mercoledì 24 ottobre 2012

E' sufficiente la nomea per sancire la santità? L'importanza della discriminazione nella Spiritualità Laica


Malti Shetty, oggi Gurumayi


"Attraverso il silenzio ogni dubbio è rimosso, ogni domanda ottiene risposta" (Gurumayi Chidvilasananda)


Nisargadatta Maharaj soleva dire che è importante mettere alla prova un maestro prima di accettarlo come Guru. Occorre esaminare la sua congruità, le conseguenze del suo agire, il significato del suo insegnamento, l'impatto che lui ha nella nostra vita, il rapporto empatico che si viene a creare con lui e con i suoi discepoli. Insomma non bisogna accettare un santo solo perché è ritenuto santo dalle masse, se non tocca il nostro cuore, se ci lascia solo emozionalmente coinvolti senza modificare la nostra mente senza renderci più lucidi ed accorti e distaccati, una  tale santità è solo superstizione, è  un nuovo amuleto per contrastare le nostre paure o soddisfare i nostri desideri.  

In questi giorni ho subito varie critiche per aver espresso la mia opinione su una certa  amma del Kerala, da me visitata nel 1985. 

Amma significa "mamma" e tutte le  madri sono chiamate così dai loro figli. Anche quando si vuol dimostrare rispetto verso una donna  di solito ci si rivolge a lei con questo appellativo. Io stesso ho vissuto assieme (per lunghi periodi della mia esistenza) ad una mia "Amma", si chiamava Anasuya Devi, e l'ho amata come non avrei potuto amare nessuna altra "amma".   Non voglio però fare comparazioni e non sono refrattario all'amore di altre "amma" da me conosciute e con le quali  ho avuto  ottimi rapporti filiali e spirituali...  Ma a che pro tornare sopra a questo argomento? Sono sereno nella mia mente poiché, essendo un laico, non mi sento obbligato ad accondiscendere a credenze  non corroborate dalla mia esperienza personale. 

Spesso  mi son visto come una specie di San Tommaso, ed infatti come lui posso credere solo a ciò che sperimento personalmente e non al "sentito dire", soprattutto poi se quel "sentito dire" non corrisponde affatto alla mia esperienza, alla mia conoscenza dei fatti. 

Non occorre farsi deviare dal giudizio altrui soprattutto quando è basato sul "pregiudizio", sull'accettazione supina di una "santità" dichiarata da chi la professa o da chi se ne "avvantaggia". Ma evidentemente anche questa è una buona lezione per apprendere l'equanimità.  La  "santità" di un tale può essere  strombazzata  da migliaia di persone, ciò non toglie che il credo di migliaia o milioni di uomini non possa  impedire un diverso sentimento nei confronti della stessa persona (portata a esempio di grande "santità"). 

Per quel che mi riguarda non ho mai accettato la santità di alcuno se non riscontrata nei fatti, nella mia personale esperienza. E' vero, a volte, non  si è in grado di percepire immediatamente la reale natura di un santo, anche perché un santo non è riconoscibile se non a colui al quale egli stesso vuole farsi riconoscere. Però debbo confessare che la sincerità dell'approccio verso il santo molto aiuta e molto insegna e lascia trapelare sulla sua "vera" natura. 

Ed infatti avendo io incontrato nella mia vita  diversi uomini e donne realizzate non sono mai stato "imbrogliato" dalle apparenze, dalle espressioni, dai modi o dalle chiacchiere che li circondavano. Del mio guru, Muktananda, -ad esempio. sentii parlar male a iosa (sia prima che dopo averlo incontrato) ed io stesso in un  momento di ribellione  ebbi dei dubbi su di lui. Però la verità alla fine prese il sopravvento, l'esperienza diretta cancellò ogni chiacchiera. Il Sé non può essere imbrogliato dal sé.  L'elefante truculento dell'ego trema alla vista del leone, nel suo sogno,  ed a causa di quel terrore si risveglia..... 

Beh, non volevo fare questo discorso, oggi mi  basta ricordare le mie sensazioni vissute nei confronti della mia sorella spirituale, Gurumayi Chidvilasananda, e di come imparai ad amarla senza giudizi. 

A Roma la incontrai  all’Ergife, l’hotel  per conferenze  di periferia, quando era già un famoso Guru (non so come si dice al femminile forse Guri?) ma la prima volta che la conobbi  fu in India,  quando eravamo semplici “fratelli spirituali” per questo nel racconto che segue parlo di Malti, la ragazza indiana conosciuta a Ganeshpuri.  Magari dovrei raccontare qualcosa di più sulla settimana trascorsa con lei  all’Ergife (1982 od  ‘83 ?), giorno dopo giorno,  meditazione dopo meditazione, emozione dopo emozione,  una settimana romana piena di “spirito” e  con tanti segnali.

Ad esempio ricordo come certi amici sderenati di Calcata  che erano venuti ad incontrarla -su mia indicazione-  non poterono vederla perché si rifiutarono di vestirsi in modo decente, sapete com’è la gente di Calcata si crede tutta speciale, ognuno veste come un personaggio unico, chi in maschera, chi con le paillettes, chi con le borchie, chi pieno di toppe, chi…. Insomma tutti attori di scena macabra o ridanciana  (per intenderci) ed alcuni non furono ammessi alla sua presenza.  Solo pochi dei calcatesi poterono accedere, fra i quali io stesso che non avevo particolari esigenze di vestiario….  

Ricordo che all’Ergife i suoi discepoli stretti avevano cambiato l’atmosfera dell’albergo, riverniciando completamente la sala, inserendo tendaggi, profumando l’aria e allestendo una apposita cucina vegetariana.  Cibo ottimo che probabilmente non apparirà mai più in quel luogo di finti sceicchi,  uomini d’affari un po’ degagè e politicanti d’arrembaggio.  Ricordo che persino il traffico attorno all’albergo e nel parcheggio sembrava più umano… miracolo della bellezza di Gurumayi o della grazia del suo e mio Guru? Chissà!

Ma torniamo al 1973,  in Maharastra.

Allora si chiamava Malti  Shetty, era una bella ragazza indiana di 18 anni che viveva nell’ashram del mio Guru, Baba Muktananda, lo Sri Gurudev Ashram di Ganeshpuri.

Non l’avrei però degnata di grande attenzione, come tutte le altre sorelle spirituali d’altronde,  se non avessi sentito di quella sua esperienza che attirò la mia curiosità. Pare che un giorno uscì di corsa dalla sala di meditazione per andare davanti a Baba tenendo sollevata la mano ed esclamando: “Durante la meditazione ho visto apparire un cobra  che mi ha morso qui  al  dito”.  In seguito Baba  raccontò pubblicamente il fatto commentando: “Ricevere la benedizione di un cobra durante la meditazione è un segno di sicura realizzazione…”.   Bastò questo a rendere Malti più interessante ai miei occhi  e mi fece riflettere: ” Dunque questo è un segno di sicura realizzazione… ma come mai non è successo anche a me?”  Mi chiedevo pensoso ed anche un po’ invidioso.

Un bel giorno infine ebbi anch’io una simile esperienza, dico simile perché differiva su un fatto sostanziale… Ero seduto immobile consapevole di star meditando, mi trovavo nella ‘cave’, la nicchia sotterranea nella quale Baba stesso aveva meditato per anni. Ad un certo punto sentii che attorno a me l’atmosfera stava cambiando, il luogo era sempre lo stesso ma l’aria  si era trasformata in una specie di liquido amniotico. Respiravo normalmente anche se  tutto pareva fluido e denso.  Vidi all’improvviso uno strano essere che volteggiava giù dalle scale, nuotando,  a prima vista sembrava una grossa anguilla poi mentre si avvicinava  mi apparve come un pesce strano, anzi sembrava proprio un celacanto, mi girò un po’ attorno ed improvvisamente si tuffò sulla mia mano e la morse con forza. Sentivo i denti appuntiti sulla pelle e questo bastò a scuotermi dalla meditazione, aprii gli occhi,  la saletta era rischiarata da un solo lumicino, sulla  mia mano non c’erano segni di morsi ma percepivo ancora sulla pelle  quella sensazione appena vissuta. 

Dopo un po’ mi venne quasi da ridere, me l’ero proprio voluta… ora come potevo andare in giro a raccontare che ero stato morso da un celacanto?  Tenni la cosa per me considerandola una lezione per la mia dabbenaggine comparativa.

Il fatto è che parecchi anni dopo Malti, che ora si chiama  Swami Chidvilasananda (che vuol dire: beatitudine del gioco della coscienza),  divenne  Gurumayi e successe a Muktananda, lei è la nuova maestra del Siddha Yoga. Questo mi mise in una posizione strana, da una parte  accettavo la successione  spirituale, sancita dal Guru stesso, dall’altra non potevo far a meno di ricordare la giovinetta  conosciuta all’ashram. Dentro di me era chiaro che la consideravo una sorella spirituale,  ma sorella maggiore o sorella minore…?

Non mi preoccupai però eccessivamente della cosa e pur avendola rivista a  Roma ed anche in India continuai ad osservare Gurumay  con un  punto interrogativo in mente. Dentro di me sentivo comunque l’assurdità di tutto ciò, in fondo che importanza ha -dal punto di vista della coscienza- la parte che viene giocata in questa commedia?  Mantenni un atteggiamento di rispetto e simpatia, con distacco…  Finché una notte, a Calcata, feci un sogno molto vivido, mi vedevo  in procinto di partire ma non ci riuscivo, o non arrivava mai l’aereo o mancava qualche documento, una lista d’attesa frustrante ed inconcludente, nel sogno una donna si avvicinò a me e mi disse che sarei potuto andare ma Gurumay voleva prima fotografarmi, io acconsentii  mettendomi in posa, avevo inoltre uno zucchetto in testa e mi sembrava di essere un dottore della legge od un vescovo con quel simbolo in capo, faceva molto caldo il cappelletto mi scivolava sulla fronte, ma non volevo toglierlo (era il simbolo del mio potere acquisito), davanti a me Gurumay armeggiava con una macchina fotografica ma esitava a riprendermi finché esclamò:  “Come faccio a fotografarti se non ti levi  quell’affare dagli occhi?”. 

Sentii gocce di sudore  scendermi dalla testa, la sensazione era insopportabile, non ce la facevo più a nascondermi e gettai lontano il cappelletto, basta con questa scena ridicola mi dissi, proprio in quel momento Gurumay scattò la foto.  Quella era la foto per il “visto” che mi mancava per partire.

Partii ed andai a stare con lei a Ganeshpuri, ci restai qualche mese, sentendo qualcosa che si scioglieva giorno dopo giorno. Ma ancora non avevo vissuto un’esperienza significativa e risolutiva con lei. Senza volerlo un giorno in cui mi trovavo a camminare da solo in giardino  vidi che dall’altra parte sopraggiungeva Gurumayi, anche lei da sola, continuai a camminare come se nulla fosse, ma vedendola avvicinarsi non potei far a meno di guardarla, pure lei mi osservava e continuava a camminare con grazia, feci del mio meglio per apparire  indifferente ma allorché ci incrociammo, a distanza ravvicinata, sentii per la prima volta in vita mia il fuoriuscire  di un amore incommensurabile e totale, in cui c’era tutto, sia l’amore per la madre, la sorella, la figlia, l’innamorata e l’amica, sia lo scioglimento dell’io di fronte alla sua sorgente. Ancora quasi mi vergogno a raccontarlo, un amore senza limiti né confini…. 

A questo punto che senso ha continuare a  vedere Gurumayi  in termini di “sorella spirituale maggiore o minore”?   Quell’amore mi ha derubato di ogni concetto.

Paolo D’Arpini  


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Commento ricevuto da Vincenzo Toccaceli: "A Ganden ci sono due scuole di dharma! Una con le parole (sacra
scrittura) una con le immagini (bandiere di preghiere, tanka, maschere, rituali) A me per gli occidentali è stato cominciato ad insegnare nel secondo modo! Ora sto studiando per la mia via! Tu bazzichi molto la scrittura! Congratulazioni! Commento per decidere! La grave serietà dell'immagine, per altro giocosa... è che ciò che immagini è già accaduto! Questo vale anche per lo scritto! Grazie per la preziosa
collaborazione! Con stima  rendo omaggio alla luce di Dio, che brilla 
nel tuo cuore!



Pesce già pescato

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