lunedì 17 febbraio 2025

Sesso e nessi...


In funzione di ciò che crediamo di essere (segno-genetica) e della classificazione delle esperienze (ascendente-epiginetica) e delle priorità del momento (case-emozioni) colleghiamo i puntini che vediamo nell’immaginario personale, per costruire il disegno della realtà oggettivata.

Le biografie hanno l’istinto di mantenersi e di evolvere esclusivamente secondo la propria natura, cioè per il presente che è in noi, istante dopo istante. In funzione di questo assunto, si può credere che l’esigenza sia il deus ex machina delle scelte o azioni di ogni essere senziente. Un esempio, ma ogni momento ne offre altri, è la persistenza di un’esigenza – o anche di una coercizione – per la quale il rischio di soddisfazione è massimo. Così si diviene ciò che si immaginava di diventare, o non si riesce a divenirlo nel caso della mortificazione. È un’espressione del potere spirituale che a tutto soggiace e che, per la verità, agisce sempre e solo in quel modo, sia esso presente nella consapevolezza che assente nell’inconsapevolezza.

Il calore rende il maschio coraggioso e la femmina disponibile/obbligata a darsi. Nelle donne è mitigato/esaltato dalla franosa cascata di stimoli che non risparmia nessuno. L’istinto all’accoppiamento arriva a essere soppresso nelle timorate o scatenato nelle ninfomani. Estremi di un ampio spettro nel quale la maggior percentuale non sfugge al bisogno materno di avere figli. Un’esigenza radicale che contempla, senza timore di blasfemia morale, l’opzione di un padre qualunque. Un’eventualità molto relativa all’età. Un concetto che include le idee che la futura gestante ha in merito alla sua vita, alle indicazioni medico-scientifiche, alla concezione di sé, alla dipendenza/indipendenza dal giudizio/contesto/educazione famigliare/sociale, all’energia necessaria, alla necessità impellente, inderogabile e irrinunciabile di essere madre e al percepito esaurimento della fase giovanile.

Se quanto elencato, in buona misura, può dirsi corrispondente all’ordine consuetudinario, il vero comando, la vera spinta a gettarsi nello sconosciuto universo della maternità, viene dalla natura. Non quella che vediamo, ammiriamo o vogliamo proteggere, ma quella interna, che nessuna barriera, che non sia ideologica, separa da quella esterna.

Per compiere scelte, con pari modalità a quelle della natura, agiscono su noi altre forze, quali i valori, i desideri, le necessità, eccetera. Ma tutte, indipendentemente dalla razionalizzazione che le può definire e argomentare, sono emozioni che appartengono alla dimensione dell’esigenza.

Due di queste esigenze sono la disponibilità all’ascolto e l’interesse personale. Una specie di diade creata dai suoi opposti. Due ottiche con le quali, chi più chi meno, si osserva il mondo al fine di trovarvi posto. Uno scopo indispensabile alla stabilità psicologica, sebbene perseguito e/o raggiunto con un criterio di avanzamento diverso tra uno e l’altro.

I nessi che compongono la rete e disegnano il mondo, la realtà e l’altro visti dalla persona in ascolto, sono differenti da quelli correlati da chi trova la sua ragione d’esistenza nell’essere o sentirsi vincitore, se non superiore, nelle relazioni della vita.

Indizi sui nessi di ognuno si evincono osservando il suo banco di lavoro, cioè cosa dice e come reagisce agli eventi in cui è coinvolto, contrari, se non pericolosi, per la propria struttura. Ne abbiamo qui un Oscar di incompetenza assoluta e contemporaneamente di arroganza e mirabile superstizione. Se una psicologia, quella dell’ascolto, può essere detta o tendere al gentile e all’accogliente, quella mossa dal movente egoistico ha tendenzialmente maggior disponibilità al carattere cinico e/o brutale.


L’intento o la modalità di entrambe le psicologie rischia, però, di risultare fallimentare proprio in funzione della prevaricazione dell’ascolto. Un epilogo piuttosto frequente quando l’attore, diciamo così, non è all’altezza della situazione. Esempio universale, che vale per tutti gli ambiti della vita, è quello delle vessazioni del capo-ufficio nei confronti dei suoi subordinati. Protagonisti di una dinamica sempre replicata in tutte le relazioni con costumi differenti.

Per quanto importante, tralasciando l’inestinguibile connubio eterogeneo tra la modalità ascolto e quella egoistica – che fa tutti noi, in momenti e quantità differenti, figli di quel talamo – si può osservare come al primo corrisponda il dono, e al secondo il furto.

Così procedendo, l’elenco delle differenze si fa copioso. Nella colonna dell’ascolto trovano posto voci che implicano la volontà di entrare in contatto con l’altro al fine di portare solidarietà e aiuto. Ascoltare è riconoscere le costellazioni del firmamento del nostro interlocutore, le ragioni dei suoi perché, del suo stato, delle sue necessità. Ascoltando possiamo anticipare, divenire preveggenti, in quanto l’astensione del giudizio che vi è implicata permette di arrivare a vedere l’architettura trabecolata e i suoi punti deboli, di forza e di vulnerabilità, egregore, ideologie, eccetera. Tutte forze potenti che l’ascolto – e con esso il suo enattivo braccio destro, la pazienza, e anche il sinistro, l’umiltà – può arrivare a vedere chiaramente.

Purtroppo l’ascolto non è parte costituente della nostra formazione culturale. E, se esso può dirsi una modalità intrinseca nell’uomo compiuto, si può concludere che siamo immersi in una società impreparata ed esposta ai gravi cedimenti che l’attualità di ogni giorno ci riferisce e che, cosa ulteriormente grave, considera e consideriamo ordinari

E ora, assuefatti più di sempre alla morale mercantile del capitalismo, la cui ontologia è geneticamente estranea ai parametri della solidarietà, come rinascere da tanta aridità spirituale? Fare leggi ad hoc non cambia nulla, è come quando si arriva al parliamone, se la relazione d’amore non è più quella di prima: il piano razionale non ha punti di coniugazione con quello sentimentale-emozionale. Basterebbe dire il fritto fa male per cancellare le patatine dalla faccia della terra. Che può fare una legge nei confronti della cultura se non artefarla ancor più, se non aumentare le distanze dalla terra?

Così, in assenza della cultura dell’ascolto non solo non possiamo riconoscere l’inderogabile legittimità dello stato dell’altro, ma neppure l’origine profonda delle nostre scelte e dei nostri malanni.

Senza l’ascolto siamo menomati e, quindi, esposti al rischio di seguire effluvi virtuali che con la realizzazione di noi stessi nulla hanno a che vedere. Anche nel caso li si voglia concepire come necessari a noi, per divenire istruttivi, serve nuovamente ascolto.

L’altra dimensione della diade, che a questo punto potrebbe anche essere tralasciata, ha del drammatico. Essa è pregna di identificazioni con i propri giudizi, con la propria morale. Strumenti affilati come bisturi, sempre pronti alla sopraffazione altrui in nome del nostro successo, dell’onore della nostra autostima. Strumenti separatori di cui dovremmo avere consapevolezza, al posto di cercare di diventare capo-ufficio.

Lorenzo Merlo



Nessun commento:

Posta un commento