domenica 31 gennaio 2016

Agricoltura in disarmo (per accontentare le multinazionali e le banche) e la fame che ci attende



La madre di tutti i report sul clima è così spaventosa che uno dei suoi autori si è dimesso dal Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) in segno di protesta.
"Gli agricoltori non sono stupidi", ha detto la scorsa settimana l'economista della Sussex University Richard Tol, mentre centinaia di ricercatori si sono ritirati a Yokohama, in Giappone, per elaborare il testo finale di un documento che lui ha definito "allarmista" quando tratta delle tante minacce del riscaldamento globale. "La gente che coltiva il nostro cibo troverà modo di adattarsi", ha detto – isolato – lo scienziato alla più importante riunione sulla scienza del clima degli ultimi sette anni.


Ma cambiare non è facile, soprattutto quando non si parla della tettonica terrestre. Il testo finale è arrivato oggi, e le le più allarmanti proiezioni del report dell’IPCC chiariscono ciò che avevano ipotizzato tanti altri studi: il futuro dell'agricoltura - della fame nel mondo, della vostro conto dal droghiere – è fottuto. O, come ha detto il Segretario Generale dell’ONU Ban-Ki Moon in modo un po’ più educato all'inaugurazione dei primi incontri per il report dell’IPCC nello scorso settembre: "Il caldo si fa sentire. Dobbiamo agire."

I ghiacciai continueranno a ridursi in Himalaya, secondo l'IPCC, impattando seriamente la disponibilità di acqua per l'agricoltura in vaste aree dell'Asia meridionale e della Cina. Il cambiamento climatico potrebbe danneggiare le colture sensibili al calore come il grano e il mais, e avere un impatto minore sulla produzione di riso e soia. I prezzi per i raccolti essenziali saliranno nel mercato globale. La fame aumenterà in gran parte dell'Asia e dell'Africa. "Nessuno su questo pianeta sarà immune dagli effetti del cambiamento climatico", ha previsto il capo dell'IPCC Rajendra Pachauri alla conferenza stampa della mattina.

Il nuovo rapporto dice che tutte queste cose pessime accadranno nei prossimi decenni, mentre il cambiamento climatico si rafforza. Ma, come ho potuto verificare nell’Africa orientale il mese scorso, questo futuro è già il presente per tanti agricoltori di tutto il mondo. In Tanzania le piogge stagionali biannuali. da cui dipendono tanti produttori, non arrivano mai al tempo giusto, e sono sporadiche, alternando acquazzoni torrenziali a periodi di siccità prolungate. I picchi di calore stanno facendo appassire le colture di mais, mentre i pozzi e i corsi d'acqua si stanno sempre più prosciugando.

La zona in cui le fattorie di Dephath Omondi nel sud del Kenya sembrano lussureggianti, con i campi di mais color smeraldo delimitati dalle alte acacie. Ma lui mi dice che l’apparenza inganna.

«Venticinque anni fa, qui il tempo era prevedibile: le lunghe piogge iniziavano a metà marzo fino a maggio, poi le brevi piogge iniziavano a fine agosto, o ai primi di settembre. Negli ultimi dieci anni queste precipitazione non sono mai arrivate in tempo. Abbiamo avuto inondazioni, e poi settimane e settimane senza pioggia. Gli agricoltori sono confusi su quando e cosa piantare. È una cosa davvero preoccupante.»

Sconvolgimenti simili sono già una sfida per gli agricoltori di tutto il mondo. Nel delta del Mekong in Vietnam, le popolazioni rurali stanno perdendo i terreni perché le acque salate del mare stanno salinizzando troppo i fiumi per poter crescere il riso. In Nicaragua l'aumento delle temperature sta diffondendo "il fungo della ruggine del caffè", una malattia che sta uccidendo migliaia di alberi e che potrebbe rendere inutilizzabile l'80% delle aree per la coltivazione del caffè da qui al 2050. E nelle Filippine centrali gli agricoltori di cocco stanno lottando per riprendersi dal tifone novembrino Haiyan, che ha gravemente danneggiato o divelto circa 33 milioni di alberi.

Così come non ci sono atei in trincea, ci sono pochi scettici del cambiamento climatico tra coloro che coltivano il cibo del mondo, se non nessuno. Gli agricoltori non devono leggersi i resoconti delle Nazioni Unite per sapere quanto radicalmente sta cambiando il loro clima. E i consumatori non hanno bisogno di studi accademici o di prove provate per sapere che i prezzi degli alimenti sono in costante aumento.

Ma forse potrebbe essere utile sapere che un report pubblicato dall’Institute of Development Studies nel Regno Unito prevede uno spaventoso aumento dal 20% al 60% dei prezzi degli alimenti per il 2050, a seconda del tipo di cibo, principalmente per la diminuzione della resa dovuta al cambiamento climatico. E se pensate che la cosa sarà dolorosa, il mondo intero potrebbe dover affrontare uno shock ancora più grave: l’IPCC prevede che un aumento di a 2,5°C nelle temperature globali costerà all’economia globale fino al 2% della sua produzione, con una stima di 1,4 trilioni di dollari all’anno.

E potreste anche voler sapere che un report pubblicato la scorsa settimana dal gruppo Oxfam ci avverte che il riscaldamento globale potrebbe far posticipare la lotta contro la fame nel mondo per decenni, mettendo a rischio la vita di altri 50 milioni di persone. Il mondo "è assolutamente impreparato" per l’impatto sul cibo, ha detto Oxfam. Più del 75% della varietà dei semi in tutto il modo è scomparso nell’ultimo secolo, e la spesa di ricerca e sviluppo per l’agricoltura è ai minimi storici.

Lester Brown, il controverso fondatore dell’Earth Policy Institute, afferma che ci troviamo di fronte un incombente "crisi alimentare", non solo a causa del cambiamento climatico, ma anche per le sempre maggiori scarsità d'acqua e per la conversione di terreni agricoli verso usi non alimentari. Le grandi quantità di terreno utilizzate per la produzione di biocarburanti e di grano per nutrire il bestiame stanno riducendo i raccolti dei cereali di base, di cui le persone hanno bisogno per sopravvivere.

Ma non ci sbagliamo: le tensioni più forti per il nostro approvvigionamento alimentare verranno dal cambiamento climatico. "Il sistema agricolo odierno è stato progettato per massimizzare la produzione all'interno del sistema climatico che è esistito negli ultimi mille anni", ha detto Brown all’Harvard Crimson: "Ora, improvvisamente, non sappiamo cosa succederà esattamente nel futuro. Sappiamo che abbiamo bisogno di frenare il prima possibile."

Tol, il ricercatore che ha lasciato l'IPCC in segno di protesta, ha detto che i contadini "si adatteranno". Ma è come aspettarsi che gli scoiattoli si adattino a un incendio boschivo. Come potrà Amani Peter, un giovane agricoltore che ho incontrato in Tanzania, adattarsi se il suo pozzo si prosciuga? Come farà a adattarsi al mais che appassisce, quando le piogge si fermano un mese in anticipo, come hanno fatto lo scorso anno? E cosa faranno i nove agricoltori su dieci della Cina occidentale che non hanno un’assicurazione sui raccolti quando i raccolti di grano cominceranno a mancare? Anche l’agricoltore più brillante potrebbe non farcela.
Sono cattive notizie, e sono parecchie. Quella buona? Che ci saranno anche i vincitori nella roulette globale del cambiamento climatico. I rendimenti per alcune colture che amano il caldo sono in aumento negli Stati Uniti e in Canada, anche se l’agricoltura sta già soffrendo per i raccolti rinsecchiti nel sud-ovest degli Stati Uniti e per una siccità estrema in California.
E l'IPCC ha invitato i politici a prepararsi, da subito: "Gli adattamenti del cambiamento climatico non sono un bizzarro ordine del giorno che non è mai stato provato", ha detto Chris Field, co-presidente di uno dei gruppi di lavoro. Ricordate il costo annuale di 1,4 trilioni di dollari del cambiamento climatico? Se una piccola frazione di questa somma venisse spesa per la ricerca sull’agricoltura locale, sarebbe di grande aiuto. Gli agricoltori hanno bisogno di nuove varietà di semi, resistenti al calore, che tollerino le frequenti siccità. Hanno bisogno di programmi di sensibilizzazione per la loro formazione nelle tecniche di coltivazione più all’avanguardia. E, naturalmente, dobbiamo smettere di vomitare sempre più CO2 nell'aria. Proprio mentre suona l'allarme.

di Richard Shiffman (The Guardian)

venerdì 29 gennaio 2016

Erano i giorni della merla...



Una antica storia considera i giorni 29, 30 e 31 gennaio "i giorni della merla". La leggenda narra di una povera merla candida che, in fin di vita per il freddo e la mancanza di cibo dovuta al gelo, una mattina si rifugia dentro un comignolo per trovare riparo e calduccio.


Vi stette tre giorni interi, ritemprandosi e riuscendo a sopravvivere, diversamente dai suoi compagni uccisi dal gelo. Nel frattempo la merla aveva cambiato colore: era diventata tutta nera. Essendo l'unica merla rimasta in vita, da allora tutti i merli nacquero neri come il carbone.

La realtà non è molto lontana dalla leggenda. I giorni della merla sono, per gli animali selvatici, tra i più duri dell'anno. In questo periodo, oltre agli uomini, anche passeri, merli, fringuelli, pettirossi, cinciallegre e tutti gli altri uccellini che popolano i nostri giardini se la passano davvero male.

Più della metà non sopravvive al gelo e alla mancanza di cibo, come insetti e granaglie. "Proviamo ad aiutarli noi cittadini", è l'invito di Gaia Animali & Ambiente.

Come? Costruendo o acquistando una mangiatoia e riempiendola di cibo apposito, come è consuetudine nei paesi del nord Europa. "E' semplice, divertente e fa stare bene", spiega il presidente di Gaia Edgar Meyer.

“Due buone ragioni”, prosegue Meyer, per aiutare i volatili: alle mangiatoie si possono osservare bene alcune specie di uccelli selvatici da parte di chi altrimenti non ha occasione di conoscerle. L'alimentazione invernale consente, specialmente ai bambini, di vedere subito il successo del loro impegno: le mangiatoie, una volta individuate, si riempiono di volatili cinguettanti di gioia. Infine, negli inverni freddi un'alimentazione eseguita come si deve diminuisce le perdite di alcune specie", conclude Meyer. Le soddisfazioni, insomma, non mancano.

giovedì 28 gennaio 2016

Serrata e Cinquefrondi, 30 e 31 gennaio 2016: Assemblea Nazionale di ARI ospitata da SOS Rosarno




Sabato 30 e domenica 31 gennaio 2016  a Serrata (RC) e Cinquefrondi (CS) si terrà l'annuale Assemblea Nazionale di ARI quest'anno ospitata da SOS Rosarno con cui siamo federati dal 2014.

Sarà l'occasione per fare il punto sulla situazione dell'agricoltura contadina in Italia, con un focus sul Mezzogiorno insieme alle realtà locali che da anni lavorano e si battono per un'agricoltura solidale e agroecologica.

Il programma della due giorni sarà denso di incontri, riflessioni, dibattiti e progettualità.

Inizieremo il mattino di sabato 30 a Serrata (RC) presso l'azienda bio-agrituristica Terre Di Vasia con un primo momento assembleare per poi spostarci a Cinquefrondi (CS) presso Il Frantoio delle Idee dove incontreremo moltissime altre realtà locali e italiane (ad oggi C.S.O.A. Angelina Cartella, GAS Felce e Mirtillo - Reggio Calabria; Forum delle Associazioni Vibonesi; Gruppo Ecosociale, Il Seme che Cresce, COPA Rialzo, Produzioni Precarie - Cosenza;  Ass. Il Brigante - Serra San Bruno; ContadinAzioni, Terre di Palike – Sicilia; Funky Tomatoe – Lucania; Terra Nostra – Casoria; Ri-Maflow, Spazio Fuori Mercato - Milano) in un dibattito pubblico dal titolo:  “COI MERCATINI SI PUO’ NUTRIRE IL PIANETA? TRA CITTA’ E CAMPAGNA, METROPOLI E PERIFERIA, PRATICHE, DISPOSITIVI E PROGETTI PER UNA COOPERAZIONE DIFFUSA E PIANIFICATA”.
La giornata terminerà con una cena sociale di autofinanziamento e il concerto di Nino Quaranta eManiera d'Autore.
https://www.facebook.com/events/511053832402475/

Domenica 31 presso Terre di Vasia ci sarà la seconda parte dell'Assemblea Nazionale in cui programmeremo, insieme agli alleati che rimarranno, le azioni, le lotte e i temi che l'ARI compirà nel 2016 in accordo e con sostegno del Coordinamento Europeo Via Campesina e La Via Campesina Internazionale.
https://www.facebook.com/events/871687542952829/

Invitiamo tutti voi a partecipare alla due giorni e a darne ampio risalto attraverso i vostri canali di informazione.


-- 
Associazione Rurale Italiana
Corte Palù della Pesenata, 5  
37017 Colà di Lazise (VR)
assorurale.it
@assorurale

mercoledì 27 gennaio 2016

A Sud: "Rappresentare narrare proporre l'ambiente e il territorio.." - Corso di giornalismo ambientale .


Scade il 31 gennaio il termine massimo per l'iscrizione al Master universitario di I Livello in Studi del territorio - Environmental humanities dell'Università Roma Tre. Il Master è articolato in 4 moduli, A Sud sta curando in particolare un Corso di giornalismo ambientale inserito nel programma didattico all'interno del Modulo 4 - Rappresentare narrare proporre l'ambiente e il territorio.
Il Master verrà avviato al raggiungimento del numero minimo di iscritti. E' possibile l'iscrizione ad un singolo modulo del Master. Nel caso in cui il Master raggiunga la quota di iscritti necessaria all'avvio, sarà possibile iscriversi al solo Modulo 4 anche dopo il 31 gennaio 2016.


Corso di giornalismo ambientale – Master universitario di I livello in Studi del territorio

1L’Università Roma Tre ha previsto per l’a.a. 2015/2016 il Master di I livello in Studi del territorio – Environmental humanitiesDirettori del corso: Proff. Daniela Angelucci, Francesco Careri, Federica Giardini; Presidente: Prof. Marco Cremaschi

Il Master affronta le questioni relative al territorio, alla città e all’ambiente e promuove in Italia le Environmental Humanities, campo di studio in grande espansione, attualmente tra i più interessanti ambiti delle scienze umane.

La storia di parole cardinali quali cittàcomunitàhabitatnaturaterritoriopaesaggioprogetto, sarà presentata, discussa e aggiornata, a partire dai diversi saperi che ne hanno trattato: dalla filosofia all’arte, dalla teoria politica alla sociologia, dalla storia e geografia all’urbanistica e architettura, dal diritto all’economia, dall’ecologia politica alla comunicazione.

Specificità dell’offerta formativa del Master è infatti l’impegno a integrare i diversi saperi e la pluralità di competenze necessarie quando si affrontano i temi sollevati dall’abitare e operare in una dimensione territoriale, urbana, ambientale.
La vocazione del Master è dunque quella di offrire una formazione che si rivolga sia ai profili delle discipline scientifiche (ingegneria, scienze naturali, etc.) sia a quelli delle discipline umanistiche.

Il Master si rivolge a laureati/e in tutte le discipline (vecchio ordinamento e laurea triennale).
Possono accedere al Master candidati/e sia italiani/e, sia stranieri/e.
Le lezioni svolgeranno tra il venerdì pomeriggio e il sabato mattina.

Per un quadro completo del Master, modalità di iscrizione e prezzi cliacca qui


Il Master prevede la possibilità di iscriversi all’intero corso o a singoli moduli

A Sud sta collaborando con l’Università Roma Tre all’organizzazione del Master in Studi del Territorio curando un Corso di Giornalismo ambientale all’interno del Modulo 4 del Master: Rappresentare narrare proporre l’ambiente e il territorio.


Il termine ultimo per l’iscrizione al Master è il 31 gennaio. Il master verrà avviato in caso di raggiungimento del numero minimo di iscritti, l’iscrizione al Modulo 4 sarà possibile anche dopo il 31 gennaio 2016 ma solo nel caso in cui il Master raggiunga il numero minimo di iscritti.

Consulta il Regolamento Didattico e il Bando
Dichiarazione sostitutiva (autocertificazione)

martedì 26 gennaio 2016

UE. Programmi di prevenzione rifiuti



Ogni anno l’Agenzia Europea per l’ambiente (di seguito EEA) effettua il monitoraggio dei piani/ programmi nazionali di prevenzione rifiuti. Questo è il secondo rapporto sull’argomento, il primo è stato pubblicato nel 2014.
L’EEA prende in esame 27 programmi nazionali e regionali, valutando anche i piani dell’Islanda, del Lichtenstein e della Norvegia che non fanno parte dei 28 paesi membri dell’Unione Europea.

piani prevenzione rifiuti degli Stati

Come nel precedente report, l’EEA ha lavorato predisponendo un’analisi delle azioni di prevenzione volte a ridurre la produzione di rifiuti, comparando il campo di applicazione, gli obiettivi generali, gli indicatori e valutando il sistema di monitoraggio dei traguardi raggiunti.
L’analisi generale delle misure e degli strumenti adottati dai singoli paesi membri è poi corredata da una selezione di buone pratiche nazionali e regionali.
Alla fine del 2014, ci dice EAA nel suo rapporto, si contavano 27 programmi nazionali e regionali di prevenzione rifiuti in 24 paesi membri. Di questi, 17 sono veri e propri piani di prevenzione rifiuti, 10, invece, sono inseriti in programmi più vasti che riguardano la gestione dei rifiuti nel loro complesso.
Pochi gli elementi in comune, i programmi/piani di prevenzione rifiuti sono molto diversi l’uno dall’altro, per molti aspetti, vediamone alcuni.
Durata temporale, alcuni non indicano un arco di tempo per realizzare le misure contenute nel programma, altri prevedono durate ma diverse, come è possibile vedere nella tabella sottostante.
piani prevenzione rifiuti - durata

Coinvolgimento degli stakeholders. La maggior parte dei programmi di prevenzione evidenziano come elemento di successo la cooperazione con tutte le parti interessate e gli attori principali; tutti prevedono il coinvolgimento di questi soggetti ma in fasi diverse, taluni in quella della stesura attraverso gruppi di lavoro, consultazioni o incontri, alri in quella di realizzazione degli stessi programmi.
Rendicontazione dei risultati ottenuti. Ci sono Stati che prevedono una rendicontazione ogni 3-4 anni, altri ogni 6 , altri ancora la fissano in modo periodico ma senza indicare un lasso temporale preciso, altri non la indicano proprio.
Misure finanziarie. Pochissimi programmi le contengono, solo l’Irlanda ha previsto un piano di finanziamento dettagliato e con finanziamenti progressivi.
Tipologia di rifiuti oggetto di misure di prevenzione. Tutti i programmi si interessano di rifiuti domestici e di rifiuti prodotti dai servizi pubblici; esaminando invece le specifiche categorie di rifiuti, come ben visibile nella tabella sottostante, nei programmi emerge una notevole varietà, troviamo: rifiuti da costruzione e demolizione, agricoli o da attività imprenditoriali private, sanitari, minerari o ancora rifiuti alimentari, da imballaggio e rifiuti elettrici ed elettronici.

piani prevenzione rifiuti - tipologia rifiuti
piani prevenzione rifiuti - settori

Riduzioni quantitative di rifiuti. Non tutti i programmi indicano con chiarezza quale sia, in termini quantitatvi, la riduzione di rifiuti che intendono raggiungere.
Obiettivi generali. La maggiore parte dei programmi contengono l’obiettivo generale del disaccoppiamento della produzione di rifiuti dalla crescita economica, la previsione di un miglioramento dell’efficienza dei materiali e delle risorse e la riduzione dell’uso di materie prime. Solo alcuni prevedono anche altri obiettivi, come la previsione di ridurre le sostanze nocive nei materiali, la creazione di lavoro, lo sviluppo di nuovi modelli di business e/o cambiamenti di comportamento da parte dei cittadini.

piani prevenzione rifiuti - indicatori

Azioni di prevenzione. Anche per quanto riguarda le misure da attuare, i programmi prevedono una vasta gamma di ipotesi, alcuni si concentrano maggiormente su azioni nella fase di progettazione, produzione e distribuzione, altri, invece, su azioni che incidono nella fase di consumo e uso.
In conclusione possiamo dire che L’EEA, per il secondo anno consecutivo, sostiene nel suo rapporto che al momento non risulta possibile valutare la reale efficacia dei programmi di prevenzione rifiuti ed auspica che nelle prossime revisioni sia più facile acquisire informazioni sull’attuazione concreta dei programmi e sui risultati raggiunti nei singoli Paesi.

I Paesi europei potranno essere facilitati nel loro compito di gestione delle politiche sui rifiuti anche dal recente “pacchetto sull’economia circolare”, adottato dalla Commissione Europea, il 2 dicembre 2015, con lo scopo primario di consolidare il quadro generale di riferimento per le politiche in materia di gestione dei rifiuti ed efficienza delle risorse.

(Fonte: Arpat)

lunedì 25 gennaio 2016

Il sistema solare ha un nuovo asset - Dopo la scoperta del nono pianeta torna l'ipotesi Ibiru



Verso la fine del 2012 gli astronomi della NASA Sheppard e Trujillo, scoprirono nella nube di Oort un minuscolo pianeta con un diametro inferiore ai 500 Km che battezzarono 2012 VP113. Qualche anno prima era stato scoperto sempre nella nube di Oort un altro piccolo pianeta delle dimensioni di Plutone battezzato Sedna e poi ancora nella fascia di Kuiper un altro pianetino un po’ più grande di Plutone dal nome Eris (per colpa di questa scoperta Plutone fu retrocesso a pianeta nano e tolto nella lista dei pianeti del Sistema Solare). Tutto questo determinò nel mondo scientifico un particolare fermento, avvalorato anche dal comportamento anomalo delle nostre prime sonde spaziali Viking che nei pressi del confine del nostro sistema solare modificavano misteriosamente le loro traiettorie come se fossero attratti da un invisibile grande corpo celeste. Pur non vedendolo direttamente questo corpo astrale fu chiamato “Pianeta X “ oppure: Hercolobus o Nibiru.

Si deve agli anni ’50 la rivisitazione del nostro sistema solare da parte degli astronomi che individuarono subito dopo Plutone una fascia contenente residui di materiale che, subito dopo la formazione del sistema solare,  non era riuscito ad amalgamarsi per trasformarsi in pianeta. Zona questa affollata di frammenti rocciosi e di ghiaccio. Questa zona esterna oggi è conosciuta come la fascia di Kuiper.

La cosa non finì li, subito dopo fu scoperto che oltre questa zona ne esisteva un'altra ancora più lontana dalla quale, alcuni anni più tardi, gli scienziati dimostrarono che da li nascevano le comete, quest’ultima zona oggi è conosciuta come la nube di Oort.

Quindi il nostro sistema solare è un qualcosa di molto più complesso rispetto a come lo immaginavamo nel 1930, quando fu scoperto Plutone. La scoperta di un pianeta dieci volte più grande della nostra Terra nascosto tra le due fasce esterne (Kuiper e Oort) è la dimostrazione che dobbiamo fare ancora molta strada prima di conoscere a pieno il nostro sistema solare. 


E allora quante altre sorprese dobbiamo attenderci in futuro? Forse la legenda dei Sumeri su Nibiru, un grande pianeta, che ogni tanti millenni viene a trovarci da vicino interessando le orbite dei pianeti interni (Marte, Terra, Venere e Mercurio) e causando inimmaginabili cataclismi,  non va del tutto scartata. Intanto però cerchiamo di capirne di più su questo nuovo grande inquilino del nostro sistema solare, che al momento è stato rilevato da calcoli al computer, ma ancora non visto direttamente perché profondamente scuro. Gli scienziati al momento lo hanno battezzato: “Nove” o N come Nibiru…

Filippo Mariani (Accademia Kronos)



domenica 24 gennaio 2016

Bioregionalismo ed archeologia popolare e la pietra "treia" nelle colline modenesi



Difficile raccontare la mattinata del 24 gennaio 2016, per cui comincerò da lontano. Io e Paolo non andiamo spesso a fare dei giri, anche brevi, per cui ci sia da prendere l'auto, ma tutte le volte che gli propongo qualcosa, lui non mi dice mai di no; alla mia richiesta: "Andiamo........?" lui semplicemente risponde: "Come vuoi..., se ti fa piacere.....!" ed anche questa volta, in cui gli avevo fatto una proposta un po' "strana" ha acconsentito, anzi, aveva acconsentito già da tempo, ma io, nella mia testolina, non riuscivo a trovare il momento giusto.

Mesi fa durante un'ispezione di lavoro avevo conosciuto un "allevatore particolare", lui stesso si definisce "poeta e filosofo", ed in effetti l'avevo trovato alquanto "ragionativo" e dedito al capire quel che gli succede attorno e vede e vive, bontà sua, la realtà, in maniera alquanto poetica. Mi aveva regalato un libriccino di poesie sue e nel tempo, in seguito, mi aveva fatto avere ancora, altri libri, tra cui quello che ho preferito, le quartine, di Omar Kayam, che anche Paolo ha divorato. Dal canto mio gli avevo fatto avere il libro di Paolo su Treia , "Storie di vita bioregionale". Dopo averlo letto, mi ha mandato un messaggio che diceva che aveva trovato una treia. Dopo un piccolo misunderstanding mi aveva scritto che è un pietrone di circa un quintale che si adoperava per trebbiare il grano e che, come diceva il  "librino" che gli avevo dato, forse il nome Treia poteva derivare da quell'arnese.


Così oggi alle 10 eravamo all'azienda agricola dove vacche, maiali, operai, casari e un titolare sempre presente, fanno il loro lavoro. Ci siamo incontrati "dietro alla porcilaia", dove si sentivano grugnire gli animali ed arrivavano gli odori consueti. Dopo brevissime presentazioni ci ha mostrato la sua treia e ci ha raccontato l'ipotesi che si è fatto del nome del paese raccontandoci come forse veniva usata, per trebbiare appunto il grano, trascinandola sul prodotto raccolto fino a schiacciare i semi, liberandoli dall'involucro che sarà stato poi allontanato sollevando il tutto aiutati da qualche folata di vento. Questa operazione veniva effettuata sopra ad una supefice di terra resa liscia ed uniforme da da un impasto di letame bovino spalmatoci sopra e lasciato essiccare, che diventava duro come il cemento e sterile. La pietra chiamata "treia" è stata da lui ritrovata dopo averla sepolta in gioventù, quando, dopo l'avvento della meccanizzazione e dei trattori in particolare, il lavoro di 50 persone poteva essere svolto da tre, quattro persone, ma per far questo, con quei mezzi, il terreno andava livellato il più possibile e quindi, via le pozze dove una volta i bovini si andavano ad abbeverare e via tutte le "pietre" come questa, che erano diventate inutili e che, se abbandonate in superficie, potevano danneggiare gli attrezzi.



Il paesaggio sarà stato superficialmente diverso, certamente più selvatico, ma anche oggi è di una bellezza che lascia senza fiato. Si tratta dell'area preappenninica del modenese.


Argomento molto caro al nostro "ospite", quello dell'abbandono della montagna: non si capisce però se in fondo in fondo, questa situazione non la veda come un contributo alla salvezza del Pianeta, perché "se tutte le colline e le montagne fossero abbandonate dall'uomo, ritornerebbero ad essere rigogliosi boschi", come erano nel lontano passato. In montagna si produce meno e produrre costa di più, prova ne sia che i terreni ad una certa altitudine, costano meno e sono lo stesso poco richiesti, mentre in pianura, pur a prezzi considerevoli, appena si rendono disponibili, vengono "bruciati". In montagna, gli agricoltori hanno si dei contributi e si pagano meno tasse, ma basta un problema, perché queste facilitazioni vengano tolte, pena la perdita di tutta o parte la quota di introiti che consentono la sopravvivenza di tante aziende.


Poi abbiamo fatto una visita nella stalla: Paolo non ne aveva mai vista una così, di animali da latte. Questa è un'"industria" e gli animali, tenuti nel miglior modo possibile, devono rendere. I foraggi sono tutti locali e biologici, ma i cereali che compongono i mangimi che si devono per forza di cose somministrare e che costituiscono circa il 50% della razione, chissà da dove arrivano? Comunque, e questa è un'impressione che provo anch'io in molti allevamenti, gli animali sembrano "sereni", pur nel loro vivere confinati. Intanto che facevamo avanti da un lato e indietro dall'altro e dopo aver visto le fosse dove il letame viene raccolto per poi essere convogliato in due grossi contenitori circolari in cemento, ed essere infine utilizzati per la concimazione dei campi, lui, col forcone, sistemava il fieno davanti agli animali. Ad un certo punto tra il fieno spuntava una gallina accovacciata, l'ha fatta sollevare e, ha estratto da in mezzo al fieno un uovo e me l'ha dato: era caldo! Stasera ci faremo un piccolo  zabaione.




Il nostro accompagnatore-poeta ci ha parlato di San Francesco, così chiamato perchè figlio di una donna provenzale, mentre il suo vero nome pare fosse Giovanni. In un primo tempo la sua regola era di vivere del proprio lavoro, senza chiedere elemosine, perchè si impediva il senso dell'arroganza e del "merito"del dare e ricevere. San Francesco propugnava una esistenza assolutamente priva di ego. 

Infine, prima di andarsene per badare ad una zia anziana,  ci ha mostrato da lontano una maestà, una di quelle colonne che si vedono a volte lungo certe strade con su in cima una edicola  con madonne, bambini e santi vari. Avrebbe notato che al solstizio estivo, al tramonto, alle 9 meno un quarto circa, la punta della maestà "fora" il sole che cade e di questa storia ne ha fatta una poesia:


Minuta maestà,
che da sempre discreta,
al solstizio d'estate,
fori il sole al tramonto,
siimi benigna e la mia opra asseconda,
che il padre e la madre ti furon devoti,
senza danno arrecarti.


Chissà se fu costruita appositamente in quella posizione, ma a noi piace pensare di si.

Caterina Regazzi

sabato 23 gennaio 2016

Bioregionalismo - Una proposta di riassetto geografico ed amministrativo per la Regione Lazio


L’obiettivo bioregionale nell’attuale assetto istituzionale italiano può essere raggiunto per gradi. Nella prima fase bisogna tener conto dell’esistenza delle Regioni così come sono oggi, senza pretendere modifiche di territorio perché queste per essere realizzate necessitano di complicati meccanismi istituzionali e scatenano nel contempo reazioni a catena dovute ad interessi precostituiti che è difficilissimo scardinare.
Questa situazione rende per il momento “utopistica” l’istanza bioregionale precedentemente avanzata (vedi http://www.circolovegetarianocalcata.it/2012/10/18/proposta-bioregionale-per-il-riassetto-del-territorio-nazionale-eliminare-le-regioni-e-istituire-le-province-omogenee-bioregionali/) anche se effettivamente ben motivata. 
Oggi  il bioregionalismo amministrativo può avere, a breve e medio termine, una concreta possibilità di realizzazione solo con accorpamenti e ristrutturazioni di enti all’interno delle attuali Regioni.
Nel Lazio ci sono tre realtà territoriali e socio economiche diverse. C’è l’area metropolitana romana che comprende gran parte del territorio e degli abitanti laziali, c’è il sud pontino e ciociaro che è riuscito in questi ultimi 60 anni ha guadagnare un parziale progresso, c’è al nord la Sabina e la Tuscia. Pur tuttavia sia il nord, ovvero Rieti e Viterbo, che il sud, cioè Frosinone e Latina, sono legati da una omogeneità socio economica, di tradizione culturali e storiche che possono riconoscersi in un’unica matrice bioregionale. Tutte e quattro queste province hanno tratti comuni evidenti di condizioni economiche, sociali e culturali che hanno per altro poca attinenza con la realtà della megalopoli romana.
Con l’istituzione di Roma Capitale, una sorta di città stato staccata amministrativamente dalla Regione Lazio, l’attuale territorio della Provincia di Roma, non necessaria all’Area Metropolitana, dovrebbe essere ceduto alle Province storiche confinanti (in chiave omogenea) rendendole così più solide dal punto di vista politico ed economico. Ne verrebbe fuori un nuovo Lazio di due entità, la prima costituita dall’Area Metropolitana di Roma, la seconda dalle province autonome capaci di amministrarsi e programmare un loro sviluppo adeguato alle proprie esigenze, anche in considerazione delle esigenze metropolitane ma ad esse non soggette né condizionate.
Per realizzare tutto ciò non occorre una legge costituzionale, forse la recente legge sul riordinamento degli enti locali provinciali consentirebbe in parte questi aggiustamenti Infatti per il Lazio è stato indicato l’accorpamento delle province di Rieti e Viterbo, oltre a quello di Latina e Frosinone. Sarebbe -come sopra accennato- da rivedere l’estensione della Provincia di Roma che attualmente incorpora sia parti della Sabina che della Tuscia, oltre a lembi della Ciociaria e dell’Agro Pontino. Ovviamente è importante l’aspetto dell’autonomia amministrativa di Roma Capitale, in una regione a sé stante, ed il rimanente territorio del Lazio. In tal modo sarà possibile realizzare a breve una prima graduale applicazione del bioregionalismo amministrativo, lasciando a tempi più maturi la prospettiva di una riaggregazione su base prettamente bioregionale del territorio dell’Italia centrale.
Paolo D’Arpini
Rete Bioregionale Italiana
http://retebioregionale.ilcannocchiale.it/
Via Mazzini, 27 – Treia (Macerata)
Tel. 0733/216293

venerdì 22 gennaio 2016

Morfologia urbana e concentrazione degli inquinanti atmosferici



La concentrazione dell’inquinamento atmosferico è ampiamente influenzata dalla struttura delle aree urbane, in particolare dalla loro dimensione, forma e composizione. Lo studio dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico indaga proprio l'impatto della morfologia urbana sulla concentrazione degli inquinanti atmosferici. Attraverso un set unico di dati relativi a 249 grandi aree urbane europee analizza l'influenza delle varie componenti della struttura urbana sulla concentrazione di tre inquinanti (biossido di azoto, PM10 e biossido di zolfo).

Il modello analizza anche gli effetti di altri fattori che influenzano l’inquinamento, come le dimensioni dell’economia locale, le attività industriali e agricole, le condizioni climatiche locali, nonché altri indicatori di copertura del suolo. Si analizza anche il rapporto tra la densità della popolazione e la concentrazione di inquinanti specifici. Poiché l'inquinamento atmosferico è influenzato da diversi tipi di attività economiche e ogni inquinante ha le sue fonti, le aree urbane saranno caratterizzate da diversi modelli di concentrazione di inquinanti atmosferici.

I principali risultati dello studio
  • La frammentazione urbana sembra essere associata a maggiori concentrazioni di PM10 e biossido di azoto, sostanze inquinanti cioè che dipendono molto dal trasporto su strada.
  • La densità della popolazione sarebbe correlata alla concentrazione di biossido di zolfo, che a differenza di PM10 e biossido di azoto, in Europa proviene dalla combustione in centrali elettriche e nel riscaldamento domestico. Pertanto, le aree urbane densamente popolate possono produrre maggiori emissioni, e di conseguenza concentrazioni, di biossido di zolfo residenziali.
  • Le aree urbane ad alto reddito sperimentano concentrazioni più basse di PM10 e biossido di zolfo. Ciò può derivare da normative ambientali più severe o una maggiore spesa pubblica per il miglioramento della qualità dell'aria in queste aree.
Questi risultati rivelano che le preoccupazioni circa un aumento dei livelli di biossido di azoto e PM10 derivanti da un'ulteriore espansione delle aree urbane in Europa potrebbero essere in parte oggetto di politiche territoriali mirate alla riduzione della frammentazione urbana.
Le aree urbane caratterizzate da un continuo sviluppo del tessuto urbano (così dette aree urbane continue) migliorano i collegamenti, riducono le esigenze di spostamento e la dipendenza dall'automobile e facilitano l'uso di modalità di trasporto non motorizzato. Oltre ai miglioramenti ambientali, le aree urbane continue possono quindi portare ad un risparmio energetico, ad una riduzione dei costi di manutenzione dei sistemi energetici e di trasporto, ad una migliore qualità della vita attraverso servizi locali, posti di lavoro ed investimenti in infrastrutture efficienti.
Oltre alla riduzione della frammentazione urbana, le politiche che portano alla diminuzione della densità di popolazione potrebbero in parte alleviare le preoccupazioni per l'impatto dell'espansione urbana sulle emissioni di biossido di zolfo.

Nel complesso, i risultati dello studio suggeriscono che gli strumenti volti ad aumentare la continuità e ridurre la densità di popolazione sono da prendere in considerazione nelle politiche volte ad evitare un ulteriore degrado della qualità dell'aria causata dall'espansione delle aree urbane in Europa. Tali strumenti possono integrare altre politiche utilizzate per la riduzione dell'inquinamento atmosferico urbano, come le norme sulle emissioni dei veicoli.

Per approfondimenti: il documento Air Pollution and Urban Structure Linkages: Evidence from European Cities - Cárdenas Rodríguez, M., L. Dupont-Courtade and W. Oueslati (2015), OECD Environment Working Papers , No. 96, OECD Publishing, Paris


(Fonte Arpat)

giovedì 21 gennaio 2016

22 gennaio 2016 - Fantasia sul come arrivare a Treia per la Festa dei Precursori 2016 e genealogia a righe di una poesia a pois - Ovvero: racconto e genesi di una poesia partendo dal regno di Napoli



Pescara, gennaio 2016 - Neve ghiaccio freddo intenso e pungente, mentre percorro la città a piedi il mio sguardo cade su un vecchio palazzetto ottocentesco, al pianoterra un irish pub chiuso da tempo. Penso: potrei aprire una locanda osteria, il nome: Regno di Napoli. Immagino la scritta con lettere luminose gialle e rosse sulla facciata. Un locale di cultura ed enogastronomia, Regno di Napoli, tarantelle carte napoletane incontri seminari e cibo tipico: agli, peperoni secchi, vini, oli, peperoncini, farine, cipolle, brigantaggio, magia, verdure, tavolacci, cantastorie, donne di malaffare, teatro e altro.


Divertente ma chi me lo fa fare!? Sto così bene! Ora la sera vado a letto con le galline,

riposo dormo leggo scrivo studio ascolto

entro in un bar a prendere un caffè, vedo un manifesto appeso al muro, grandi righe colorate irregolari, continuo a guardarlo,  mi  viene l'idea e  mando un messaggio a Silvia:


mondo a righe
tre celesti quattro gialle quattro verdi cinque rosse

mi risponde:

baci a pois!

Lo sai che sono preciso! di che colore sono i pois e il fondo? grandi o piccoli?

pois della grandezza di un fiocco di neve del diametro  di una bottiglia di vetro verde da 750 cl, sfondo giallo

fiocco di neve di forma irregolare chicco di grandine o fiocco di neve tipo cristallo armonico simmetrico?

righe, 3 celesti 4
gialle 4 verdi 5
rosse, a pois
colorati d'acqua
rotondi come gocce

pesci tropicali che suonano la zumba passando le pinne tra i fili di vecchie reti da pesca abbandonate sul fondale marino.


Festeggiare giornata del pois 22 gennaio 2016, dalla lavatrice alla moda, per celebrare i pallini, irregolari di  diverse grandezze bianchi su fondo nero, letto sul giornale oggi!

nelemento de sorpasso

Incontrato Marco, mi ha raccontato che è stato nelle Marche per lavoro di ristrutturazione,  entrato in negozio di ferramenta con due tubi  di diverso diametro la commessa  gli ha detto:
te serve nelemento de sorpasso!

Così mi è venuto in mente che  avrei bisogno di un elemento di sorpasso per uniformare il flusso di energia e arrivare nel tempo e nel modo giusto a Treia per la festa dei precursori di aprile 2016!

Primo caso; potrei  prendere un traghetto da pescara che mi porti ad Ancona poi il treno fino a Civitanova, lautobus per Macerata, dove avrei diverse opzioni: arrivare a piedi fino a Treia, fare lautostop, chiedere un passaggio a qualche  amico, prendere un taxi.

Secondo caso; potrei farmi prestare una macchina, una vecchia punto bordeaux, dove potrei caricare pure tutti i miei cioccoli, percorrere lentamente la statale adriatica, a  un certo punto imboccare la strada provinciale per Recanati, a sinistra, dopo diversi chilometri svoltare a destra  sulla strada comunale. arrivato a Treia lascio la macchina fuori le mura e percorro a piedi le vie di pietra tra alti palazzi di mattoni. 

Ferdinando Renzetti


mercoledì 20 gennaio 2016

La guerra non è un'azione ecologica


milano 16gennaio noguerranonato

Venticinque anni di guerra evidentemente non bastano a certi paesi della Nato, preoccupati per il caos che regna in Libia.

Venticinque anni di guerra sono invece fin troppi per le
migliaia di italiani scesi nelle piazze di molte città italiane sabato scorso per esigere la fine di un susseguirsi ininterrotto di guerre nel mondo, iniziate il 16 gennaio del 1991 con l'operazione “Tempesta nel deserto”. Quel giorno attaccarono l'esercito iracheno di Saddam Hussein le forze armate degli Stati Uniti affiancate da quelle di numerosi alleati, ivi compresa l'Italia – e ciò malgrado il divieto della sua Costituzione di partecipare alle guerre offensive. Purtroppo, dopo aver assaggiato quel primo frutto proibito, l'Italia si è data poi ad una scorpacciata durata un quarto di secolo: nel 1996, la guerra in Kosovo; nel 2001 (e fino ad oggi), la guerra in Afghanistan; nel 2003 (e fino ad oggi), la guerra in Iraq e, poi, nel 2011 la guerra in Libia e, indirettamente, la guerra in Siria.


E oggi l'Italia sta forse per partecipare ad una nuova guerra in Libia, voluta dai paesi della NATO, Germania in testa, per portare l'ordine nel caos libico con i missili e con le bombe: infatti, per la Ministra tedesca alla Difesa von der Leyen, è l'unico modo per dare alla Libia una speranza per il futuro e per salvarla da un oppressore. Ossia, la stessa argomentazione di quattro anni fa, con “unità nazionale” che rimpiazza “primavera araba” come speranza e “Isis” che rimpiazza “Gheddafi” come oppressore.

Peraltro le forze speciali angloamericane e francesi sono già sul suolo libico per studiare i punti migliori per un prossimo sbarco. Quando? Quando il nuovo governo, appunto, di “unità nazionale”, formato questa mattina a Tobruk, avrà ottenuto l'approvazione del Parlamento e avrà saputo imporsi sul paese tanto da poter dichiarare guerra all'Isis e invitare i paesi occidentali, i suoi sponsor, a parteciparvi.

Con questo stratagemma potrebbe dunque non essere necessaria una risoluzione del Consiglio di Sicurezza per intervenire militarmente in Libia. Infatti, l'Italia, insieme agli Stati Uniti, alla Germania, alla Gran Bretagna e alla Francia, potrebbero semplicemente rispondere – ognuno bilateralmente – ad un “legittimo appello” d'intervento formulato dal “legittimo governo” della Libia, vale a dire il governo fantoccio filo-Nato ricucito oggi all'alba dopo una notte di trattative estenuanti, con la promessa prima di 10 poltrone, poi di 23 e infine di 32, per sigillare l'accordo (neanche unanime).

I primi segnali su ciò che si pensa nel Maghreb rispetto a questa messa in scena indecente della democrazia Occidentale non si sono fatti attendere. Già giovedì scorso, al-Anabi, il numero due di al-Qaeda nel Maghreb, intuendo il raggiungimento di un accordo sul nuovo governo, ha fatto pervenire una video cassetta con minacce molto esplicite contro l'Italia per aver creato un governo di comodo in Libia allo scopo di poter sfruttare il paese come ai tempi del colonialismo fascista.

Se poi l'Italia, insieme alla Nato, scatenerà davvero una nuova guerra in Libia per “colpire i terroristi” e dare maggiore forza al suo “governo amico”, sarà davvero come gettare benzina sul fuoco e invitare a una risposta da al-Qaeda in Italia.
Sempre oggi, il Ministro Gentiloni, consapevole di questo rischio e dopo aver salutato a distanza la formazione del nuovo governo libico a Tobruk, ha ricevuto alla Farnesina i “direttori politici” di 19 paesi, per concordare la linea di azione da intraprendere in Libia nel prossimo futuro. Ivi compresa la guerra? Gentiloni si è già espresso con cautela al riguardo in una recente intervista: dichiarò infatti al giornale francese Le Figaro che l'opzione militare “non è all’ordine del giorno, né oggi né domani”.

Ma così si esprimeva, nel mese di febbraio 2011, l'allora ministro agli esteri Franco Frattini, per poi cedere alle pressioni della Nato e, il 19 marzo, autorizzare i bombardamenti anche italiani sulla Libia: più di trecento attacchi italiani che hanno contribuito alla devastazione totale del paese. Perché, come ora sappiamo, questo fu lo scopo reale dell'operazione – non la protezione dei civili, che fu solo il pretesto presentato al Consiglio di Sicurezza per ottenere l'autorizzazione di una “Zona di Interdizione Aerea” (usata poi, illegalmente, come autorizzazione a bombardare).

Così, per salvare qualche centinaia di civili a Bengasi, l'Italia e la Nato hanno sterminato migliaia di civili innocenti in tutto il paese e condannato i libici sopravvissuti ad una vita misera e opprimente. Quei libici che – sotto Gheddafi – erano i cittadini più ricchi ed istruiti, con il più alto tasso di emancipazione femminile, di tutto il continente nero, tolto il Sud Africa.

Gli unici a beneficiare da quell'infausta operazione militare nel 2011 sono stati, naturalmente, le compagnie petrolifere occidentali, cacciate da Gheddaffi. Hanno potuto ritornare in Libia e ricominciare a pompare il greggio pregiato nordafricano a prezzi stracciati, riuscendo a districarsi tra le varie milizie e i loro sponsor che si contendono il territorio. Almeno, fino all'arrivo dell'Isis e di al-Qaeda, i quali hanno rotto i giochi.

L'incontro di oggi alla Farnesina va dunque seguito con attenzione – come il successivo incontro, già programmato per il 2 febbraio con un ordine del giorno che ingloba anche la Siria e l'Iraq.
Nel contempo, chi ha marciato nelle strade di Roma, di Milano e di diverse altre città lo scorso sabato, deve continuare senza sosta a ribadire al Ministro Gentiloni due punti fermi per una politica estera italiana fedele alla costituzione e alle norme internazionali: NO alle bombe e NO alle ingerenze negli affari interni di un paese sovrano.

Il popolo della pace non era unito per dire queste due cose nel 2011. Infatti, molte persone hanno creduto allora che la sollevazione popolare contro Gheddafi fosse completamente spontanea e quindi da sostenere, acriticamente. Non conoscevano i contenuti, ora resi pubblici, dei documenti della Stratfor sulle manipolazioni europee relativi agli eventi in Libia, oppure le rivelazioni trovate nelle email di Hillary Clinton, l'allora Segretaria di Stato USA. Non avevano prestato attenzione nemmeno alle testimonianze dirette dell'epoca, che smentivano il mito di una spontanea “rivolta libica per la dignità” – che pure c'è stata, eccome!, ma sostenuta in parallela dall'Occidente e poi dirottata allo scopo di riprendersi il paese.
Ad esempio, i documenti appena citati – ed altri – illustrano come i francesi avevano organizzato il sollevamento a Bengasi proprio per provocare un attacco da parte delle truppe di Gheddafi e giustificare un intervento armato esterno per “salvare i civili”. Il tutto sullo sfondo della solita campagna demonizzante del capo di stato da abbattere, specialità dei mass media occidentali, basata su orrori veri e sensazionalismi grossolanamente esagerati o fabbricati ad hoc.

Ma ora il popolo della pace ha gli strumenti sufficienti per potersi ricredere e quindi dire con fermezza al Ministro Gentiloni e al Presidente del Consiglio Renzi di non cercare di ripetere l'inganno del 2011 ed i crimini di guerra ad esso connessi. L'autodeterminazione del popolo libico va rispettata – ed aiutata, semmai, cercando di bloccare i tentativi di manipolazione da parte dei burattinai francesi ed anglo-americani.

Lo stesso dicasi per il problema dei jihadisti dell'Isis e di al-Qaeda. Essi non vanno eliminati con nostre azioni di guerra, bensì colpendo con sanzioni gli sponsor stranieri di queste formazioni terroristiche, ossia:
  • i paesi che li armano e foraggiano – Arabia Saudita, Qatar, Turchia;
  • i paesi che comprano il petrolio rubato dai jihadisti – ad esempio Israele, che fornisce loro anche assistenza medica (infatti, Israele ricovera, nei propri ospedali, molti jihadisti feriti per poi rimandarli, guariti, in battaglia – senza però fare altrettanto per i civili feriti nelle stesse zone di guerra); e, infine,
  • il paese che ha creato l’Isis dal nulla, come aveva già fatto con al Qaeda in Afghanistan venticinque anni prima – ossia, gli Stati Uniti d'America.  
Solo mettendo pressione su questi paesi, i mandanti dell'Isis, possiamo sperare di sconfiggerlo – non bombardando i suoi guerriglieri. Questa affermazione dovrebbe essere un'ovvietà in Italia, che ha imparato, con l'esperienza, che non elimini la mafia da un paese colpendo i picciotti, perché i boss fanno presto a reclutarne altri. E nemmeno colpendo il boss, perché i mandanti fanno presto a nominarne un altro. Si elimina la mafia solo quando si riesce a risalire ai mandanti e a colpire loro.
Lo stesso principio vale per l'Isis. Le bombe contro i guerriglieri sono inutili, altri li rimpiazzeranno; l'eliminazione dei capi è inutile, altri verranno nominati. Bisogna risalire ai mandati, ai paesi elencati prima, e colpire quelli lì con sanzioni, fin quando non desistono.
Questa “soluzione” sarebbe del tutto irrealistica? Non c'è dubbio. I paesi del Golfo non si toccano – e si sa – perché sono azionisti importanti in Italia. Israele non si tocca – e si sa – perché chi lo critica viene subito tacciato di antisemita. Gli Stati Uniti non si toccano – e si sa – perché sono paese amico... e poi la Finmeccanica e tante altre aziende dipendono dai contratti statunitensi e ci vanno di mezzo tanti posti di lavoro...
Quindi dobbiamo solo rassegnarci davanti all'impossibilità di agire contro i mandanti dell'Isis, ossia i paesi appena nominati? Dobbiamo davvero imparare a “convivere con i terroristi” proprio come, secondo un certo ministro di Forza Italia, bisogna imparare a “convivere con la mafia”?  Perché, egli disse, i mandanti non si possono toccare e colpire i soli picciotti non elimina il problema, essi vengono semplicemente sostituiti con altri.
E' davvero così?

Conclusioni 

Le "Sinistre" in piazza contro la guerra. (Fotogramma dal video.)

Il popolo della pace è ancora in tempo per evitare una seconda, catastrofica guerra in Libia. La questione si sta dibattendo alla Farnesina e nelle capitali europee proprio in questi giorni.
Va ribadito dunque, con urgenza, a Matteo Renzi e a Paolo Gentiloni di non cercare di imporre il loro governo fantoccio in Libia manu militari e di non cercare di eliminare i jihadisti con la guerra. Perché l'unico risultato verosimile di tali azioni sarà che l'Italia si trovi invischiata in una guerra senza fine e che il popolo italiano si trovi nel mirino di possibili attacchi terroristici di ritorsione (facendo tutti gli scongiuri immaginabili).

Anzi, il popolo della pace deve dire chiaro e tondo a Renzi e Gentiloni che essi verranno ritenuti responsabili di tutto ciò che avverrà in Italia in seguito alle eventuali azioni militari in Libia. Perciò non devono illudersi, nel caso malaugurato di un attentato terroristico, di poter prenderci per il naso come ha fatto Hollande con il popolo francese. Questo, no!
Cosa vuol dire, “prenderci per il naso”?

Due precedenti editorialI su PeaceLink (qui e qui) hanno ricordato l'incredibile reazione dei francesi dopo gli attentati a Charlie Hebdo e al teatro Bataclan. Secondo ogni logica, essi avrebbero dovuto chiedere le dimissioni del loro Presidente che, secondo la tradizione, è il primo responsabile degli indirizzi della politica estera francese. Infatti, con le sue guerre illegali nel Levante e nell'Africa occidentale, Hollande aveva messo il proprio popolo nel mirino. E non solo: ma, per vincere la guerra per procura della Francia in Siria, ugualmente illegale secondo tutte le norme internazionali, Hollande (e prima di lui Sarkozy) avevano creato e armato, insieme agli USA e alla Gran Bretagna, jihadisti tagliagole lasciati operare liberamente in Libia e in Siria – proprio l'ambiente in cui si è formato chi ha poi sparato contro i redattori di Charlie Hebdo e chi ha commesso l'attentato al teatro Bataclan.

Ma creare bande di terroristi è un reato! Farlo per rovesciare un governo, non importa quanto iniquo o meno, è anche un reato! Perciò Hollande si è macchiato di due atti criminali, i quali poi hanno avuto ripercussioni tragiche in Francia il 7 gennaio e il 13 novembre dell'anno scorso. Ecco perché, secondo ogni logica, i francesi avrebbero dovuto esigere le sue dimissioni.

Invece no. Hollande ha saputo incanalare lo sgomento e la rabbia popolare dopo gli attentati in... marce patriottiche, in canti corali della Marsigliese, in dichiarazioni di orgoglio della propria capacità di resistere. La gente si è riversata in strada, sì, ma per marciare tenendo alto una matita per riaffermare il valore della libertà d'espressione. Valore sacrosanto, per carità, ma il problema non era il suo ripudio da parte di alcuni psicolabili; il problema era perché il popolo francese si era trovato nel mirino di psicolabili come quelli di Charlie Hebdo e del teatro Bataclan per cominciare.

Quindi, il popolo della pace ha il compito urgente di informare l'on.le Renzi e l'on.le Gentiloni, sin da adesso, che se portano l'Italia in guerra in Libia ancora una volta e se ci saranno attentati in Italia (facendo tutti gli scongiuri immaginabili perché non ci siano), il popolo italiano non si lascerà imbarcare in marce patriottiche, come quelle della Francia. Marcerà sì, ma dritto sui loro due Ministeri, per chiedere le loro dimissioni.

Patrick Boylan http://www.peacelink.it/

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Striscione degli organizzatori della manifestazione:
Le "Sinistre" in piazza contro la guerra (fotogramma del video)




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Le "Sinistre" in piazza contro la guerra. (Fotogramma dal video.)
Note: Il comunicato sull'esito della manifestazione emesso dagli organizzatori, "Eurostp.org": http://www.eurostop.info/migliaia-in-piazza-contro-la-guerra-a-roma-e-milano-linerzia-e-finita/