Discorso sull'agricoltura contadina - Incontro Collettivo Ecologista
Proposta
di progetto organico legislativo per
un
ripopolamento ecosistemico delle zone rurali e
per
la valorizzazione del demanio agricolo
nella
Regione Umbria
di Sergio Cabras
BREVE PREMESSA
La proposta vuol richiamare
l’attenzione di politici ed amministratori della Regione Umbria,
insieme a quella di tutte le persone di buona volontà e che hanno a
cuore i temi dell’ambiente, del paesaggio, della biodiversità,
dell’occupazione, della qualità della vita e del cibo,
sull’opportunità di destinare quanto più possibile la grande
risorsa/bene comune del demanio agricolo ad un progetto teso ad una
gestione del territorio che si muova nella prospettiva di una
sostenibilità intesa in senso ampio e non in quella della vendita e
del fare cassa per convenienze contingenti.
La proposta è quella di fare
delle zone rurali e marginali della Regione un territorio di
sperimentazione nel quale attirare persone a vivere e lavorare, in
un’ottica di ripopolamento umano. Un ripopolamento che definiamo
ecosistemico in quanto tende all’inserimento della presenza e delle
attività umane nel contesto ambientale sotto i loro molteplici
aspetti in modo che questi non siano né in contraddizione tra di
loro né con tale contesto, bensì elementi di un (eco)sistema
complessivamente in armonia.
Il progetto di un tale
ripopolamento sarebbe legato, da un lato, ad una serie di misure di
facilitazioni ed incentivi atte a creare un contesto favorevole a chi
voglia trasferirsi in un territorio protetto da garanzie di
conservazione ambientale e, dall’altro, a vincoli e misure volte ad
assicurare che lo stesso territorio sia mantenuto, appunto, nelle
migliori condizioni ecologiche possibili nel tempo.
Siamo fiduciosi che ci siano oggi
in Italia e non solo molte persone interessate a trovare un
territorio che dia garanzie durature di tutelare stili di vita e di
economia sostenibili ambientalmente ed umanamente (e di continuare a
tutelarli anche in futuro) e che sarebbero disposte a pagare un
prezzo – che, secondo i casi e le possibilità di ciascuno, può
essere finanziario o di adattamento o come sforzo di
iniziativa/creatività o lavorativo – per poter vivere in un tale
contesto. Siamo peraltro convinti, in questa ottica, che le zone
rimaste finora, come si usa dire, “marginali” (secondo il modo di
vedere unilateralmente orientato alla crescita economica) siano
invece una grande risorsa, proprio per essere ciò che sono e che si
tratti solo di intervenire con intelligenti e non invasive misure
legislative per aprirle all’utilizzo migliore che le persone che le
sanno apprezzare potrebbero farne. Con poca spesa peraltro per
l’amministrazione pubblica, ed anzi, con qualche opportunità di
entrate finanziarie per la Regione stessa e gli Enti locali e, nel
periodo relativamente più lungo, con ricadute benefiche da molti e
diversi punti di vista anche (ma certamente non solo) economici.
RIASSUNTO DEI PUNTI DEL PROGETTO
- Messa in vendita dei soli
casolari rurali demaniali crollati e semicrollati utili come cubatura
per ricostruirne di nuovi nel rispetto di vincoli paesaggistici ed
edilizi – fonte di entrate per la Regione e risposta coerente
all’articolo 66 del decreto “Salva Italia”;
- Contestuale riconoscimento del
demanio agricolo - comprensivo dei suoi edifici rurali abitati,
abitabili e/o facilmente recuperabili – come Bene Comune
inalienabile, inusucapibile e soggetto a vincoli di rispetto
ecosistemico. Delibera regionale di rifiuto netto in merito ad ogni
progetto di dismissione del demanio (ad eccezione di quanto detto nel
primo punto);
- Incentivi fiscali per gli acquirenti
dei beni di cui al primo punto;
- Disposizioni per l’assegnazione
dei beni demaniali agricoli (compresi gli edifici) per il
ripopolamento ecosistemico delle zone rurali (mantenimento al catasto
agrario degli edifici rurali demaniali);
- Iniziative regionali verso i
proprietari privati per incentivare il riutilizzo dei beni
abbandonati;
- Iniziative legislative regionali tese
a dare uno spazio di agibilità legale alle produzioni contadine,
sostenibili e su piccola scala;
- Altre iniziative legislative
regionali in materia di biodiversità agricola, turismo ed ospitalità
rurale sostenibile ed ulteriori aspetti collaterali.
- Disposizioni per la
valorizzazione del demanio agricolo
La Regione censisce tutti i casolari
rurali ed i terreni agricoli demaniali. Si impegna ad attuare tale
censimento in tempi prestabiliti e congrui. Per quanto riguarda i
casolari vengono distinte due categorie: quelli già crollati,
semi-crollati ed inagibili - che devono essere ricostruiti per intero
o ai quali servono opere importanti - e quelli privi dei soli
requisiti di abitabilità o già abitabili o anche già abitati.
Gli edifici appartenenti alla prima
categoria sono una ricchezza storica, paesaggistica ed una risorsa
abitativa rurale il cui recupero è però al di là delle possibilità
finanziarie degli Enti pubblici e di molti privati. Potrebbero essere
invece beni appetibili per privati dotati di sufficienti
disponibilità. Essi valgono essenzialmente come cubatura che
permette di ricostruire nello stesso luogo un’abitazione rurale.
Questi edifici, dunque – e solo questi – vengono resi disponibili
alla dismissione da parte della Regione in linea con l’articolo 66
del decreto “Salva Italia” del governo.
[In questa proposta si parla di
vendita di questa prima categoria di beni per un criterio di realismo
ovvero di compromesso considerata la manifesta volontà/necessità
dello Stato di vendere parte del demanio. In realtà più preferibile
sarebbe, anche per questi beni considerare non la vendita, bensì un
comodato d’uso gratuito a vita (con diritto di prelazione a
succedere da parte degli eredi) in cambio della ricostruzione degli
edifici rurali, sempre con gli stessi vincoli, e magari anche
favorendo la ricostruzione in bioedilizia o con paglia e terra cruda]
Vengono messi in vendita esclusivamente
a privati persone fisiche e non a società immobiliari o d’altro
genere, né per fondi di investimento immobiliare, e nella misura di
un solo edificio ad acquirente. La cubatura dà la possibilità di
ricostruire un edificio rurale nel rispetto di una serie di vincoli
quali forma e dimensioni simili a quelle dell’edificio originario,
materiali affini a quelli originari o comunque compatibili
ecologicamente e paesaggisticamente, destinazione d’uso
ecocompatibile. I ruderi vengono messi in vendita insieme ad un
massimo di due ettari di terreno annesso circostante la casa. Gli
acquirenti – se residenti ed esercitanti attività agricola
contadina (vedi oltre) – avranno diritto di prelazione per
l’assegnazione dei terreni ascritti al podere originariamente di
pertinenza del casolare acquistato.
Per tutto il resto del demanio agricolo
e rurale la Regione delibera opponendosi nettamente ad ogni ipotesi
di alienazione di tali beni come già è stato fatto da parte di
altre Regioni (vedi, ad esempio la risoluzione dell’Assemblea
Legislativa dell’Emilia Romagna n. 2346 approvata all’unanimità
nella seduta del 27/3/2012). Tutto il resto del demanio agricolo –
comprendente sia edifici che terreni anche boschivi – viene
dichiarato ufficialmente ‘Bene Comune’ della popolazione
dell’Umbria e pertanto bene inalienabile, inusucapibile e soggetto
a vincoli di rispetto ecosistemico (vedi oltre). Gli edifici rurali
attualmente appartenenti al catasto agrario vi rimangono quale parte
integrante dei poderi agricoli e viene bloccata ogni procedura di
loro passaggio al catasto urbano.
La seconda categoria comprende gli
edifici rurali demaniali – quelli ancora in piedi, sebbene privi
dei requisiti di abitabilità, ed anche quelli già abitati (anche,
eventualmente, senza un contratto regolare) – i quali, dunque, se
accatastati al catasto agrario, non possono essere trasferiti a
quello urbano e devono restare parte integrante dei poderi agricoli.
Devono essere inoltre esclusi da ogni possibilità di
vendita/dismissione e – insieme a tutti i terreni appartenenti al
demanio agricolo ad eccezione degli edifici rurali di cui al primo
punto – vengono considerati ufficialmente dalla Regione come ‘Bene
Comune’ della popolazione dell’Umbria.
Questi edifici, insieme ai terreni del
podere di pertinenza, vengono destinati ad ‘assegnazione di
ripopolamento’ nei termini che verranno descritti in seguito.
Il richiedente – secondo tali termini
- un bene demaniale rurale non ancora censito (ovvero in assenza
dell’avvenuto censimento da parte della Regione oltre la scadenza
prevista) può presentare una perizia di propria parte che attesti le
condizioni del bene da cui si evinca la sua appartenenza alla prima o
alla seconda categoria e pertanto ottenere che entro un termine di 60
giorni sia attestata da parte della Regione (o altrimenti d’ufficio)
la disponibilità del bene per la vendita o per l’assegnazione di
ripopolamento (vedi oltre).
Dato il cospicuo numero di casolari
demaniali abbandonati semidistrutti o del tutto crollati, ma utili
come cubatura, la Regione dovrebbe poter ottenere entrate
consistenti.
- Sia in quanto il loro numero in tutto
il territorio Regionale è, appunto, notevole,
- sia perché il loro valore
commerciale come cubatura non è troppo diverso da quelli dei ruderi
ancora in piedi – dato che spesso in questi casi il nuovo
proprietario preferisce distruggere in tutto o in parte il vecchio
edificio e ricostruirlo ex-novo –
- sia in quanto la Regione predispone
collateralmente una serie di provvedimenti che assicureranno agli
acquirenti di acquistare un bene situato in un contesto che avrà e
manterrà nel tempo una serie di caratteristiche di rispetto
ecosistemico speciali (vedi oltre) che possono essere particolarmente
interessanti per una certa tipologia di possibili acquirenti.
La Regione, all’occorrenza stipulando
accordi appositi con lo Stato, l’Agenzia delle Entrate o gli Enti
preposti, riconosce una serie di agevolazioni fiscali a chi acquista
un casolare distrutto come prima casa e stabilendovi la residenza
presso l’anagrafe. Ad esempio, le spese sostenute dal proprietario
per alcune opere fondamentali, come la realizzazione o il ripristino
della strada di accesso, il collegamento alla rete elettrica o
all’acquedotto (se possibile), la realizzazione di un pozzo o le
opere necessarie per l’utilizzo di una sorgente, la realizzazione
di impianti di energie rinnovabili come il fotovoltaico, l’eolico e
il geotermico, verrebbero scontate fino all’annullamento dalle
imposte per l’acquisto e dalle tasse sulla casa per un periodo di
dieci anni. Per la realizzazione di alcune di queste opere gli Enti
pubblici stessi come le (ex)Comunità Montane potrebbero essere
impiegate con i propri mezzi così che i costi sostenuti dal
proprietario e scontati dalle imposte diverrebbero comunque in altra
via un guadagno per un Ente pubblico. Ciò varrebbe particolarmente
per la realizzazione delle strade d’accesso, che dovrebbero
comunque rimanere non private – tranne eventualmente l’ultimo
breve tratto nei pressi dell’abitazione – ma vicinali/poderali. I
ruderi acquistati come seconde case o comunque usati come case per
vacanze sarebbero considerati abitazioni di lusso e tassati di
conseguenza. Eventualmente alcuni sgravi fiscali potrebbero essere
previsti in questo caso esclusivamente a compensazione di spese
sostenute dal proprietario per la realizzazione di impianti di
energie rinnovabili.
La Regione istituisce – segnatamente
nelle zone dove insistono i beni destinati all’alienazione come
detti sopra e quelli destinati all’assegnazione come detto qui di
seguito – “distretti di rispetto ecosistemico” in cui vengono
adottate misure stringenti di salvaguardia ambientale come il divieto
totale dell’uso di pesticidi, diserbanti e concimi chimici, di
coltivazioni di ogm anche solo a titolo sperimentale, di qualsiasi
tipo di impianto industriale inquinante compresi gli inceneritori (o
altrimenti denominati), forti limitazioni alla caccia, abolizione di
allevamenti animali senza adeguata superficie a pascolo, disposizione
di sostanziali incentivi per impianti di energie rinnovabili…
- Disposizioni per
incentivare il ripopolamento ecosistemico delle zone rurali
Gli edifici demaniali rurali
appartenenti alla seconda categoria ed i terreni (tutti o parte di
essi secondo la richiesta degli interessati) appartenenti ai poderi
di loro pertinenza ed i terreni agricoli demaniali eventualmente non
ascrivibili ad alcun podere vengono assegnati a persone (fisiche o
riunite in associazioni o cooperative agricole, sociali o miste) che
vogliano ripopolarli e lavorarli coerentemente con una serie di
principi ecosistemici. L’affidamento anche con contratto di tipo
agricolo è peraltro contemplato anche nell’articolo 66 del Decreto
“Salva Italia”, dove si prevede una precedenza per gli
agricoltori con meno di quarant’anni di età. Va detto, di
passaggio, che nel caso in particolare degli abitanti i casolari
ex-occupati del Monte Peglia, pur trattandosi di persone oggi tutte
sopra tale limite d’età, quando sono arrivati a ripopolare i
poderi allora in totale stato di abbandono che hanno tenuto in piedi
fatti rivivere fino ad oggi erano tutti poco più che ventenni, hanno
dovuto attendere corca venticinque anni per una minima
regolarizzazione della durata decennale e sono ora di nuovo in attesa
di un riconoscimento della funzione che hanno svolto in queste zone
per quasi un quarantennio. L’accordare a loro gli stessi privilegi
previsti per i “giovani agricoltori” dall’art. 66 crediamo che
sarebbe a questo punto un atto dovuto.
Si propone di seguito una bozza di
linee guida per queste ‘assegnazioni di ripopolamento’:
BOZZA PER UNA PROPOSTA DI LEGGE
REGIONALE
PER L’ASSEGNAZIONE DEI
BENI RURALI DEMANIALI ABBANDONATI
E PER UNA
LORO DESTINAZIONE “ECOSISTEMICA”
(Questa bozza fu elaborata
nell’inverno 1991-92 dall’Associazione “La Spinosa” che
riuniva gli occupanti del Monte Peglia ed alcuni simpatizzanti: fu
proposta allora ad alcuni gruppi consiliari regionali, ma di fatto
ignorata)
La proposta riguarda principi e
modalità per l’assegnazione dell’uso abitativo ed agricolo dei
beni rurali del demanio anche in stato di abbandono e/o non
attualmente abitati o utilizzati (comprendenti case coloniche e
terreni) a persone che ne facessero richiesta per viverci in modo
ecosostenibile.
Il contenuto della bozza riguarda:
- le ragioni e gli obiettivi della proposta
- come tecnicamente potrebbero essere assegnati i beni del demanio
- come la Regione può controllare che il loro uso sia quello desiderato
Spirito della legge
Riconosciuto che l’attuale modello
di produzione e sviluppo dei paesi fortemente industrializzati come
il nostro è causa, per motivi strutturali, di una serie di
conseguenze pericolose e spesso disastrose quali i pesanti danni già
arrecati all’ambiente e all’equilibrio ecologico con l’estinzione
di numerose specie viventi ed il minaccioso cambiamento climatico;
Riconosciuto che i tentativi di
risolvere problemi di tale entità in modo ideologico, per schemi di
portata generale, pianificato e forzato hanno ovunque fallito;
Riconosciuto che è oggi il tempo di
dare spazio anche a chi vuol tentare una via diversa: quella di
“esperimenti” molto concreti e pratici e che questi, per esser
tali, dovranno essere necessariamente su piccola scala:
Riteniamo che nel cammino verso la
soluzione delle citate grandi questioni del nostro tempo dovranno
necessariamente giocare un ruolo importante una serie di scelte di
vita individuali e collettive che in varie forme pratichino un
cambiamento concreto da un orientamento di tipo consumistico ad un
altro radicalmente diverso e sostenibile, che ci piace definire
“ecosistemico”.
Riteniamo inoltre che la portata
sociale di tali cambiamenti individuali non vada a priori
sottovalutata in quanto potrà essere ampia tanto più quanto più
questi saranno numerosi e che perciò il compito delle istituzioni,
da questo punto di vista, dovrebbe essere quello di creare le
condizioni più favorevoli perché ciò possa avvenire.
Quando le persone che concretamente
basano la propria sussistenza su un modello differente di
produzione/consumo non saranno più solo pochi e sporadici pionieri,
ma costituiranno uno strato sociale che, per quanto sottile, sarà
radicato nella società e su specifiche basi economiche (cosa della
quale, almeno nelle campagne di alcune tra le regioni italiane, si
vedono i segni iniziali), ciò di per sé contribuirà a favorire
meccanismi di vario genere (socio-politici-economici-culturali ecc…)
che potranno porre le indicazioni verso un mutamento di tendenza di
più vasta scala in termini non più utopistici e ideali, ma
concretamente possibili.
La presente bozza iniziale per una
più compiuta e dettagliata proposta di legge da definirsi vuole in
effetti essere un primo passo verso l’apertura di uno spazio
giuridico per la possibilità ad esistere di un settore ancorché
minoritario di popolazione che fin d’ora, all’interno di questo
sistema, comincia a vivere basandosi sul modello di un’altra idea
di “sviluppo” non più incentrato unilateralmente sull’aumento
della ricchezza e dei consumi.
Obiettivi e valenze parallele della
legge
- Incentivare forme di economia familiare dai consumi sostenibili;
- Favorire nuove forme di occupazione giovanile (e non solo) e contrastare o prevenire fenomeni di disagio e/o emarginazione sociale;
- Favorire l’insediamento nelle zone rurali, anche disagiate e marginali, di abitanti che si facciano carico di salvaguardare le condizioni ambientali, paesaggistiche, idrogeologiche e della biodiversità dei territori che abitano;
- Presidiare i
territori collinari montani incentivandone una gestione responsabile
anche al fine
di prevenire
condizioni di abbandono che possono diventar causa di disastri come
le
alluvioni
verificatesi recentemente che sarebbero molto ridotte se ci fosse chi
si prende cura
– com’era
in passato – dei corsi d’acqua secondari, dei terrazzamenti,
pendii e declivi, per
l’uso
agricolo dei campi;
- Promuovere il recupero dei beni demaniali abbandonati nelle zone marginali e montane, favorendo la presenza di persone che, per l’attività che vi svolgono, possano prendersene cura sia dal punto di vista ambientale che paesaggistico;
- Incentivare il ripopolamento di tali zone;
- Recuperare all’agricoltura sostenibile e su piccola scala, l’agricoltura contadina, zone altrimenti abbandonate e improduttive incentivando altresì le produzioni di qualità e le specialità locali tradizionali nonché forme di turismo rispettoso e di minimo impatto;
- Favorire lo sviluppo e la diffusione di pratiche autentiche di agricoltura biologica, tale da garantire la salvaguardia della biodiversità;
- Proporre, promuovere e concretizzare un uso sociale ed ambientale dei beni demaniali che valga come alternativa all’orientamento attualmente prevalente da parte del governo nazionale che è quello della vendita del demanio ai privati per ragioni di cassa (questa destinazione alternativa potrebbe essere preferita almeno per la parte dei beni demaniali di valore commerciale secondario, ma al tempo stesso di grande importanza ambientale e paesaggistica come quelli del demanio agricolo);
- Perseguire questi obiettivi con il minimo possibile di spesa da parte dell’ente pubblico e ponendo condizioni rigorose atte ad escludere la possibilità di abusi, speculazioni o frodi ovvero tali da destare interesse nella possibile assegnazione dei beni solo in coloro che sinceramente vogliano usarli nel modo e per i fini previsti.
Criteri nella
modalità di applicazione della legge
- Fatto in tempi certi il censimento dei beni demaniali nella disponibilità della Regione, viene stilato l’elenco dei casolari inseriti nella seconda categoria e relative pertinenze di terreno demaniale – come anche appezzamenti di terreno agricolo demaniale non di pertinenza di fabbricati o indipendente da essi – già abitati o viceversa abbandonati e/o non abitati o non utilizzati che la Regione ritiene di poter affidare;
- Per quanto riguarda casolari e terreni attualmente abitati i rapporti in essere vengono convertiti, su richiesta degli attuali abitanti e qualora vi siano le condizioni di attività agricola effettivamente svolta, automaticamente in affitti di tipo agricolo secondo la legge 203/82;
- Dopo una adeguata campagna informativo-pubblicitaria ad opera della Regione stessa o di un eventuale comitato promotore della legge, si apre l’accoglienza delle domande di affidamento dei poderi non utilizzati: unico requisito per fare domanda sarà l’accettazione degli impegni che l’affidamento comporta;
- In assenza o ritardo di tale iniziativa da parte della Regione i soggetti interessati possono comunque fare domanda per i poderi documentandone lo stato che ne determina la disponibilità per l’utilizzo in questione ed hanno diritto ad una risposta entro un termine ragionevolmente breve (ad es, di 60 giorni) che può essere positiva o, se negativa, che deve essere motivata fermo restando l’impegno della Regione a non lasciare più in stato di abbandono/inutilizzo alcun casolare/podere demaniale né a venderlo tranne che non sia di quelli inseriti nella prima categoria, (semi)crollati ed utili solo come cubatura;
- Saranno gli stessi titolari della domanda di affidamento a scegliere il podere fra quelli disponibili. Sarà data precedenza ai residenti nella Regione nella quale si trovano i beni richiesti, ai disoccupati, ai licenziati, ai cassintegrati ed a coloro che per motivi particolari (per es. ex-carcerati, ex-tossicodipendenti….) possono trovare maggiori difficoltà a trovare un lavoro, a chi non possiede alcun bene immobile. Case con più di due ettari di terra e terreni privi di casolari saranno assegnati esclusivamente a coloro che si impegnano a svolgervi un’attività agricola entro un termine da stabilire ed in questo caso sarà data precedenza a chi possa dimostrare una qualche esperienza e competenza in campo agricolo al qual fine saranno presi in considerazione esperienze lavorative, titoli di studio ed anche la discendenza da genitori agricoltori. Naturalmente, fatto salvo ogni altro elemento di graduatoria, la precedenza sarà data secondo la data di arrivo della domanda all’ente regionale;
- La Regione e l’assegnatario (ma potrà trattarsi anche di più persone per uno stesso podere o di persone giuridiche senza fini di lucro quali associazioni, cooperative ecc…) stipulano un contratto agrario secondo la legge 203/82 (si potrebbe anche pensare ad un uso gratuito) o in ogni caso una forma di contratto fortemente agevolato e tale da favorire il più possibile una progettualità a lungo termine da parte dell’affittuario che deve anche essere nelle condizioni previste per accedere a contributi e finanziamenti eventualmente messi a disposizione da parte di enti nazionali ed europei. Per le case senza terra o non provviste di una superficie ad uso agricolo tale da giustificare un contratto agrario si stabiliranno comunque condizioni di canone agevolate. L’assegnatario si impegna ad eseguire (eventualmente di propria mano “in economia diretta” come era previsto dalla legge 203/82) i lavori di manutenzione straordinaria volti ad ottenere i requisiti minimi di abitabilità per il fabbricato secondo il progetto di intervento stabilito dall’ente regionale o da altro ente da esso delegato il quale ha la facoltà di controllare che i lavori vengano svolti in modo conforme. Le spese che l’assegnatario dovrà sostenere per la ristrutturazione verranno poi scomputate dall’affitto calcolando i materiali secondo la presentazione delle ricevute d’acquisto e la manodopera proporzionalmente agli standards delle imprese edili. Relativamente alle condizioni iniziali della casa si stabilirà fra l’ente pubblico e l’assegnatario (in un clima di collaborazione che si auspica dovrebbe caratterizzare tutte le fasi e gli aspetti del rapporto) un adeguato limite di tempo – in ogni caso sufficientemente lungo, per es. non inferiore a tre anni – entro il quale l’intervento di ristrutturazione deve essere completato e superato il quale la Regione può, se lo ritiene opportuno, revocare l’assegnazione.
- Fin dall’inizio dell’affidamento l’affittuario è tenuto a non usare nella sua attività agricola (qualora questa ci sia) alcuna sostanza quali concimi chimici, diserbanti, pesticidi, insetticidi, anticrittogamici, organismi geneticamente modificati ed altre sostanze non ammesse in agricoltura biologica; non è però tenuto ad ottenere la certificazione biologica da parte di ente terzo autorizzato (a meno che la Regione non intenda stipulare un accordo apposito con uno di questi enti e farsi carico in tutto o in parte delle spese necessarie – in tal caso si potrebbe prendere in considerazione anche la possibilità di una “Certificazione di Gruppo”, vedi Reg. CE 834/07);
- Dallo scadere del periodo iniziale concordato in poi la Regione e/o i suoi delegati possono in qualsiasi momento e senza preavviso venire a controllare direttamente che gli obiettivi della legge siano rispettati ovvero che sussistano una serie di requisiti:
- oltre ad avervi la residenza anagrafica l’affittuario deve effettivamente risiedere abitualmente nel podere e prendersene cura;
- per verificare che nell’agricoltura praticata non siano state usate sostanze non ammesse possono essere effettuati prelievi di terreno o di prodotti da analizzare;
- l’ambiente circostante deve essere rispettato.
- Le opere necessarie per l’ottenimento dei requisiti minimi di abitabilità devono essere state completate.
- Si potrebbe anche prevedere la possibilità che la Regione definisca – prevedendo eventualmente anche una serie di requisiti richiesti – un qualche titolo giuridico da dare su sua delega all’affittuario che ne facesse richiesta da far valere verso terzi in funzione della salvaguardia ambientale e per la vigilanza ecologica del territorio circostante il bene assegnatogli. Questo compito potrebbe comprendere anche accordi per lavori quali la manutenzione di sentieri, di canali dell’acqua piovana, di terrazzamenti e muretti a secco, bacini idrici, la segnalazione e pulizia di discariche abusive ecc… che l’affittuario potrebbe condurre in sostituzione parziale o totale del pagamento del canone d’affitto;
- Le persone a cui viene assegnato un bene demaniale secondo questa legge si impegnano a non avere un livello di reddito e di consumi pro-capite sproporzionato rispetto alle attività che conducono, verificabile con controlli incrociati e pena il venir meno dell’assegnazione del bene. Tali limite sarebbe ovviamente relativo alle diverse tipologie di condizione economico-familiare (ad esempio per chi è singolo, sposato, con figli, con persone a carico ecc….)
- Qualora l’affittuario risultasse inadempiente rispetto ai requisiti sopraelencati la Regione recide il contratto e rende il bene disponibile per altri. Fino a che nessun altro ne facesse domanda, però, la Regione può lasciare il bene stesso al precedente affittuario con un contratto a breve termine rinnovabile e secondo le correnti condizioni di mercato.
- In qualsiasi momento l’affittuario può recidere il contratto e rilasciare il bene assegnatogli senza con ciò aver diritto a pretendere alcunché per le migliorie apportate al bene pubblico di cui ha avuto fino allora disponibilità. In questo caso i suoi conviventi residenti (qualora ce ne fossero) hanno dritto di prelazione a succedergli nella titolarità del contratto di affitto in ordine di anzianità di residenza.
Una nota a margine
Il precedente
paragrafo sulle modalità d’applicazione va considerato solo come
uno schema indicativo generale.
E’ importante
comunque prevedere possibili controlli in modo abbastanza severo sia
per far sì che una tale legge invogli solo chi è già convinto di
voler fare una precisa scelta di vita, ma gliene manca solo
l’occasione, sia perché la proposta possa apparire, per così
dire, degna di fiducia agli occhi di chi si trova ad amministrare la
cosa pubblica e alla cittadinanza in generale – che è poi il
proprietario finale della cosa pubblica.
Si tratta certo di
un’idea che va controcorrente e che può apparire antieconomica –
e lo è nel senso convenzionale – ma credo vada invece riconosciuta
la sua “convenienza” in una prospettiva più lungimirante e
globale.
Del resto, anche in passato, ci
sono state proposte che andavano in una direzione simile; come ad
esempio il dibattito che era stato avviato nei primi anni ’90 da
parte di un gruppo consiliare della Comunità Montana di S. Venanzo
sull’idea di un Parco Bioregionale, il cui progetto comprendeva
(insieme ad altre proposte che potrebbero essere recuperate come
allevamento di selvaggina con
colture a perdere, osservazione, eventuali cure e censimento degli
animali in cui coinvolgere i cacciatori insieme ai guardiani del
parco in cambio di un prelievo venatorio programmato degli animali
divenuti troppo numerosi; proposte di didattica ambientale e turismo
sociale con raccolta guidata di piante e funghi; creazione di
strutture agrituristiche ed itinerari a piedi e a cavallo)…
affitto di lungo termine di casolari abbandonati in cambio delle
spese di ristrutturazione; contratti di lungo termine con la
popolazione rurale per i servizi turistici e di manutenzione.
E’ essenziale,
comunque, che, qualora un giorno una proposta come quella appena
esposta potesse prendere forma concretamente come disegno di legge
vero e proprio, ne sia rispettato lo spirito fondamentale cioè
quello di puntare in primo luogo ad un recupero ecologico, sociale,
paesaggistico e di gestione/salvaguardia del territorio dei beni
rurali abbandonati e delle zone in cui questi si trovano e non
(sebbene ciò non sia per principio incompatibile o da escludere)
quello di cercare una improbabile via di sviluppo economico di queste
zone o di una valorizzazione economica di questi beni. Di
conseguenza i controlli o le limitazioni da porre agli affittuari
potranno essere coerenti con lo spirito che informa la proposta, ma
non potranno limitarsi ad entrare nel merito di quale incremento le
loro attività portino o meno all’economia della zona, quali
prospettive esse abbiano di inserirsi con successo nel mercato e la
sua competitività o quanto siano credibili da un punto di vista
imprenditoriale e produttivo. In quanto cose di questo genere
restringerebbero la valutazione a problematiche estranee e perfino
antitetiche alla prospettiva di una sostenibilità molto più ampia
in cui la proposta è concepita.
- Interessamento
della Regione presso i proprietari privati:
Nella stessa ottica di favorire un
ripopolamento ecosistemico delle zone rurali la Regione può
adoperarsi anche perché gli stessi proprietari privati di beni
(casolari e terreni) abbandonati o non utilizzati li possano mettere
a disposizione. Questo potrebbe essere fatto attraverso incentivi
quali sgravi fiscali a chi affitta, ad esempio:
- con contratto agrario (legge 203/82)
per un uso agricolo definito come “contadino” (secondo la
definizione che verrà data in seguito);
- in Comuni con popolazione inferiore
ad una data cifra (per es. 5000 abitanti);
- in zone rurali di qualsiasi Comune,
ma al di sopra di una certa altitudine (per es. 300-400 mts. slm).
Ed anche potrebbe comprendere
l’interessamento della Regione al formarsi di Associazioni
Fondiarie, che sono uno strumento (molto diffuso in Francia)
particolarmente adatto a favorire l’aggregazione di proprietari di
appezzamenti molto piccoli – magari marginali ed abbandonati - per
metterli tutti insieme a disposizione affittandoli a chi voglia
coltivarli e/o usarli come pascolo con una ricaduta positiva in
termini sia paesaggistico-turistici del territorio che con possibili
eventuali sviluppi microimprenditoriali/occupazionali. Una esperienza
in questo senso sta prendendo forma, ad esempio, nel piccolo Comune
piemontese di Avolasca (Allessandria) i cui referenti, quanto a
questo progetto, sono il sindaco, Walter Raimondi ed il professor
Andrea Cavallero dell’Università di Torino (per avere un’idea
http://www.youtube.com/watch?v=CS0OIC7Co00).
- Iniziative
legislative per favorire sviluppo e diffusione di
microimprenditorialità agricole contadine
Nell’ottica di un recupero e di un
ripopolamento rurale che sia anche una forma di salvaguardia
ecosistemica è imprescindibile che a ciò si accompagnino condizioni
che permettano, a coloro che hanno la volontà di farsi parte attiva
in prima persona di un tale progetto, di avere il modo di guadagnarsi
da vivere. Nel caso di agricoltori su piccola scala ciò significa
aver la possibilità di produrre, trasformare e vendere alimenti
secondo modalità e regole adeguate alla propria specifica tipologia
produttiva. Purtroppo, allo stato attuale delle cose, questo è molto
difficile per i piccoli produttori in quanto le leggi europee e
(ancor più) nazionali sono concepite a misura dell’industria
agroalimentare, richiedendo attrezzature e strutture che comportano
costi eccessivi dei quali una piccola azienda non potrà mai
rientrare – cosa che ha contribuito non poco all’estinzione delle
aziende contadine ed allo spopolamento delle campagne, con la perdità
di qualità del cibo e di salvaguardia di paesaggio e territorio che
è sotto i nostri occhi. Le motivazioni addotte nel porre requisiti
di legge così inarrivabili sono spesso quelle della sicurezza
igienico-sanitaria, ma non si considerano abbastanza a questo
proposito le reali potenzialità di rischio delle produzioni
artigianali se confrontate con quelle della grande industria ed il
fatto che i grandi scandali alimentari degli ultimi decenni sono
sempre venuti da quest’ultima.
Ciò che occorre perché giovani e
meno giovani tornino a prendere in considerazione la possibilità di
vivere e lavorare in campagna (e non solo nelle pianure più
produttive – e inquinate) sono normative pensate appositamente per
un’agricoltura sostenibile e su piccola scala che possa di nuovo –
ed orgogliosamente – chiamarsi contadina.
Dal momento che l’agricoltura è una
materia attualmente affidata alle Regioni, concepire ed implementare
tali normative è compito del governo Regionale. Anche nella
legislazione sull’alimentazione, del resto, le Regioni concorrono
con il loro ruolo.
I Regolamenti
europei di riferimento lasciano spazio aperto per quanto riguarda le
produzioni su piccolissima scala:
Nel
Considerando 9 del Reg. CE 852/04 viene detto:
Le
norme comunitarie non dovrebbero applicarsi alla produzione primaria
per uso privato domestico, né alla preparazione, alla manipolazione
o alla conservazione domestica di alimenti destinati al consumo
privato domestico. Inoltre, esse dovrebbero applicarsi solo alle
imprese, concetto che implica una certa continuità delle attività e
un certo grado di organizzazione.
Inoltre,
all’articolo 1 paragrafo 2 dello stesso Regolamento CE:
Il
presente regolamento non si applica:
a) alla produzione primaria
per uso domestico privato;
b)
alla preparazione, alla manipolazione e alla conservazione domestica
di alimenti destinati al consumo domestico privato;
c)
alla fornitura diretta di piccoli quantitativi di prodotti primari
dal produttore al consumatore finale o a dettaglianti locali che
forniscono direttamente il consumatore finale.
Il Reg. CE
853/04, ripetendo la stessa formula, include anche la vendita diretta
ai
laboratori annessi agli esercizi di commercio al dettaglio o di
somministrazione a livello locale che riforniscono direttamente il
consumatore finale.
Il Reg. CE 2074/05 si occupa di una
serie di deroghe ai regolamenti di riferimento previste per gli
alimenti cosiddetti “tradizionali” e dice (art.7):
1.
Ai fini del presente regolamento, s'intende per «prodotti alimentari
che presentano caratteristiche tradizionali» prodotti alimentari
che, nello Stato membro in cui sono tradizionalmente fabbricati,
sono:
a)
storicamente riconosciuti come prodotti tradizionali; o
b)
fabbricati secondo riferimenti tecnici codificati o registrati al
processo tradizionale o secondo metodi di produzione tradizionali; o
c)
protetti come prodotti alimentari tradizionali dalla legislazione
comunitaria, nazionale, regionale o locale.
Attualmente, in
Italia, esistono una serie di prodotti classificati come STG
(Specialità Tradizionali Garantite) – ma anche altri con altre
denominazioni – che godono di una serie di deroghe alle leggi
igienico sanitarie europee (peraltro, le più severe del mondo). Ma,
nell’attuale interpretazione italiana di questa norma, si può
trattare solo di ben precise specialità con un nome ed una tecnica
di produzione rinomata e codificata. Non quindi di un’agevolazione
applicabile alla generalità delle produzioni di qualità,
ecorispettose e su piccola scala, prodotte come si faceva una volta
(prima dell’avvento dell’agricoltura industriale) e perciò, in
questo senso “generico”, tradizionali .
Il terzo punto
dell’articolo sopracitato, però, ci dice che è a discrezione
delle Regioni (e, stando al testo, forse perfino dei Comuni)
stabilire cosa va protetto come ‘prodotto alimentare tradizionale’
o meno. E va osservato che i tre punti a), b) e c) non sono separati
dalla congiunzione e, ma da o. Ciò implica che non si
tratta di tre caratteristiche che debbano essere presenti tutte
insieme, ma anche in alternativa.
Inoltre, in
un’ottica più ampia e non limitata al solo punto di vista della
commerciabilità e del mercato, il focus dell’attenzione potrebbe
essere spostato/allargato dall’elemento del prodotto in sé –
come avviene nel caso di tutte le varie denominazioni STG, IGP, IGT,
DOC, DOP, PAT ecc… - ad un concetto più ampio che definisca, in un
insieme coerente ed organico, tanto il produttore/l’azienda, che la
modalità di produzione, che il prodotto finale.
Questa
considerazione complessiva potrebbe delineare il profilo di ciò che,
aggiornandola, potremmo di nuovo chiamare azienda/produzione
contadina. Definita dalle seguenti caratteristiche:
- è su piccola scala:
va definita una soglia bassa di superficie massima ammissibile di
terreno per addetto relativa alle diverse colture; lo stesso per i
capi di bestiame (il cui numero deve essere proporzionato anche alla
superficie disponibile a pascolo essendo inaccettabile in questo caso
l’allevamento totalmente al chiuso); non va prevista invece una
soglia minima, potendo includere in questa tipologia anche attività
quali l’apicoltura e la raccolta di erbe spontanee;
- è a basso tasso di
meccanizzazione : il lavoro manuale deve mantenere una parte
importante nel processo di produzione; i macchinari dell’azienda
devono corrispondere a ciò che la sua estensione e le sue
colture/allevamenti oggettivamente richiedono (non è possibile
passare come azienda contadina e lavorare poi come contoterzista con
macchine sproporzionate ad un’azienda di piccole dimensioni. Gruppi
di aziende contadine potrebbero invece dotarsi collettivamente di
macchinari relativamente più grandi per un uso comune solo tra
aziende di questa stessa categoria e ad esse comunque proporzionati);
- fa produzioni e segue tecniche di
coltivazione/allevamento esclusivamente biologiche anche senza
certificazione da parte di ente terzo, autocertificate o garantite da
metodi di certificazione partecipativa;
- la vendita dei prodotti è
esclusivamente diretta, senza pubblicità e solo su base locale
(regionale ed eventualmente nelle province confinanti alla propria,
previa il consenso delle autorità localmente competenti) ed esclude
prodotti di provenienza extra-aziendale (totalmente e non solo oltre
il 49% come secondo il “principio di prevalenza” attualmente
vigente per le altre aziende); viene considerata vendita diretta
anche la consegna/spedizione direttamente a casa del consumatore
finale (anche se fuori regione) in seguito ad ordinazione diretta
online sul sito aziendale;
- non ha dipendenti ad
eccezione di eventuali avventizi per occupazioni occasionali con un
limite massimo molto contenuto di giornate annue;
- il reddito complessivo dei
titolari è contenuto , sia quello proveniente dall’attività
contadina (che non necessariamente deve essere quella principale) sia
sommando questo alle altre eventuali fonti di reddito. Si può
stabilire un limite per il reddito delle attività contadine nel caso
in cui queste siano quelle uniche o prevalenti ed uno diverso qualora
non lo siano. Il reddito può essere anche verificato dagli organi di
controllo fiscale confrontandolo con il tenore dei consumi;
- non svolge parallelamente altre
attività agricole non definibili come contadine;
Tali caratteristiche, a fronte di
alcune facilitazioni rispetto alle attuali normative, impongono
determinati limiti e circoscrivono un preciso ambito anche
commerciale tale da poter evitare un’accusa di concorrenza “sleale”
verso altre tipologie di produttori.
La Regione
potrebbe ritenere opportuno proteggere le produzioni contadine così
definite a causa del riconoscimento delle molteplici ricadute
ecosistemiche della loro presenza sul territorio rurale (salvaguardia
ambientale, territoriale, paesaggistica, idrogeologica, della
biodiversità, vantaggi per il turismo e per l’offerta
gastronomica, fonte di occupazione giovanile…) ed allargare il
concetto di “tradizionale” intendendolo in senso “generico”
al di là delle specialità particolari rinomate, ma in realtà
niente affatto generico in quanto ben definito dalle carattistiche
appena elencate.
La Regione
potrebbe istituire su tale base una categoria di aziende/produzioni
contadine con una normativa ad hoc in deroga rispetto a quelle
previste per gli altri tipi di produzioni agroalimentari.
In Italia già
esistono esempi di leggi già attualmente vigenti alle quali
ispirarsi che vanno in questo senso:
- Il Decreto
del Presidente della Provincia di Bolzano del 26 settembre 2008, n.
52;
Che è stato
anche ripreso dalle Giunte della
- Comunità Montana della Valle Stura (Cuneo) n. 97 del 1/12/2011
- Comunità Montana delle Valli Grana e Maira (Cuneo) n.119 del
4/10/2011
- Comunità Montana della Langa Astigiana e Val Bormida (Asti) n.45
del 28/11/2011
- Comunità Montana delle Terre del Giarolo (Alessandria);
- La Legge Regionale dell’Abruzzo n. 8 del 11/6/08 e
successive modifiche (n. 45/2010)
- Anche la Giunta Regionale del Veneto ha promulgato una normativa
che va menzionata (sebbene molto meno centrata nel senso che
intendiamo qui) con la Deliberazione n.2280 del 28 settembre 2010.
Ci sono inoltre proposte di leggi regionali che stanno attualmente
seguendo il loro iter e sembra abbiano buone probabilità di essere
approvate; una delle più interessanti è la:
- PROPOSTA DI LEGGE REGIONALE ALLA
REGIONE PIEMONTE.
Primo firmatario consigliere Mercedes
Bresso. Presentata il 13 agosto 2012
“Disposizioni per la lavorazione,
trasformazione e vendita di limitati quantitativi di prodotti
agricoli nell’ambito della filiera corta e produzione locale”
Una volta adottata a livello regionale una normativa sulla
trasformazione dei propri prodotti in azienda e la vendita diretta su
base locale degli stessi che metta in condizione i contadini di
lavorare, sarebbe inoltre necessario dare disposizioni che facilitino
o anche sanciscano il diritto degli stessi a vedersi riconosciuti da
parte dei sindaci degli spazi di mercato riservati in cui poter
vendere – anche qui, con normative adeguate. Tali spazi dovrebbero
essere concessi con cadenza almeno mensile in luoghi convenientemente
centrali e facilmente raggiungibili per mercati contadini non aperti
anche a commercianti o a grandi aziende agricole, bensì solo a
produttori definibili contadini per la corrispondenza ai requisiti
sopra elencati. La partecipazione a tali mercati non dovrebbe essere
condizionata all’appartenenza a categorie professionali o
all’iscrizione ad associazioni di categoria o d’altro genere, ma
solo al produrre e vendere nel territorio regionale secondo le
caratteristiche “contadine” sopra descritte, quindi a vendita
diretta e su base locale esclusivamente dei propri prodotti
aziendali. Il controllo della qualità – biologica, ecologica,
etica ed igienico-sanitaria – di prodotti ed aziende potrebbe
essere affidato a sistemi di certificazione partecipativa ad opera di
appositi comitati di garanti del mercato costituiti da rappresentanti
dei produttori/venditori, dei consumatori e da un tecnico della ASL.
- Iniziative collaterali
Le iniziative legislative utili a dare spazio ed agibilità legale a
nuovi insediamenti contadini ed ecosistemici per un ripopolamento
delle campagne che possa camminare con le proprie gambe e non sia
reso impossibile da mancanza di reddito/occupazione, né divenga una
realtà dipendente cronicamente dal sostegno pubblico, comprendono
una serie di altri aspetti a cui occorre pensare. Una proposta di
legge che fornisce delle linee guida utili ad una visione complessiva
dei diversi aspetti è quella su cui convergono diverse
organizzazioni contadine italiane di base e che si può trovare
integralmente sul sito dedicato www.agricolturacontadina.org
- e che comunque aggiungo in allegato a questo testo.
Altre opportunità ad un tempo di autosostentamento economico e di
salvaguardia ambientale, culturale e della biodiversità possono
venire dall’adottare leggi che favoriscano la conservazione e
coltivazione del patrimonio genetico delle varietà tradizionali
locali di piante ed animali. Un esempio fra gli altri che ci sono già
oggi in Italia è la Legge Regionale della Regione Toscana LR 64/04
(modifica della n.50/97) che si occupa di questa materia istituendo
tra l’altro la figura dei Custodi dei Semi.
Infine, un’attenzione speciale andrebbe rivolta all’ospitalità
rurale ed al turismo sostenibile, d’incontro, lento e di qualità
come attività collaterale di autentiche realtà agro-rurali
(dimensioni di vita da condividere e non ricostruzioni finte e di
maniera che imitano luoghi comuni pseudo-contadini a fini d’immagine
commerciali). Naturalmente senza rinunciare a standard dignitosi di
qualità degli alloggi e dei servizi offerti. Anche a questo scopo
occorrono normative adeguate alle attività su piccola scala. Una
ipotesi in questo senso potrebbe essere data dall’unione:
- per quanto
riguarda l’alloggio, delle normative sui Bed & Breakfast,
che richiedono requisiti non troppo esigenti, ragionevolmente
realizzabili in strutture abitative di campagna dignitose, ma senza
richiedere investimenti eccessivi,
- con, per
quanto riguarda la preparazione e la somministrazione di pasti
(normamente non consentita ai B&B, ma importante in un alloggio
rurale, magari in zone isolate), la limitazione ad un numero molto
contenuto di coperti (o eventualmente ai soli ospiti) e con il
vincolo che i pasti siano realizzati con prodotti dell’azienda.
Come per il laboratorio di trasformazione (secondo le leggi vigenti e
proposte di legge citate), la cucina dell’abitazione usata per i
pasti della famiglia ospitante (posto che abbia dei requisiti minimi)
dovrebbe essere considerata sufficiente. Altrimenti, un modello
legale a cui ispirarsi relativamente ai locali per la preparazione
dei cibi, potrebbero essere anche le normative attuali che regolano
questo aspetto per i rifugi alpini ed escursionistici e/o i requisiti
previsti per le cucine degli affittacamere, anche, eventualmente,
nella modalità autogestita da parte degli ospiti. Si può vedere in
proposito, a puro titolo esemplificativo, la Legge Regionale
dell’Emilia Romagna del 28 luglio 2004, n. 16.
Nessun commento:
Posta un commento