sabato 30 aprile 2022

Dall'antropocene alla distruzione del pianeta...

 


“Antropocene” è il completamento, dopo “Manufactured Landscapes” (2006) e “Watermark” (2013), di una trilogia di documentari sull’impatto delle attività umane sul nostro pianeta. Un viaggio in sei continenti per accostare i diversi modi nei quali l’uomo sta sfruttando le risorse terrestri e modificando la Terra come mai prima, più di quanto facciano i fenomeni naturali. Un gruppo internazionale di scienziati, dopo quasi dieci anni di ricerca sostiene che l’epoca Olocenica ha lasciato spazio, come dimostrano i cambiamenti operati dall’uomo sul pianeta, all’epoca antropogenica.

La tesi dell’Anthropocene Working group, che ha avviato i suoi studi nel 2009, è che gli ultimi 10.000 anni costituiscano un’era geologica vera e propria. I canadesi Jennifer Baichwal, Nicoals de Pencier ed Edward Burtynsky hanno cominciato, nel 2005 ad investigare i paesaggi trasformati dalla mano dell’uomo per arrivare ad una conclusione, che è anche il punto più alto ed ambizioso dell’opera. Un film con una tesi non nuova: ovvero che l’umanità sta sfruttando, più del dovuto, il pianeta compromettendone lo stato e con conseguenze potenzialmente ancora più gravi, ma sviluppata in maniera organica e complessa con immagini spettacolari, che siano aeree, subacquee o sotterranee, dal forte impatto visivo e da un suono che le sottolinea e le enfatizza. L’uomo ha superato i limiti e questo assunto esce da ogni immagine filmata in 43 luoghi di 20 diversi paesi.

Visioni sconfinate e totali di grandi territori con gigantesche macchine industriali divorano inquadrature di terrificante bellezza, a significare il paradosso di un consumo compulsivo, di un istinto di sopravvivenza che conduce all’autodistruzione.

Visioni eloquenti
In Russia nelle miniere di carbonato di potassio o potassa della Soc. Uralkali dove l’attività antropica di scavo su larga scala, o “bioturbazione” è un indicatore dell’Antropocene. La miniera si articola in circa 3000 Km di gallerie scavate da giganteschi macchinari, le cosiddette talpe meccaniche, nell’ambito del processo estrattivo del potassa. E’ difficile pensare alla Florida come ad una regione industriale eppure sul suo territorio vi sono molte miniere di fosforo un elemento fondamentale dei fertilizzanti impiegati in agricoltura. Come ci ricorda Burtynsky, “ il settore agricolo industriale è cresciuto a dismisura ed i concimi fosfatici sono divenuti ormai imprescindibili, al punto che il nostro sistema alimentare globale andrebbe in crisi qualora non ve ne fosse più la disponibilità”. In Nigeria sul delta del Niger ricchissimo di risorse petrolifere si esercita l’attività di bunkeraggio di petrolio. La Nigeria ha ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1960 eppure gran parte della ricchezza prodotta dal petrolio nazionale continua ad essere dirottata fuori dai suoi confini. Le comunità più povere hanno iniziato a darsi al “bunkeraggio” – per accrescere il loro reddito – questa attività consiste nel sottrarre greggio dagli oleodotti, raffinarlo in impianti di fortuna e venderlo all’estero. Notevoli quantità di greggio e sottoprodotti tossici fuoriescono da queste approssimative microraffinerie devastando le foreste ed inquinando pesantemente le vie d’acqua circostanti. La costruzione degli oleodotti da parte delle grandi compagnie petrolifere per il trasporto del greggio richiede a sua volta il disboscamento di intere aree di antiche foreste come mostrano le immagini.

Sul fronte della modernità, la ricerca di innovazione è ai suoi massimi storici e ha portato a una serie di strategie ecocompatibili così da poter alimentare il nostro stile di vita occidentale. La centrale solare PS10 a Siviglia in Spagna utilizza energia solare per produrre elettricità. La veduta aerea del sito mostra una scena che normalmente non vedremmo: torri solari circondate da una distesa di specchi inclinati, detti specchi eliostatici. Questi apparecchi sono in grado di muoversi durante il giorno per riflettere più sole possibile. Quando i raggi colpiscono le torri, il calore immagazzinato produce vapore, il quale va ad alimentare una turbina, che a sua volta mette in moto un generatore di elettricità. In Arizona a Clifton, le straordinarie immagini della miniera di rame Morenci mostrano i depositi liquidi degli affluenti di risulta del processo di estrazione del rame.

I colori marmorizzati e l’andamento spiraleggiante sono dovuti ai materiali pesanti liscivati. La fusione del rame, che utilizza il processo di riduzione a umido per l’estrazione del metallo dal minerale, richiede grandi quantità di acqua, dai 1500 ai 3000 litri di acqua per tonnellata di minerale processato.

(Arpat)




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