L’ultima grande estinzione di massa documentata è stata quella che ha cancellato i dinosauri dal nostro pianeta, avvenuta circa 65 milioni di anni fa. In questo caso il motivo è stato extraterrestre, come il meteorite del Cretaceo, ma molte altre cause che hanno determinato distruzioni di massa sono sicuramente legate a brusche variazioni climatiche.
Si pensi che 140.000 anni fa gazzelle, ippopotami e leoni circolavano liberamente lungo le rive del Tamigi. Le temperature erano più alte delle attuali di oltre 4 gradi e i poli erano quasi del tutto liberi dal ghiaccio. Nel Lazio gli attuali Colli Albani, il Monte Soratte e i monti della Tolfa erano grandi isole. Il tavoliere delle Puglie era sommerso e il Gargano una grande isola. 10 o più migliaia di anni dopo la situazione cambiò: il freddo aumentò e le calotte polari cominciarono a formarsi fino a diventare come oggi le conosciamo, anzi di più. Ma se andiamo ancora a ritroso nel tempo ci sono altre sorprendenti sorprese.
Ultimamente, grazie ai carotaggi geologici e alla lettura dei sedimenti, sì è accertato che a cavallo tra il Paleozoico e il Mesozoico, 275 e 175 milioni di anni fa, ci fu su tutta la Terra un inspiegabile calo di ossigeno nell’atmosfera. Per tutto il periodo a livello del mare si trovava la stessa quantità di ossigeno che oggi si registra a 4000 metri di altezza. Circa 250 milioni di anni fa scomparve il 90 per cento delle specie viventi. Un’altra ecatombe avvenne 50 milioni di anni dopo. Sopravvissero solo i saurischi perché avevano i polmoni collegati a sacche caratterizzate da pareti sottili e flessibili che agivano come un soffietto per spingere l’aria nel corpo.
Da quel momento il pianeta fu dominato dai dinosauri. Gli uccelli hanno caratteristiche respiratorie simili ai dinosauri, per questo motivo mantengono i polmoni gonfi anche quando l’animale espira e per questo motivo che alcuni uccelli, anatre comprese, possono volare oltre i 10.000 metri. Da ciò, ma anche grazie a recenti ritrovamenti fossili, si sa che gli uccelli sono i diretti discendenti dei grandi sauri. Violente mutazioni climatiche, siccità, freddo polare hanno da sempre condizionato la vita degli esseri viventi più evoluti, uomo compreso. Noi oggi non esisteremmo se nel Miocene, 10 milioni di anni fa, non fosse iniziato, a causa di un profondo cambiamento climatico, il lento ma inesorabile processo di trasformazione della grande foresta pluviale del “Corno d’Africa” ( Etiopia- Kenia e Tanzania) in savana e poi nell’attuale deserto.
Gli australopitechi, scimmie antropomorfe da cui, secondo i paleoantropologi e gli antropologi, discendiamo, vivevano sugli alberi, lontani dai grandi predatori e con cibo in abbondanza. Ma la lenta morte della foresta costrinse questi piccoli esseri ad abbandonare il loro habitat e ad adeguarsi ad un mondo difficile e ostile. Da quel momento, secondo gli scienziati, si attivò un processo di rapida evoluzione in questi nostri lontanissimi antenati, di cui ricordiamo Lucy, che in qualche milione di anni li portò da australopitechi, a ominidi fino all’uomo di oggi( processo conosciuto come Ominazione). Un evento biologico eccezionale e rapido se si considera che le grandi variazioni fisiche e culturali di una specie avvengono in decine e decine di milioni di anni.
La rapidità di adeguamento e di feedbach (risposta all’ambiente naturale circostante) regalarono all’australopiteco la salvezza dall’estinzione e gli diedero una spinta evolutiva che non era mai accaduta prima in altre specie animali. Se non ci fosse stata quella catastrofe climatica e se la grande foresta pluviale dell’Africa Orientale fosse rimasta com’era, oggi l’uomo non esisterebbe o sarebbe nella fase di homo Abilis. Ci fermiamo un attimo sul caso australopiteco, aprendo un’altra breve parentesi perché la sopravvivenza di questi nostri “progenitori” è avvolta ancora nel mistero. Quando questi piccoli primati (la cui altezza superava di poco il metro) furono costretti a scendere nella savana, si trasformarono subito in facili prede dei grandi carnivori. Gli scienziati si chiedono ancora come questi primati siano riusciti a sopravvivere. Questi piccoli esseri invece non solo sono riusciti ad evitare l’estinzione, ma sono progrediti fino a diventare nei millenni loro stessi i dominatori della natura.
Si è constatato che il volume del loro cervello da 450 centimetri cubici (cm3) in poco tempo è passato a 650 mc3 fino all’attuale 1.250 mc3. Il tutto in una rapidità che sconcerta ancora gli scienziati. Si è capito, comunque, che “per un meccanismo ancora sconosciuto” la ghiandola tiroidea degli australopitechi cominciò a lavorare a pieno ritmo producendo in abbondanza gli ormoni tiroidei, tra i quali la Tiroxina, che ha la funzione di sviluppare le cellule celebrali. Tale “ dono divino” consentì a questi nostri antenati di superare le difficoltà ambientali e consentire a noi umani di essere qui oggi a parlare con voi.
L’area del Corno d’Africa dove a causa della grande spaccatura del Rift Valley il clima cambiò e le foreste si inaridirono lasciando il posto alla savana. Nel secondo riquadro I punti rossi rappresentano i luoghi di ritrovamento delle varie specie di Australopithecus, mentre la probabile area di diffusione del genere è colorata in grigio scuro. Tuttavia, non i grandi predatori, ma improvvise condizioni climatiche avverse che colpirono per lunghi decenni parte dell’Africa centro settentrionale e il bacino del Mediterraneo minacciarono pesantemente la sopravvivenza dei nostri lontani “avi”. Infatti mancò poco perché si estinguessero del tutto.
A quel punto per l’umanità non ci sarebbe stata più storia. Questo è quanto risulta da una ricerca genetica condotta da un'equipe di scienziati internazionali e pubblicata sulla rivista scientifica American Journal of Human Genetics. La storia andò così: l'umanità iniziò a distinguersi dalle altre specie 200.000 anni fa. Circa 150.000 anni or sono, però, si divise in due gruppi distinti che iniziarono a evolvere in due specie differenti e tali rimasero per circa 100.000 anni, prima di riunirsi appena in tempo e dare vita di nuovo all'unica specie di Homo sapiens oggi esistente. Questo fu il più lungo periodo della storia dell'uomo durante il quale due gruppi di popolazione rimasero separate tra di loro.
Quando, circa 60.000 anni fa, l'Homo sapiens iniziò a lasciare l'Africa, nella sua prima grande migrazione, le tracce di questa divisione erano ancora ben presenti. "La fusione che permise l'umanità di fondersi di nuovo in un'unica specie avvenne circa 40.000 anni fa", ha spiegato Doron Behar del Rambam Medical Center di Haifa (Israele), che ha partecipato alla indagine e studio. “ La divisione della popolazione in due gruppi si verificò in seguito alle aride condizioni climatiche che obbligarono i nostri antenati dell'Africa centro e orientale, a cercare di insediarsi in nuove aree per la loro sopravvivenza. In proposito sono numerose le testimonianze geologiche dell'epoca, che in maniera inequivocabile dimostrerebbero tale violento e veloce cambiamento climatico”.
Spiega Spencer Wells, responsabile del Genographic Project a cui fa capo la ricerca: "Da sempre si è ipotizzato che l'originale popolazione dell'Homo sapiens che abitava nell'Africa sub-Sahariana, fosse composta da un gruppo di persone molto piccolo, ma che si era sempre mosso più o meno tutto assieme. In realtà la ricerca ci dice che le cose andarono diversamente". Ma perché i ricercatori ipotizzano che l'umanità si avvicinò addirittura all'estinzione? "Perché - dice Wells - i due gruppi di persone erano ridotti a poche centinaia di individui, un numero che può facilmente portare alla scomparsa di una specie. Si diedero davvero molto da fare per riuscire a sopravvivere". Le conclusioni della ricerca sono giunte dopo che Wells e colleghi hanno analizzato 624 genomi completi del DNA mitocondriale, che passa da madre in figlia, di numerose popolazioni che oggi abitano l'Africa sub-Sahariana e questo ha permesso di capire come l'umanità si è evoluta nel passato. 10 In tutto questo possiamo concludere che i cambiamenti nel clima della terra, in particolare dopo l'esordio dell'era glaciale pleistocenica, hanno creato il mondo in cui i nostri antenati si sono evoluti.
Molti antropologi sostengono che i primi esseri umani sono apparsi sulle pianure aperte e aride dell'Africa (la savana). Prima dei cambiamenti climatici, discussi in precedenza, quelle pianure aperte non esistevano, erano ricoperte di alberi. Ma ancora più di questa prova di sopravvivenza della specie c'è stata una decisa incostanza del clima terrestre che ha costretto gli esseri umani ad evolvere nel loro unico insieme di abilità, competenze che ci hanno subito distinto dagli altri primati.
Fonte: A.K. Informa N. 17
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