lunedì 26 novembre 2018

L'importanza delle erbe selvatiche bioregionali per la salute ed il nutrimento psicofisico


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…sto riflettendo sul valore del riconoscimento delle piante selvatiche bioregionali e sull’apprendimento delle loro proprietà ed uso. Mi è tornato alla mente il lungo percorso di conoscenza compiuto da innumerevoli generazioni di ricercatori botanici ed esperti in medicine tradizionali, un percorso che a volte è durato millenni e si è svolto nel più semplice dei modi, attraverso un “dialogo” con le piante ed i continui esperimenti ed osservazioni sulle loro proprietà. Talvolta queste scoperte erboristiche hanno assunto anche la forma di analisi comparate tra gli influssi psichici e fisici che tali proprietà possono avere sui vari organi. 
Magari partendo dai collegamenti e somiglianze fra le cinque capacità percettive (i sensi) ed i cinque elementi che contribuiscono alla formazione degli organismi, corpo umano compreso. Ricordo molto bene, allorché mi avvicinai per la prima volta alla conoscenza delle piante, quelle descrizioni popolari che sancivano direttamente o indirettamente come l’aspetto delle piante e le loro qualità elementali, (percepite per mezzo dei sensi e della psiche) influissero specularmente sulle funzioni del corpo umano.
In natura tutto segue uno schema di corrispondenze. Potremmo affermare che ogni forma vivente assume aspetti psicosomatici che corrispondono alle qualità incarnate.
Questo fatto era noto sin dalla più remota antichità, all’uomo ed agli animali. Infatti confidando nella innata comprensione essi si curavano sentendo attrazione o repulsione per certe specifiche piante o alimenti.
Questa naturale pre-conoscenza è stata alquanto offuscata dal momento che l’uomo ha preferito seguire un metodo limitatamente scientifico che, essendo imperfetto data la natura stessa dei mezzi utilizzati, nel corso del tempo ha impedito la continuità di questa innata pre-conoscenza.
Pian piano l’uomo scientifico, per mezzo della sperimentazione in laboratorio, ha tentato di ricostruire un sistema di conoscenza che però –tutto ritorna infine- oggi si scopre sempre più affine alla conoscenza connaturata degli antichi. Con la differenza che la scienza farmacologica industriale utilizza quella ricerca popolare, selezionando alcune specifiche piante per poi ricavarne medicinali che vengono brevettati e posti in vendita a prezzi altissimi, con la sola aggiunta di uno o due eccipienti a tutela del proprio brevetto. Compiendo così un vero e proprio atto di “bio-pirateria” sia intellettuale che materiale.
Ma il viaggio a ritroso verso la riscoperta di ciò che era ovvio empiricamente può almeno essere confermato dalla analisi scientifico-medica. Una pietra miliare di questa riscoperta è la individuazione degli oligo-elementi le cui tracce sono presenti ovunque nel regno vegetale ed animale. Un’importante parte in questo processo di identificazione fu compiuto dal bolognese Meneghini che nel 1745, in pieno secolo dei Lumi, scoprì la presenza di ferro nel sangue umano. Poi nel 1775 Schelle individuò il manganese nelle ceneri vegetali e da allora la lista degli oligo-elementi non ha fatto altro che crescere. Nell’uomo ne sono stati individuati una ventina, essi risultano indispensabili all’equilibrio fisiologico ed ogni carenza in uno di questi comporta manifestazioni patologiche più o meno gravi.
“L’organismo appare come un tipo di oligarchia in cui un’enorme massa di elementi passivi è dominata da un piccolo numero di elementi catalizzatori” (Gabriel Bertrand)  Gli oligo-elementi infatti presiedono agli indispensabili processi catalitici degli scambi di cui il nostro organismo è la sede permanente.  Da ciò si può intuire l’importanza degli oligo-elementi  nei fenomeni biologici avvalorata dalle funzioni vitaminiche ad essi collegati.
Ma torniamo alla conoscenza che ha consentito agli esseri viventi il mantenimento della struttura psicofisica in euritmia.
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E qui dobbiamo iniziare un discorso che avrebbe dell’eretico se volessimo ragionare solo in termini di analisi scientifica. Nell’antichità –sotto forma di proverbi e detti popolari- sono stati tramandati alcuni “segreti” sulle qualità delle piante, Purtroppo in Europa in seguito alla grande persecuzione legata all’oscurantismo religioso molti di questi segreti e parecchi liberi pensatori finirono in cenere… Perciò molti “saperi” scomparvero o vennero travisati e contorti. Ciononostante in varie parti del mondo restò la preveggenza, sia a livello istintuale sciamanico (come nel caso delle tribù primitive dell’Amazzonia che conoscono tutte le qualità delle loro piante) sia a livello di tradizioni popolari più o meno  valide. In questo contesto si inserisce la  classificazione delle piante e delle loro qualità sulla base del colore, del sapore e della forma…
Questa descrizione psicosomatica –ad esempio- è tutt’ora eseguita nel sistema integrato cinese in cui psiche e natura sono considerate strettamente interconnesse. Questi stessi aspetti sono per altro utilissimi nell’individuazione delle carenze di oligo-elementi.
Altrettanto valida è anche la macrobiotica ma tali conoscenze non scarseggiano nemmeno nella tradizione erboristica nostrana. Secondo la tradizione popolare la forma il colore ed anche il sapore delle piante che spontaneamente crescono nella propria bioregione di appartenenza sono correlati ed interagiscono con gli organi cui esse corrispondono. Ad esempio la noce, che assomiglia al cervello umano, è correlata ed influisce positivamente con questo organo. Oppure la coda cavallina (che ricorda la coda dell’equino) è raccomandata per le carenze di minerali. Poi scopriamo che le foglie della polmonaria (somiglianti visivamente a questi organi) vengono raccomandate dai contadini come anti-asmatico, oppure lo stramonio (una pianta psicotropa detta anche erba del diavolo) con i suoi fiori osceni e cavernosi è abbinato ai mali della psiche… Insomma tutto corrisponde al tutto e per essere in buona salute gli organi del corpo umano debbono mantenere un equilibrio funzionale interno e rapportarsi armonicamente gli uni con gli altri e perciò si dice che la forma, il colore ed il sapore delle piante rimandano all’organo sul quale agiscono.
Nella tradizione cinese si fa un preciso  riferimento ai colori ed agli organi. I cibi di colore verde sono collegati al fegato (legno), quelli di colore rosso agiscono sul cuore e sulla vista (fuoco), i gialli (terra) su stomaco, milza e pancreas, i bianchi (metallo) sui polmoni ed infine quelli blu scuro o nero (acqua) espletano un’azione sui reni. Ed anche i sapori hanno  una forte influenza sulle funzioni fisiologiche. Il sapore acido è astringente quindi in grado di sciogliere i blocchi che ostruiscono la circolazione dei liquidi interni. Il dolce rilassa, armonizza e porta energia. Il piccante mobilizza l’energia, esteriorizza i liquidi ed è considerato ottimo contro le malattie da raffreddamento. Il salato è emolliente, scioglie noduli e masse.
Questo è solo un piccolo input per approfondire la memoria spontanea di ciò che è sempre stato e sempre sarà. Quella conoscenza –o pre-conoscenza- che consente spontaneamente alla vita di procedere per il suo giusto verso.
Termino con una definizione sul significato di “catalizzatore”. Secondo Polonovsky “i catalizzatori sono sostanze che con la loro semplice presenza, senza alcuna partecipazione attiva, causano reazione che senza di loro non si sarebbero prodotte..”
Paolo D’Arpini
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