martedì 31 maggio 2011

Treia - 2 giugno 2011 - Anniversario della Repubblica Italiana con oroscopo

Il 1946, anno di fondazione della Repubblica Italiana, è  dedicato al Cane di Fuoco.. e la Lupa è il simbolo di Roma, capitale d'Italia....  


Il primo giorno di giugno è luna nuova, la luna dell'inizio di un nuovo ciclo, ed il 2 giugno ricorre l'anniversario della fondazione della Repubblica Italiana, nata nel 1946.

Secondo l'antico calendario romano il 2 giugno era visto come fasto. Quando si fa un oroscopo si va a vedere la qualità temporale del momento di nascita, considerando ora, mese ed anno. Questo vale per le persone, per gli animali, per gli enti, per gli stati... Così sulla base dei dati a nostra disposizione possiamo tranquillamente redigere anche l'oroscopo della Repubblica Italiana..

Alle h. 18.00 del 2 giugno 2011 faremo un'analisi delle caratteristiche della nostra Repubblica, per capire quanto esse influiscano sulla psiche di tutti noi cittadini. L'appuntamento è presso la sede del Circolo vegetariano, in Via Sacchette 15/a, in quel di Treia. Ah, fatalità la mamma di Caterina, ex proprietaria della casa in cui ora ha sede il Circolo, era nata proprio il 2 giugno, nell'anno della Scimmia di Acqua.

Intanto potete leggere l'oroscopo da me predisposto come base di discussione:

Oroscopo integrato della Repubblica Italiana – Fra Houdini e Disraeli


L’Italia è una Repubblica dal 2 giugno del 1946. Questa data è come un atto di nascita ed è possibile stabilire le qualità insite nella fondazione del nuovo Stato partendo dalle qualità temporali della sua fondazione. L’aspetto più evidente, dal punto di vista dello zodiaco occidentale, è che l’Italia manifesta tutte le caratteristiche dei Gemelli. Il 2 giugno rientra nel secondo decano, quindi nella pienezza degli aspetti “gemellari”. Castore e Polluce ci sono entrambi, ed è forse per questa ragione che l’Italia ha avuto, ed ha, un destino sia artistico, culturale e poetico che truffaldino e speculativo. In particolare si può dire che la Repubblica Italiana manifesta capacità di cambiamenti rapidi ed una quantità di talenti.

Benedetta dalle qualità del “divo nato” la nostra patria rappresenta la personificazione caratteriale dell’uomo di spettacolo, una specie di prestigiatore Houdini o –al meglio- un fantasioso statista in stile Disraeli. Lo spirito mercuriale dei gemelli predispone la Repubblica Italiana a trasformazioni repentine, cambiamenti di scena e facili entusiasmi. In tal modo si può perdere di vista la necessità contingente ed infatti la vita privata degli italiani -in generale- ne soffre, anche se nel pubblico tutti cercano di essere brillanti….

Nel calendario romano il 2 giugno era indicato come il “quarto giorno prima delle none. Fasto. Sacro a Marte, alla Dea Carna ed a Giunone Moneta” Secondo Microbio Carna è la divinità tutelare della parti vitali del corpo, forse questa la ragione per cui gli italiani sono così amanti della buona tavola e delle “rotondità” femminee.
Il termine invece affibbiato a Giunone, “Moneta”, significa “l’Avvertitrice” e le venne conferito in occasione del celebre episodio dell’assalto dei Galli al Campidoglio, sventato dalle oche sacre del tempio di Giunone. L’attributo passò poi ad indicare la moneta (in senso di denaro) poiché la zecca si trovava nei pressi del tempio della Dea.

Questo particolare della “difesa” fatta dalle oche può servire da introduzione al contenuto  zodiacale connesso all’oroscopo cinese. Infatti l’anno 1946 è quello del Cane di Fuoco. Il cane è animale da guardia per antonomasia ed il Fuoco rappresenta la vista, da cui se ne deduce che l’Italia è un paese che si guarda attorno e cerca di adeguarsi alle regole secondo termini di giustizia condivisa. Questa è una chiara immagine del destino del nostro paese. In aggiunta il 2 giugno rientra nella stagione del Cavallo, simbolo della libertà e della leggerezza, da cui se ne deduce che il motto più vicino alla realtà ideale della nostra Repubblica, secondo i cinesi, sarebbe “giustizia e libertà”.

Ed effettivamente, malgrado i grandi difetti, queste aspirazioni sono nel cuore di tutti gi italiani…..

Buon Anniversario della Repubblica a tutti quanti!

Paolo D’Arpini


Per info. sull'appuntamento: Tel. 0733/216293
bioregionalismo.treia@gmail.com

Lettere bioregionali sul grande fermento sociale, culturale e spirituale in corso....

Lettere bioregionali sul grande fermento sociale, culturale e spirituale in corso....


Non lasciamoci trascinare dal male

 
In quest'epoca di grandi cambiamenti, che da più parti viene frenata o addirittura sviata verso le retrovie, una cosa è ormai chiara, i popoli hanno cominciato a prendere coscienza di sé. Ma se ci accontentassimo di questo, il cambiamento rimarrebbe zoppo e prima o poi ristagnerebbe. Ristagnare, nella logica evolutiva di tutto il creato, significa retrocedere. Occorre completare l'opera e al più presto, per impedire che le forze avverse, potenti e con risorse inimmaginabili, possano passare alla controffensiva e riportarci alla schiavitù e alla miseria, materiale e spirituale, più di quella a cui ci hanno costretto finora. Occorre prendere coscienza che DENTRO DI NOI C'E' TUTTO CIO' DI CUI ABBIAMO BISOGNO. Perciò bisogna stravolgere tutto quello che ci ha fatto credere di esserci emancipati e che in realtà ci ha schiavizzati.

DENARO: basta sperare di arricchirsi investendo in borsa alle spalle di quelli che si impoveriscono, grazie soltanto a stratagemmi matematici e notizie tendenziose diffuse ad-hoc. Il Sistema Terra è sempre in equilibrio: se da una parte c'è ricchezza, eccessiva ricchezza, da un'altra parte c'è povertà, eccessiva povertà. E poiché la dinamica della vita, lo dice il nome stesso, non è mai statica, prima o poi chi è ricco diventerà povero e viceversa e chi domina sarà dominato; ciò crea continui squilibri, tensioni e disastri fra le popolazioni. Bisogna dare valore solo a ciò che ha un riscontro positivo nella vita del maggior numero possibile di persone e non del singolo.

  • SALUTE : il nostro corpo è una macchina perfetta; se gli diamo il carburante sano e lo nutriamo con pensieri giusti e sani, si autoguarisce e rimane in salute senza l'aiuto di nessuna medicina e di nessun medico. Basta dare ai camici bianchi gli onori e la riverenza in altri tempi riservata agli dei! Possiamo fare tutto, e bene, da soli. E, quando è arrivato il momento, essere felici di "passare a miglior vita". La medicina allopatica sta dando prove che ha fallito e ne darà a breve sempre di più. Il concetto "ci ammaliamo a causa dei virus e dei microbi, distruggiamoli" si sta dimostrando sbagliato. La medicina naturale e omeopatica rispettano di più l'essere umano e la natura, ma sono pur sempre spinte dal business (massaggi, tisane, tinture, ecc. ecc.). La vera medicina, quella del futuro, è la medicina spirituale e i medici più bravi presto saranno non coloro che conoscono a menadito le funzioni di ogni singola cellula del nostro corpo, ma quelli che riusciranno a guidare i malati, che non riusciranno a farlo da soli, verso le motivazioni più recondite nel nostro subconscio che ci fanno agire contro la natura, contro l'equilibrio nostro proprio e quindi di tutto l'universo, della Creazione. La medicina del futuro sarà la medicina SPIRITUALE, perché all'origine di ogni più piccolo disturbo e di ogni disgrazia c'è un errato pensare contro il TUTTO.
SPIRITO : dentro di noi c'è l'energia dell'universo, l'energia che muove ogni cosa, impariamo ad incanalarla nella giusta direzione e saremo noi stessi degli dei. Non a caso Gesù disse: "Voi siete dei e farete cose più grandi di me". Quindi, basta delegare la salvezza della nostra anima a caste sacerdotali, di qualunque credo siano, arroganti e rapaci. Il solo fatto che si arroghino il diritto di essere i portavoce di Dio li rende blasfemi e li rivela per quello che sono: degli impostori, poiché Dio è dentro di noi, ognuno di noi, ci è più vicino delle nostre braccia e delle nostre gambe. Di chi dobbiamo aver bisogno, allora, per ascoltarlo e per parlarci e farci guidare ? Di nessuno, solo della nostra volontà.

Auguri a tutti, Marco Bracci
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Il melone non è un'invenzione

L’Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO), con sede a Monaco di Baviera, fu istituito nel 1972 per l’applicazione della Convenzione Europea sui Brevetti (EPC), allora elaborata e sottoscritta da 19 stati in Europa. Tale convenzione comprendeva il divieto di brevettare la materia vivente, ma L’EPO (che gode di grande libertà perché non sottoposto ad alcuna Corte Internazionale) riuscì, con un’irregolare modifica del regolamento applicativo della Convenzione, a rilasciare brevetti su piante ed animali prima ancora che fosse recepita la direttiva europea 98/44, e fossero dunque autorizzati i brevetti sulle cosiddette “invenzioni biotecnologiche” (ma solo in 15 dei 19 stati che avevano aderito alla Convenzione: i 15 che avevano costituito l’Unione Europea).

Oggi l’EPO continua ad agire allo stesso modo: forzando sempre i limiti della legge.
L’EPO sta infatti rilasciando brevetti anche oltre i limiti stabiliti dall’Unione Europea con la direttiva 98/44 (già difficilmente accettabili). Questa esclude dalla brevettabilità piante e animali riprodotti con “procedimenti essenzialmente biologici”, ovvero con metodi convenzionali. Ma oggi i brevetti su piante e animali riprodotti con metodi convenzionali o tradizionali, senza alcuna modifica genetica, vengono richiesti in numero sempre crescente, e l’EPO ne ha autorizzati svariati (un brevetto è stato concesso sui maiali che, nutriti con mangime Monsanto, diventano solo per questo proprietà della Monsanto)..

Nel 2008, in seguito alla forte protesta delle associazioni ed essendo in corso un’azione legale promossa da due aziende biotech (Limagrain e Syngenta) contro il brevetto EP 1069819 B1 rilasciato per un broccolo convenzionale alla Plant Bioscience, fu stabilito che il caso del broccolo sarebbe stato il “caso giuridico” che avrebbe definito in Europa i limiti della brevettabilità. Il caso del broccolo fu successivamente affiancato da quello del pomodoro, al quale era stato concesso il brevetto EP 1211926, ugualmente contestato. La sentenza era in mano alla Corte che purtroppo è la sola preposta a tali valutazioni: l’Alta Corte d’Appello dell’Ufficio Europeo dei Brevetti (corte interna all’EPO, unica alla quale sia consentito ai cittadini europei di fare ricorso…).

Fabrizia Pratesi, Equivita

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ADESSO È IL MOMENTO PER FARE UNA NUOVA LEGGE ELETTORALE

1) l’attuale legge "porcellum" è antidemocratica perchè non consente al cittadino di scegliere i propri candidati e decidere chi deve andare a casa; essa ha fatto sì che l’eletto non risponda più ai suoi elettori, al suo territorio, ma sia leale soltanto al Capo di partito che l’ha nominato, diventandone così un maggiordomo in livrea e facilitando in questo modo la corruzione, la protervia e l’impunità.

2) è una legge truffa perché il premio di maggioranza a chi vince stravolge l'orientamento manifestato dagli elettori: con il 30% circa dei voti si ha il 55% dei seggi in Parlamento e questo non è giusto perchè ci devono essere delle maggioranze che rispecchino la realtà del Paese.

3) così permetterà di eleggere il presidente della Repubblica a chi ottiene anche solo il 34% dei voti.

4) è stata legittimata la tendenza Presidenzialista, neofascista e leaderista a trasformare le elezioni in una investitura popolare del Capo politico, attraverso l’obbligo giuridico di indicare sulla scheda il capo unico della coalizione. In questo modo il sistema elettorale tende surrettiziamente a modificare la Costituzione, comprimendo la centralità del Parlamento ed il ruolo del Presidente della Repubblica

5) ha snaturato la nostra vita democratica perché non c’è più un’iniziativa parlamentare, un’interrogazione, una proposta di legge se non dell’opposizione, e ci sono parlamentari che non sentono il dovere di partecipare alle Commissioni parlamentari e vanno soltanto per votare i provvedimenti del Governo

6) anche l'argomentazione che vuole l'attuale legge “porcellum” come antidoto all'infiltrazione mafiosa è debole: alcuni partiti, come il Pdl certo non brillano per il controllo etico e penale dei loro candidati, spesso indicati e nominati dimenticando volontariamente l'alone criminoso che li avvolge. E forse addirittura scelti proprio in virtù di esso.

Franco Pinerolo

lunedì 30 maggio 2011

Rita De Angelis: "Crisi della biodiversità e grande caldo..."


Cambiamenti climatici in corso

Italia fuori luogo: sull’orlo di una crisi tropicale già a Maggio.
Si è già capito da diversi anni che la biodiversità è in crisi. Non solo l’Italia ormai va verso la trasformazione di un paese tropicale con anomalie termiche che sono oramai presenti da più di 18 anni, ma nel 2009 ha superato 1,20 gradi in più rispetto alla media stagionale.

Un’escursione termica che mette a dura prova la biodiversità, favorendo il diffondersi di grandi infezioni. Si va leggermente in positivo per quello che riguarda gli incendi e l’inquinamento, per esempio quello industriale, ma i Comuni devono ancora combattere nella maggior parte dei casi col problema frane e dissesto del territorio.

L’annuario dei dati ambientali presentato nel 2010 segnala così la vulnerabilità climatica nel nostro paese: vale a dire che il caldo mette a rischio le riserve glaciali alpine, in sostanza la disponibilità dell’acqua. Nei mari sempre di più prolificano le specie di peschi di origine tropicale. Perdendo in questo modo l’habitat e la biodiversità si diffondono più infezioni, aumento di zanzare morte dei pipistrelli. Si trasmettono maggiormente malattie batteriche e vitali per l’essere umano, gli animali e le colture.

La situazione dell’aria sembra migliorare infatti dal 1990 al 2009 nell’aria è stato emesso meno zolfo, ossidi di azoto ed ammoniaca. Nelle grandi città restano elevate le polveri sottili, mentre per le città industriali sono in calo i cosiddetti gas serra, ma siamo ancora lontani dagli obiettivi fissati da Protocollo che ha fissato Kyoto.

Aumentano però i boschi e diminuiscono gli incendi. Ma rimane sempre precaria la situazione per i Comuni che sono sempre di più soggetti a rischio frane, vedi gli alluvioni a cui l’Italia è soggetta proprio a causa del passaggio al clima tropicale. In un anno si hanno così in media circa 24 giorni in più di caldo rispetto alla media climatologica, e si stima che nel 2009 circa il 40% in più di ettari andati in fumo a causa degli incendi, sono stati maggiormente in Sardegna.

Il nostro pianeta in sintesi sta diventando ogni giorno più vulnerabile a causa delle modiche che l’uomo ha apportato sul nostro suolo e territorio anche in maniera indiscriminata e senza controllo. Possiamo ancora salvare la nostra terra anche per le generazione future, basta fermarsi, riflettere ed avere forse la voglia e la volontà di condurre una vita un po’ meno consumistica e più salutare. Non surriscaldiamo maggiormente tutta la terra. E’ da questa che abbiamo il nutrimento per vivere.

Rita De Angelis

domenica 29 maggio 2011

Il significato di "Bioregionalismo".... secondo Paolo Portoghesi


La  parola "Bioregionalismo"  è un neologismo che  contraddistingue, più ancora che un progetto istituzionale, un modo di pensare e studiare che muove dall'esigenza profonda di riallacciare un rapporto sacrale con la terra, un rapporto che implica rispetto, ammirazione, timore e che inibisce ogni forma di rapina e di spreco.
Questo rapporto si conquista a partire dalla volontà di capire il luogo in cui viviamo, in cui la nostra esistenza ha luogo, e si sviluppa quando, a partire da un luogo, si cerca di identificare un'area che presenta caratteri di relativa omogeneità sia rispetto alla realtà fisica del territorio, sia rispetto alle comunità umane che la abitano e a tutte le altre forme di vita che la caratterizzano.

Una bioregione non è un recinto di cui si definiscono stabilmente i confini ma una sorta di campo magnetico distinguibile dai campi vicini solo per la intensità decrescente delle caratteristiche che formano la sua identità.

Questa natura flessibile e problematica spiega perché un programma così ambizioso e coinvolgente non abbia ancora al suo attivo esperienze istituzionali esemplari. Di fatto più che un programma politico il bioregionalismo tenta di introdurre nella società moderna un modo di pensare e di "appartenere" che potrebbe gradualmente rivelarsi rivoluzionario, potrebbe cioé (sulla base di riflessioni che riguardano il benessere e l' utilità pratica evidente di certe decisioni) produrre una reazione a catena capace di ridimensionare il potere incontrastato della tecnica e dell'economia globalizzatrice che oggi ha il primato rispetto a qualunque altra esigenza umana.

Che senso può avere - è lecito domandarsi - un modello di azione bioregionale in un mondo in cui sempre più la popolazione si accumula nelle grandi conurbazioni, dove lo stesso concetto di luogo entra in crisi rispetto ai rituali di una società che nega il valore della memoria? In un certo senso il bioregionalismo è una fede e come tutte le fedi non si misura con l'immediatezza ma con il flusso del tempo e alimenta la sua speranza di successo facendo assegnamento su processi in atto di lunga durata, non meno concreti di quelli che derivano dal primato dell'economia.

Tra questi da una parte il processo di degrado dell'ambiente che impone ed imporrà all'umanità svolte decisive, dall'altra i sintomi dell'affermazione di un nuovo paradigma scientifico aperto a riconoscere (attraverso la visione olistica e l'approccio sistemico) la complessità delle scienze della natura, liberate dal fascino di una razionalità chiusa e dal mito di un adempimento finale, e che la conoscenza dovrebbe raggiungere per riconoscersi signora dell'universo. Si sono aperte -come scrive Prigogine- al dialogo con la natura che non può più essere dominata con un colpo d'occhio teorico, ma solo esplorata; al dialogo con un mondo aperto al quale noi stessi apparteniamo, alla costruzione del quale partecipiamo.

Il modo di pensare bioecologico d'altronde non nega il significato e il valore delle città ma ne contesta il mito dell'autosufficienza e della insularità, vedendo in esse il frutto di un mutevole delicato rapporto con la sua "regione" e il resto del mondo. Vivere in sintonia con la propria città diventa allora conoscere l'insieme di relazioni che ne definiscono il ruolo, spesso parassitario, rispetto al territorio, impegnandosi in un riequilibrio necessario per la sua sopravvivenza.

Il bioregionalismo è allo stesso tempo molto semplice e molto complicato. Molto semplice, perché le sue componenti sono presenti e manifeste intorno a noi, proprio dove viviamo... Molto complicato perché è in contraddizione con i punti di vista convenzionali dei nostri giorni. Per cui è fin troppo facile considerarlo limitato, provinciale, nostalgico, utopistico o semplicemente irrilevante. Ci vorrà un po' di tempo prima che la gente capisca che il familiarizzarsi con il luogo non è nostalgico né utopistico ma piuttosto un modo 'realistico', ed alla portata di tutti, per creare possibilità pratiche ed immediate, capaci di rovesciare la tendenza al disastro ed all'incoscienza.

Paolo Portoghesi

Intervento tenuto al Convegno su  "Bioregionalismo ed  Economia Sostenibile"
Organizzato dal Circolo Vegetariano VV.TT. a Calcata (Vt)  il 10 maggio 2003  

sabato 28 maggio 2011

Bioregionalismo applicato al corpo umano - Come mantenersi in buona salute senza ricorrere alle medicine....

Cesto di frutta e verdura esposto alla Tavola Rotonda del 7 maggio 2011 al Comune di Treia su:
"Cure naturali, agricoltura biologica, alimentazione bioregionale, spiritualità ed arte della natura"


«Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente è che perdono la salute per fare i soldi e poi... perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere né il presente, né il futuro. Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto.» (Dalai Lama)

Frutta e verdura, antiossidanti e radicali liberi

Le reazioni ossidative innescate dai processi metabolici, indispensabili per la vita, lasciano dei residui, degli scarti, chiamati radicali liberi. Ogni giorno se ne producono moltissimi e anche se durano poco tempo riescono ad influire sulle funzioni organiche dell’organismo. Sono dei frammenti di molecole altamente reattive con uno o più elettroni spaiati.

A causa di tale squilibrio i radicali liberi causano nell’organismo reazioni a catena. Gli effetti possono essere: alterazione del DNA cellulare, invecchiamento precoce, abbassamento delle difese immunitarie, disposizione a malattie come L’Alzheimer e il Parkinson, patologie cardiovascolari, tumori, artrite reumatoide; possono favorire lo sviluppo del diabete, la sclerosi laterale atrofica, l’ansia, la depressione, il calo di energia, interferire nella capacità di concentrazione, nel sonno, a livello sessuale, perdita di capelli e imbiancamento precoce degli stessi, formazione di rughe e macchie sulla pelle.

Lo stress ossidativo, può essere misurato con un esame ematico che valuta il livello di antiossidanti, enzimi e acidi grassi polinsaturi, essenziali per la salute delle cellule. I fattori scatenanti possono essere: farmaci, droghe, fumo, alcol, inquinamento, raggi UV, campi elettromagnetici, microonde, malattie infettive, vaccini, depressione, ansia, stress cronico, dieta scorretta, disturbi alimentari ecc.

Gli enzimi antiossidanti della frutta e delle verdura (come il glutatione, la melatonina, la catalasi) sono in grado di arginare i danni prodotti dai radicali liberi. Al contrario un eccesso di grassi animali, compresi i pesci grassi, favoriscono il processo ossidativo. Ma non bisogna eccedere neppure con gli oli vegetali e con la frutta secca, perché gli oli per loro natura tendono ad alterarsi, ad irrancidire anche nel nostro organismo formando radicali liberi. E anche se la presenza di vitamina E è una valida protezione, meglio non superare gli eccessi. Le dosi ideali quotidiane possono essere: 4-5 noci al giorno, mandorle, pinoli e simili; 4-5 cucchiai di olio extravergine possibilmente a crudo (la frittura genera radicali liberi); 2 cucchiaini di semi di lino appena macinati.

Da non trascurare gli eccessi calorici: maggiore è la produzione di calorie più ossigeno si brucia, più si formano i radicali liberi. La cottura a fuoco alto o a tempo prolungato tende a distruggere gli antiossidanti benefici della frutta e della verdura.

venerdì 27 maggio 2011

L'acqua di Nestlé... rubata ai poveri della Terra!



La Nestlè ha lanciato pochi giorni fa in Canada la proposta di creare una “borsa mondiale dell’acqua”, soggetta alle stesse regole della borsa per gli altri prodotti, che consentirebbe quindi a poche multinazionali di avere il controllo completo sull’acqua che finisce sulle nostre tavole, ma anche su quella che esce dal rubinetto, se l’acqua venisse privatizzata.....

Nestlè è l’azienda numero uno per il mercato mondiale delle acque minerali, quindi la proposta non è per niente disinteressata… (Solo in Italia sono parte del gruppo Nestlé le seguenti marche: Claudia, Giara, Giulia, Levissima, Limpia, Lora Recoaro, Panna, Pejo, Terrier, Pracastello, San Bernardo, San Pellegrino, Sandali, Tione, Ulmeta, Vera, ed altre occulte...)

Se prima avevamo molti buoni motivi per andare a votare il referendum del 12 e 13 giugno 2011 per evitare la privatizzazione degli acquedotti, adesso ne abbiamo uno in più.

Ovviamente i media non ne parlano... facciamolo noi.

Anna, Elena, Maurizio, Caterina....

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Altri articoli sull'acqua bene comune:

giovedì 26 maggio 2011

Presentazione del prossimo incontro della Rete Bioregionale Italiana: 18 e 19 giugno 2011 - Ospitaletto di Marano (Modena)


La scelta del momento d'incontro  è voluta, sia per motivi ambientali, visto che l'assemblea si svolgerà all'aperto ed è bene sperare nel bel tempo,  sia per motivi archetipali.. visto che questa stagione è considerata la più proficua dell'anno (corrisponde al momento del raccolto).

L'incontro si tiene il 18 e 19 giugno,   i romani antichi consideravano questi due giorni"comiziali" quindi perfettamente idonei ad incontrarsi per discutere di cose sociali, in particolare il 19 giugno si teneva la Festa di Minerva all'Aventino, nel tempio più antico a lei consacrato che venne costruito da artigiani di origine etrusca allorchè ne introdussero il culto in età regia.  Questa celebrazione dedicata a Minerva è sempre stata considerata nella cultura romana il fulcro della intelligenza umana dedita all'arte, alla cura, all'abilità manuale ed all'insegnamento. Era la festa degli artigiani ed artisti, dei medici e dei maestri, i quali riuniti nelle rispettive corporazioni, offrivano sacrifici alla Dea e banchettavano convivialmente... e noi faremo altrettanto!

Siamo anche nel periodo dell'anno sacro a Mercurio (Gemelli) e sappiamo che le sue caratteristiche sono la curiosità e la provocazione. C’è una storia indiana che può rappresentare questo modello, con una prova di saggezza.  Tanto tempo fa alcuni preti vollero mettere alla prova la realizzazione dell’Uno professata da Janaka, un re che viveva l’unitarietà di tutte le cose.  Essi  inviarono alla sua reggia un gruppo composto da un  bramino (casta sacerdotale), un intoccabile, una vacca, un elefante ed un cane. Quando il gruppo giunse davanti al re,  egli inviò il bramino nel posto dove sedevano gli altri sacerdoti,  l’intoccabile in mezzo agli
altri intoccabili, la vacca fu mandata nella stalla, l’elefante nella rimessa degli elefanti ed il cane nel branco reale dei cani e diede istruzioni affinché di ognuno venisse presa cura nel modo dovuto. Allora i  preti lo interrogarono e gli chiesero come mai aveva separato quegli esseri: “perché li hai separati individualmente, non sono tutti la stessa cosa per te?”.  Janaka rispose “sì tutti sono Uno, ma l’auto soddisfazione cambia  secondo la natura dell’individuo. Ad ognuno di essi deve esser dato secondo la propria natura individuale e le proprie esigenze”.

Così vediamo che questo è il momento del passaggio, dell’attraversamento della frontiera, dall’inconscio collettivo al pragmatismo personale,  si percepisce il tempo sulla base della  condizione spazio temporale vissuta. Questo significa che in questo momento spontaneamente il nostro organismo si predispone ad affrontare e rispondere adeguatamente  alle condizioni che si manifestano intorno a noi. Certo, si potrebbe dire,  è sempre così in ogni periodo dell’anno, ma al solstizio estivo subentra una speciale “apertura”, il caldo e la maturazione dei frutti ci aiutano, recuperiamo il gap dell’autodifesa dal freddo e ritroviamo lo spontaneo aggiustamento alle condizioni a noi congeniali, l’uomo è  nato all’equatore…

Questo è il primo incontro della Rete Bioregionale in cui finalmente si potrà affrontare, a viso aperto, l'argomento dell'alimentazione umana in chiave bioregionale ed è particolarmente importante che vi
partecipino tutti i simpatizzanti, esponenti e referenti della Rete.  Durante la due giorni di Ospitaletto verrà presentato il nuovo numero di Quaderni di Vita Bioregionale che -grazie all'opera di Rita De Angelis e di Caterina Regazzi- riprende dopo un anno di assenza la pubblicazione... Il tema trattato è: Bioregionalismo ed Ecologia Sociale. Inoltre verranno presentate  altre pubblicazioni sul tema della spiritualità naturale e dell'ecologia profonda.


Per avere tutte le delucidazioni su come raggiungere il luogo dell'incontro e sulle sistemazioni:
caterina.regazzi@alice.it ; Cell. 333.6023090
marco.lapelosa@alice.it ; Tel. 059/794369

Informazioni generali e tematiche:
Paolo D'Arpini: circolo.vegetariano@libero.it - 0733/216293



Pensiero edificante: “Nulla di valore viene completato nell’arco di
una vita, perciò dobbiamo rivolgerci alla speranza. Nulla di vero,
buono e bello acquista un senso nell’immediato contesto storico,
perciò dobbiamo rivolgerci alla fiducia. Nulla da noi iniziato, per
quanto abili e capaci, può essere  completato in solitudine, perciò
dobbiamo rivolgerci all’amore ed alla collaborazione” (R.Niebhur)

mercoledì 25 maggio 2011

Treia: “La casa sulla roccia... e le campane al vento” - Breve racconto bioregionale




La peculiarità di questa casa di Treia, da Caterina ereditata dalla nonna Annetta e da me abitata, è che -pur stando su quattro piani di diverso livello- è sempre al piano terra... La cosa sembra strana ed in effetti fu proprio questa particolarità, descrittami da Caterina una notte mentre risiedevo ancora a Calcata, a farmela sognare e poi a spingermi a superare la mia inveterata pigrizia ed a desiderare di visitarla, di conoscerla, insomma di vedere com'era...

Ricordo che uno dei miei sogni ricorrenti, sin dall'infanzia, era quello di immaginarmi su una torre, e da lì osservare il modo sottostante con un certo distacco. Certo è una visione simbolica.. Ad esempio ricordo la sensazione di appartenenza provata nel momento stesso in cui misi piede per la prima volta a Calcata, villaggetto costruito su un acrocoro... Ma a Calcata manca il senso dello spazio, della visione panoramica, poiché l'acrocoro è più basso di tutte le alture circostanti, mentre l'effetto che mi fece la casa di Treia, quando al fine la visitai, fu proprio quello di stare sul più alto pennone di una nave e da lì contemplare il mondo..

Monticulum era chiamata nell'alto medio evo la città di Treia, proprio perché si trova su una collina transfuga, isolata dalle montagne del circondario e adagiata su una dolce valle che si allontana sino al mare. Non è una collina conica è piuttosto allungata ed è per questo che l'abitato storico è alquanto esteso, e probabilmente si sviluppò nei suoi due estremi in periodi ed in condizioni diverse... comprendendo da un lato un'antica torre avamposto dei longobardi e dall'altro l'insediamento della popolazione originaria, sorto dopo la caduta dell'impero romano, in cui si erano rifugiati gli antichi treiesi stanchi delle razzie subite a partire dal 500 d.c.

Attorno al XIII secolo, in periodo francescano, Monticello fu conosciuto perché patria di un santo frate, il beato Pietro Marchionni, contemporaneo e seguace di Francesco, che vi fondò una piccola comunità monastica, che si trovava fuori le mura.. nei pressi di un'antica fonte, denominata appunto “francescana” e che si trova lungo un sentiero anch'esso detto “francescano” che conduceva chissà dove... forse a Loreto od a Cascia?

Visitai, durante una passeggiata erboristica con Sonia Baldoni, quella sorgente. Ma la struttura attorno è quasi crollata, restava solo una parvenza di muro ed una specie di pozza con dentro ranocchie e tritoni, mentre lì a fianco c'era un piccolissimo stagno completamente ricoperto dal verde delle lenticchie d'acqua.

Forse mi sono un po' disperso nelle mie rimembranze e sto correndo il rischio di dimenticare la ragione per cui ho iniziato a scrivere questa storia... Ah sì, si tratta di campane... Dicevo che la casa di Treia è su vari piani ed ha vari ingressi, questo perché essendo costruita seguendo il dislivello della collina, capita che ogni ingresso sia a piano terra.. a partire dal più alto che si trova in prossimità della Cattedrale sino al più basso nelle vicinanze della Porta Montana.

Dal piano principale, quello che si affaccia quasi sulla Cattedrale, ovviamente si ode lo scampanio regolare, a tutte le ore e a tutte le messe e orazioni, che scandisce lo svolgimento religioso della chiesa principale di Treia. Ma scendendo di un piano si ode un'altra campana di una chiesetta che sta quasi a ridosso delle mura, scendendo di un altro piano ancora si può ascoltare il tintinnio delle campane di una chiesa fuori porta, ed all'ultimo piano terra si ode lo scampanio di un monastero francescano che sta nei pressi del cimitero. Insomma ogni livello ha le sue campane.. E questa diversità non mi dispiace affatto, anzi la trovo simbolica di un percorso.. spirituale, ma anche vitale... Dalla Cattedrale dove ci si battezza e ci si sposa.. sino al monastero vicino al cimitero.. dove infine ci si riposa...

Beh, oggi pomeriggio mi è capitato di leggere un raccontino sulla saggezza laica, insita nell'astrarsi dalle cure del mondo, pur continuando a svolgere le proprie funzioni. In essa si parla della maestria di un artigiano costruttore di castelli per campane... Sapete vero che per suonare bene una campana ha bisogno di un apposito castello che deve corrispondere a precisi requisiti di distanza, equilibrio e solidità e vuoti fra le sue parti?

Un intagliatore chiamato Ching aveva appena finito di preparare un castello di sostegno per campane. Tutti quelli che lo vedevano si meravigliavano perché sembrava opera degli spiriti. Quando lo vide il Duca di Lu, domandò: “Che genio siete per riuscire a fare una cosa simile?” E l'intagliatore rispose: “Sire sono solo un semplice manovale, non un genio. C'è una cosa però: quando sto per fare un castello di sostegno, medito per tre giorni per acquisire la pace della mente. Dopo aver meditato per tre giorni non penso più a ricompense o guadagni. Dopo cinque giorni di riflessione, non mi importa più delle lodi o delle critiche, né della bravura né dell'inettitudine. Dopo sette giorni, così trascorsi, di colpo dimentico le mie membra, il corpo, anzi tutto me stesso.. Perdo coscienza della corte e di ciò che mi circonda. Resta solo la mia arte. In quello stato d'animo entro nella foresta ed esamino ogni albero finché trovo quello in cui vedo riflessa la mia incastellatura in tutta la sua perfezione. Allora le mie mani si mettono all'opera. Poiché io mi sono tirato da parte, nel lavoro che si compie per mezzo mio, la natura incontra la natura. Questo è senz'altro il motivo per cui tutti dicono che il prodotto che ne nasce è opera degli spiriti...

Grazie per aver ascoltato sin qui...

Paolo D'arpini

lunedì 23 maggio 2011

Treia.. e la magia di quel portone aperto!


Ieri l'altro, a casa di Antonella, mentre pranzavamo, sua madre Irvanna raccontava di una casa della sua fanciullezza (ma non ricordo più dove) in cui c'erano un ingresso anteriore ed uno posteriore, sempre aperti ed allora mi è venuto in mente l'ingresso della casa di Treia.... Io ho trascorso lì tutte le estati da quando mia madre se l'è sentita di lasciarmi sola con mia nonna Annetta e deve essere successo molto presto, fin quando lei se ne è andata. Io avevo 10 anni, allora.

Quel pesante portone, in quegli anni, è sempre stato aperto, e per non stare proprio in mezzo alla strada veniva tenuto chiusa invece una porta di mezzo. Io passavo le mie giornate seduta sul gradino che da sulla strada e salutavo tutti i passanti. A volte i miei mi compravano una pistola ad acqua e allora mi divertivo a spruzzare le poche auto che passavano lì davanti. Spesso veniva a trovarmi un gruppo di ragazzini: Luciano, Piero, Donello e Gerardo. Donello e Gerardo erano i figli di un appuntato dei carabinieri che viveva nell'appartamento del piano di sopra, in affitto da mia zia Augusta, e si trasferinono in un altro paese tanti anni fa, Piero se n'è andato anni fa per una qualche malattia e Luciano invece abita ancora a Treia e lo incontro spesso al mattino al bar dove andiamo io e Paolo a fare colazione.

Avevo una foto bellissima, scattata da mio padre, in cui ci sono io in mezzo, con un passeggino con una bambola nera (una rarità per quei tempi) che si chiamava Carlotta e dietro questi 4 ragazzini, di qualche anno più di me e quindi più alti di me di 30-40 centimetri, tutti in calzoncini corti, ai giardinetti di San Marco. Ne avevo fatta anche fare una copia per darla a Luciano (tempo fa gliene avevo parlato e gliela avevo promessa), ma poi con tutti i traslochi e gli spostamenti di mobili, chissà che fine hanno fatto.

Chissà cosa ci trovavano mai quei quatto ragazzini in quella bimbetta più piccola di loro e così fragile..... ma forse era la magia di quel portone aperto.

Caterina Regazzi

Bioregionalismo “ante litteram” da Alain de Benoist a Eduardo Zarelli...

La foto ritrae un bosco di castagni secolari sui Monti Cimini - Scatto di Gustavo Piccinini


 
Spesso, parlando del movimento bioregionale, si fa riferimento ai suoi esponenti americani (Gary Snyder, Peter Berg, Kirkpatrick Sale e altri) oppure si menziona l'apporto ecosofico del norvegese Arne Naess ma si tende a ignorare il contributo di un pensatore antesignano in questo “nuovo” filone ecologista (nuovo nel senso di riscoperta di certi valori naturalistici), quel precursore fu il filosofo francese Alain de Benoist. Già durante i primi anni sessanta Alain de Benoist veniva “accusato” di anti-atlantismo ma il suo processo di maturazione lo portò a costruire un percorso originale fatto di critica verso la globalizzazione, il liberismo finanziario ed in favore delle piccole patrie e delle identità culturali. Negli ultimi anni ha sviluppato una forte critica nei confronti della politica imperialistica degli Stati Uniti. De Benoist considera la democrazia rappresentativa come un limite per poter sviluppare un maggior coinvolgimento popolare alla vita politica di un paese. Pur essendo piuttosto critico nei confronti dell'Unione Europea crede fortissimamente in un'Europa unita e federale, dove il concetto di nazione viene a decadere in favore delle identità regionali unite da un comune senso di appartenenza continentale. Il suo pensiero è difficilmente classificabile in quanto sintetizza alcuni dei concetti che abbracciano l'ecologismo, il multiculturalismo (a tutela delle identità culturali dei vari popoli), il socialismo, il federalismo comunitario e il paganesimo.

Sicuramente Eduardo Zarelli fondò la sua ricerca socio-ecologista partendo dalle idee di Alain de Benoist, ricordo infatti la rivista da lui creata e diretta “Frontiere” che nei primi anni '90 iniziava a parlare di autonomie, di etnie, di bioregioni.... insomma di tutti quegli argomenti propri, contigui ed affini ad discorso bioregionale... Forse, a differenza dei bioregionalisti americani, che pongono l'accento sul luogo e sui suoi aspetti di omogeneità geografica, de Benoist -e successivamente Zarelli- cercarono di individuare il senso di presenza vissuto nel luogo, basandosi ovviamente sui parametri descrittivi della comunità umana. Sento che questo approccio mi è affine.. anche se il mio spirito laico preferisce mantenersi sciolto dalle pastoie ideologiche che spesso contraddistinguono la perenne diatriba fra antropocentristi e biocentristi... anche in considerazione del fatto che entrambe le visioni sono elaborate da “esseri umani”.... e dirette verso una trasformazione intenzionale -o “controllo”- della società umana (vedi ad esempio le teorie primitiviste di Zerzan)... Ma, come affermò l'adepto taoista Alan Watts, ogni forma di controllo ricade infine sul controllore....

Paolo D'Arpini


Ora leggete questa critica della ragione mercantile di Eduardo Zarelli

La globalizzazione è l’iperbole dell’utopia mercantile, dell’idea che il “benevolo” commercio porti la pace e l’armonia universale tra gli individui. Idea nella realtà violenta e unilaterale, perché chi si rifiuta di farsi “armonizzare”, cioè colonizzare con le suadenti armi del mercato, è semplicemente bandito dall’umanità, nemico assoluto del genere umano contro il quale ogni misura repressiva e/o bellica è non solo lecita, ma doverosa.

Di economia non si parla prima di Platone e Aristotele. Questo non significa che prima non esistessero pratiche materiali. Queste, principalmente la sussistenza comunitaria e la riproduzione dei gruppi sociali, non sono pensate come una sfera autonoma. Non esisteva qualcosa come la “vita economica”, bensì la vita tout court.
La progressiva autonomia dell’economia dalla vita nel suo complesso è dovuto allo sviluppo unilaterale manifestatosi storicamente da un certo punto in poi nella ragione occidentale. La ragione aveva presso i greci due aspetti: il logos, la ragione e la phronesis, la saggezza. Serge Latouche pensa che nel pensiero dell’Occidente moderno, il logos si sostituisca del tutto alla phronesis e diventi “ragione sufficiente” e, quindi, “razionalità calcolante” economica.
La ragione mercantile tuttavia, avendo perso di vista la saggezza, cioè la vita nella sua totalità, è sempre meno in grado di spiegarla e rappresentarla. Se non cercando disperatamente di ridurre la vita mero utile sensistico. A questa razionalità calcolante, strumentale, va opposta la dimensione del ragionevole. Quando ci si occupa di esseri umani, la razionalità strumentale e calcolante, non basta più, perché si ha a che fare con dei valori: la giustizia, la libertà, la dignità. Solo eliminando ogni valore, o collocandosi all'interno di un solo valore, il pensiero unico occidentale, ci si potrebbe affidare alla sola razionalità calcolante, con gli esiti tecnomorfi nichilistica, etnocentrici universalistici e paranoico imperialistici che sono sotto gli occhi di tutti.  
Di questo allargamento di prospettive e di conoscenze, rispetto al pensiero economico dominante, siamo debitori nell’ambito delle scienze sociali al MAUSS, il movimento economico non utilitarista, che prende il suo nome dal sociologo che rilevò come la compravendita, o il baratto non siano affatto state le uniche forme di scambio nella storia umana, ma come il dono e la reciprocità abbiano svolto una funzione altrettanto e, in alcuni casi, più importante. È in tal senso teorizzabile un modello donativo, in sostituzione del modello utilitario dominante? Allo sguardo antropologico e psicologico, consapevole che quanto è rimosso fatalmente tornerà, ma in forme distorte e patologiche, si parlerebbe di “rimozione”, di schizofrenia tra principio di piacere e realtà fattuale, storica; ma se ogni effetto ha una causa, e il consumismo dominante ingenera una condizione precaria della società e dell’individuo, immaginare un superamento del dominio dell’economico nell’immaginario culturale è un passo fondamentale per costruire modelli sociali che siano in grado di ricondurre l’economico a strumento di sostenibilità comunitaria e naturale, al servizio dell’uomo.

Di fronte alla crisi economica e sociale del modello di sviluppo occidentale diventa realistico criticare la ragione stessa dell’economicismo moderno: lo sviluppo illimitato e la mercificazione dell’esistente. In tal senso, prima ancora che una prospettiva economica, la “decrescita” riguarda la sfera della mentalità.

Si tratta di cominciare a far “decrescere” l’idea che lo “sviluppo” degli scambi mercantili sia una legge naturale della vita. Il messaggio che pubblicità e media diffondono continuamente è che il benessere passa attraverso il consumo, ovvero attraverso l’appropriazione continua di una quantità sempre maggiore di oggetti. L’assimilazione di tale messaggio dalle coscienze equivale ad una vera e propria colonizzazione dell’immaginario simbolico, dunque non a torto si può parlare di un mutamento antropologico (l’uomo concepito esclusivamente come produttore-consumatore). Per rompere con il primato dell’economia, è necessario imparare ed essere capaci di dire: “mi basta ciò che ho” piuttosto che “voglio sempre di più!”. Quel “nulla di troppo” che insieme all’altra sentenza morale gnomica di Solone, “prendi a cuore le cose importanti”, rimandano alla sapienzialità e alla ricerca eudemonistica, fondamenti di filosofia.

Nel linguaggio corrente il termine sviluppo è fonte di un equivoco teorico sostanziale. Il concetto espresso con questa parola è di norma l'aumento del fluire dei beni materiali attraverso il processo produzione-vendita-consumo. È evidente che, con questo significato, lo sviluppo richiede l'aumento dei consumi. In altre parole, il termine sviluppo significa oggi la crescita economica illimitata. Gli abituali indicatori dello sviluppo sono sostanzialmente quantitativi. Conseguenzialmente si pensa che questa crescita aumenti il benessere dell’umanità, indipendentemente dai valori e dalla cultura che li esprime. Inoltre, fino ad oggi non si è mai presa in considerazione la possibilità che l'aumento dei consumi sia incompatibile con il funzionamento della biosfera, anche perché è venuta meno la consapevolezza che l'uomo sia parte della natura.
La crescita economica continua, illimitata, è un processo che impedisce il funzionamento della biosfera perché ne disarticola i cicli: è quindi un fenomeno fisicamente impossibile. Un’economia complessivamente in crescita può soltanto essere transitoria, un fenomeno sintomatico che, se non riequilibrato fisiologicamente, diviene patologico e porta necessariamente verso il degrado oncogeno dell’organismo relazionale tra risorse, produzione e consumi. Se poi ci poniamo in una prospettiva qualitativa e mettiamo in conto la bellezza del mondo e il benessere degli altri esseri senzienti, la situazione si aggrava ulteriormente. Lo “sviluppo” è, infatti, basato su una visione antropocentrica, che relega gli altri esseri animati, gli ecosistemi e tutto il mondo naturale al rango di “materia” a nostra disposizione.
Oggi invece le conoscenze scientifiche più avanzate riabbracciano le interpretazioni tradizionali cosmocentriche in un paradigma olistico, per cui l’uomo è parte relazionata di un organismo vivente, l'ecosistema, da cui dipende totalmente. Se l’uomo è l’unico essere vivente consapevole di ciò ha il dovere di invertire la tendenza e mutare il modello tecnologico scientifico ricucendo empaticamente la frattura tra cultura e natura provocata dal riduzionismo materialistico.
L’obiezione umanitarista si sposa, volenti o nolenti, con le lusinghe del progresso economico, sostenendo che lo sviluppo porta miglioramenti “a chi non ha”, ma a tal riguardo basta considerare che la forbice fra “ricchi” e “poveri” si è allargata in proporzioni direttamente proporzionali con la crescita economica, raggiungendo all’oggi un solco incolmabile. Inoltre, i concetti stessi di ricchezza e povertà sono una proiezione economicistica distorta dell'occidentalizzazione.
La modernità porta a compimento la divisione tra cultura e natura. Invece, in tutte le culture sapienziali, ogni corpo individuale, compreso quello umano, è sempre parte integrante del corpo cosmico, determinazione intrinseca di quell’ordine universale che è la Natura.

Nella tradizione Taoista «L’uomo si conforma alla Terra, la Terra si conforma al Cielo, il Cielo si conforma al Tao, il Tao si conforma alla spontaneità». La spontaneità è sinonimo di naturalezza, categoria eversiva nel mondo artificiale del contrattualismo sociale e del dominio tecno-scientifico.

Bisogna quindi uscire dal conformismo delle regole fatte convenzioni morali, sociali, culturali e politiche: l’uomo per conformarsi al Tao, deve pertanto «volgersi alla radice», «volgersi all’origine», «uniformarsi al fondamento», ossia riconquistare quelle condizioni di spontaneità che vigevano prima dell’introduzione della regola sociale. Una visione politica, basata su queste leggi, sul modo in cui opera il mondo del vivente, è indisposta ad un potere monolitico (tecnocratico) che eterodirige gli elementi fondanti l’organismo stesso, sarà piuttosto propenso alla decentralizzazione, all’interdipendenza e alla diversità. Un potere diffuso, partecipativo, in qualche modo “accidentale”, la cui sede decisionale è nella vitalità della comunità di base, possibile solo in un contesto antropologicamente limitato.

Al contrario, lo “sviluppo economico” appare come un processo che:
- sancisce la sopraffazione della nostra specie su tutte le altre forme viventi, sugli ecosistemi e in generale sul mondo naturale: distrugge la diversità biologica;
- impone universalisticamente a tutta l'umanità di vivere secondo il modello tecnomorfo occidentale;
- sostituisce materia inerte al posto della sostanza vivente; mette strade, macchine, impianti, dove c'erano campi, foreste, paludi, savane.

Edoardo Zarelli – Arianna Editrice

domenica 22 maggio 2011

Caterina Regazzi: "Treia è la casa della memoria!"


Come aveva iniziato Paolo...... "non mi è facile raccontare del mio rapporto con Treia.....".

In effetti scrivere di Treia mi imbarazza un po', è come scrivere del mio primo amore, è come parlare del rapporto con la madre, è un po' come andare dallo psicanalista!

La storia del mio rapporto con questo paese è praticamente la storia della mia vita e non mi sento tanto importante da scrivere un'autobiografia e cercherò quindi di estrapolare dalla memoria emozioni ed immagini che possano in qualche modo interessare chi avrà la voglia e la pazienza di leggermi.

E' una storia fatta anche di panorami e per questo sono andata a rovistare fra vecchi album di foto per accompagnare queste righe con qualche visione di oggi e di ieri perchè, se è vero che è importante vivere l'adesso, quel che io sono adesso e quello che provo mi deriva dalla somma delle esperienze del passato
grazie alle quali vivrò il futuro con tutto il bagaglio, leggero il più possibile, che mi porto appresso.

La casa di Treia è "la casa della memoria" e per questo quando Paolo ci è andato a vivere io e Viola abbiamo un po' "tremato" ma lui è stato delicato, non ha neanche pensato a stravolgere l'immagine generale. Quella casa ha tante cose, tanti oggetti e ognuno ha una sua storia ed anche se di tante di esse farei tranquillamente e volentieri a meno, non riesco a liberarmene, mi sembrerebbe di fare un torto a mia madre, perchè era quella la "sua" casa.

E' una storia fatta di emozioni: quando si arriva a Treia in automobile, io normalmente faccio "la corta", la strada che passa davanti a Villa Spada (a proposito: che darei per andarci dentro, ma chissà di chi è e cosa se ne fa e se ne farà), quindi il tragitto è in salita, una salita abbastanza ripida e quindi l'auto deve essere in una marcia bassa e fa un rumore acuto, ecco, io, quando scalo la marcia e comincio a sentire quel rumore, comincio a provare quell'emozione, una specie di piccola accelerazione del battito cardiaco e come un sottofondo della mia anima che dice: ecco, la mia bella Treia!

La mia bella Treia, con quel colore delle case che è il più bello, è caldo, è dolce, non è come il grigio del tufo, non è come il mattone a vista di alti luoghi, io non so che terra ci volesse e ci voglia per fare quei mattoni (ma se ne fanno ancora di quei mattoni, di quel colore, oggi?), non è come gli intonaci di vari colori alla moda, alle volte sgargianti, a  volte sbiaditi, a volte anche belli, ma il colore di quelle case per me è il più bello del mondo, e sono tutte uguali. E poi, finita la salita, quel breve tratto di strada circonvallazione che da sul panorama verso il Conero, e quella collinetta tutta spoglia ma sempre ben coltivata e quella deliziosa casetta che ci sta in cima, che darei per andare a vedere quel posto! e nelle giornate limpide il pezzetto di Adriatico vicino al monte.

Paolo, Paolo, possibile che tu non l'abbia mai visto davvero? dobbiamo prenderti gli occhiali o un binocolo! E' bellissimo vedere il mare da lì, ti fa sentire che tutto sommato, il mare è a portata di mano, a un tiro di schioppo!

Altra sensazione, oltre a quella di rivedere un luogo per me bellissimo, è quella del ritorno a casa.
Ho cambiato di casa diverse volte nella mia vita ed ogni volta c'era più o meno, presto o tardi, questa sensazione che si deve per forza provare nel luogo dove dormiamo, mangiamo, amiamo, pena una dissociazione della personalità, se questa sensazione viene a mancare. L'ho provata a Spilamberto, prima ancora di andarci ad abitare, ma il luogo dove mi sono sentita quasi sempre a casa, pur non avendoci mai abitato, nel senso "ufficiale" del termine, cioè pur non avendoci mai risieduto, è proprio Treia. Ho detto "quasi" di proposito e a ragion veduta perchè c'è stato anche un periodo abbastanza lungo in cui mi ci sentivo fuori posto.

Sono stati gli anni della solitudine, e poi quelli della malattia e poi della scomparsa dei miei genitori. Le stanze erano troppo vuote, troppo silenziose, ed i ricordi delle feste, delle cene e dei pranzi con i miei genitori, con i parenti, molti di loro ormai scomparsi, con le amiche ormai perdute, per le strade della vita che si dividono, mi davano solo una gran malinconia e voglia di scapparmene nella mia casa "altra" di quel momento.

Gli "spiriti" che sicuramente vi aleggiano, non mi facevano buona compagnia o forse non ero io una buona compagnia per loro.

Anche i treiesi mi parevano ormai tutti estranei e facevo fatica anche a fermarmi a scambiare due parole con loro, anche con i conosciuti. I treiesi sono persone buone come il pane, così come era mia nonna Annetta, ma di certo non si può dire che siano socievoli, se non sei tu a fare il primo passo, è difficile che si aprano. Quando hai superato quella debole barriera sono capaci di darti tutto. Parlo poi pensando ai "vecchi", dove per vecchi intendo anche i cinquantenni, cioè i miei coetanei, perchè dei giovani di oggi non saprei cosa dire.
E così poi è arrivato Paolo, anzi, per meglio dire, sono arrivata io da lui, e ricordo che parlammo di questo paese non so perchè il primo giorno, sicuramente per l'assonanza del nome con quello del fiume che scorre nel paese da cui lui proviene, e l'idea, non so se mia o sua che lui si trasferisse qui, mi ha subito entusiasmato.

Non che non vedessi le difficoltà e gli eventuali problemi ma in due e due quattro, ecco che la casa è stata "resuscitata" a nuova vita, gli armadi sono stati aperti, il camino riacceso dopo anni e riparato, la legnaia riempita, alcune cose inutili o rotte eliminate (ma pochissime come dicevo prima), la dispensa rifornita, i letti rifatti e riusati,

Il tempo là riprende il suo valore, di vita vissuta.

Spero che Viola abbia la fortuna un giorno di provare là le stesse belle emozioni che ci ho provato e ci sto provando io......

Caterina Regazzi

...................



A Treia...

Donna amabile,
raccontata da muse e poeti;
donna di piacere
vestita a festa
in un tramonto lieto;
...luce del mio grembo maturo
su cui adagio
lenti i miei passi
di pellegrino errante.
Io che ho scelto
il tuo sorriso
disegno
la tua storia
in un racconto
di fiaba...
io, suonatore
di canti perduti
riposo quieto
all'ombra
del tuo seno.

Antonella Pedicelli

sabato 21 maggio 2011

Treia, da invisibile a visibile.. Storie e sensazioni di un luogo poco conosciuto



“La coscienza è un singolare; il plurale dalla quale ci è sconosciuto; vi è un’unica sola cosa, e ciò che sembra essere una pluralità è semplicemente una serie di differenti aspetti di questa sola cosa, prodotta da un’illusione (maya); la stessa illusione si produce in una galleria di specchi...”  (Erwin Schrodinger)

"Per me le corolle di fiori in primavera,
per me le bionde spighe nel cuore dell’estate,
per me i dolci grappoli dell’uva che si matura,
per me la glauca oliva formatasi nel freddo"
(Priapo - Canto delle Stagioni)


Voglio  contribuire a rendere visibile la realtà di Treia, per come io l'ho conosciuta e vissuta.  Passeggio ogni giorno sotto le sue mura gagliarde, per le sue stradine medioevali, vago in piazze, vialetti, piazzette e vicoli, talvolta mi sembra di stare a Venezia, se non fosse che non incontro mai il mare quando mi affaccio dai dirupi,  sul vuoto attorno che mi circonda.. vedo solo campagna, una distesa di verde variegato che segue i colori delle stagioni e che talvolta diventa giallo, rosso, marrone, bianco... E a distanza, colline e montagne.. Alcuni mi dicono che là, dove s'erge il Monte Conero, il mare c'è,  e che nelle giornate terse di primavera si può scorgere l'Adriatico ed i suoi riflessi azzurrini.. ma  la mia vista non mi consente di scoprirne la realtà...

La gente incontrata per strada mi saluta, ho imparato a conoscerne i visi, senza conoscerne i nomi. Eppure di Treia conosco il nome e la forma ed anche un poco la sua storia.. Ho cercato di alleviare la carenza  leggendo qualcosa... cominciando dalle targhe affisse ai muri, ascoltando le voci di chi mi ha raccontato storie e storie del passato e del presente ed osservando...

Treia,  dove solidarietà, antichità, efficienza, pulizia ed eleganza si uniscono… in miniatura.
Treia é costruita su una lunga collina, in mezzo c’é una grande piazza, congiunta nei due lati da una specie di corso, una Via Monte Napoleone in miniatura. Sì perché questo borgo, non so perché, forse per la sensazione di efficienza e ordine, pulizia delle vie, giardinetti pensili ben curati,  mi ricorda anche Milano. La strada che unisce i due estremi della cittadina é costeggiata di botteghe luminose che da una parte all’altra fanno pendent...

Da un estremo, verso la porta Vallesacco, domina la maestosa Cattedrale  e dall’altro estremo -dove esisteva un vecchio castello longobardo- ci sono due conventi di suore, con belle chiese affiancate e persino un albero di senape ben vivo (questa pianta é nominata da Gesù in una sua famosa parabola), in una di queste chiese, quella di Santa Chiara, viene conservata una statua lignea della Madonna Nera (si dice che codesta e quella di Loreto fossero due statue gemelle ma l’attuale di Loreto é una copia rifatta dopo l’incendio che distrusse la paredra originaria).

Andando da una parte all’altra di Treia si nota la presenza di tante attività parallele, un orefice gioielliere da una parte e uno dall’altra. Un paio di baretti di qua ed un paio di là, una fruttivendola per ogni opposto, due pizzerie, qualche negozio di moda paesana, due tabaccai, etc. Insomma é un paese che fa da specchio a se stesso….

Ma tutta questa minuzia e precisione sembra quasi sprecata… già perché -come scrisse Dolores Prato- “nella piazza non c’é nessuno..”. Radi sono i passanti e radi gli avventori, anche se -lo dico egoisticamente- fa piacere in fondo entrare in un baretto e vedersi servire subito senza attese né dover chiedere, perché le ragazze “ricordano”, avendo a disposizione tavoli e divani, giornali quotidiani e pure la televisione accesa (magari quella se la potrebbero pure risparmiare… però…).

Secondo la nostra cultura ogni luogo ha valore  per il senso di presenza che vi si manifesta... senza la presenza, o senza la descrizione,  il luogo in se stesso è irrilevante. Questo non significa che quel luogo è inesistente ma il modo in cui noi possiamo conoscerlo è solo attraverso la nostra presenza... Una presenza che si manifesta nel tempo e che ha reso il luogo quello che oggi noi lo conosciamo.


La Storia di Treia

380 a.C. circa, il primo insediamento, ad opera dei Piceni o dei Sabini, è lungo un ramo della via Flaminia a circa due km dall’attuale centro storico. Il luogo diventa colonia romana e prende nome da un’antica divinità, Trea.

II sec. a. C., Treia diventa municipio romano.

X sec. (inizio), gli abitanti della Trea romana, per sfuggire ai ripetuti saccheggi, individuano un luogo più sicuro sui colli e costruiscono il nuovo borgo che prende il nome di Montecchio, da monticulum, piccolo monte.

XIII sec., Montecchio si dota di un sistema difensivo comprendente una possente cinta muraria e si allarga fino a comprendere tre castelli edificati su tre colli, Onglavina, Elce e Cassero. Nel 1239 è assediata dalle truppe di Enzo, figlio naturale di Federico II, e nel 1263 da quelle di Corrado d’Antiochia, comandante imperiale che viene catturato dai treiesi.

XIV sec., Montecchio passa alla signoria dei Da Varano e poi a Francesco Sforza. 1447, posta dal Pontefice sotto il controllo di Alfonso d’Aragona, Montecchio viene in seguito ceduta da Giulio II al cardinale Cesi, e da allora segue le sorti dello Stato della Chiesa.

1778, si apre la prima sezione pubblica dell’Accademia Georgica dei Sollevati, importante centro culturale ispirato ai principi dell’Illuminismo.

1790, il Pontefice Pio VI restituisce al luogo l’antico nome di Treia, elevandolo al rango di città.


Il mistero dell’infinito…

Mura turrite che evocano il Duecento, ma anche tanti palazzi neoclassici che fanno di Treia un borgo, anzi una cittadina, rigorosa ed elegante, arroccata su un colle ma razionale nella struttura. L’incanto si dispiega già nella scenografica piazza della Repubblica, che accoglie il visitatore con una bianca balaustra a ferro di cavallo e le nobili geometrie su cui si accende il colore del mattone. E questo ocra presente in tutte le sfumature, dentro il mare di verde del morbido paesaggio marchigiano, è un po’ la cifra del luogo. La piazza è incorniciata su tre lati dalla palazzina dell’Accademia Georgica, opera del Valadier, dal Palazzo Comunale (XVI-XVII sec.) che ospita il Museo Civico e dalla Cattedrale (XVIII sec.), uno dei maggiori edifici religiosi della regione. Dedicata alla SS. Annunziata, è stata costruita su disegno di Andrea Vici, discepolo del Vanvitelli, e custodisce diverse opere d’arte tra cui una pala di Giacomo da Recanati. Sotto la panoramica piazza s’innalza il muro di cinta dell’arena, inaugurata nel 1818 e poi dedicata al giocatore di palla con il bracciale  Carlo Didimi.

Da Porta Garibaldi ha inizio l’aspra salita per le strade basse, un dedalo di viuzze parallele al corso principale e collegate tra loro da vicoli e scalette. Qui un tempo avevano bottega gli artigiani della ceramica. Continuando per la circonvallazione, a destra la vista si apre su un panorama di campi rigogliosi e colline ondulate. L’estremo baluardo del paese verso sud è la Torre Onglavina, parte dell’antico sistema fortificato, eretta nel XII secolo. Il luogo è un balcone sulle Marche silenziose, che abbraccia in lontananza il mare e i monti Sibillini.

Entrando per Porta Palestro si arriva in piazza Don Cervigni, dove a sinistra risalta la chiesa di San Michele, romanica con elementi gotici; e di fronte, la piccola chiesa barocca di Santa Chiara con la statua della Madonna di Loreto: quella originale, secondo la tradizione. Proseguendo per via dei Mille, si attraversa il quartiere dell’Onglavina che offrì dimora a una comunità di zingari, al cui folklore si ispira in parte la Disfida del Bracciale.

Dalle vie Roma e Cavour, fiancheggiate da palazzi eleganti che conservano sulle facciate evidenti tracce dei periodi rinascimentale e tardo settecentesco, e denotano la presenza di un ceto aristocratico e di una solida borghesia, si diramano strade e scalinate. Nell’intrico dei palazzi, due chiese: San Francesco e Santa Maria del Suffragio. E tra di esse, un curioso edificio: la Rotonda. Nei pressi, la casa dove visse Dolores Prato, ricordata da una lapide, e il Teatro Comunale, inaugurato il 4 gennaio 1821 e dotato nel 1865 di uno splendido sipario dipinto dal pittore romano Silverio Copparoni, raffigurante l’assedio di Montecchio. Il soffitto è decorato con affreschi e motivi floreali arricchiti nel contorno da ritratti di letterati e musicisti; la parte centrale reca simboli e figure dell’arte scenica.

La Chiesa di S. Filippo a Treia è una delle più prestigiose nel novero delle ben 26 catalogate e studiate nelle Marche: un patrimonio, questo, “riscoperto” e pressoché inedito per la sua vastità. L’erezione dell’Oratorio a Treia avvenne su concessione del Vescovo di Camerino nel 1631,  dove presisteva una cappellina dedicata a S. Antonio Abate.  Il tempio completato e già consacrato nel giugno 1777, venne infine officiato il 26 maggio 1778 con dedica a San Filippo, mantenendo assieme il vecchio titolo di S. Antonio Abate.

Si può lasciare Treia uscendo dall’imponente Porta Vallesacco del XIII secolo, uno dei sette antichi ingressi, per rituffarsi nel verde. Resta da vedere, in località San Lorenzo, il Santuario del Crocefisso dove, sul basamento del campanile e all’entrata del convento, sono inglobati reperti della Trea romana, tra cui un mosaico con ibis. Qui sorgeva l’antica pieve, edificata sui resti del tempio di Iside. Il santuario conserva un pregevole crocefisso quattrocentesco che la tradizione vuole scolpito da un angelo e che, secondo alcuni, rivela l’arte del grande Donatello.


Note Recenti

Poco prima dell'accesso per  Porta Mentana o Montana (dai treiesi detta anche Porta Montegrappa),  c'è un'antica fonte di acqua purissima, attinta anche ai nostri giorni, salendo per una ripida salita a gradoni ed entrando nella Porta si noterà a sinistra un vecchio pozzo (ora fuori uso) dal quale evidentemente in antichità si attingeva l'acqua, che ora sgorga dalla fonte, restando all'interno delle mura. Al lato sinistro del pozzo c'è una stradina che si inerpica verso la via Mazzini, si chiama Via delle Sacchette, percorsi una ventina di metri si scoprirà verso destra un rientro ove si scorge un poggiolo su strada, con una ringhiera in ferro battuto, alla base del quale ci sono delle piante di rose, sopra la porta c'è un vecchio cartello in legno con su scritto "Circolo vegetariano VV.TT."  a fianco della porta è anche affisso il numero civico "15/a".


Paolo D'Arpini


Presidente del Circolo Vegetariano VV.TT.
Via delle Sacchette, 15/a - Treia (Macerata)
Tel. 0733/216293 - bioregionalismo.treia@gmail.com  

venerdì 20 maggio 2011

Dal Treja a Treia: “Ogni inizio comincia da una fine...”

La foto, scattata da un passante,  ritrae Caterina Regazzi e Paolo D'Arpini - Treia agosto 2010


Sento il bisogno, visto che questo blog è dedicato a Treia, di riportare qui la mia prima esperienza avuta con questo luogo. Quella che segue è una riflessione  dopo il primo viaggio compiuto a Treia, ricordo che la buttai giù senza pensarci, scrivendola a penna su un foglio volante. Accadde quando ancora abitavo nella valle del Treja, all'inizio del 2010, da poco era stato concluso il rito della “Notte senza Tempo”, la passeggiata notturna che si svolge in qualsiasi condizione atmosferica il 31 dicembre di ogni anno. Quell'edizione doveva risultare l'ultima tenuta nella Valle del Treja. Infatti di lì a poco giunse a Calcata la mia compagna Caterina Regazzi e con lei, scuotendo la mia pigrizia inveterata, partii alla scoperta di Treia, la casa dei suoi nonni materni. Quella doveva essere un'esperienza che avrebbe modificato radicalmente la mia esistenza... infatti dopo quel primo impatto.. il cordone ombelicale con Calcata fu reciso.. e dopo 9 mesi (giusto il tempo di una gestazione) mi trasferii definitivamente a Treia, nelle Marche.


Dal Treja a Treia.... un viaggio nel sé

Non sono per nulla facilitato a scrivere un resoconto di un viaggio di cui non si sa quale sia l’inizio e la fine. Inizia nello stesso modo in cui finisce: da Treja a Treia,  cambia solo una lettera, il suono è lo stesso ed anche la sensazione di casa, di presenza costante dell’io.

Un viaggio che è un sogno? Certamente come tutto il resto della vita.

Da diversi anni non mi spostavo da Calcata se non nel raggio di cento chilometri. Stavolta ne ho percorsi trecento all’andata e trecento al ritorno, senza però cambiare di molto la sensazione di essere sempre e comunque nel luogo che io sono, che mi appartiene ed al quale io appartengo.

Un viaggio così si compie anche in un metro quadro!” Dice Marinella Correggia nella sua presentazione della mia persona e di Calcata.

Ed eccomi qui, nel mio metro quadro, giusto lo spazio per allungare le mani, le braccia e spingere una gamba dietro l’altra, senza mai uscire fuori da qual “centro del mondo”.

Un viaggio virtuale? No è un viaggio nella coscienza della coscienza…

Attraversare gli Appennini con il sole e ritornare per la stessa strada con la neve ha stabilito il senso del passaggio del tempo. Passare da un ambiente ruvido, scheletrico, profondo come la morte, l’ambiente del Treja, per arrivare sul corpo dolce e sinuoso di una terra molto femminile e viva, quella di Treia… è come una rinascita.

La mia anima ha ritrovato la giovinezza di Otello, che viveva in uno scantinato scolpendo lapidi mortuarie e ricevendo cibo amoroso dalla padrona di casa. In quella stessa stanza, che oggi è una calda alcova, piena di luce, colori calori… ho rivisto un me stesso prima dell’esilio.

Ma dov’è il luogo dell’esilio – Treja o Treia?!

Il fuoco scoppiettante di un camino è lo stesso, l’aria è la stessa, il gustoso cibo è lo stesso, l’abbraccio di chi mi ama è lo stesso, le carezze, le parole di conforto, il buio, il vento, l’acqua che bagna…

Insomma sono partito, sono arrivato, sono tornato… non lo so, non posso dirlo, ho provato a raccontarlo, a trasmettere delle immagini… ma forse tutto è rimasto così… solo nella mia mente.

La mente universale racconta in silenzio!

Paolo D’Arpini

(Scritto il 5 gennaio 2010)

………………..

Breve commento aggiunto.

Tara che significa Liberatrice, Salvatrice, fu il primo essere che ottenne l’illuminazione in forma femminile. Tara è un principio illuminato e, anche se a noi mancano le realizzazioni per poterla vedere, è presente ovunque; non dovete pensare che Tara sia solo un simbolo dipinto sulle tanghe od una divinità che vive in una Terra Pura, lontano da noi. Essa rappresenta il potenziale pienamente realizzato della nostra mente. Pregare Tara e meditare su di lei ci procura solo dei vantaggi, anche materiali, aumentano le ricchezze, la lunghezza della vita, la fama ed i meriti…” (Cintamani Chakra)

Ho voluto inserire questa postilla sul significato di Tara per far capire che essa si è manifestata come la mia accompagnatrice in questo viaggio nel sé. Essa mi ha sorretto ed ha reso possibile ogni mia esperienza e meditazione, ogni sentimento ed ogni pentimento. Tanto l’ho sentita presente e tanto l’ho riconosciuta al mio interno che quasi mi sembrava superfluo dare alla forma fisica che essa ha incarnato per me un nome, una specifica forma… ma questo nome e questa forma vanno menzionati e identificati in Caterina Regazzi, in lei ho riconosciuto la controparte femminile del mio essere e con lei ho compiuto il viaggio dal Treja a Treia. (Paolo D’Arpini)

......

A chi Dio vuol concedere una vera grazia
lo fa viaggiare per il vasto mondo
a scoprire le sue meraviglie
per monti e valli e boschi e campi e fiumi.
i pigri chiusi in casa
non sono rallegrati dall’aurora
e sanno solo il pianto dei bambini
e angustie e noie e l’ansia per il pane.
dai monti sgorgano i ruscelli,
lassù le allodole trillano di gioia,
perché non devo anch’io cantar con loro
a piena voce e con felicità?
Al buon Dio mi voglio affidare,
egli che regge cielo e terra
e ruscelli e allodole e boschi e campi
anche i miei giorni al meglio ha programmato”

Eichendorff, da Vita di un perdigiorno