martedì 31 gennaio 2017

Bioregionalismo e società - Vivere bene e responsabilmente


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Di tutto ciò che facciamo nella nostra Vita, per un verso o per l’altro, direttamente o indirettamente, ne siamo responsabili in prima persona. Questo significa anche, per riflesso, che la nostra Vita dipende da noi e non da altro o altri. Non dipende neppure dal “Sistema” che pure questa sola Vita che abbiamo ce la rende difficile. Quando le cose vanno bene questo dipende da noi e quando vanno male altrettanto. Quando vanno male abbiamo la possibilità, assumendoci la responsabilità della nostra Vita, di farle andare bene. Fare andare questa nostra Vita in un modo piuttosto che in un altro dipende da noi e non da altro o altri.
Mi si potrebbe obiettare, ad esempio, che se si nasce e vive in Siria sotto le bombe dell’Occidente democratico (seppur sganciate per interposta persona, ma questo è un altro discorso), hai voglia te a parlare di responsabilità in prima persona della tua Vita. Ma a parte il fatto che questo è un caso “estremo” che non riguarda chi come noi è cresciuto e vive nella bambagia del consumismo e dell’intrattenimento/rincoglionimento mediatico, anche qui, tutto sommato, qualcosa si può pur sempre fare (pensiamo a coloro che fuggirono dai campi di concentramento nascosti tra i cadaveri dei compagni morti). Il punto, in ogni caso, è che sempre, in ogni situazione, per quanto disperata, c’è un margine di manovra (più o meno ampio) che dipende esclusivamente da noi. Concentriamoci su quello e non su tutto il resto.
Ad esempio, come assumersi la responsabilità della propria Vita nel caso di una malattia? Nel caso di una malattia lo spazio delle variabili è ampissimo e può portare alla guarigione o, nei casi più limite, alla morte. Si parte dall’approccio “perché la malattia ha colpito proprio me”, alla presa di coscienza di cosa è la malattia, del perché mi sono ammalato di quella data malattia, al percepire la malattia come strumento di crescita interiore, a infinito altro ancora. Le variabili che possono portarci ad ammalarci sono infinite, ma di sicuro una malattia (qualunque malattia) non viene a caso.
Se io “credo” (convinzione) che un cancro mi porterà alla morte o comunque lo vivo come fonte di sofferenza, paura, tensione estrema, gli aspetti negativi del cancro aumenteranno in maniera esponenziale e magari mi porteranno davvero alla morte o comunque a vivere male. Se invece credo (nutro la convinzione profonda) che il cancro non è altro che un processo di guarigione del mio organismo (come tra l’altro è, anche se questo la medicina ufficiale non ve lo dice), reagiremo in maniera diametralmente opposta cercando, con fiducia e conseguente approccio sereno, di metterlo (il mio organismo) nelle migliori condizioni possibili per tornare al suo naturale stato di equilibrio omeostatico (ovvero ad essere in salute nel senso più ampio del termine). Questo semplicemente per dire che ciò che penso della “malattia” che mi ha colpito e come reagisco ad essa, fa tutta la differenza del mondo nel mio processo di guarigione. La responsabilità della malattia, e della mia Vita, è la mia e solo la mia. Nel bene e nel male.
Di conseguenza a questo mio pensiero/credenza/convinzione, ma soprattutto di conseguenza alla presa di responsabilità relativamente alla “malattia” che mi ha colpito, io penserò, proverò stati d’animo, prenderò decisioni che possono essere diametralmente opposte tra loro. E’ bene dunque capire in maniera netta e inequivocabile, che la questione di fondamentale importanza non è affatto la “malattia” in sé, bensì come io “reagirò alla malattia”, quindi come mi curerò, come rivedrò le priorità della mia vita, in definitiva quale cammino di guarigione e di Vita sceglierò di percorrere. Tutto ciò dipende esclusivamente da me e non dalla malattia che mi ha colpito. La disponibilità economica, la classe sociale, il livello di “cultura”, non fanno alcuna differenza (anzi, a volte sì ma per il verso contrario di come siamo comunemente portati a pensare). L’unica cosa che fa la differenza è la nostra disponibilità (o meno) ad assumerci la responsabilità della nostra salute e quindi della nostra Vita. L’unica cosa che fa differenza è la nostra ferma, feroce, imprescindibile, volontà di “guarire” (anche perché senza quella guarire è semplicemente impossibile). Se poi vogliamo fare un passo ancora oltre, capiamo che ciò che conta davvero non è tanto guarire quanto vivere bene. Ci sono infatti persone (poche) che “vivono” fino alla morte mentre altre (la maggior parte purtroppo) vivono da “morti”.
In ogni caso “vivere” (vivere bene) è una nostra precisa responsabilità; non del medico, del guru, del maestro, del life coach o mind coach che sia. Non ci sono scorciatoie: vivere bene è una nostra precisa responsabilità e fino a che non ce la assumeremo bene non vivremo mai.
Se alla fine dei nostri giorni avremo rimpianti significa che avremo vissuto male, se non ne avremo avremo vissuto bene. Ma siccome non è molto intelligente scoprire questa cosa solamente alla fine del nostro cammino, il metodo più semplice, efficace ed infallibile, è verificare quotidianamente se ci alziamo con gioia la mattina per vivere la giornata che abbiamo davanti e se andiamo a letto felici la sera contenti della giornata che abbiamo vissuto senza dover recriminare per quella giornata andata e che non tornerà mai più. Se abbiamo una percentuale alta di “belle giornate” significa che stiamo vivendo “bene”, altrimenti no. Fate di questa semplice pratica la vostra meditazione quotidiana. Sono sufficienti dieci minuti al giorno, cinque al mattino quando ci si sveglia e cinque alla sera prima di coricarsi. E’ tutto qua, così banale che preferiamo non crederci, non provarlo, non verificarlo, anche perché crederci, provarci e verificarlo significa mettersi in gioco in prima persona; è più facile lamentarsi di tutto e di tutti, che poi è esattamente quello che fanno tutti (o almeno quasi tutti).
Se decidiamo di assumerci la responsabilità della nostra Vita è necessario cambiare i nostri schemi di pensiero che, giocoforza, sono quelli della società in cui siamo nati e cresciuti. Ad esempio, noi crediamo che la medicina ci salverà ma invece è l’esatto opposto perché noi non viviamo grazie alla medicina ma nonostante questa (e dati e statistiche lo confermano, visto che l’apparato medico-farmaceutico è la prima causa di morte negli Usa e la terza in Europa). Perché allora continuiamo a rivolgerci ad essa quando stiamo male? Semplicemente perché quello è il nostro schema di pensiero, lo schema di pensiero di tutti, quello della società in cui viviamo. Se si sta male si va dal medico, si fanno le analisi, si prendono le medicine, si fa una chemio (molte chemio), ci si fa togliere qualche pezzo di organo. Del resto lo fanno tutti no? Ma tu non sei tutti, bensì te stesso. Ti pare poco essere te stesso?
Chi guarisce davvero, così come chi vive bene davvero, sempre, inevitabilmente, si è preso la responsabilità della propria Vita. Sempre, inevitabilmente, ha pensato diversamente da come pensano tutti. Sempre, inevitabilmente, ha agito diversamente da come agiscono tutti.
Per farla breve il solo ingrediente indispensabile ma anche ineludibile ad ogni vera “guarigione” (intesa in senso ampio), cioè ad ogni Vita degna di essere vissuta, è semplicemente vivere davvero, cioè assumersi la responsabilità della propria Vita.
Ma poiché è più semplice, facile, deresponsabilizzante, non assumersi questa responsabilità e anzi almeno per noi che siamo cresciuti e viviamo vive nella bambagia del consumismo continuare a pensare e fare come abbiamo sempre fatto, cioè pensare come pensano tutti e fare come fanno tutti, è altrettanto ovvio che siano molto più numerosi i malati dei sani, molto più numerosi quelli che vivono male rispetto a quelli che vivono bene. In attesa di prendervi la responsabilità della vostra Vita, a ognuno il suo.
Andrea Bizzocchi 
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lunedì 30 gennaio 2017

UE. Avanti transgenico: "L'Italia vota a favore del mais OGM..."


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Ogm, Ue si spacca su tre mais transgenici. Ma l'Italia vota a favore… dopo averli vietati sul proprio territorio... 

Ue nuovamente spaccata e incapace di decidere sull'autorizzazione a coltivare tre mais Ogm sul territorio dell'Unione. I rappresentanti degli Stati membri nel comitato permanente Ue per piante, animali, alimenti e i mangimi (Paff) non sono riusciti a esprimere la maggioranza qualificata necessaria per approvare o respingere la richiesta di autorizzazione di tre mais ogm .

Si è trattato del primo voto con le nuove regole che permettono ai singoli Paesi di vietare la coltivazione sui rispettivi territori nazionali anche in presenza di un'autorizzazione a livello Ue. Un'opzione scelta da diciassette Paesi, tra cui l'Italia, e due regioni. Ma il nuovo quadro legislativo non ha cambiato la situazione di impasse che si presenta regolarmente quando si deve decidere sugli Ogm. La palla torna quindi nel campo della Commissione che "intende ora riflettere sulle prossime tappe", ha dichiarato un portavoce dell'Esecutivo Ue.


Anche se l'esito del voto con le nuove regole europee si è concluso con un nulla di fatto, dalla votazione è emerso che si sono pronunciati a favore, oltre all'Italia, anche altri Paesi che hanno vietato le coltivazioni ogm sul proprio territorio come l'Olanda. Altri, come Germania e Belgio, si sono astenuti riflettendo la spaccatura dei rispettivi governi sul tema, mentre altri ancora si sono schierati con la Francia, che ha votato contro.

"Vedere l'Italia votare a favore dell'introduzione di queste sementi geneticamente modificate è uno schiaffo ai nostri agricoltori", attacca Marco Affronte, dei Verdi europei. "Il voto del 27 gennaio 2017 è un chiaro segnale che non c'è interesse per le colture transgeniche nell'Ue", che invece "dovrebbe voltare pagina una volta per tutte", dice Franziska Achterberg di Greenpeace Europa. L'associazione delle industrie biotech europee Europabio ricorda che i "tre prodotti sono stati in attesa di autorizzazione per 15 anni e più" e invita la Commissione "ad approvarli a meno che una maggioranza qualificata di Stati membri si opponga".

Da un punto di vista giuridico, ora la Commissione potrebbe convocare il comitato d'appello, andare nuovamente al voto e, in caso di equilibri immutati, decidere autonomamente di autorizzare i tre mais. Ma potrebbe, come successo più volte in passato, anche scegliere di sospendere la decisione. La settimana prossima il Collegio dei commissari discuterà del funzionamento del processo di autorizzazione Ue per ogm e sostanze chimiche e nel giro di qualche settimana potrebbe proporre eventuali modifiche


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[ Ansa - 27.01.2017 ]

domenica 29 gennaio 2017

Regione Veneto - I cittadini che “disturberanno la caccia”, verranno sanzionati con 3600 euro di multa


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In base all’articolo 842 del Codice Civile, il proprietario di un terreno agricolo non può impedire ad un cacciatore di entrare nel proprio fondo, come  può fare invece con coloro che vanno a funghi o fanno una passeggiata. Per questa eccezione alla proprietà privata, unica in Europa, la legge prevede che i proprietari, oggetto di questa servitù venatoria, ricevano un contributo dalla Regione.

Tuttavia la Regione Veneto, dal 1992, anno di entrata in vigore dalla legge, ai proprietari dei terreni utilizzati da estranei armati, non ha mai dato un centesimo. Di contro con il 2017, la Regione, inadempiente per non aver mai concesso questo contributo, fa gli auguri ai suoi cittadini con un regalo da 3.600 euro in termini di sanzione, per chi disturba i cacciatori in assetto di caccia, nonostante stia legittimamente godendo del diritto di proprietà in casa propria. E’ stata infatti promulgata la legge regionale n. 1/2017 “Norme regionali in materia di disturbo all’esercizio dell’attività venatoria e piscatoria.

A nulla sono valsi gli appelli di diverse associazioni locali e nazionali, ambientaliste, animaliste e di tutela dei consumatori, nonché di migliaia di cittadini che avevano chiesto a gran voce di non promulgare questa legge che, in Veneto, crea una nuova casta di intoccabili: quella dei cacciatori.

E’ evidente poi la sproporzionalità della sanzione e disparità di trattamento dei cittadini: attualmente un cacciatore che abusa dell’arma a meno di 100 metri dalle case paga una sanzione da 206 euro, contro i 3600 massimi della norma in questione.

Per i proprietari la beffa è dunque doppia, perché, oltre a concedere il proprio terreno ad estranei armati, dovranno anche fare attenzione a non turbarli, pena la suddetta sanzione.

Vorrei fare presente che considero questo provvedimento una depravazione in materia di caccia, che non farà altro che allontanare ancora di più i cittadini e la società civile tutta, dal Palazzo, dalle Istituzioni e dal voto (secondo il ‘Rapporto Demos’ della scorsa settimana, la fiducia era scesa dal 41% del 2005 al 26% del 2016). Perciò ritengo che, oltre ad essere uno strumento di intimidazione, che punisce le vittime e premia i loro carnefici, (vedasi i tanti episodi di abusi venatori con danni, morti e feriti anche in Veneto), questo provvedimento sia uno strumento che danneggia in modo permanente tutte le Istituzioni.

Andrea Zanoni - info@andreazanoni.it


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venerdì 27 gennaio 2017

Boregionalismo. L'ultima battaglia per la salvezza della biodiversità


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Oggi si sta combattendo una nuova battaglia, non convenzionale e non molto chiara e leggibile da parte dell'Uomo. Questa guerra si combatte (oltre che nei fronti reali e sanguinosi) sui campi della diffusione di modelli di sviluppo e sociali che, se non arginati e sconfitti, potrebbero portare l'intera umanità ad un sistema di degrado e di caos senza precedenti.

Questi modelli di uno pseudo sviluppo economico e sociale non hanno,
per la prima volta nella storia dell'Uomo, le Religioni o la Filosofia, ma grandi imperi economici detenuti da società multinazionali.

Tra queste emergono soprattutto due configurazioni: quelle bancarie e
quelle per la detenzione delle risorse agroalimentari ed energetiche.

In questo articolo mi soffermerò sulle Multinazionali che detengono
oggi il controllo quasi incontrastato (soprattutto dalla Politica) dei
fattori delle produzioni agroalimentari.

Il loro interesse è quello di sostituire ai modelli "produttivi" della
natura una nuova "filosofia" redditizia.


Questa nuova filosofia è fatta da:

• Brevetti e commercializzazione del DNA, delle specie vegetali ed
animali, OGM, sistemi di qualità, procedure standardizzate, ecc.;

• Brevetti e commercializzazione dei Pesticidi (o fitofarmaci),
fertilizzanti e regolatori chimici dei processi agricoli;

• Detenzione dei sistemi di Informazione convenzionali sempre più
soggiogati ed al servizio di questi.


La filosofia schietta di questi potentati è: Incremento dei Ritmi
produttivi per un nuovo ordine ambientale e mondiale.
Come scritto in altri articoli e pubblicazioni la questione è molto
più grave e pericolosa di quanto si possa supporre; si vuole
sostituire il modello (o se preferite la macchina, il motore, il
meccanismo, ecc.) naturale con quello di una cultura riduzionista che
tende a semplificare, in maniera scriteriata, l'ordine, le regole e i
modelli di funzionamento del nostro Pianeta, in cui noi siamo parte
integrante materiale e spirituale.

Nella mia pubblicazione "Dalla materia al Padre" edita da Mario Grispo
Editore – Palermo nel 2003, ho sottolineato come l'inquinamento
materiale e spirituale non siano altro che cose collegate e
relazionate e che tale inquinamento nasce dal cattivo funzionamento di
questa macchina naturale sempre più manomessa da "Progettisti
ignoranti e/o interessati".

Quando osserviamo un'auto che emette eccessivi fumi di scarico diciamo che il motore di quell'auto funziona male. Allo stesso modo un
Ecosistema (in cui l'uomo è parte integrante) che viene manomesso
perde la sua originaria funzionalità, rendendo di meno ed emettendo
più "fumi di scarico".

Nel settore agricolo, questa manomissione è già di per se umana, ma le cosiddette Buone Pratiche Agricole (figlie di millenaria storia e
tradizione), possono mitigare notevolmente le manomissioni rendendo
l'ecosistema agricolo molto simile all'Ecosistema Naturale da cui è
stato ricavato e sottratto.


Ecosistema che è la risultante e la sommatoria di milioni di processi
chimici, biochimici, fisici, relazioni, funzioni, scambi,
interrelazioni, ecc. ed in cui il raggiungimento dell'equilibrio si ha
con un particolare ritmo (Bioritmi) e ad un particolare livello
energetico, che è, per quella determinata cellula territoriale,
l'optimum (quel Climax che in ecologia è lo stadio finale del processo
evolutivo di un ecosistema che denota il massimo grado di equilibrio).

In tale contesto il soccorso a modelli alternativi, forzature, aumenti
indiscriminati della produttività, specie non presenti o non idonee,
regolatori di crescita, fertilizzanti e pesticidi vari è quanto di più
scorretto ed erroneo, scientificamente e tecnicamente, nei riguardi di
un Sistema che ha le sue regole ed i suoi ritmi.

Per chi si intende di motori a combustione interna, avrà sentito
parlare della coppia**, nella quale, oltre un determinato regime (o
numero di giri), il rendimento decresce a discapito anche della buona
funzionalità del motore; come nel motore a scoppio l'aumento dei
"giri" dei sistemi agricoli genera perdite di potenza,
malfunzionamenti, inquinamenti e cattive qualità.

Tali caratteristiche, generano nell'Uomo che si alimenta dei nuovi
alimenti, così "caratterizzati", aritmie biologiche e spirituali,
conducendolo verso modelli sociali inquinati (il famoso detto: Noi
siamo ciò che mangiamo, ha più valore biologico e spirituale di quello
che possiamo credere) e conducendo pertanto l'umanità ad una
pericolosa deriva.

Non mi pare nemmeno opportuno sottolineare oltre, in questo
contributo, l'effetto dei pesticidi e di questi metodi "alternativi"
sulla salute umana ed ecologica.

L'Industria della Morte - Fuori dai Ritmi della Natura, ci fa comprendere come l'unico brevetto che oggi possiamo amare e sostenere, quello della natura, ed in cui l'uomo è veramente libero, si vuole sostituire con brevetti artati, controllati, dominanti e nemici dell'Uomo e del Pianeta che abita.

Chiunque vuole creare e detenere diritti che appartengono all'Umanità
(come l'aria o l'acqua) arrogandosi modelli alternativi va catalogato
come atto di reato e le azioni derivanti da questi quali crimini
contro l'Umanità.

Se non aggiorniamo il Diritto Umano rischiamo di far passare come
benefattori proprio coloro che stanno uccidendo l'Uomo, attraverso una
guerra così raffinata da non farsi riconoscere.
E per aggiornare il Diritto Umano dobbiamo librarci verso livelli
superiori della Coscienza, gli unici che ci permettano di vincere
questa guerra.

Guido Bissanti

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mercoledì 25 gennaio 2017

Collettivo Ecologista - Prospettive per l'incontro bioregionale del 24 e 25 giugno 2017 (ed alcune informazioni sulla R.B.I.)

Nessun testo alternativo automatico disponibile.
 Incontro della Rete Bioregionale Italiana tenuto a Vignola 

L'incontro collettivo ecologista, corrispondente all'incontro annuale della Rete Bioregionale, che solitamente si tiene in concomitanza con il solstizio estivo, è stato fissato per il 2017 nei giorni 24 e 25 giugno.  

Finora si è parlato di possibile ubicazione in provincia di Verona, o di Arezzo, o di Modena.  Le opzioni sul luogo in cui svolgere l'evento sono ancora aperte, invitiamo perciò i bioregionalisti,  gli ecologisti e gli spiritualisti laici che avessero proposte in proposito e che volessero offrire ospitalità al convegno di contattarci al più presto scrivendo a: bioregionalismo.treia@gmail.com

L'incontro Collettivo Ecologista comporta il passare assieme un weekend a contatto con la natura e con gli antichi saperi che da sempre hanno legato l’uomo all’ambiente ma che dagli ultimi anni si stanno spezzando mettendo a rischio la vita degli animali, delle piante, e del nostro ecosistema. L’incontro è aperto a tutti coloro che condividono una vita ecocompatibile ed ecologica, che vivono nel rispetto della natura e delle sue creature, che si rispecchiano insomma nella carta della Rete Bioregionale Italiana (vedi: http://www.retebioregionale.ilcannocchiale.it/?r=28856).

La Rete Bioregionale Italiana (R.B.I.) nasce nel 1996 per condividere e sviluppare l’idea di Bioregionalità: associazioni, comunità, e singoli individui che si scambiano informazioni, progetti e mettono in pratica azioni e soluzioni per ripristinare il perfetto equilibrio tra la natura e l’uomo, che spesso viene a mancare. Le iniziative vengono condivise a livello locale, regionale e nazionale, per ripristinare principi ecocentrici ed ecologici, partendo dalle tradizioni popolari e dal culto ancestrale della terra e dell’ambiente naturale selvatico, e incontaminato. L’idea è quella di ri-diventare nativi del proprio luogo, della propria bioregione, riappropriandosi di quei valori che il sistema economico basato su una politica dello sfruttamento delle risorse e sulla tecnologia fine a se stessa, stanno facendo scomparire. 

Nell’incontro annuale i bioregionalisti si confrontano su temi di attualità, condividendo le loro esperienze etiche ed ecologiche al fine di creare un momento comune di riflessione, il tutto allietato da passeggiate  alla scoperta delle erbe locali, dei profumi e dei colori dei boschi in cui ci troveremo. Sono previsti brevi interventi e intermezzi musicali e poetici.

La partecipazione all'Incontro è gratuita e volontaria e comporta la condivisione delle spese di gestione e di ospitalità nelle modalità che vengono all'occasione indicate. 

Paolo D'Arpini

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Rete Bioregionale Italiana
Via Mazzini, 27 - 62030 Treia (Mc)
Tel. 0733/216293


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Proposta di Sergio de Prophetis: 

Colloredo. Ubicazione proposta per il Collettivo Ecologista 2017 – Scrive Sergio de Prophetis: "Ciao Paolo per me va benissimo e la mia casa sarebbe più che adatta allo scopo. In genere lo spazio noi lo affittiamo, ma nel vostro caso possiamo collaborare al meglio, diciamo che ognuno lascia un'offerta per la domus, le pulizie, ecc.  Ho imparato vivendo che il gratis non è MAI educativo e stimola la parte egoista e tirchia di ciascuno di noi. Tieni presente che i dintorni sono molto belli, ti invio delle foto, e sono anche ricchi di storia e tentazioni enogastronomiche...;-) "


Mio commentino: "Il posto è molto bello, ci sono già stato molti anni fa con i nostri soci fondatori del Circolo Vegetariano, Sandra e Pino. Il paese si chiama Colloredo e si trova in provincia di Udine. Qualcuno potrebbe obiettare che è un po' "fuori mano" ma anche Udine è Italia e fin lassù come Rete Bioregionale non ci siamo mai avventurati... Sarebbe quindi una bella esperienza!"  

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martedì 24 gennaio 2017

Bioregionalismo economico - Capitalismo o distribuzione equa delle ricchezze?


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Ci consideriamo i detentori della scienza. Siamo indiscutibilmente certi che corrisponda alla verità, che sia lei la sola capace a spiegare il mondo, la sola legittimabile ad essere impiegata per governarlo.

Sulle ali della scienza – ma ormai sarebbe più opportuno chiamarla tecnologia – abbiamo sorvolato sulle faccende umane. Come un google ante litteram ne abbiamo preso le coordinate con il progetto di regolamentarle, organizzarle, identificarne la struttura numerica, riprodurle, clonarle.

Così, credendo che l´esperienza si possa trasmettere, abbiamo creato l´esportazione della democrazia, per la quale era necessaria la guerra, che quindi non poteva che essere giusta. Abbiamo proseguito imperterriti nonostante i danni collaterali assolutamente plausibili, ammissibili, necessari. Perché allora rinunciare al capitalismo giusto?


Capitolo I
Il capitalismo doveva essere cosa buona, lo è mai stata?
Secondo Adam Smith (seconda metà ‘700) e John Stuart Mill (‘800), il capitalismo(1) esprimeva appieno il senso di progresso la cui fragranza andava diffondendosi nel mondo con la prima industrializzazione del lavoro. Quel profumo avrebbe comportato la distribuzione della ricchezza e la riduzione delle ore di lavoro, elevando così la condizione della popolazione del pianeta. Togliendo l’uomo dal fango, dalla fame, dal freddo, dalla miseria, regalandogli invece una vita leggera colma di accessori e di tempo libero. Dall’alambicco dell’economia capitalista sarebbero cadute gocce di benessere.

La profezia era basata su due aspetti entrambi accessibili a tutti. Il primo era che la meccanizzazione del lavoro avrebbe aumentato la produzione, togliendo nel contempo gran parte del carico di lavoro dalle braccia degli operai. Il secondo che quella distribuzione di ricchezza, avrebbe progressivamente allargato il potere d’acquisto, con il quale sarebbero cresciuti i consumi, i quali avrebbero comportato un aumento della domanda e – ci siamo – che la maggior produzione, garantita dall’industrializzazione, avrebbe saputo soddisfare. Così semplice da sembrare vera, la profezia.

Tralasciamo la condizione di vita e i diritti dei proletari sulle cui schiene era appoggiata la piramide in cima la quale avrebbe dovuto gocciolare l’alambicco.

Marx (‘800) aveva presto fatto presente alcune zone d’ombra sia umane che economiche: l’alienazione del lavoratore; la mercificazione del lavoro e dei beni, quindi quella dell’uomo stesso. Vere bombe a orologeria. Sono particolari, detonano per pressione psicosociale, esplodono, nel corpo e nello spirito, silenziose come un’epidemia. Gli esperti economici constatano la presenza e la diffusione e si interrogano del male popolare, chi di loro si pone interrogativi sull’origine, questa resta a lui sconosciuta. In ogni caso annaspano nel buio. Nonostante ciò, prescrivono vincolanti ricette di austerità, al momento del tutto inefficienti per le società colpite ma incommensurabilmente fruttuose per le multinazionali farmaceutiche e non solo.
Più che i partiti e le rivoluzioni, quelle bombe, ci ha pensato il tempo a farle esplodere. E la brillatura non è che all’inizio.
Scrive Max Weber che «… la prevalenza assoluta del capitale produttore, spesso anonimo, sul prestatore di lavoro; la premonenza della macchina e il possesso della macchina da parte dello stesso capitale; la quantità intensificata della produzione e le possibilità, supposte sconfinate, di accrescerla; la conquista dei mercati, ecc. ecc.» erano assolutamente predominanti su «elementi spirituali, di solito espressi con sottintesa valutazione etica: avidità di denaro, tendenza all’accumulo di sempre maggiore capitale; assenza di scrupoli, invadenza, spirito di sopraffazione, sfruttamento, ecc»(14)

E siamo a ieri. La guerra era finita, la nazione si era formata, l’italiano aveva sostituito e spesso anche reso negletti i dialetti. La scienza era ora identificata da tutto un popolo – non solo in Italia – come un valore indiscutibile, come verità accertata e certa. La longa manu dei positivisti aveva colpito il lato destro del cervello.
Nel momento delle lotte operaie (‘900), la pessima situazione dei diritti era migliorata. Anzi, per merito dei salari indicizzati, autoregolamentati dalla produttività, liberi dal rischio dell'inflazione che non consumava così il potere di acquisto della busta paga, i lavoratori erano riusciti sostanzialmente a farsi considerare uomini e donne come i loro simili in camicia bianca, tailleur, pochette e Bentley, pretendevano per sé stessi. Tuttavia del progetto redistributivo non si era vista realizzazione, a meno che non si voglia omologare come tale la lambretta e la tv per tutti. Conquiste di un’apparente soddisfazione, ma sostanziale sirene al comfort come valore e necessaria pasturazione utile a dissolvere quella coscienza di classe della quale oggi non se ne trova più neppure in dosaggi omeopatici, sostituita - sic -  da individui innocentemente orgogliosi di sgomitare per il benefit aziendale, di recitare nella pubblicità della Coca Cola, del dado Knorr.

Inoltre, evidentemente, il bigoncio di raccolta del gocciolamento aveva delle perdite strutturali. Il percolamento non arrivava mai alle schiene, ai piani superiori della piramide c’era chi aveva collegato il proprio personale rubinetto.
« Per più di un secolo, gli economisti hanno convenzionalmente accettato come dato di fatto la teoria che afferma che le nuove tecnologie fanno esplodere la produttività, abbassano i costi di produzione e fanno aumentare l’offerta di beni a buon mercato; questo, in conseguenza, migliora il potere d’acquisto, espande i mercati e genera occupazione. Tale assunto ha fornito il supporto razionale sul quale si sono fondate le politiche economiche di tutte le nazioni industrializzate. Questa logica sta conducendo a livelli mai registrati finora di disoccupazione tecnologica.»(3)

Siamo al presente e le cose sono cambiate. Gli esperti accennano anche ad una data e a un luogo preciso. 2 giugno 1992, a bordo del panfilo Britannia, della famiglia reale britannica, esponenti del mondo finanziario americano si incontrano con i poteri italiani. Scopo della riunione è l’avvio della svendita di grandi beni istituzionali e industriali made in Italy.
La ricetta del capitalismo si è infarcita di finanza speculativa. Un ingrediente forte, una specie di wasabi, che copre, sostituisce gli altri sapori. Un elemento di talento ma dal carattere suscettibile, dalla psicologia instabile. Una novità che dalle stanze dei bottoni, non solo non si sono lasciati scappare ma che, hanno strategicamente gonfiato e sfruttato. Almeno fino al 2008, quando la speculazione finanziaria fuori controllo, relativa al mercato immobiliare americano, ha prodotto un indebitamento tale da coinvolgere il sistema economico del pianeta. Naturalmente, i soliti di tipo A (pochi) si sono arricchiti e i soliti di tipo B (molti) hanno pagato. E non è finita.
« La finanza, con la sua fortissima capacità di inclusione nelle vicende nazionali, può infatti esautorare il processo democratico quando e come vuole. Lo fa già in molti modi, anche leciti.
Il problema è che questo modello economico appare come uno strumento di selezione darwiniana, dove ad una classe politica che non governa le decisioni ma le subisce, si contrappongono manager senza controllo, capaci di provocare crac finanziari di dimensioni globali e dalle conseguenze immani per le comunità nazionali e la vita di interi popoli, senza che ciò provochi alcun sussulto morale.
Qui, vale la pena ribadirlo ancora una volta, il punto non è confutare l’economia di mercato ma cercare correttivi profondi in modo che essa sia al servizio dei popoli e non avvenga il contrario.
Bisogna abbandonare l’idea salvifica della mano invisibile che tutto regola e guardare la situazione attuale di disastro economico come fatto strutturale e non contingente, traendone motivi per un cambio di passo oltre che di strategia. 
Mi rendo conto che il quadro è disarmante e contrastare l’idea dell'homo oeconomicus rasenta la pura follia, perché è l’essenza stessa del nostro tempo: l’agire, il pensare, le nostre relazioni personali e professionali, si muovono tutte all’interno di questo modello filosofico-antropologico che è diventato carne e sangue della società occidentale e che si appresta a diventarlo per il resto del mondo.»(4)

Gli stessi esperti di prima si danno da fare per farci presente che in fondo si trattava di un evento imprevedibile e che quindi la sua pesante ricaduta, era giusto cadesse su tutti.

La finanza ha cambiato la ricetta e il livello. Il capitale aveva a che fare con i mercati, le persone, il denaro. La finanza con i governi, i capitalisti, il potere. Le ha cambiate fino a potersi e doversi dotare di eserciti, così come anche le mafie hanno fatto. L’agonia degli Stati è in corso da tempo, a spartirsi il mondo saranno mafie e poteri finanziari. Con i loro eserciti, i loro servizi, sostituiranno quanto facevano le Patrie. Noi avremo modo di scegliere da che parte stare, di chi essere ricchi sudditi  o miserabili schiavi. Ammesso che in alto, di fianco all’alambicco non sia seduta una persona sola.
«Su battaglie fondamentali come i diritti dei lavoratori, la sovranità (politica, monetaria, legislativa, eccetera) oppure sui progressi dell’ingegneria genetica e, in generale sui limiti della ricerca scientifica, si percepisce quanto questi schieramenti esistano.»(5)

Nel frattempo, sempre il capitale o chi ce l’ha, aveva escogitato una nuova idea per riproporre il vecchio ritornello con rinnovata determinazione: la globalizzazione distribuirà ricchezza. Visto che la ricetta si era arricchita di un nuovo ingrediente, serviva una pentola più grande, sovrannazionale. Pietanza gustosa che ha subito soddisfatto il palato lineale degli economisti, altrimenti detti, quelli che senza saperlo sono riusciti a ridurre gli uomini e la vita entro gli assi cartesiani. A mezzo di grafici hanno capito che potevano sostenere la bontà dell’ammaliante jingle, certamente destinato ad essere una hit, sicuramente destinato al top della classifica dei desideri, quindi dei bisogni, delle spese. (L’inglese e gli inglesismi fanno parte del progetto, amalgamano e omologano manager e sudditi.) L’aspetto disumano della globalizzazione non era presente negli occhi dei nuovi scienziati, ma chi lo vedeva li chiamava boia. Quanto era giusta quell’espressione. I piccoli centri non contavano più. Il nuovo sistema li emarginava, oppure li comprava, senza fatica, li eliminava, perché business is business. A loro, non importa che la globalizzazione riguardi il mondo già impigliato nel web, quello che non ha alcuna relazione - se non fagocitante - con quello tribale, rurale, dei piccoli centri bioregionali, quelli che riempiono di autenticità il resto del pianeta.
Contemporaneamente al nuovo entusiasmo, i competenti hanno giustificato il mancato successo del capitalismo puro, non virtuale, quello fatto di denaro tintinnante, per una questione di regole mancanti. Hanno aggiunto che per sistemare le falle del sistema economico è dunque sufficiente stilare opportune regole, e la cosa non si ripeterà. Poi se andavano soddisfatti certi di aver convinto tutti che il capitalismo è buono e giusto.
Più che scricchiolare, la profezia era crollata, eppure, c’era ancora chi votava a favore del sistema. Sì, perché il capitalismo garantisce all’uomo la miglior storia possibile.

«… una opinione pubblica sempre più addomesticata da forti gruppi di pressione. Ma, ovviamente, non sono esenti questioni legate alla potenza di fuoco della economia globale e della tecnica che impongono opportunità, scelte strategiche ed interessi che generano effetti immediati sulla realtà più di qualunque altro modello culturale.»(6)

Il passato è finito. Sul futuro si può dire tutto. Ci si può chiedere se è auspicabile un capitalismo organizzato da regole mirate alla distribuzione della ricchezza. Garanzie di equità e libertà sono compatibili con il sistema capitalistico finanziario? In caso positivo, si potrebbe condividere che, è vero che la miglior società e cultura è quella a sua immagine e somiglianza.
In caso negativo? Non tutti condividono la prospettiva descritta sul piano cartesiano. L’uomo non sta entro le regole se non parzialmente e temporaneamente, ne va della salute, della bellezza, di tutto. Mercati e faccende umane hanno come regolatore anche la pancia, il cuore, lo spirito.
«…un integralismo economico che non è congiunturale, perché capace di operare una reductio ad unum.»(7)

Da certi osservatori, pare siano in aumento coloro che sostengono che il capitalismo giusto non possa sussistere… che sia un ossimoro. Semmai sostengono che è fisiologico che l’organismo tenda a produrre lobby, corporativismo, leggi illiberali, oligarchie, guerre. Già, neppure queste sono sfuggite alla mercificazione. Il capitalismo non può essere giusto neppure affardellato di regole, perché acefalo, decapitato dal potere finanziario, la cui capacità e potenza corrisponde a una nuova Gleichschaltung(2), ad un indottrinamento non coercitivo dispiegato con tutti i mezzi del caso: scuola, formazione, comunicazione, informazione.


Capitolo II
La società organizzata secondo la logica del capitalismo giusto resta la migliore possibile perché evita di finire nel baratro delle ideologie. O in mano a ciarlatani, nonché spiritualisti. Moniti importanti, dei quali è opportuno tenere conto. Quegli ammonimenti però, sono fantasmi di chi li teme, rivenduti come spauracchi, streghe e mostri utili per reclutare chi non ha le idee chiare. Dentro e dietro quelle paure c’è una concezione e una visione del mondo e degli uomini razionalista e meccanicista.
«Nella selezione dell’elenco delle priorità che dovrebbero costituire gli snodi su cui far ruotare l’azione politica dovremmo porre al primo posto - e non solo sul piano simbolico - la lotta al monoteismo del mercato e all’economia finanziarizzata.»(8)

Non è necessario chiedere una consulenza a Sigmund a Carl Gustav o a Jacques, per sostenere che ogni paura corrisponde ad una parte di noi ancora nel buio, in castigo in qualche sottoscala della coscienza.
Ma ciò che atterrisce i capitalisti, fortunatamente non atterrisce tutti.

C’è una voce di segno opposto infatti. Passa tra le maglie dell’uniformizzante omologazione. Underground si sarebbe detto tempo fa. Al momento è di poco conto, non provoca, not yet, titoli a tutta pagina nelle testate della grande comunicazione undercontrol, potremmo dire oggi. Come già scritto da Bauman gli intellettuali – sempre più lontani dai selciati della plebe, sempre più collusi a partiti, banche e poteri - ci presentano il mondo «come il migliore o il solo possibile. Sono loro in garitta a fianco dei cancelli dove le oligarchie banchettano e si divertono dopo aver concluso spartizioni incalcolabili con stati e mafie.»(9)

È una voce che parte da lontano, gli anarchici ce l’hanno sempre fatta sentire. Da poco, le loro consistenti frange verdi, si sono unite a quella dei movimenti di ecologia profonda(10) e del bioregionalismo(13), per una ricetta potenzialmente alternativa a quella della globalizzazione. Diversamente dal passato il livello di consapevolezza dei singoli coristi è nettamente superiore. E anche la loro quantità. Inoltre, i partiti non hanno più forza per scatenare nei cuori un’evocazione capace di sovvertire. Su questo tema il M5S può essere citato, ma le sue prove di resistenza devono ancora venire.

La consapevolezza di come stanno le cose, della loro potenzialità coercitiva attraverso l’ammansimento e i falsi valori del benessere materiale non è che il primo degli elementi più diffusi rispetto al menu del passato. Il secondo è il web, anch’esso presente da poco. La potenzialità emancipatrice della rete è tale che le contromisure di chi se ne sente minacciato, non hanno tardato. La censura è arma ordinaria nelle società che possono permetterselo. Per le altre, quelle che vantano la facciata dei diritti umani, che inneggiano alla libertà di pensiero ed espressione, altri antidoti sono già stati immessi nelle vene informatiche. Diversivi e disinformazione si mescolano al globo virtuale con una potenzialità d’urto che – tempo – ancora non abbiamo esperienza e mezzi per stimarla.

Forse, il totalitarismo elettronico, prepotenza nascosta negli stati, in un campo non organizzato, parcellizzato nei singoli individui, alza molto il rischio di provocare, di stimolare l’adunanza degli animi. Forse, in quel modo provocati, troveranno il movente opportuno per aggregarsi, cambiare di stato. Da cani sciolti, ad autori ed editori del grande libro del proprio futuro, perché il capitalismo non può essere innocente, esso avrà sempre un fianco disponibile ad essere «ghermito dal demone del consumismo, del profitto e della finanza, l’individualismo e l’idea della tecnica come destino.»(11) Sì, perché, siccome le cose vivono nelle relazioni tutti noi abbiamo la nostra colpa, quella di essere assuefatti a quel benessere velenoso che critichiamo, nonché quella di non essere capaci di svezzarci dall’avidità che avevamo creduto rispettabile, legittima, nobile, giusta.
Non possiamo che rinunciare a compiere la sola rivoluzione definitiva, la nostra, di noi stessi. Basta dare responsabilità e criticare. Assumiamoci la responsabilità di tutto. Cambiamo noi per diffondere quelle azioni, pensieri e sentimenti che vorremmo osservare negli altri. René Girard era un antropologo francese. Ha detto che la base del comportamento dell’uomo si fonda sull’imitazione.

Lorenzo Merlo - xex@victoryproject.net

Risultati immagini per Bioregionalismo economico - Capitalismo  o distribuzione equa delle ricchezze? vedi
Foto di Gustavo Piccinini


o      Note
o      1 -  La paternità del termine è marxiana.
o      2 - Il termine, traducibile con allineamento, allude alla precisa politica nazista di indottrinare la popolazione con tutti i mezzi istituzionali disponibili, scuola, lavoro, tempo libero, politica, editoria, comunicazione.
o      3 - Rifkin Jeremy - La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato - Baldini e Castoldi
o      4, 5, 6, 7, 8, 11 Luigi Iannone - Sull’inutilità della destra – Solfanelli
o      9 Zygmund Bauman - La decadenza degli intellettuali – Bollati Boringhieri
o      10 Ecologia profonda allude ad un sistema culturale non più antropocentrico ma ecocentrico. Le nostre scelte non sono da compiere in funzione di quanto interessanti per l’uomo ma per la natura. Ogni essere senziente ha pari dignità.
o      12 Napoleoni Loretta - Economia canaglia. Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale - Il Saggiatore, cita Paul A. Cantor – Hyperinflation and Hiperreality: Thomas Mann In Light of Austrian Eonomics – Review of Austrian Economics, Wien 1993
o      13 Regioni con affinità culturali, ambientali, economiche, spirituali. Prepolitiche in quanto non divisibili da limiti territoriali di carattere amministrativo.
o      14 Max Weber – L’etica protestante e lo spirito del capitalismo – Sansoni




AA.VV. - Il concetto di progresso nella scienza - Feltrinelli
Azzarà Stefano - Democrazia cercasi – Imprimatur
Bauman Zygmunt - Modernità liquida – Laterza
Iannone Luigi - Sull’inutilità della destra - Solfanelli
Illich Ivan - Descolarizzare la società - Mimesis
Jean Carlo, Dottori Germano - Guerre umanitarie - Baldini Castoldi Dalai
Fini Massimo - La Ragione aveva Torto? – Marsilio
Fini Massimo - Sudditi - Marsilio
Fini Massimo - Democrazia: una truffa da abbattere al più presto - La voce del ribelle nr 35
Fischer Josef Ludvik - La crisi della democrazia – Einaudi
Manicardi Enrico - Liberi dalla civiltà - Mimesis
Manicardi Enrico - L'ultima era. Comparsa, decorso, effetti di quella patologia sociale ed ecologica chiamata civiltà - Mimesis
Mathieu Vittorio - Filosofia del denaro - Armando
Maturana Humberto, Dàvila Ximena - Emozioni e linguaggio in educazione politica – Eleuthera
Morin Edgar - I sette saperi necessari all'educazione del futuro - Cortina
Morin Edgar - Cultura e barbarie europee - Cortina
Napoleoni Loretta - Economia canaglia. Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale - Il Saggiatore
Rifkin Jeremy - La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato - Baldini e Castoldi
Weber Max – L’etica protestante e lo spirito del capitalismo - Sansoni
Wolin Sheldon S. - Democrazia, S.p.a. - Fazi
Wolin Sheldon S. - Politica e visione - Il Mulino
Yanus Muhammad - Il banchiere dei poveri - Feltrinelli
Zerzan John - Primitivo attuale - Nuovi Equilibri
Zerzan John - Pensare primitivo, elementi di una catastrofe – Bepress

Limes - Le maschere di Osama - n. 1/2011 - Gruppo editoriale l’Espresso



Dida
-          PIRAMIDE: La piramide che non tutti vedono.
-          POESIA: LA dissoluzione di sentimenti comuni apre le porte alla solutudine, ciglio dell’abisso.
-          PUPI: Convinti di professare l’inalienabile diritto del libero arbitrio, corriamo felici al centro commerciale.
-          EGOECO: Chi non coltiverebbe con tutte le cure l’orto che, solo, gli dà da mangiare?
-          WOW: Saldi. L’attesa è finita.
-          ROVESCIO: Sospinto dall’unico comandamento che business is business, il capitalismo finanziario ha ribaltato i valori fondamentali. Però è riuscito in nell’impresa di unire le linee che credevamo divergenti. Potere e criminalità ora marciano parallele. Se non sovrapposte.

-          BIMBO: In attesa della goccia.

lunedì 23 gennaio 2017

Roma, 25 marzo 2017, appello per una comune politica agricola bioregionale ed evento del 28 gennaio 2017 a Reggio Emilia


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Il 25 marzo 2017 sarà il sessantesimo anniversario del Trattato di
Roma che ha dato vita alla CEE e alla Politica Agricola Comune (PAC)
con i suoi obiettivi originali, quali quello di garantire una vita
giusta alle comunità agricole, stabilizzare i mercati, garantire
l’approvvigionamento alimentare della Europa con prezzi degli alimenti
che fossero accessibili a tutti i consumatori.

L'Associazione Rurale Italiana, membro del Coordinamento Europeo Via
Campesina, si fa promotrice perchè nel sessantesimo anniversario del
Trattato di Roma le istituzioni europee e italiane si impegnino
formalmente a far si che la Politica Agricola Comune (PAC), unica vera
politica comunitaria, torni a perseguire i suoi obiettivi originali,
quali "quello di garantire una vita giusta alle comunità agricole,
stabilizzare i mercati, garantire l’approvvigionamento alimentare
della Europa con prezzi degli alimenti che fossero accessibili a tutti
i consumatori".

Per questo ARI, insieme a quanti vorranno far sentire la loro voce,
propone di sottoscrivere l'appello che segue e a creare momenti di
proposta e di approfondimento che portino il movimento contadino ad
una comune riflessione e mobilitazione in vista del 25 marzo, data
delle celebrazioni ufficiali per ricordare la firma dei Trattati di
Roma.

Vi invitiamo a prendere visione del comunicato aderire allo stesso, a
comunicarci le vostre riflessioni e a condividerlo e diffonderlo
presso le vostre reti.

Invitiamo, per approfondire e condividere proposte con il vasto mondo di associazioni e movimenti che si stanno preparando alle manifestazioni di 
Roma, all'evento pubblico, organizzato al centro sociale la Paradisa, via Beethoven 78/e, Massenzatico Reggio Emilia,  sabato 28 gennaio 2017,  a partire dalle 15, dal titolo  "Terra, lavoro, salute,dignità. 1957 - 2017 Cosa rimane della PAC che vogliamo?"

Noi ci impegniamo a costruire un percorso comune – come abbiamo già
fatto per la nostra lunga battaglia per ottenere un riconoscimento
formale dell’agricoltura contadina e dei suoi valori - con quanti,
contadine/i, braccianti, lavoratori e cittadini – e rispettive loro
organizzazioni - intendano mobilitarsi, nelle forme che decideremo
insieme, affinché i governi della UE che si troveranno a Roma il 25
marzo 2017 per dar vita a l’ennesima inutile passerella delle élite
dominanti, si confrontino invece con le alternative, nate dalla nostre
resistenze, dalle proposte, di tutti /tutte noi, che in questi decenni
abbiamo saputo costruire.


Documento di cui all'Appello: 

                                       EUROPA, MARZO 1957-2017.

UN CIBO SANO E DI QUALITA’, UN LAVORO DEGNO, UNA POLITICA AGRICOLA
GIUSTA E SOSTENIBILE IN UNA EUROPA DEI POPOLI E DELLA SOLIDARIETA’.

“Terra, lavoro, salute e dignità”

1. Il 25 marzo 2017 sarà il sessantesimo anniversario del Trattato di
Roma che ha dato vita alla CEE e alla Politica Agricola Comune (PAC)
con i suoi obiettivi originali, quali quello di garantire una vita
giusta alle comunità agricole, stabilizzare i mercati, garantire
l’approvvigionamento alimentare della Europa con prezzi degli alimenti
che fossero accessibili a tutti i consumatori.

2. Oggi questi obiettivi sono tutti largamente disattesi, ma noi,
lavoratori della terra, contadine/i e braccianti, di questo paese
sentiamo con forza la responsabilità di produrre un’alimentazione sana
e di buona qualità a cui possano accedere tutti, in particolare
quanti, spinti dentro una spirale di povertà dalle politiche
neoliberiste, dalla ristrutturazione del mercato del lavoro e, più in
generale, da una crisi economica che continua ad arricchire un numero
sempre più ristretto di persone, hanno visto ridurre i loro consumi
alimentari ormai dal 2011 (ISTAT). La spesa per generi alimentari e
bevande (media mensile) era di 477,08 € del 2011, nel 2013 era di
460,72€, di 436,06€ nel 2014 e risalire a 441,5€ nel 2015.

3. La povertà assoluta in Italia tocca l’11,7% delle famiglie che
dipendono da un salario operaio. Sale, nel 20015, al 32,1 % delle le
famiglie di soli stranieri nel Nord. Cresce se misurata in termini di
persone (7,6% della popolazione residente nel 2015, 6,8% nel 2014 e
7,3% nel 2013). Per i comuni che hanno una popolazione inferiore a
50.000 abitanti – essenzialmente collocati in territori rurali – la
povertà relativa, pari all’ 11,2% delle famiglie, è di almeno due
punti percentuali più alta di quella delle famiglie che vivono in area
metropolitana. La crisi del sistema agricolo nazionale, in particolare
delle piccole e medie aziende agricole e agroalimentari, è in parte
responsabile di questo processo di impoverimento e, in parallelo,
dell’aumento dello sfruttamento del lavoro, sia di quello del
coltivatore diretto e della sua famiglia che di quello dei braccianti
e dei lavoratori che movimentano i prodotti nell’indotto della grande
distribuzione organizzata.

4. In aggiunta la qualità del cibo sempre più spesso inquinato da
pesticidi proposti come indispensabili ad una agricoltura ormai
ostaggio delle industrie a monte ed a valle della produzione. In
effetti i pesticidi, secondo l’ultimo Rapporto EFSA, sono presenti in
quasi la metà dei cibi che arrivano sulle nostre tavole e in più del
27% dei casi sotto forma di residui multipli. Si valuta che in un
pasto completo si possono trovare mediamente residui di 8-13
pesticidi, con punte massime di 91: ne risulta quindi un quadro di
vasta contaminazione dell’ambiente e della catena alimentare con danni
gravi prima di tutto su chi distribuisce questi prodotti e poi su chi
si alimenta, in modo particolare sui bambini. Inoltre secondo l’ultimo
Rapporto ISPRA queste sostanze sono ormai ampiamente presenti nelle
acque superficiali e profonde ed il loro numero è purtroppo in
costante aumento.

5. Le politiche decise dai governi della UE, la più grande potenza
agroalimentare del Pianeta, hanno continuato inesorabilmente a
riproporre misure distruttive del tessuto produttivo agricolo,
incapaci di fornire una via di uscita dalla crisi, distruggendo
diritti fondamentali – come il diritto al cibo sano – e costruendo un
sistema agroalimentare insostenibile, ad assoluto vantaggio di un
pugno di speculatori finanziari e gruppi monopolistici, nazionali o
transnazionali. La politica agricola comunitaria è, quindi un problema
di tutti. Primi fra questi dei lavoratori a cui viene sottratto una
parte del reddito per essere riversato nel finanziamento pubblico di
questa politica. Questi soldi, ripartiti ingiustamente tra le aziende
agricole e agro alimentari, sostengono un’agricoltura
industrializzata, a forte impatto ambientale, che produce materie
prime di scarsa qualità che daranno un cibo di altrettanta scarsa
qualità che finirà nel piatto dei consumatori meno abbienti.

6. In Italia poco più di un milione di aziende agricole (1.163 mila)
ricevono una parte dei fondi della PAC (“pagamenti diretti” - sostegno
al reddito) per un valore totale (nel 2014) di 3,9 miliardi di €.

Ma:

Le aziende agricole che ricevono fino a 5.000€ all’anno sono un
milione, cioè l’87% del totale delle aziende e hanno ricevuto il 26%
dei fondi stanziati, per un totale di un miliardo, cioè una media di
1.000 € ad azienda. Per il resto, il 13% delle aziende riceve i 2/3
dei fondi restanti.

Le aziende che ricevono 150.000€ ed oltre di sostegno, sono 1.280,
cioè lo 0,11% del totale delle aziende che riceve poco più del 9% del
totale dei fondi, per una media aziendale di 285.00€

Le aziende che ricevono più di 500.000€, sono solo 90, si spartiscono
quasi 79 milioni di €, con una media aziendale di circa 880.000€ (cioè
lo 0,01% delle aziende da sole prendono poco più del 2% del totale
della somma erogata in Italia)

7. Ci sono altri fondi compresi nello stanziamento totale della PAC
pagati dalla UE all’Italia. Anche questi sono ripartiti in maniera
ingiusta; perché concentrati in poche strutture produttive e ad
esclusivo beneficio di alcune regioni italiane, le stesse dov’è
massiccia la presenza dell’agroindustria. Nel 2015, ad esempio, una
singola cooperativa agricola ha ricevuto circa 10 milioni di euro, 8
imprese agricole, di cui 3 spa, hanno ricevuto un pagamento PAC
(Regime di pagamento unico (RPU) compreso tra 2 e 3 milioni di euro
ciascuna e 15 associazioni di produttori hanno ricevuto (Fondo
operativo delle organizzazioni di produttori) un totale di oltre 146
milioni di euro, con finanziamenti che andavano da un minimo di 3,1
milioni ad un massimo di quasi 38 milioni di euro.

8. Più in generale, i finanziamenti attuali della PAC sono, da una
parte, una sovvenzione indiretta per l’industria alimentare europea e,
dall’altra, nel caso delle esportazioni, un sostegno indiretto alle
stesse che, di fatto, impedisce alle comunità rurali dei paesi in via
di sviluppo di aver accesso al loro mercato.

9. Per queste ragioni, noi mettiamo le persone prima del profitto e la
solidarietà prima della competitività. E crediamo fermamente che la
politica alimentare ed agricola europea debba essere pubblica e forte,
socialmente e ecologicamente sostenibile, equa: a beneficio di tutti i
cittadini, in particolare dei lavoratori e di quelli che hanno meno
reddito a disposizione.

10. Chiediamo dunque che, finalmente, la Politica Alimentare e Agricola Comune:

Consideri l’alimentazione come diritto umano universale e non come
merce per fare profitto;

Fissi come priorità di produrre gli alimenti, per la popolazione umana
e non, all’interno della stessa Europa e consideri il commercio
internazionale agricolo come residuale, rigettando i trattati di
liberalizzazione dei mercati internazionali

Dia priorità al mantenimento di un’agricoltura con numerosi contadini
e lavoratori agricoli su tutta la UE, che produca il cibo, gestisca e
salvaguardi il territorio, con prezzi agricoli giusti e sicuri, che
permettano un reddito dignitoso per contadini/e, salariati/e maggiore
sostenibilità per i cittadini tutti;

Combatta la concentrazione di potere di mercato nella logistica, nella
trasformazione e nella distribuzione alimentare e la sua influenza su
ciò che è prodotto e consumato e promuova sistemi economici alimentari
che riducano la distanza fra contadini e cittadini incrementando, ad
esempio, lo scambio diretto tra gli uni e gli altri;

Definisca le forme di produzione agroecologiche come la norma di
produzione nell’UE: basso utilizzo di input, basso consumo di energia,
miglioramento della biodiversità, benessere animale e altre pratiche
sostenibili.

Applichi un sostegno pubblico per la pratica delle norme descritte
sopra e una tassazione progressiva per i modelli non agroecologici che
sono responsabili degli effetti sociali ed ambientali e delle loro
negative conseguenze.

Garantisca un l’accesso alla terra per tutti coloro che vogliono
coltivarla, nel rispetto della natura e dell’ambiente e, per quanti,
in particolare giovani, intendano migliorare o iniziare un’attività
agricola; attraverso misure che impediscano la concentrazione delle
proprietà, gli investimenti speculativi (land grabbing) e un’attiva
politica redistributiva dei diritti all’uso delle terre agricole,
proteggendone la loro destinazione prioritaria alla produzione di
cibo.

11. Noi ci impegniamo a costruire un percorso comune – come abbiamo
già fatto per la nostra lunga battaglia per ottenere un riconoscimento
formale dell’agricoltura contadina e dei suoi valori - con quanti,
contadine/i, braccianti, lavoratori e cittadini – e rispettive loro
organizzazioni - intendano mobilitarsi, nelle forme che decideremo
insieme, affinché i governi della UE che si troveranno a Roma il 25
marzo 2017 per dar vita a l’ennesima inutile passerella delle élite
dominanti, si confrontino invece con le alternative, nate dalla nostre
resistenze, dalle proposte, di tutti /tutte noi, che in questi decenni
abbiamo saputo costruire.

12.1.2017

Firmato da:

ASSOCIAZIONE RURALE ITALIANA – A. R. I. info@assorurale.it contatti
FABRIZIO GARBARINO 347 156 46 05

S.O.S. ROSARNO sosrosarno@gmail.com contatti NINO QUARANTA 329 105 74 95

Appuntamenti già in cantiere per approfondire e costruire il percorso
comune (aggiungete e diffondete i vostri):

Con l'Associazione Rurale Italiana e Rurali Reggiani il 28 gennaio a
Reggio Emilia (per info info@assorurale.it o 347 156 46 05)

Con SOS Rosarno il 10 – 12 febbraio a Rosarno (per info
sosrosarno@gmail.com o 329 105 74 95)