare dentro in modo significativo, quasi fosse una specie di accordo musicale-sapienziale. Anche idee mille miglia lontane dalle nostre sono espressione della Realtà alla quale apparteniamo. L’aspetto pregevole del “Giornaletto” è che il lettore ha la possibilità di intervenire, se lo reputa necessario, serenamente e sinceramente.
Per quanto mi riguarda soltanto di rado mi sento ispirato ad intervenire; ho l’impressione che in definitiva il contributo più importante che si possa dare all’elevazione dello stato di coscienza del mondo avvenga all’interno di ciascuno di noi. 
“Aquila Grigia” era il nome che mi era stato dato ai Rainbow Gathering, ai quali però non partecipo più da diversi anni respinto da quel conformismo dell’anticonformismo dilagante che, in nome di una libertà e di una fratellanza soltanto retoriche, finisce coll’impedire alla persona di essere davvero libera di manifestarsi per quello che è.


Ho letto il commento di Stefano Panzarasa. Oltre al fatto evidente che per me, dall’esterno, è difficile comprendere quanto successo all’interno della Rete bioregionale, l’unica cosa che posso notare è che Panzarasa utilizza la parola “verità” per esprimere una prospettiva legittima, ma parziale, sulla realtà. Ci sono dei casi in cui può essere cosa nobile e giusta uccidere, persino un uomo, e casi in cui risulta ignobile uccidere anche solo un insetto. E’ giusto che gli uomini si diano delle norme, ma è fondamentale che esse vengano interpretate ed applicate nella consapevolezza della loro relatività, giacché, come già detto, ogni persona è innanzitutto alla propria coscienza che deve render conto.
In sintesi, credo che la consapevolezza della relatività del dicibile potrebbe aiutare ad uscire dai conflitti e dalle contrapposizioni rancorose e a comunicare. In genere si passa dall’estremo dell’autosvalutazione più umiliante e passiva all’altro estremo dell’identificazione cieca nella propria soggettività, accompagnata da una sete inestinguibile di volontà di potenza. Sarebbe invece auspicabile preservare la propria identità-dignità sociale, pur restando aperti e disponibili a modificarla qualora si riconoscesse la validità di certi suggerimenti provenienti dall’esterno. Anche perché la nostra identità ultima coincide con l’Ineffabile Tao e quella da nessuno e da nulla può essere alterata. Tu che conosci i Ching, sai sicuramente come la saggezza estremo-orientale ponga più l’enfasi sull’armonia e sull’equilibrio, che sulla ragione o sul torto. 
Un caro saluto,
Subramamyam  

2 commenti:

  1. Rispondo personalmente (sono Stefano Panzarasa)essendo stato chiamato in causa.
    Non uccidere gli animali per mangiarseli è considerata una "scomoda verita"... Non si può dire perché altrimenti molte persone, anche ecologisti e profondi si irritano.
    In realtà quindi non ci sono divergenze di fondo, secondo me e allo stato attuale, tra i due raggruppamenti. Solamente che alcuni della Rete di questa "scomoda verità" non ne volevano sentire parlare e così se ne sono andati...
    Poi ci sonop stati anche altri motivi che però esulano dal discorso sull'alimentazione ma sempre legati al fatto che si possa dire o meno certe verità...
    S.P.

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  2. C'è un nuovo commento - intervento - risposta che ho inserito in un nuovo post:
    http://bioregionalismo-treia.blogspot.it/2013/04/alimentazione-ed-ecologia-profonda.html

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