Il fondamento della chimica verde è che chi progetta un prodotto chimico di qualsivoglia natura deve considerare gli effetti che dal suo uso si possono avere per l'ambiente e la salute umana. Questo significa cambiare la vecchia impostazione secondo la quale i 2 termini del binomio economia/ambiente sono fra loro incompatibili: o si procede pensando agli interessi dell'uno o dell'altro, non è possibile farlo negli interessi di entrambi.
Oggigiorno le compagnie si accollano costi dell'ordine delle centinaia di milioni di dollari per rimuovere diossine, metalli pesanti, amianto ed altri inquinanti. L'unica soluzione per ridurre drasticamente questi costi sta nella prevenzione: questo è il reale motivo che ha fatto divenire in questi ultimi 10-15 anni la chimica verde un affare da molti milioni di dollari. Essa consiste sostanzialmente nel ripensare gli schemi di produzione in modo tale da cambiare i nostri stili di vita e di non danneggiare il nostro ecosistema. Molti chimici vi lavorano da anni ma la sede per eccellenza può essere considerata l'Agenzia Americana per la Protezione dell'ambiente (EPA) sotto la cui egida sono stati portati avanti programmi di ricerca, di sviluppo e di implementazione di tecnologie chimiche innovative che vogliono prevenire l'inquinamento con metodi scientifici ed economici.
Ufficialmente la nascita della chimica verde si fa risalire al 1991. Da quella data la crescita progressiva che ne è seguita è stata sostenuta dalle nuove conoscenze relative ai materiali pericolosi ed a quelli innocui, dalla crescente abilità dei chimici a manipolare le molecole per creare i composti desiderati, dai costi crescenti derivanti dalle esigenze di smaltire materiali pericolosi.
Il programma Chimica Verde di EPA non è regolato e sostanzialmente procede con le partecipazioni volontarie di industrie, accademie, agenzie governative, società scientifiche, organizzazioni commerciali, laboratori nazionali e centri di ricerca per promuovere la prevenzione dell'inquinamento. L'IUPAC e l'OECD sono fra i partners più importanti di EPA in questo programma. I principi della chimica verde possono essere individuati nella prevenzione di rifiuti e scarti da smaltire o detossificare, nella produzione di "chemicals", sicuri ed efficaci, nella progettazione di metodi di sintesi meno rischiosi sia per l'uomo che per l'ambiente, nell'impiego di materie prime rinnovabili (prodotti agricoli o scarti di altre produzioni), nell'uso di catalizzatori riutilizzabili più che di reattivi stechiometrici, nell'evitare in un processo chimico il procedere di processi aggiuntivi secondari (che produrranno altre scorie), nella ricerca della massima economia atomica e molecolare (come rapporto fra le moli della materia prima e quelle del prodotto finale), nell'uso di solventi e condizioni sperimentali quanto più sicure possibile, nella ricerca del massimo rendimento energetico (se possibile scegliere reazioni che avvengono a temperature e pressione ambiente), nelle progettazioni di prodotti che possono, alla fine del loro ciclo, essere smaltiti e degradati, senza accumuli ambientali, nel monitoraggio continuo al fine di evitare che si producano prodotti secondari, nel ridurre al minimo il potenziale rischio per incidenti (esplosioni, incendi, sversamenti).
(Fonte A.K. n. 22 - 2017)
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Qualcuno la pensa diversamente:
Nel maggio 2011 il governo italiano, le istituzioni pubbliche della Sardegna, i sindacati, Novamont ed ENI (con le sue società consociate Versalis, Syndial e Enipower) hanno firmato un "Memorandum of under standing - MoU per il progetto di Chimica Verde a Porto Torres ", che è stato il punto di partenza per un importante progetto per la riconversione del complesso petrolchimico di Porto Torres verso una terza generazione di bio-raffineria. Questa è stata l'origine di Matrica, un’accordo di collaborazione al 50% tra Versalis (ENI) e Novamont, responsabile per l'attuazione e la gestione del nuovo progetto.
L'area, inquinata per anni dal complesso petrolchimico, è identificata come un Sito di Interesse Nazionale (SIN). I SIN sono delle grandi aree contaminate, classificate come le più pericolose da parte dello Stato italiano e che necessitano di bonifica del suolo, sottosuolo, delle acque superficiali e delle acque sotterranee, per ridurre i danni all'ambiente e alla salute.
Il progetto prevede la costruzione di sette impianti chimici utilizzando ingenti quantità di oli vegetali per la produzione di sostanze biochimiche (bio-plastiche, bio-lubrificanti, additivi per gomma ed elastomeri) e prevede l'installazione di una centrale a biomasse. L'impianto di energia da biomasse (205 MWt), che sarà gestito da Enipower, avrà due caldaie. Una sarà alimentata con il cardo per la produzione di 135 MWt (poi trasformata in 43,5 MWe), 250.000 t / anno, la cui coltivazione è previsto che copra circa 100.000 ettari. La caldaia ausiliaria produrrà 70MWt utilizzando gas di petrolio liquefatto (GPL), in sostituzione del FOK (Fuel oil of cracking, cioè l’olio combustibile prodotto con un processo chimico di cracking), come previsto invece dal progetto iniziale. Il progetto prevede anche la bonifica degli impianti esistenti e la costruzione di un centro di ricerca su nuovi prodotti di chimica verde.
Nel 2011, cittadini locali, agricoltori, associazioni di medici per l'ambiente e movimenti sociali, hanno iniziato a protestare contro quest'enorme progetto. Il comitato "No Chimica Verde / No Inceneritore", creato dai cittadini locali dopo aver avuto conoscenza del protocollo d'intesa, è fortemente contro il progetto e ha sollevato diverse critiche. In primo luogo per quanto riguarda la mancanza di informazioni sul processo di bonifica (dati, procedure tecniche, estensione delle terre coinvolte) che devono essere forniti con urgenza da ENI nella zona altamente inquinata (ci sono 3.000 ettari di terra intensamente inquinata); in secondo luogo, l'impianto a biomasse richiederebbe una vasta coltivazione di cardo che invaderebbe le colture dell'isola. Proprio per questo il piano non è accettato dagli agricoltori locali. Un'alternativa temuta potrebbe essere quella di alimentare l'impianto con i rifiuti solidi urbani (o una miscela di biomasse e rifiuti), consentito dalla legge italiana (decreto legislativo 6 luglio 2012), in contrasto con la legislazione europea [1]. Inoltre, il complesso rilascerà emissioni nell'aria che si sommeranno alla contaminazione già esistente provocata negli ultimi anni dalle attività di ENI nella zona, ancora in attesa di essere bonificata.
Diverse Valutazioni d'Impatto Ambientale (EIAs, cioè Environmental Impact Assessments) sono state presentate al SAVI (l'ufficio regionale per la valutazione dell'impatto ambientale) per ottenere l'autorizzazione per convertire l'impianto chimico e per la nuova centrale a biomasse, nonostante le mobilitazioni dei comitati locali e delle organizzazioni mediche e le osservazioni formali sulle EIAs presentate. Nel dicembre 2011, Matrica S.p.A. ha ottenuto un parere positivo sulla EIA dalla Regione per "Impianti per la produzione da oli vegetali naturali di monomeri e lubrificanti biodegradabili ". Poi Matrica ha ottenuto l'autorizzazione e nel 2012 la costruzione è iniziata. Nel giugno 2014 è stato inaugurato il primo impianto chimico verde di Matrica. Nel luglio 2012 la procedura di EIA relativa alla centrale a biomasse gestita da Enipower è stata avviata. Il progetto di alimentare l'impianto con biomassa e FOK è stata criticata dall'ISDE (Società Internazionale dei Medici per l'Ambiente) attraverso l'osservazione ufficiale al SAVI [Osservazioni ISDE 2011, 2012, 2013]. Dopo il parere negativo ricevuto dalla Regione sull'uso di FOK, Enipower ha presentato nel 2013 una integrazione alla EIA, con la sostituzione dell'olio combustibile da Cracking (FOK) con il GPL. La Regione ha approvato il nuovo progetto di centrale elettrica, che è atteso per l'autorizzazione finale da parte del Dipartimento regionale dell'Industria.
A novembre 2015 ENI fa un clamoroso dietrofront, dichiarando non più strategico il progetto di Porto Torres nel suo nuovo piano industriale.
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