Festival filosofia “Ereditare” 18-19-20 settembre 2015 Modena – Carpi – Sassuolo
Lezioni magistrali: Stefano Rodotà - Diritto al cibo. Cibo, fame, diritti - Sassuolo, Piazza Garibaldi, 19 settembre 2015, ore 18
Rodotà: “Ah, mi sono abbandonato ai miei…”
…E si perdono fuori dal microfono le parole conclusive, mentre
Stefano Rodotà lascia il palco: ma quella a cui s’è “abbandonato” è
stata pura energia civile nell’intensità crescente del suo argomentare
e del rispondere, dopo, alle domande del pubblico. Come a quella che
lo interroga sull’EXPO milanese, vanitoso show divoratore di risorse
in contrasto col suo stesso slogan “Nutrire il pianeta”, spreco di
suolo consegnato a un incerto futuro di non-luogo, in cui uno solo
degli stand - si fa osservare - “poggia direttamente sulla terra,
l’unico senza consumo di cemento”.
Il suo parlare appassionato ci porta per un’ora al di là della
nostra italietta di nani. Niente “effetti speciali” nè atteggiamenti o
pause studiate, solo l’autorevole semplicità di sempre in quel suo
ragionare che inchioda all’ascolto la piazza gremita di pubblico.
Sentiresti volare una mosca, mentre usa le parole limpide e
fondamentali del nostro vivere: persone, diritti, dunque democrazia; e
“diritto al cibo”, precondizione ineludibile della democrazia stessa e
ancora largamente inattuato, fondamento dello stato sociale fin da
quell’Esprit des lois in cui Montesquieu assegnava allo Stato e ai
suoi organismi il dovere di garantire al cittadino la libertà dalla
fame e dal bisogno.
Ben più del generico quadro di princìpi che è da sempre la
“lotta alla fame nel mondo” (paternalistico eccellente slogan degli
egoismi moderni), non religiosamente inteso come “misericordia”o
laicamente come “dovere del ricco verso l’indigente”, esso attiene
piuttosto alla responsabilità diretta dello Stato, e riguarda la
società nella sua interezza e nella interdipendenza di tutti i suoi
soggetti, non solo dunque gli svantaggiati e gli esclusi.
Se l’affrancamento da bisogno e dipendenza è condizione primaria
per una libera costruzione della personalità individuale e collettiva,
la povertà estrema di milioni di persone nel mondo, la malnutrizione e
la crescita ritardata di milioni di bambini dicono chiara la distanza
dei poteri pubblici da queste logiche e da questa assunzione di
responsabilità, in special modo presso le società opulente; non è un
caso che in continenti dove più alto è il numero dei cittadini esclusi
dalla soddisfazione dei bisogni - America Latina, Africa, alcune parti
dell’Asia - siano decine le Costituzioni che includono il diritto al
cibo, e che in tale ottica si muovano a livello legislativo i
rispettivi governi (l’India e il Brasile in particolare).
La responsabilità delle istituzioni pubbliche è chiamata in causa
in ogni fondamentale implicazione di quel diritto: nel riconoscimento
e nella soddisfazione della fame di conoscenza che, come quella
materiale, trova insormontato ostacolo nella povertà e nella
dipendenza dal bisogno (“Sì come dice lo Filosofo… tutti li uomini
naturalmente desiderano di sapere”: così Dante nel “Convivio”,
riecheggiando il concetto platonico); nel far sì che non vi sia un
diritto al cibo “a qualsiasi costo”, in violazione di dignità,
libertà, giusta retribuzione (art.36 della nostra Costituzione), come
nelle tante nuove schiavitù esplicite o mascherate che il nostro
presente ampiamente conosce e tollera; nell’adeguare la soddisfazione
di quel bisogno primario al rispetto delle tradizioni culturali e
identitarie delle popolazioni, delle etnie e dei gruppi sociali.
Si tratta in definitiva del diritto all’eguale costruzione della
personalità, inscindibile a sua volta dal concetto di sovranità delle
popolazioni, spesso espropriate delle loro anime oltre che dei loro
corpi dalla violenza e prepotenza del mercato. Emblematica la vicenda
della potentissima diabolica Monsanto, i cui brevetti sulle sementi
(sterili) hanno modificato irreparabilmente il sistema di vita e di
lavoro dei contadini, alterando e sacrificando alle logiche del
mercato le dinamiche ereditarie che ne governavano la produzione.
Penetra nelle cose, Rodotà, nei 60 minuti della sua Lectio: cita
il sonetto del Belli “La famija poverella”, in cui il genitore sfamerà
i figli invece che se stesso (“…e ppijeremo er pane, e mmagnerete”),
che nella sua attualità culturale e morale è paradigma della
responsabilità di chi, depositario di un bene, lo conserva per
consegnarlo integro a coloro che verranno; assume a metafora il
protettissimo habitat naturale delle Montagne Rocciose, i cui
visitatori sono invitati a non offrire cibo agli animali perché essi
non divengano “dipendenti”; addita le cupe logiche delle
multinazionali del cibo, le guerre per l’acqua che già ci sono e
annunciano quelle che verranno, le migrazioni ambientali che ne
seguiranno sovrapponendosi a quelle già in atto; si addentra nel
tracciato di esperienze virtuose, come la mondiale Via Campesina per
il contrasto all’aziendalismo agricolo delle multinazionali e la
relocalizzazione della produzione, che "forse non fronteggeranno la
potenza del mercato ma indicano tuttavia una strada percorribile".
Ciò che oggi Rodotà chiama “il governo finanziario del mondo”
non autorizza ottimismi: con le recenti risposte degli Stati alla
crisi greca e alle migrazioni, l’Europa ha cancellato quanto ha
costruito negli ultimi anni, platealmente negando la sua stessa Carta
dei Diritti.
I governi del mondo, nel dimenticare che “la Terra non è
un’eredità dei nostri padri ma un prestito dei nostri figli” – così il
detto degli Indiani d’America – eludono la responsabilità di
trasmettere quel bene comune, quel “prestito”, senza averlo consumato
e depredato. E dunque negano di fatto il riconoscimento del basilare
diritto al cibo in tutte le sue numerose articolazioni, senza il quale
nessun Paese può riconoscersi interamente civile e democratico.
22 settembre 2015 Sara Di Giuseppe
faxivostri.wordpress.com
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