Noi vegetariani bioregionalisti ed ecologisti, non possiamo trascurare la nostra matrice animale, la nostra appartenenza ad un contesto culturale e la nostra fisiologia umana. Occorre considerare l’anatomia umana e la sua componente genetica ed osservare come l’uomo si ponga a mezza strada tra un animale carnivoro ed un erbivoro.
L’uomo era stato definito dall’anatomista Armando D’Elia “un animale frugivoro” assimilabile al gruppo che comprende la maggior parte dei primati, dei suini e degli orsi. Questi animali possono adattarsi, per motivi di sopravvivenza o di integrazione alimentare, ad una dieta che pur essendo massimamente vegetariana prevede anche l’uso di prodotti di origine animale. Certamente questa dieta varia anche in base all’ambiente ed alla latitudine ed è suscettibile di aggiustamenti in un senso o nell’altro.
Io personalmente mi sono avvicinato al vegetarismo dopo una prima permanenza in India è lì appresi attraverso la mia esperienza diretta che questa “dieta” è conduttiva a stati mentali più leggeri, essa si definisce infatti “satvica”, ovvero “spirituale” od “equilibrata”. Questa dieta è basata su cereali, frutta, vegetali e prevede anche l’uso moderato di derivati del latte, in forma di yougurt. Il miele è considerato quasi un medicinale e le uova compaiono molto raramente nelle pietanze solo in caso di necessarie integrazioni proteiche.
Ovviamente un sano rapporto uomo-animali non può essere basato sullo sfruttamento di questi ultimi. Infatti in India le vacche sono sacre e vengono trattate benissimo, i vitelli vengono lasciati alle madri sino al completo svezzamento e l’uomo si limita ad “appropriarsi” del sovrappiù del latte prodotto. Considerando che le mucche addomesticate da tempo immemorabile producono più latte di quanto necessario ai loro vitelli.
Se vogliamo restare esseri viventi in un contesto di altri esseri viventi non possiamo escludere una complementarietà mutualistica nei nostri rapporti con gli animali.
Certo oggigiorno vediamo che il consumo di carne e di prodotti di origine animale è aumentato enormemente in seguito all’allevamento industriale. E per soddisfare il sistema consumista milioni di galline vengono tenute in batteria per le nostre uova e milioni mucche soffrono legate ai loro stabulari…
Però non voglio negare all’uomo un rapporto simbiotico con gli animali. Anni fa, quando ancora abitavo a Calcata, ero solito tenerli liberi in un grande terreno lasciando che si sfogassero come volevano per la loro sopravvivenza e riproduzione, limitandomi io a prelevare una parte di uova “abbandonate” ovvero non utilizzate per la cova o qualche po’ di latte di capra. Poi sopraggiunsero le volpi ed i cani e fecero strage, e dovetti richiudere capre, pecore, galline e papere ed oche superstiti in piccoli recinti sempre però attaccabili da predatori di vario genere. Insomma senza la mia protezione nessuno di essi sarebbe sopravvissuto…
Comunque la natura è sempre giusta, se siamo in grado di accondiscendere alle sue regole ed a non intrometterci con le nostre “regole etiche e morali”. Dobbiamo trovare un punto d'incontro che non sia sfruttativo (in un senso o nell’altro), purtroppo la vita malsana in città ci porta a dover avere un rapporto con gli animali “liberi” molto falsato, magari portandoceli in casa… Oppure lasciandoli nel loro habitat (riserve naturali) dal quale noi stessi siamo esclusi (perché non più avvezzi a vivere nelle foreste ed in natura).
Però se alcune specie di animali avvezzi alla cattività da tempo immemorabile venissero rilasciati sarebbero destinati alla scomparsa, per via della eliminazione dal pianeta di un habitat idoneo (l’uomo occupa sempre di più ogni spazio vitale). Insomma andremmo verso un ulteriore impoverimento della biodiversità. Inoltre c’è il fatto che -dal punto di vista evolutivo- alcune specie di animali in simbiosi con l’uomo hanno trovato vantaggi nella cattività (sia per la diffusione, sia per l’avanzamento coscienziale).
Siamo tutti in una grande bolgia chiamata vita e non fa bene scindere gli uni dagli altri. Quindi diciamo no allo sfruttamento incondizionato ma sì al contatto empatico. L’uomo da animale istintuale e raccoglitore di cibo sparso, si è trasformato in un lavoratore che ricava attraverso il suo ingegno cibo e modi di crescita. Siamo in una scala evolutiva che in parte noi umani abbiamo percorso, ci manca ancora molto per arrivare alla cima della comprensione ecologica e spirituale, possiamo però aiutare coloro che sono ai primi gradini senza doverci vergognare. Sapendo che il loro bene è anche il nostro. Questo vale anche per le piante, per l’aria, per l'acqua, per le risorse accumulate sulla terra nei milioni di anni.
Secondo me non occorre decidere come rapportarci con gli altri esseri viventi e con gli elementi della natura sulla base di una ideologia (che sia essa vegana o religiosa), dovremmo invece sviluppare una coscienza ecologica sapendo che dove c’è sincerità, onestà e discriminazione automaticamente la verità ed il giusto comportamento prevalgono.
Paolo D'Arpini
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