lunedì 31 dicembre 2012

Maltempo e mala tempora - Da Sandy al terremoto in Emilia, un anno di disastri ambientali



Da Sandy al terremoto in Emilia, un anno di disastri ambientali 

Adnkronos 
Il 2012 ha collezionato una serie di emergenze quasi tutte imputabili al cambiamento climatico

Dall’uragano Sandy allo scioglimento dei ghiacciai, il 2012 ha collezionato una serie di disastri ambientali quasi tutti imputabili al cambiamento climatico. L’uragano Sandy ha travolto gli Stati Uniti il 29 ottobre scorso provocando 125 vittime e ha confermato da debolezza del Paese di fronte ad emergenze meteorologiche estreme. Sandy ha paralizzato la metà inferiore di Manhattan e ha cancellato interi quartieri di New York e nel New Jersey. Le linee elettriche hanno ceduto provocando numerosi black out, saltati anche i trasporti: a New York la metropolitana si è completamente allagata ed è stata chiusa per diversi giorni.

Un prezzo forse più alto di quello pagato per Sandy sarà quello che gli Stati Uniti pagheranno per la siccità che ha colpito diversi Stati dell’Unione. Secondo le prime proiezioni, i danni derivanti dai mancati raccolti potrebbero arrivare fino a 100 miliardi di dollari, con un effetto a catena che ha coinvolto gli allevamenti di bestiame e le comunità agricole. L'estate calda e secca spazzato via fino a tre quarti della coltura nelle aree di mais e di soia.

L’aumento delle temperatura non contribuisce solo alla siccità ma ha provocato anche un accelerato scioglimento dei ghiacciai: dal 2007 a settembre di quest’anno si sono persi 500 mila chilometri quadrati di ghiacciai, il 18% della superficie totale. Secondo uno studio di scienziati del clima statunitensi entro 4 anni l'Artico durante l'estate potrebbe non avere più ghiaccio.
Anche l’Europa è in questi giorni sottoposta ad un duro confronto con le avverse condizioni climatiche, in Russia le rigide temperature hanno provocato finora oltre 200 morti mentre in Gran Bretagna proprio in questi giorni sono le alluvioni e le inondazioni a provocare i danni più gravi; sono ormai centinaia le abitazioni evacuate nell’area sud occidentale del Paese.

In Italia, gravissimi danni in Toscana dove l’acqua nel novembre scorso ha invaso le campagne della Maremma provocando 4 morti e migliaia di sfollati. Ma non è stato solo il cambiamento climatico ad accanirsi contro il nostro Paese quest’anno: nel mese di maggio l’Emilia è stata investite da uno sciame sismico culminato il 20 maggio in una scossa di 5,8 di magnitudo a cui ha poi fatto seguito un’altra scossa di analoga potenza 9 giorni dopo.

Gravissimi i danni al tessuto industriale ed al patrimonio culturale. Il sisma è stato avvertito a Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia, Bologna e Rovigo, ma le scosse si sono sentite anche in un'area molto vasta comprendente tutta l'Italia Centro-Settentrionale e parte della Svizzera, della Slovenia, della Croazia, dell'Austria, della Francia sud-orientale e della Germania meridionale. 

domenica 30 dicembre 2012

Modena, 3 febbraio 2013 - “Conoscenza di sé attraverso gli Archetipi e gli Elementi della tradizione cinese”


Dipinto di Franco Farina

La giostra della vita

Nei giorni attorno al solstizio invernale (22 e 23 dicembre 2012) abbiamo trascorso a Modena due belle giornate in compagnia dell'I Ching. Paolo si è presentato con il suo quadernone ricco di esagrammi, simboli che "prendono" vita grazie alle sue parole... Il libro dei mutamenti è un pozzo sapienziale dal quale è possibile trarre significati profondi diversi a seconda di ognuno.  
 
E mentre la mente tenta, con le associazioni alle quali è allenata, di creare idee, ti rendi conto che devi lasciare andare immediatamente quelle stesse idee per accedere ad un sistema analogico intuitivo perché "la descrizione non può essere la realtà"...

Il sistema dell'I Ching  è uno strumento per conoscere se stessi, cominciando dagli aspetti personali,  ma dobbiamo essere consapevoli che la vera auto-conoscenza non ha bisogno di mezzi: nel momento che descrivo l'io, non-sono-Io... Il processo infine deve passare dal "conoscere l'Io", "all'Essere Io", attraverso la discriminazione (scelta intuitiva) e il distacco (essere testimoni).

Qualsiasi cosa sia osservabile e conoscibile, dal senso dell'io al mondo degli oggetti, lo è attraverso il movimento del positivo/negativo (Yin e Yang) e della manifestazione dei cinque elementi che da tale movimento prendono forma.    

Gli Elementi: Acqua, Legno, Fuoco, Metallo, Terra  rappresentano forme energetiche:

La Terra vince l'Acqua
L'Acqua vince il Fuoco
Il Fuoco vince il Metallo
Il Metallo vince il Legno
Il Legno vince la Terra

 E conseguenzialmente:

Dalla Terra nasce il Metallo
Dal Metallo nasce l'Acqua
Dall'Acqua nasce il Legno
Dal Legno nasce il Fuoco
Dal Fuoco nasce la Terra

e il ciclo si conclude o, meglio, ricomincia per percorrere una nuova spirale nell'eternità. Il continuo  movimento è il modo espressivo dell'Unità. l'Uno è incomprensibile alla mente, perché è la nostra vera natura e non è sperimentabile nella dualità. Possiamo mentalmente  vagamente intuire l'Unità, tuttavia non possiamo  comprendere l'Uno, possiamo solo esserlo al di là di ogni cencettualizzazione. 
 
Nella mente creiamo l’immagine dell’oggetto che osserviamo stabilendo nel frattempo una separazione tra soggetto e oggetto e ci rendiamo conto di “essere separati”. Da questa distinzione, o proiezione,  deriva la nostra identità personale ed il senso del mondo "empirico". Il mondo appare nella dicotomia di noumeno ("soggetto percepiente") e  fenomeno ("l'oggetto percepito"). Il  noumeno è la capacità auto-identificativa della coscienza di rappresentare se stessa in quanto "io", il conoscitore. Il fenomeno è la proiezione speculare, a cui esso fa riferimento, che viene riconosciuta come oggetto percepito, nel mondo dei nomi e delle forme.   Insieme creano lo spazio-tempo e la "realtà"  in cui siamo immersi.

Con questo breve scritto ho cercato di descrivere alcuni concetti che più mi hanno risuonato anche i giorni successivi gli incontri.
 
Sono lieta di annunciare che Paolo D'Arpini verrà il giorno 3/02/2013 per una giornata di studio dal titolo “Conoscenza di sé attraverso gli Archetipi e gli Elementi della tradizione cinese” c/o la Sede dell’Associazione culturale “senzanome” in via Vignolese, 1070 – Modena dalle ore 10 alle ore 14

Rif. 338.6333218  - Manuela Mattioli


Incontro conviviale ad Albareto

sabato 29 dicembre 2012

Treia, 5 gennaio 2013 - Maestro Lakota acchiapasogni giunge a Chiesanuova



La leggenda dell'Acchiapasogni secondo la cultura Lakota

Nei tempi antichi un vecchio stregone si trovava sulla cima di un monte ed ebbe una visione. Iktome, grande maestro di saggezza, gli apparve sotto forma di 
ragno e gli parlò in una lingua sacra. Disse al vecchio lakota dei cicli della vita, di come iniziamo a vivere da bambini passando dall’infanzia all’età adulta, e alla fine diventiamo vecchi e qualcuno si prende cura di noi come se fossimo diventati un’altra volta bambini, così si completa il ciclo.

Mentre parlava, il ragno prese all’anziano un cerchio che aveva con lui, era un cerchio di salice al quale erano attaccate delle piume e delle crine di cavallo abbellite  da perline………..

Avremo Ospite un Lakota proveniente dal South Dakota che ci darà l'opportunità di imparare a costruire e capire il significato dell'Acchiappasogni.

Portate perline e/o oggetti personali che possano essere infilati in uno spago, e costruiremo insieme il nostro Acchiappasogni..

L' evento è a offerta libera, è gradita la conferma per fare in modo che il materiale messo a disposizione sia sufficiente per tutti.

L'incontro si svolge  nella sede di La Luna e il Sole di   Chiesanuova di Treia sabato 5 gennaio alle ore 15 30.


Per info e prenotazioni:
- Mario             333 4435361
- Lucia             349 2682483



Post Scriptum: 
Vi ricordiamo di portare qualcosa di personale (perline o altro che si possa infilare in uno spago)..

venerdì 28 dicembre 2012

Apologo della locomotiva impazzita.. che può salvarsi solo su un "binario morto"... bioregionale

C'era una volta il palo - Foto di Gustavo Piccinini


Il macchinista si accorse dell'ostacolo ma aveva solo tre minuti per
pensare a come evitarlo. Egli aveva le vite di migliaia di persone
nelle mani, aveva abbastanza tempo per pensare ma poco per comunicare,
allertare i superiori: tutta per lui la responsabilità dell'impatto
ela catastrofe.

Andava a tutta velocità, frenare di botto avrebbe significato
provocare altrettanti se non peggiori danni dell'andare addosso
all'ostacolo, ipotesi quindi scartata. Proseguire significava
ugualmente la fine, l'impatto avrebbe scaraventato il treno contro
l'ostacolo e provocato deragliamentio e morti.

Esisteva una possibilità di salvezza ma incerta e contro ogni
regolamento, una possibilità di salvezza non contemplata nei
regolamenti, non prevista in nessun protocollo. C'era ma aveva bisogno
dell'accordo dei suoi superiori, che gli aprissero lo spiraglio.

Il macchinista è persona intelligente, dotata di riflessi pronti,
calma, morigerata, un tecnico con un anima mobile, adatta a cogliere
le novità, flessibile, duttile e tuttavia amico del mestiere e
ascoltatore instancabile dei colleghi più anziani che ne sanno di più
anche di più di quanto non sia nei libri e nei manuali.

Il macchinista sapeva che, alla svolta successiva, c'era un binario
obsoleto, una vecchia linea provinciale, da trenini locali che ormai
non si usava più: La direzione aveva puntato tutto sui treni come
quello che stava guidando, superveloci e tagliato ogni corsa sui
regionali, locali, non più redditizi.

Ma quella linea c'era, non era mai stata smantellata, una linea a
bassa velocità, costruita molti decenni prima, abbandonata alle erbe
che vi crescevano copiose.

Ecco, si decise, chiamò i suoi superiori, chiese l'apertura dello
scambio su quella vecchia linea, era una possibilità, magari non
c'erano binari proprio puliti ma c'erano rotaie ancora praticabili,
lo scartamento essendo lo stesso.

Una possibilità di salvezza, piccola, ma immensamente superiore alle
altre, tirare dritto tirare il freno, all'improvviso.

Non vi racconto cosa decisero i superiori, non vi narro di come finì
questa corsa, non vi descrivo ancora di cosa passasse nella mente di
quel bravo macchinista. Questo è un apologo che parla di noi, del
nostro modo di vivere di adesso.

Stiamo precipitando il mondo verso l'abisso, ci stiamo andando a gambe
levate e con tutti i finestrini aperti, sul nostro Titanic si balla e
si canta e la moneta corrente ha ancora corso legale e l'economia,
vera madre di tutti i mostri, dall'inquinamento alla imbecillità di
massa, dallo scioglimento dei ghiacciai alla sparizione di foreste
immense, tutto quanto è pianificato a tavolino dagli insider traders,
dai brokers, dagli agenti di cambio, dai finanzieri di ogni risma.

Ogni cosa che può essere venduta, fatta oggetto di speculazione, dal
legname all'acqua, alla terra, alle risorse ittiche, il futuro
raccolto di riso e grano, proprio tutto è attentamente contabilizzato
e messo in gioco nel vorticoso scambio del libero mercato.

Mercato libero di "suicidarci" tutti, senza freni e senza nessuna
possibilità di marcia indietro.

Eppure, io credo che il nostro mondo sia quel treno in corsa e che
come quel treno abbia una possibilità non certa, non sicura ma una
possibilità ci sia.

Tirare dritto non è possibile, ci esauriremmo per mancanza di risorse,
in troppi a consumare e pure in maniera orrendamente diseguale.

Neppure è possibile frenare all'improvviso: chi se la sente, dopo le
lezioni dure e spaventose che ci hanno iferto le rivoluzioni
novecentesche, di dare l'assalto alla cabina di regia e fermare tutto?

No, a mio avviso la soluzione "altra" pensata e poi, presumibilmente
imbroccata dal nostro macchinista dell'apologo, sia la migliore: una
terza via.

Una via più vecchia, una via più tortuosa, curvilinea, non
immediatamente percorribile da tutti contemporaneamente ma pur sempre
una via.

La via di una riconversione ecologica dell'industria, la via di
soluzioni sostenibili, la via della riduzione degli sprechi, la via
del recupero e del riciclaggio. Questa via ha bisogno
dell'intelligenza collettiva, non può essere imposta.

Questa via d'uscita, questo binario ancora praticabile ha bisogno di
una macchinista intelligente e capace, di un macchinista sensibile.

Questo macchinista esiste, siamo noi, tutto un popolo consapevole che
ha già cominciato a praticare nella vita di ogni giorno la riduzione
del desiderio alle cose davvero importanti come l'amore, il parlarsi,
l'intendersi tra vicini, tra valle e valle, tra villaggio e villaggio,
tra isolato e isolato.

Tocca noi tracciare la curva dolce e imboccare il binario vecchio, un
binario che non si supponeva neanche esistesse più ma c'è. Non è ancora
stata del tutto cancellata ed obnubilata un'intelligenza collettiva.
Abbiamo ancora menti capaci di ragionare, di tracciare una via.

Una via che passa dai campi e dagli orti, una via che passa dalle mani
quanto dai cuori e dalle menti, una via che attribuisce uguale
importanza la contadino nuovo, amante di madre terra ed allo
scrittore, lavoratore della penna,  questa via li affratella ed
accomuna, artigiani e pensatori, poeti ed artisti, contadini: insieme
a vivere su quel binario regionale, bioregionale, che dobbiamo
riattivare, rinnovare, pulire dalle infestanti e rimettere in orario,
rimettere in cartellone.

Un binario dai treni lenti dove i passeggeri possano conoscersi e
visitare i villaggi che attraversano, un treno meno comodo ma più
umano, con prezzi del biglietto infinitamente più bassi, anzi, dove in
certe tratte il biglietto possa persino venire abolito ed il denaro
sostituito da altre forme di scambio, baratto o dono. Su quel treno
non viaggerebbero più merci pericolose o inquinanti, solamente i
frutti di un lavoro utile ed onesto.

Quel treno io lo vorrei prendere e son già qui, sulla massicciata a
spianare, livellare, rafforzare la linea. Vi aspetto, venite, una
nuova via è possibile, schiantarsi non è la sola soluzione possibile.
Un futuro altro è possibile, deve essere possibile.

E questo, anche il mio augurio grande per il nuovo anno, per questo
2013 che arriva, lentamente, non c'è fretta.

Teodoro Margarita

giovedì 27 dicembre 2012

La magia, ovvero l’arte di modificare la realtà (apparente)


Il mago non è un tizio vestito in modo strambo che fa uscire un coniglio dal cilindro. Il mago è colui che riesce a modificare la realtà attorno a sé, facendo prendere agli avvenimenti la piega che vuole lui.


È magia ad esempio cercare di attirare a sé la persona amata, cercare di attirare ricchezze, ma anche guarire un ammalato (in genere in questi casi si parla di magia bianca) o far ammalare una persona sana (e in genere qui si parla di magia nera).

Israel Regardie scrive che “la magia è l’arte di applicare cause naturali per produrre effetti sorprendenti”. Crowley diceva che “lo scopo generale della magia è influenzare il
mondo dietro le apparenze, per poter trasformare le apparenze stesse”. Robert Canters, nella sua prefazione a "Storia della magia" scrive che "per mezzo della magia le cose cessano di essere ciò che sono per divenire ciò che noi desideriamo che siano".

Primo punto fermo è quindi il seguente: la magia è l’arte di
modificare la realtà esterna attorno a noi.


Come si ottiene la modificazione della realtà?


Con l’evocazione di angeli, la recitazione di formule, con la forza di volontà, con procedimenti e riti particolari. In realtà il mago non fa né più né meno che quello che fanno quasi tutte le persone, ad eccezione degli atei e dei materialisti convinti: il cattolico si recherà a Lourdes o invocherà Padre Pio, l’induista praticherà forme di meditazione (sono strabilianti i “miracoli” compiuti dagli Yogi orientali), il buddhista reciterà dei mantra, altri ritengono di avere un contatto coi propri defunti, ecc.


La differenza è che il mago chiama la sua arte “magia”, appunto, mentre il buddhista parlerà di “legge mistica”, l’induista parlerà di poteri yogici, il cattolico dirà che ha ricevuto la grazia dalla Madonna, San Gennaro, Padre Pio, ecc. e spesso discorre di miracolo ritenendo ottusamente che i miracoli li possa fare solo la Madonna, e non sapendo che la produzione di eventi eccezionali è assolutamente normale presso la maggior parte delle comunità etniche nel mondo.

Ulteriore differenza è che il mago, oltre alle invocazioni di entità superiori, userà qualsiasi altro strumento, connesso alla forza di volontà e all’arte magica in generale.


In definitiva possiamo dire che la differenza di fondo tra magia e religione è che il mago studia questi fenomeni in modo scientifico, mentre i cattolici o simili  in linea di massima sono inconsapevoli di quello che fanno e se gli dici che l’invocazione della Madonna o la recitazione del Daimoku o dell’Om Mani Padme Hum, dell’Om Namah Shivaya, ecc. sono atti magici si offendono pure e pensano che tu stia bestemmiando.

Stralcio di un articolo di Paolo Franceschetti

mercoledì 26 dicembre 2012

Grande Kumbha Mela alla confluenza dei tre fiumi

Dipinto di Franco Farina


Ad Allahabad - come fu chiamata dai persiani la zona urbana intorno
alla lingua sabbiosa tra i fiumi, detta Prayang - confluiscono in un
solo punto i tre fiumi sacri dell'India: il Gange, lo Yamuna e
l'invisibile Saraswati: uniti insieme, nel corpo solo del Gange
fluiranno interrottamente fino a sfociare e fondersi nell'Oceano. Del
Saraswati, la cui santità era già scritta nei Veda, si è a lungo
creduto fosse un luogo metaforico, o immaginario, finchè recenti
scavi, con strumenti moderni, hanno potuto verificare che il fiume
esiste, interrato a molti metri dalla superficie terrestre, dove
probabilmente si inabissò migliaia di anni fa. Lungo il suo corso,
durante la sua permanenza in superficie, fiorirono le antiche civiltà
Harappa e Mohenjo Daro, precursori della civiltà vedica e indiana.

La confluenza dei tre fiumi è luogo specialmente santo, tanto che il
poeta e mistico indiano Basavanna invocava Shiva soltanto col nome di
Signore della Confluenza dei Fiumi. Triplice è il simbolo di Shiva,
raffigurato nel tridente: in esso si raccolgono e confluiscono i tre
momenti del tempo, passato presente e futuro, i tre stati della
coscienza, veglia, sogno e sonno profondo, i tre canali dell'energia
vitale, Ida, Pingala e Susumna. La confluenza dei tre è il punto in
cui si verifica l'unione e quindi la coscienza del Quarto, Turyia, che
è la coscienza di Dio, al di là del tempo, al di là dei Guna...

Ogni 12 anni il Kumbh Mela si svolge a Pryang, sotto un particolare
aspetto astrologico. Questo momento è il Maha Kumbh Mela, che diventa
l'occasione in cui i santi, i devoti e gli aspiranti del Sanathana
Dharma, di ogni orientamento teologico, raggiungono il Triveni
Sangham, nelle cui acque si immergono con umiltà, solennemente, come
le energie vitali richiamate dalla congiunzione dei canali si
riuniscono all'illuminazione della coscienza. Avviene perciò nel
macrocosmo qualcosa che benedice tutti coloro che vi partecipano, la
stessa unione che nel microcosmo dischiude la realizzazione del
divino.

Si dice che allo scorso Mahakumbh Mela parteciparono 70 milioni di
persone, ed è stato perciò il più grande raduno umano della storia. Al
Maha Kumbh Mela del 2013 sono attese 100 milioni di persone. E'
certamente l'evento spirituale più potente a cui si possa assistere in
terra, oltre ad essere, religiosamente parlando, merito particolare e
utile mezzo di purificazione del karma. Affrontare e vivere questa
esperienza è perciò un progresso nella maturazione e nella
consapevolezza di tutti i devoti e aspiranti del Dharma.

L'antichità del rito è testimoniata dalla citazione nel Ramayana di
Valmiki, nel Mahabarata e nei Purana. Il mito collega il Kumb Mela, o
Festa del Vaso, anfora che contiene il nettare, alla leggenda puranica
della contesa tra dei e demoni per il nettare dell'immortalità. —
Udai Nath

martedì 25 dicembre 2012

Ecosistema tradito - Dalla tradizione contadina bioregionale alle multinazionali dell'agro-industria



I dati e le informazione derivanti da ricerche storiche ed archeologiche farebbero risalire l’agricoltura a 11.000 anni fa (secondo altri studiosi addirittura a 23.000 anni). 

Comunque sia un periodo molto breve se paragonato alla presenza dell’Uomo sulla terra ed all’età del nostro Pianeta. Con la nascita dell’agricoltura, possiamo affermare che sia nata la civiltà umana. I primi villaggi e le aggregazioni umane e sociali prendono forma parallelamente allo sviluppo dell’agricoltura.

L’evoluzione e la Scienza Agricola hanno seguito in questo periodo un percorso graduale, fatto di osservazioni, valutazioni, insegnamenti, esperienza. Questa esperienza aveva formato quel grande libro della Tradizione Agricola (spesso non scritto) che era quella Scienza (con la S maiuscola) che si tramandava spesso da padre in figlio. Una Scienza a Misura dell’Uomo e del Territorio.

Questa Scienza si è evoluta anche grazie alla grande sapienza di alcuni studiosi del settore: pensiamo a Catone, Columella, Varrone, Palladio e all’opera naturalistica di Plinio il Vecchio. Nell'alto Medioevo i compendi classici vennero rielaborati: ne è un esempio il De Agris di Isidoro di Siviglia. Nel tardo Medioevo ebbero grande diffusione il Libro di agricoltura di Ibn-el-Awwam (XII sec.) e il Ruralium commodorum libri di Pier de Crescenzi (fine XIII sec.) e così via fino al grande sviluppo dei trattati dell’ottocento e soprattutto del novecento.

Ma questa Scienza è stata in tutto questo periodo il compendio dell’osservazione del grande Libro della Natura. Un libro complesso e semplice nello stesso momento; fatto di regole e principi. Fatto soprattutto di Sapienza.

Quando però nell’epoca moderna l’Uomo ha pensato di poter governare questi principi e queste regole con un altro teorema del sapere (un sapere piccolo e riduzionista) il mondo agricolo ha conosciuto una involuzione che negli ultimi decenni ha manifestato tutta la sua incongruenza.

Questo fenomeno nasce in concomitanza con la rivoluzione industriale (1760-1780 al 1830), di cui ne è nel contempo causa ed effetto, e trova nella meccanica e nella chimica una nuova frontiera di conquista; va citata a tal proposito: “The teaching of agricultural chemistry” redatto, nel 1924, da una Commissione di esperti della Divisione Didattica dell’American Chemical Society e pubblicato in uno dei primi fascicoli del Journal of Chemical Education.

Fino agli anni ’50 del secolo scorso il contadino usava come fertilizzante il letame, ed altri prodotti naturali, perfettamente biodegradabili e ricchissimi di principi attivi nutrienti per le varie coltivazioni e l'inquinamento del suolo era pressoché sconosciuto. Poi vennero i fertilizzanti chimici, insetticidi, pesticidi, erbicidi a base di composti organici fosforati, efficaci per “eliminare” parassiti ed erbacce, ma inquinanti per l'ambiente, il suolo, gli animali e l'uomo. Da quel momento il proliferare della chimica e dei principi attivi si è fatto sempre più energico, compromettendo il delicato equilibrio energetico tra suolo, falde, flora, fauna ed atmosfera.

Per semplificare notevolmente il concetto si può affermare che la chimica interferisce sulla termodinamica dei sistemi naturali (ecologia) alterandone cicli e funzioni, valori quantitativi e qualitativi.

L’effetto principale della chimica in agricoltura è (contrariamente a quello che si pensa) quello di diminuire il rendimento energetico del Sistema Agricolo (che è sempre e comunque un Sistema Ecologico) spostandolo verso modelli più semplificati ed instabili.

L’uso poi dei prodotti e dei fertilizzanti di sintesi (congiunto alla diminuzione degli apporti di sostanza organica di provenienza animale) sta portando ad una degenerazione globale del sistema suolo originando una destrutturazione degli stessi con la proliferazione di quelle microfrane che stanno alla base del grande dissesto idrogeologico.

Nel 1997, nel Convegno Internazionale: “I Fitofarmaci”, chi tutela il consumatore e l’ambiente?, presso il centro di cultura Scientifica Ettore Maiorana di Erice (TP), da me presieduto, di fronte ai raccapriccianti dati delle malformazioni, delle malattie (soprattutto dei bambini) e della mortalità legata all’uso dei fitofarmaci, scese un velo pietoso e le Multinazionali, produttrici dei fitofarmaci, si affrettarono ad affermare che si trattava di dati esagerati (dati del Ministero dell’Ambiente) ed inconsistenti.

Da quel giorno i fondi per la Ricerca nella Lotta Biologica furono drasticamente tagliati fino praticamente a scomparire (personalmente sono dovuto “fuggire” dall’Istituto di Ricerca dove lavoravo) e l’unica ricerca esistente è quella delle Multinazionali (fitofarmaci ieri ed oggi, OGM oggi e domani). Per di più molti agricoltori e tecnici (mi spiace dirlo) sono convinti che la chimica (e gli OGM tra poco) siano i veri fattori dell’aumento delle produzioni agricole (è una bufala dimostrabile). Solo che questa Ricerca non viene finanziata ed i pochi lavori realizzati vengono tenuti (ad arte) nell’ombra. Oggi però né la Politica Nazionale né quella Europea vede in questo un limite e un pericolo immane.

Il fallimento degli OGM negli USA, con la proliferazione di nuove specie resistenti viene tenuto sottobanco e questo non fa che aggravare la Conoscenza e la Profondità della questione; persino l’autorevole New York Times, riporta come alcune "erbacce" resistenti al glifosato si sono sviluppate in 22 stati USA; poi tutto è stato riportato “sapientemente” a tacere.
Guarda caso l'USDA (United States Department of Agriculture), dal 2008 non pubblica più le statistiche sull'uso dei pesticidi; meglio non sapere...

Potrei continuare all’infinito questo bollettino della “Censura del Sapere”.

L’aumento delle malattie e delle malformazioni per effetti diretti ed indiretti (dovuti anche alla biomagnificazione) stanno causando un inquinamento chimico ed organico e la necessità di una Spesa Pubblica per la Sanità (sempre gestita dai Grandi Interessi) senza precedenti.

La diminuzione della biodiversità, delle varietà coltivate, dell’agricoltura naturale, degli insetti utili (tra tutti i pronubi), l’avanzare della desertificazione, ecc. ci stanno portando ad una deriva senza precedenti, eppure i Governi centrali (figli degenerati dei Grandi Poteri Economici) si occupano solo di PIL ed Indici Finanziari, conducendo il Pianeta in rotta di collisione.

L’agricoltura, i rari piani di sviluppo e quasi tutti i progetti e bandi europei parlano di mercato, produttività, concorrenzialità, ecc. senza comprendere che si stanno incrinando i due fattori principali del Pianeta, senza i quali nulla ha più senso: l’Uomo e l’Ecosistema.

Ci corre l’obbligo di porre rimedio a tutto questo prima che tutto questo ponga rimedio alla specie umana e al nostro pianeta.

Guido Bissanti - Accademia Kronos

lunedì 24 dicembre 2012

La favola svelata del "Gesù"... per chi ha orecchie da intendere




Emilio Salsi, il grande studioso e vero decano in Italia della cristologia non conformista (vedi link (http://www.vangeliestoria.eu/approfondimento.asp?ID=4) DEMOLISCE proprio la figura di "Saulo",  personaggio inventato dai "Padri" ballisti cui a giusto titolo spetta l'appellativo, per primi, di "gesuiti".  

Ribadisco e chiarisco, per chi ha orecchie per intendere, una volta per tutte: "Il 'cristianesimo' è nato come eresia-aggiustamento del messianismo ebraico, che si dovette confrontare con la propria sconfitta definitiva dopo la (duplice) distruzione del 'Tempio' da parte dei Romani. Esso subì e insieme seppe operare, nell'arco di qualche centinaio di anni, una grandiosa metamorfosi e riuscì progressivamente a impiantarsi sotto vesti nuove - inglobando-deglutendo-deformando buona parte della filosofia e religione (il mitraismo, per esempio) del crepuscolo pagano - nel corpo dell'ecumene, dell'impero che stava trasformandosi in una sorta di satrapia orientale. 

S'impose come alternativa salvifica 'universalista' all'ebraismo, pur essendone figlio. La figura, con ogni probabilità anch'essa mitica, di 'Paolo' (in realtà, soprattutto, chi dette la penna e la voce a 'Luca'), giudeo e romano, è da tutti i punti di vista la chiave di volta per comprendere questa tendenza epocale che vide la sua realizzazione e il suo trionfo (la sua vera e propria presa del potere) con Costantino e Teodosio. 

Di tale cesura necessaria con l'ebraismo d'origine rende testimonianza anche il concetto trinitario, estraneo alla Torah. E' però un dogma stabilito dopo il Concilio di Nicea (325) e non espressione del cristianesimo primitivo. Quest'ultimo, senza dubbio, si apparentava ed era in consonanza con ciò che rimaneva delle comunità essene più che con qualunque altro fenomeno sociale e culturale dell'epoca. Ma le speranze e aspettative degli esseni (così come degli zeloti) e, a poco a poco, la loro stessa organizzazione comunitaria, andavano trasformate e 'superate'. E' ciò che avvenne. E tuttavia non si volle mai recidere (fu una lotta implacabile contro i dualisti, dai marcioniti ai catari, che durò mille anni) l'ombelico con l'Antico Testamento degli ebrei e il loro specifico monodio. 'Yahweh' divenne il 'Cristo Re degli eserciti'." (http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/98000)

I "Padri" di cui sopra senza dubbio si ispirarono, per l'apparato filosofico del nuovo credo in via di formulazione, pure al neoplatonismo (senza peraltro dimenticare che Filone di Alessandria, noto anche come Filone l'Ebreo, coevo del "Gesù" della favola cristiana e che mai si sognò di menzionarlo*, era, appunto, anch'egli ebreo). Ma la scaturigine del mito e la vicenda storica cui esso si abbevera deformandola e mistificandola è giudaica al 100%, così come lo sono tutti i personaggi, veri o presunti, coinvolti (oltre ai Romani, naturalmente). Riporto qui di seguito per intero due degli scritti segnalati. In maniera magnifica, esauriente, cristallina Salsi spiega il come e il quando. Sempre, lo ripeto, per chi abbia orecchie per intendere.


Joe Fallisi


* "Filone di Alessandria (+ 42/50 d.C.), contemporaneo di Gesù, parla di Pilato: 'A questo riguardo si potrebbe parlare della sua corruttibiità, della sua violenza, dei suoi furti, maltrattamenti, offese, delle esecuzioni capitali da lui decise senza processo, nonché della sua ferocia incessante e insopportabile' (LegGai 302). Su Gesù, non una parola." (http://www.gesustorico.it/htm/fontinocrist/silenzio_storici.asp)



Testi menzionati: 

Jeshùa Giovanni e gli Zeloti di Gàmala redenti dal Cristianesimo dei Gentili 

Tramite gli studi condotti sinora, abbiamo provato che gli “Apostoli”, uno dopo l’altro, vengono eliminati dalla verifica critica storiologica. Le stesse analisi ci hanno consentito di scoprire brani spuri e simulazioni apportate dagli scribi cristiani, durante la secolare evoluzione della dottrina, sia nei sacri testi che in quelli storici.
Manomissioni, ancora in atto, intese ad impedire il riconoscimento dei veri protagonisti, capi del movimento zelota di liberazione nazionale giudeo, celati dietro la straordinaria veste “apostolica” che li raffigurò miti come agnelli, predicatori di pace e giustizia in terra, e la promessa della vita eterna nell'aldilà.

Dovevano sparire i cruenti rivoluzionari della quarta filosofia zelota, una novità sinora sconosciuta” (così la definì Giuseppe Flavio), fondata da Giuda il Galileo il 6 d.C. Una dottrina che postulava il capovolgimento della società ebraica tramite l’eliminazione della schiavitù, della nobiltà sacerdotale corrotta e dei privilegiati filo romani. Un nuovo sistema economico che avrebbe redistribuito le ricchezze con maggior egualitarismo a beneficio delle classi più diseredate: "gli ebioniti", dall'aramaico "ebionim" אביונים, i poveri.
La "quarta filosofia giudaica" annoverava capi farisei Zeloti, "Dottori della Legge di grande potere, fanatici nazionalisti” votati al martirio.
Lo storico ebreo Giuseppe, un nobile fariseo conservatore appartenente ad una ricca casta sacerdotale opportunista, li descrisse esprimendo odio nei loro confronti in "Antichità Giudaiche" e "La Guerra Giudaica":

"Lo zelo che Giuda (il Galileo) e Saddoc (il Fariseo) ispirarono nella gioventù fu l'elemento della rovina della nostra causa. Il popolo ha visto la tenacia della loro risoluzione e l'indifferenza con la quale accettano la lacerante sofferenza delle pene
(Ant. XVIII 10-24). "Individui falsi e bugiardi, fingendo di essere ispirati da Dio (Profeti), macchinando disordini e rivoluzioni, spingevano il popolo al fanatismo religioso. Ciarlatani (Predicatori) e briganti istigavano molti a ribellarsi e li incitavano alla libertà minacciando di morte chi si sottometteva al dominio dei RomaniZeloti, tale, infatti, era il nome che quelli si erano dati, quasi fossero zelatori di opere buone" (Bell II 259-264; IV 161; VII 259).

Intrapresero una lotta, ìmpari, per “salvare” la loro terra dal dominio pagano romano e ricostituire su di essa, grazie all’avvento di un Messia prescelto da Yahwè, un nuovo regno giudeo destinato a durare in eterno … che, dopo la riforma “universale” cattolica, verrà chiamato “Regno dei Cieli”.
Ma le motivazioni degli Ebrei erano molto diverse. La tradizione veterotestamentaria imponeva loro scelte radicali, senza compromessi, contrapposte all'aristocrazia sacerdotale moderata, ai ricchi commercianti ed ai proprietari latifondisti.
La certezza che Dio avrebbe aiutato gli Israeliti a scacciare i pagani invasori era scritta nella Legge: i "kittim", sarebbero stati sconfitti e umiliati dal Messia divino. Un Re nazionalista trionfante grazie all'intervento delle schiere celesti inviate da Yahwè in soccorso del "popolo eletto".

Giuda il Galileo, ideatore della "quarta filosofia", alla morte di Erode il Grande attaccò il palazzo reale di Sefforis, capitale della Galilea, costrinse alla fuga un figlio successore di Erode, Antipa, e si insediò sul trono dei Giudei.
L'intervento delle legioni romane del Legato di Siria, figlio di P.Quintilio Varo, ripristinò l'ordinamento augusteo nella Galilea dopo aver distrutto Sefforis e crocefisso, pubblicamente, duemila ebrei.
Discendenti da una stirpe di sangue reale, gli Asmonei, sopravvissuta per via materna alla sistematica eliminazione dello spietato megalomane Erode il Grande, cinque fratelli lottarono contro i suoi eredi non riconoscendo ad essi il diritto, delegato da Roma, di regnare e governare sui Giudei. Era un
 diritto messianico che apparteneva a loro e lo rivendicarono con le armi ad iniziare da Ezechia, loro nonno e padre di Giuda il Galileo, che fu ucciso da Erode ancor prima di essere insignito come Re, nel 40 a.C., da Marco Antonio e Gaio Giulio Ottaviano, allora Triumviri.

La tensione sociale, ad alto rischio per lo spargimento di sangue che comportava l'integralismo nazionalista, fatalmente si compenetrava nei nuclei familiari provocando polemiche e discordie, spesso con gravi rotture fra i giovani irruenti e gli anziani. Lo stato di guerra civile, iniziato sin dall'epoca del censimento di Quirinio, il 6 d.C., si protrarrà in forma endemica, ininterrottamente, fino alla guerra aperta contro Roma nel 66 d.C., con una pausa durante il regno di Erode Agrippa il Grande, dal 41 al 44 d.C.
La denuncia della conflittualità zelota nell'ambito della società teocratica dei Giudei di quel torno di tempo, con inevitabile ricaduta all'interno delle famiglie, coinvolse anche il "Messia" prescelto da Dio alla guida del popolo d'Israele e "trasuda" dalle testimonianze evangeliche per bocca dello stesso "Gesù":

"Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terraNo, vi dico, ma la divisione. D'ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre: padre contro figlio e figlio contro padre(Lc 12, 49-52).    

I nomi dei cinque fratelli, dettati dalla tradizione di rigida osservanza giudaica, sono tuttora presenti nei Vangeli ecorrispondono ai fratelli di “Gesù”: GiovanniGiudaSimoneGiacomo e Giuseppe; gli stessi che vengono attribuiti anche ai figli delle varie “Marie”, mogli di Alfeo, Clopa, Zebedeo e Cleofa. Tutte queste "mogli" sono sorelle,parenti fra loroma portano lo stesso nome di Maria” la madre di Gesùe risultano tutte madri di figli con gli stessi nomi dei fratelli di Cristo.
La presenza di tante "Marie" nei documenti neotestamentari non è veritiera (ne risultano sei) al punto che, almeno una, risulta essere sorella della madre del "Redentore
 Figlio di Dio":

"Stavano presso la croce di Gesù sua madre (Maria), la sorella di sua madre, Maria di Cleofa ..." (Gv 19,25).

Come avrebbero potuto dei genitori chiamare i propri figli con nomi uguali?  Nel merito, la Chiesa, sin dall'antichità, una volta inteso le contraddizioni contenute nelle "rivelazioni" evangeliche, decise di "comprimere" le sei Marie in "tre Marie" con analisi dimostratesi scorrette, come riferiamo nel successivo apposito studio su "Le sei Marie". Una di esse, fatta passare come moglie di Alfeopadre dell'apostolo Levi, cioé "Matteo il Pubblicano", si dimostra un falso conclamato una volta accertato (cfr I studio e quello su "La Natività") che questo "Matteo" non é mai esistito:

" ... Egli (Gesù), nel passare, vide Leviil figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi»" (Mc 2,13-14).
E' ovvio che, come provato nel primo studio e in quello su "La Natività", l'inesistenza di Levi Matteo sconfessa inequivocabilmente l'esistenza sia di suo padreAlfeoche di sua moglieMaria, con la quale avrebbe dovuto concepire il futuro apostolo, "esattore delle tasse" per conto di Cesare. Di queste sei "Marie" solo una non aveva figli: Maria di Màgdala. Cosa abbia rappresentato per il "Gesù" storico del nostro studio, questa Maria, non crediamo sia stato significativo nella realtà politica dell'epoca; molto pericolosa per il popolo d'Israele che non intendeva sottomettersi al dominio di Roma.Altre quattro "Marie" furono clonate da una sola e "divise", maldestramente, per separare l'insieme dei fratelli, tutti con nomi uguali ai figli dell'unica vera Maria, madre di "Gesù" (Mt 13,55 e Mc 6,3). Lo scopo fu di impedire ad eventuali ricercatori di rintracciare nella storia i veri protagonisti delle vicende narrate nei vangeli identificandoli negli ultimi eredi dell'unica dinastia che, nel corso di tre generazioni, si era distinta per aver guidato gli Ebrei nella lotta di liberazione contro i "kittim" romani.
  

La vera Maria, madre di cinque figli maschi e due o più femmine, era una nobile discendente degli Asmonei, moglie di Giuda il Galileo, "Dottore della Legge di grande potere", padre, a sua volta, di Giovanni, il primogenito. Dunque una stirpe di sangue reale cui spettava per diritto il trono dei Giudei, occupato dagli erodiani, semigiudei di estrazione araba, insediati dagli imperatori di Roma.
I cinque fratelli appartenevano ad una società teocratica, propugnavano la lotta armata basata su principi religiosi e politici contenuti nella sacra Legge ancestrale, per cui l'unica regalità ammessa era quella voluta da Dio: una regalità messianica. Erano Zeloti e depositari dell'integralismo nazionalista più estremista fra le quattro correnti religiose ebraiche dell'epoca costituite da Zeloti, Farisei, Esseni e Sadducei. Nel 6 d.C...

"Giuda il Galileo si pose come guida di una quarta filosofiauna novità finora sconosciuta, che concorda con tutte le opinioni dei Farisei eccetto nel fatto che costoro hanno un ardentissimo amore per la libertà (gli Zeloti erano Farisei rivoluzionari irredentisti contro la schiavitù) convinti come sono che solo Dio è loro guida e Padrone; ad essi poco importa affrontare forme di morte non comuni ..." (Ant. XVIII 1,26).
   
La maggioranza del popolo giudaico, soprattutto i giovani, era spinto da un impellente bisogno di riscatto nazionalistico morale e di giustizia sociale, pertanto condivideva i principi degli Zeloti e del suo capo Giuda. Una generazione dopo, suo figlio, Giovanni, riuscirà a conquistare Gerusalemme, nel 35 d.C., dopo aver liberato la Città Santa dall'occupazione pagana, ottenendo il riconoscimento del popolo come "Salvatore" (Jeshùa) e Re dei Giudei ... fino a quando venne detronizzato e crocefisso dai Romani nel 36 d.C. Per gli Ebrei il vero Messia divino non poteva essere sconfitto dai kittim invasori, pertanto Giovanni fu rinnegato e dimenticato.
Nel periodo storico successivo alla distruzione di Gerusalemme e del Tempio - perpetrata da Tito nel 70 d.C. unitamente al massacro etnico di Ebrei nelle città orientali dell'Impero - si aprì una crisi di identità religiosa che coinvolse l'intera ecumene giudaica.

Sino al momento dell'olocausto, gli Esseni furono i più attivi tra i Profeti che avevano annunziato l'Avvento del Messia d'Israele il quale, riuniti tutti gli Ebrei in una rinnovata Alleanza santificata da Dio, avrebbe fatto strage di kittim pagani.
Dopo l'eccezionale catastrofe, una corrente riformista ebraica della diaspora, guidata da sacerdoti Esseni residenti in Egitto, ispirandosi all'astratto "Logos" del filosofo semita Filone d'Alessandria, concepì una nuova figura di "Salvatore Messia" in alternativa al "Dominatore del Mondo" riferito da Giuseppe Flavio (Bellum VI 310-315). Un Messia divino, non più il bellicoso condottiero del popolo d'Israele che avrebbe sconfitto gli invasori pagani, bensì docile come un agnello "Salvatore del Mondo", quindi accettabile dal potere imperiale romano, e meno pericoloso per le famiglie della diaspora. Pur sempre un Messia ancora osservante della Legge ancestrale profetata da Isaia:
 
 
"Egli (il Messia), dopo essere passato fra gli uomini in maniera così umile e modesta nelle parvenze da non esssere rimarcato da alcuno, seguirà i suoi carnefici silenzioso e docile come un agnello che viene condotto al mattatoio" (Isaia 53,1).

"Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!" 
(Gv 1,29). 
 
 
Gli Esseni, anziché ammettere il fallimento del proprio vaticinio sull'intervento del "Salvatore" davidico, addebitarono la colpa delle sciagure e dei lutti subiti dai Giudei al mancato riconoscimento, da parte loro, dell'Avvento: il Messia, atteso con anelante fede dagli Ebrei durante il primo secolo; l'Unto, prescelto da Yahwè, che li avrebbe guidati contro i pagani invasori della Terra Promessa, era già venutoma non fu identificato come tale dal Suo popolo.
Nella storia giudaica dell'epoca, che vide come protagonista reale il nobile Giovanni e la straziante fine subita, questo era l'unico episodio adatto cui richiamarsi per essere mitizzato come "Agnus Dei" e "Salvatore del Mondo" anziché "Dominatore del Mondo".  
Un "Salvatore" che i monaci esseni, in virtù della loro "Gnosi" (conoscenza di Dio), iniziarono a rappresentare nelle proprie scritture, predicandolo come il Demiurgo Terapeuta, Figlio di Dio, dotato di poteri straordinari.
Lo avevano già profetato nel frammento 4Q246 di Qumran, che evidenzia il pathos nazionalista zelota, conforme all'ètica di una società teocratica come quella giudaica, in linea con la figura regale messianica:
 
"Egli sarà chiamato il Figlio di Dioessi lo chiameranno il Figlio dell'AltissimoIl Suo regno sarà un dominio eterno ... il popolo di Dio si leverà e fermerà tutti con la spada". 
 
Un Messia le cui tracce permangono tutt'oggi nei vangeli. Così Luca:
 
"Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di suo padre Davide ... perciò quello che nascerà sarà chiamato santo Figlio di Dio(Lc 1,32-35).

Così Matteo: 
"Non sono venuto a portare pace sulla terrama una spada(Mt 10,34).
   
Fra i protagonisti dei vangeli "cristianizzati", Giovanni risulta il meno appariscente benché molto rimaneggiato nel personaggio, a differenza dei vangeli originali. Nella tradizione "canonica", Giovanni venne fatto interpretare da un indefinibile senza nome il discepolo che Gesù amava e chiamato come testimone oculare della vita di Cristo narrata nel proprio vangelo; infine, scelto come depositario della Sua “Rivelazione” (Apocalisse) e del Suo ritorno (Parusia), non più come “Salvatore” ma nelle vesti di un terrificante “Giustiziere” che avrebbe provocato la fine del mondo tramite una catastrofe cosmica dando inizio al "Regno di Dio".
In realtà questo “discepolo” senza nome, come abbiamo visto con lo studio precedente, non è esistito, quindi non ha scritto alcun vangelo, né l'Apocalisse, tantomeno “lettere”. Pochi sanno che sono due i vangeli accreditati a “Giovanni”: uno di “Giovanni" e l'altro di “Giovanni detto anche Marco”.
Per distinguerli e giustificarne le differenze, incompatibili come testimonianza univoca per l'enorme differenza sui fatti narrati (basta ricontrollare la “Tabella degli Apostoli e le loro qualifiche” nel I argomento), a un “Giovanni” venne aggiunto “detto anche Marco” in “Atti degli Apostoli” (12,12) dove, “il discepolo prediletto” spunta fuori, all'improvviso, poco prima il decesso di Erode Agrippa I, avvenuto nel 44 d.C., e risulta “figlio di Maria” residente "in casa dellamadre” a Gerusalemme (non in quella di Zebedeo, suo padre, secondo i vangeli sinottici).
Viceversa, in nessun vangelo si fa menzione di un apostolo col nome di “Giovanni detto anche Marco” pur essendo stato "ufficializzato" dalla "tradizione", ad iniziare da Eusebio di Cesarea che lo chiamò, molto superficialmente, col semplice nome di "Marco".

Nel vangelo di “Giovanni detto anche Marco” abbiamo conosciuto un “Giovanni” figlio di Zebedeo, integralista zelotacome suo fratello Giacomo, qualificati entrambi come “boanergés” *figli dell'ira di Yahwé avverso la dominazione romana della Terra d'Israele. Quindi un ribelle adulto, fanatico nazionalista, schierato contro il potere costituito, che non avrebbe mai accettato, ideologicamente, di darsi un secondo appellativo “trasteverino”: Marco.
Dal vangelo di Luca (Lc 9,53) Giovanni risulta uno Zelota pronto ad incendiare villaggi dei Samaritani, nemici dei Giudei, assieme all'altro suo fratello: Giacomo (il Maggiore).
* Vedi spiegazione del termine "boanergés" nel I argomento.

Un divieto sull'uso del nome gentilizio, ancor più tassativo, era imposto dalla Legge romana, l'unica che veramente contava nell'Impero, trascurata con sciocca dabbenaggine dai redattori di “Atti degli Apostoli”; un errore simile a quello commesso sulla “cittadinanza” da san Paolo (vedi studio), a dimostrazione che questo documento, considerato sacro dai credenti, fu composto successivamente il 212 d.C. 
Per quella data l'Imperatore Marcus Aurelius Caracalla decretò di estendere la cittadinanza romana a tutti i liberi abitanti dell'Impero al fine di equipararne i privilegi, ma con il risultato di abolirli con i rispettivi "Diplomi di Cittadinanza Romana", ormai inutili.
Prima di allora, già in epoca repubblicana, solo agli stranieri cui veniva conferita la cittadinanza romana, era concesso il diritto di attribuirsi nomi romani ed il divieto per chi non lo era. Fu uno dei princìpi cui, dopo Giulio Cesare, anche Cesare Augusto, come riferito da Svetonio (Cal. 38), conferì un valore particolare ordinando tre censimenti cognitivi al fine di accertare, fra gli abitanti dell'Impero, quelli che possedevano la cittadinanza romana. Un titolo registrato negli Atti del Senato comprovato dal rilascio di un Diploma, analogo a quello militare, contenente un attestato di benemerenza rilasciato dalle autorità, ad iniziare dai Cesari, da esibirsi su richiesta di qualsiasi funzionario imperiale.
Così Svetonio (Claudio 25):

Le persone di nazionalità straniera furono diffidate dal prendere nomi romanitanto meno nomi gentilizi.Quanto a coloro che usurpavano il diritto di cittadinanza romana,(Claudio) li fece decapitare nel campo Esquilino”.
Tranne Giulio Cesare e Nerva (quest'ultimo, anziano, in carica per meno di due anni), tutti gli Imperatori e i condottieri romani perseguitarono i Giudei. A Gerusalemme, il Tribuno militare, di rango equestre con tanto di laticlavio, funzionario imperiale durante il principato di Claudio, essendo obbligato a far rispettare la Legge di Roma, avrebbe fatto passare guai seri ad un ebreo che si fosse dato un nome romano, gentilizio per eccellenza come"Marcus", senza possedere il diploma di cittadinanza.
Ne consegue che "Marco" è uno pseudonimo scelto dagli scribi cristiani, in epoca successiva all'editto di Caracalla, inconsapevoli di una vecchia legge imperiale ormai desueta ed ignari della severità dei costumi giudaici.
Nella realtà dell'Impero Romano del I secolo, il nome gentilizio "Marco", affibbiato ad un suddito giudeo privo di cittadinanza romana, violava leggi ed usanze di entrambi i Paesi.  

Al contrarioil Giovanni”, descritto dalla “tradizione giovannea”, non è un adulto combattente ribelle integralista, tanto meno "detto anche Marco", ma viene fatto interpretare da un innominato sconosciuto ragazzo giovanissimo 
“il discepolo che Gesù amava” materializzato all'improvviso nell'ultima cena durante la quale venne celebrato il primo rito del sacrificio eucaristico cristiano. Tranne per il riferimento al Battista, il nome “Giovanni” è sconosciuto dallo stesso evangelista e non appare mai nel “proprio” vangelo; neanche quando Gesù “chiama” i discepoli al Suo seguito nella missione affidatagli dal Padreterno. Sappiamo dell'esistenza de “i figli di Zebedeo” (Gv 21,2), dopo la morte e resurrezione di Cristo, nel 21° capitolo, l'ultimo. Dagli esami condotti da vari studiosi, risulta essere stato aggiunto in epoca posteriore allo scopo di ridurre i contrasti con gli altri vangeli sul numero e sul nome degli apostoli (cfr tabella nel I studio e relativa nota).
Il “Giovanni” del quarto vangelo è stato dipinto come un adolescente legato al Salvatore da un rapporto fisico affettivo molto forte, come di parentela, al punto che, nell'ultima cena, giunge a “reclinarsi sul petto di Gesù” (Gv 13,25).
Questo aspetto del discepolo prediletto, abbandonato languidamente sul corpo di Cristo, è ignorato dagli altri evangelisti. Altresì, perché un Dio avrebbe creato un giovanissimo discepolo-apostolo da prediligere rispetto agli altri?
La risposta la troviamo nel passaggio escatologico finale descritto nello stesso vangelo, all'atto della crocefissione, in cui si rappresenta una scena con “tre Marie” aggrappate ai piedi della croce assieme ad un ragazzo.
Impossibile nella realtà perché la Legge di Roma impediva a chiunque avvicinarsi ad un pubblico suppliziointerponendo un cordone di miliziani armati: ad iniziare da parenti, amici, e discepoli ... nessunoApostoli compresipoteva stanziare presso la croce.
 
Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che Egli amava, disse alla madre«donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo:«Ecco tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa” (Gv 19,26/7).
Ma in casa di chi? Del padre Zebedeo secondo i vangeli sinottici? Certamente no, poiché il "discepolo che Gesù amava" risulta figlio di Maria, come affermato da Cristo, quindi il padre, secondo la "Natività" di Luca e Matteo, doveva essere San Giuseppe marito di Maria, non Zebedeo.  
Infatti, in “Atti degli Apostoli” abbiamo già visto che “Giovanni detto anche Marco”, viveva a Gerusalemme in casa di Maria, sua madre. 
Però come si può credere che un ragazzo abbia potuto prendersi cura di una donna anziana?
Siamo di fronte ad una sceneggiatura giovannea, totalmente diversa da quella degli altri evangelisti, allestita per “rappresentare” il sacrificio umano della nuova “Entità” trascendentale che avrebbe “salvato” l'umanità dalle pene dell'inferno. Al momento della trascrizione da un manoscritto originale, certamente lo scriba cristiano non dette eccesivo peso ai "dettagli" di questo vangelo, residui "stratificati" di una forma di messianismo primitivo, che avrebbero creato gravi problemi aperti tutt'oggi.
Tanto è vero che nel versetto del vangelo appena letto é evidente che, essendo Maria madre di Gesù e del"discepolo che Egli amava", ne deriva che questi era un fratello di "Gesù" o "Egli" stesso (nel I studio, dopo la tabella apostoli, abbiamo elencato i Codici antichi, poi "scartati", nei quali in Matteo 13,55 risulta anche Giovanni compreso nei figli di Maria). Ma, dal momento che "il discepolo prediletto" si chiamava Giovanni e sotto la croce non poteva esserci nessuno poiché lo vietava la legge romanasi dimostra che Egli, "Gesù", era Giovanni ...sulla croce.
Senza alcun discepolo né sotto, né vicino alla croce ... confermato dai vangeli canonici:
"Allora tutti i discepoliabbandonandolo (Gesù), fuggirono" (Mt 26,56). 

In ultima analisi, l'innominato "discepolo che Egli amava" non é altri che l'avatar di Giovanni; nome che non apparenel vangelo di Giovanni fra gli apostoli chiamati al Suo seguito da Cristo perché è Lui: "Gesù".
Il "Vangelo di Giovanni" così inizia:

Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni…
Egli era nel mondo e il mondo fu fatto per mezzo di Lui,
eppure il mondo non lo riconobbe.
                                          Venne fra la sua gente, ma i suoi non lo hanno accolto.”                                          
 (Gv 1, 6-11)

Giovanni”, é l'unico appellativo indicato nel pròlogo di questo vangelo, trascritto da un'altro originale nel quale, pur richiamandosi al Dio Creatore, non appariva il nome di "Gesù Cristo" che verrà aggiunto, successivamente, alla fine del preambolo. Infatti, a riprova di quanto testé affermato, subito dopo leggiamo:
"Chi sei tu Egli confessò e non negòe confessò: «Io non sono il Cristo
»" (Gv 1,20).
Un raggiro di parole visibilmente manomesse per smentire quel che risultava nel vangelo primitivo: "Io sono il Messia", ribadito nello stesso testo che stiamo per declamare, nel quale lo si accusa di essersi proclamato Re ... ma sappiamo bene che un vero monarca giudeo si sottoponeva al rituale dell'unzione, da cui "Unto", in ebraico"Mashiah"
Sull'attesa messianica degli Ebrei, Luca si spinge oltremodo:

"Il popolo era in attesa e tutti si domandavanoriguardo Giovannise non fosse Lui il Cristo" (Lc 3,15).

Un concetto prettamente cristiano che, come in altri numerosi casi, fraintende la Legge ebraica: il popolo d'Israele era in attesa del Messia divino, ma la sua speranza non poteva spingersi oltre, facendo nomi inutili, perché era consapevole che solo Yahwè avrebbe scelto il vero Messia...

"Tutta l'assemblea si alzò, lo condussero (Gesù) da Pilato e lo accusarono: «Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re» (Lc 23,1).
"Se (Pilato) liberi costui (Gesù) non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare" (Gv 19,12).

La comparazione fra le testimonianze dei due vangeli evidenzia la accusa, rivolta a un "costui" senza precisarne il nome, colpevole di incitare la popolazione a non pagare i tributi all'imperatore di Roma e di essersi proclamato Re dei Giudei consacrandosi (tramite l'unzione) come loro Messia.
Da sottolineare la descrizione della vicenda, narrata da ignoranti, la quale non risulta conforme al potere-diritto romano che imponeva ad un Prefetto imperiale l'obbligo di eliminare chiunque si autoproclamasse Re in un territorio di proprietà del Cesare - per di più con intenti apertamente sovversivi contro il pagamento dei tributi imposti da Roma - senza che nessuno osasse ricordargli quale fosse il suo dovere (ius gladii).
Il nome era Giovannitravestito, maldestramente, da “Giovanni detto il Battista”; come, sin dall'inizio, la Chiesa ebbe tutto l'interesse farci credere per nascondere i nomi degli autentici protagonisti zeloti dei vangeli primitivi, ricorrendo spesso allo stratagemma di sovrapporre i nomi e le loro gesta nei vangeli attuali trascritti dagli originali:
 
"In quel tempo il tetrarca Erode ebbe notizia della fama di Gesù. Egli disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista risuscitato dai morti; perciò la potenza dei miracoli opera in lui »" (Mt 14,1-3).
 
Il vero Giovanni, in realtà, fu uno zelota "boanergès" la cui dottrina nazionalista, la quarta filosofia ebraica,spingeva il popolo a non pagare le tasse a Roma. Un "Giovanni" che venne mascherato dietro l'omonimo Battista, il quale, a sua volta, fu fatto passare da Luca, addirittura ... per cugino di "Gesù Cristo". Parentela assurda ignorata nel vangelo di "Giovanni" che dimostra la macchinosità degli scribi ecclesiastici quando scelsero di far interagire i due protagonisti.

Una ingenuità che si evidenzia ancor più quando Eusebio di Cesarea interpolò il "Testimonium Flavianum" in "Antichità Giudaiche" facendo apparire che Gesù Cristo era famoso, ma dimenticò di menzionare la parentela del Battista con il più importante "Cristo", "Uomo-Dio", risorto tre giorni dopo la Sua morte. (cfr Ant. XVIII 63 con HEc. I 11,7).
"Giovanni" non poteva essere stato il Battista per la ragione che la storia è chiara e insegna che quest'ultimo aveva un solo nemico: Erode Antipa il Tetrarca*. Fu lui ad ucciderlo proprio perché, diversamente dal brano del vangelo (Gv 1,11) appena letto nel pròlogo Venne fra la sua gente, ma i suoi non lo hanno accoltola sua gente lo aveva accolto con troppo favore:
 
Quando la gente si affollava intorno a lui, essendo i suoi sermoni giunti al più alto grado, Erode (Antipa) si allarmò. Una eloquenza che sugli uomini aveva effetti così grandi, poteva portare a forme di sedizione … a motivo dei sospetti di Erode, fu portato in catene nel Macheronte, una fortezza in Perea, e quivi fu messo a morte. Ma il verdetto dei Giudei fu che la rovina dell'esercito di Erode fu una vendetta di Giovanni, nel senso che Dio giudicò bene infliggere un tale rovescio a Erode” (Ant. XVIII, 118/9).

* Erode Antipa sposò Erodiade pur avendo in moglie un'altra pricipessa: la figlia di Areta IV, Re degli arabi Nabatei. Antipa Tetrarca contava di essere nominato Re da Tiberio, ma solo una delle due mogli pricipesse sarebbe potuta divenire Regina. Erodiade pose questa condizione, che Erode accettò in segreto, ma la figlia di Areta lo venne a sapere ed informò il padre che dichiarò guerra al Tetrarca, rivendicando, al contempo, territori che confinavano con la Perea, amministrati dal semiebreo erodiano. Territori, comunque, sotto "protettorato" romano.
 
Nei Vangeli si equivoca volutamente fra Giovanni Battista e “Gesù”, usando il primo come "controfigura" del secondo, sovrapponendo le due figure ideologiche al punto che san Luca inizia la sua novella con la “Natività” di:
Giovanni … Egli sarà grande davanti al Signorenon berrà vino né bevande inebrianti” 
 (Lc 1,13/15).

Chi non poteva bere vino era un “Nazireo”, ma, secondo la storia, Giovanni Battista non era un Nazireotanto meno un Messia. Giuseppe Flavio era ebreo e sapeva benissimo cosa rappresentava il "Messia" per i Giudei, così come conosceva i Nazirei. Li descrive, decantandoli per l'importanza alla stregua di Samuele e Sansone, consacrati a Dio tramite il voto di nazireato; pertanto, se il Battista fosse stato un Nazireo come loro lo avrebbe specificato nel lungo brano a lui dedicato.
Parimenti, oltre che per dovere di cronaca ma, soprattutto, in quanto sacerdote fariseo, si sarebbe sentito in obbligo di informare l'intera ecumene giudaica che Giovanni Battista fu precursore e profeta dell'imminente avvento di un Messia divino, per di più depositario di una dottrina totalmente diversa da quella ebraica. Questo secondo i vangeli. Inoltre avrebbe riferito anche della parentela con l'ancor più celebre Messia "Gesù", confermando la notizia evangelica che lo attesta come cugino del Battista.
A maggior ragione, data l'eccezionalità dell'evento messianico atteso dai fedeli Giudei, lo storico avrebbe informato i lettori che il popolo scambiò il Battista addirittura per un Messia, come scritto superficialmente da Luca.
L'insieme dei dati evidenziati nelle scritture evangeliche sono di stretta pertinenza al credo giudaico, pertanto, se Giuseppe Flavio non li ha richiamati nella particolareggiata vicenda storica, ciò vuol dire che non sono veri, quindi gli scribi cristiani hanno mentito ... ma con un disegno preciso che stiamo per scoprire.
 
Innanzi tutto, "Nazireo" era l'appellativo del fedele ebreo che si consacrava a Dio vincolandosi per tutta la durata del voto a non bere bevande inebrianti e mantenere intonsa capigliatura e barba. Gli aderenti entravano a far parte della setta dei Nazirei collegata direttamente con "Jeshùa" Giovanni, diversamente dal Battista.
Dopo la profezia appena letta su Giovanni Nazireo, Luca continua la narrazione descrivendo prima la "natività" di"Giovanni", poi quella di "Gesù"… come se quella di Cristo sia stata aggiunta dopo; inoltre, nella sua esposizione dell'evento, giunge sino a "dipingere" una relazione intermaterna di un feto:

“Maria, entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo” (Lc 1,41).

Lo scriba cristiano riferisce che “Giovanni”, ancora nel grembo della sua ipotetica madre “Elisabetta”, quando arriva Maria la “riconosce o percepisce” come sua vera madre, ma ... essendo fisicamente impossibile che, nel 6 a.C. (secondo la datazione moderna della Chiesa), Luca abbia potuto poggiare l’orecchio sul ventre di Elisabetta, ci siamo sforzati di immaginare il Padreterno, quando, “dall’Alto dei Cieli”, si chinò per suggerire nell’orecchio del santo evangelista (a lui solo) questo particolare del “sussulto” del feto all’interno di un grembo materno e farlo tramandare ai posteri credenti …  beati i poveri di spirito Fedeli ai quali i preti, ed i loro pedissequi esegeti, "dimenticano" di evidenziare che l'evangelista, secondo la "tradizione", nacque il 10 d.C.
 
Nel Protovangelo di Giacomo leggiamo:
 
“Elisabetta, sentito che si cercava Giovanni, lo prese e salì sulla montagna (22,3). Erode cercava Giovanni…e disse loro: « è Giovanni colui che regnerà su Israele »” (op.cit. 23,1-2).
 
In questo vangelo, un manoscritto stimato più antico dei Codici Vaticano e Sinaitico, perché Erode avrebbe dovuto perseguitare “Giovanni” se non era destinato a divenire “Re dei Giudei” ? … diritto che spettava alla stirpe degli Asmonei? E di quale “montagna” poteva trattarsi se non quella di Gàmala? … la patria di Giuda il Galileo e dei suoi figli: Giovanni, Simone, Giacomo, Giuda e Giuseppe.
Procedendo con la ricerca, potremo stabilire che i primitivi "vangeli di Giovanni”, degli Esseni, non erano manoscritti fatti da “Giovanni”, ma narravano di “Giovanni Messia Salvatore”. 

Nello studio precedente abbiamo verificato l'inesistenza di san Giovanni apostolo, "il prediletto del Signore". Per tale dimostrazione, data la lunga vita e la veneranda età accreditata al "discepolo che Gesù amava", inevitabilmente, ci siamo avvalsi delle testimonianze dei "successori degli apostoli", dei quali il primo é stato Simone, fatto passare come secondo Vescovo di Gerusalemme dopo Giacomo il Minore.
"Successori" riferiti dalla "tradizione ecclesiastica", pervenutaci da antichi manoscritti che continueremo a confrontare
fra loro per verificare cosa riuscirono ad inventarsi i "Padri" cristiani al fine di "testimoniare" l'esistenza di san Giovanni. Furono obbligati a farlo perché avevavo capito che "il discepolo che Gesù amava" era "Giovanni Gesù", ma, in base al loro intento, se Giovanni invecchiò nessuno avrebbe mai potuto sospettare che era lui Gesù"Crocefisso".
Individuati tutti e quattro i fratelli, compreso il più giovane, Giuseppe ... nella storia non si deve ricercare un
inesistente "Gesù Cristo risorto", ma “Giovanni”: un comune mortale. Personaggio di primo piano, famoso tra i Giudei ancor più dei suoi “fratelli”. Intenzionalmente, il suo appellativo venne scartato in quelle versioni dei vangeli di Matteo che lo rappresentavano insieme a tutti i figli di Maria; viceversa, lo abbiamo visto nel I argomento, gli ecclesiastici scelsero i manoscritti nei quali non fu mai nominato contemporaneamente agli altri quattro fratelli perché lui era il vero soggetto”, indicato con “costui” per riempire il "vuoto" lasciato da quel nome.

Giovanni e i suoi fratelli furono promotori di imprese rischiose sino al martirio, imprese di capi guerriglieri integralisti, di “Apostoli Profeti sobillatori”, di “fanatici nazionalisti”, di ... Zeloti.
E questo Giovanniuguale a "Gesùsino alle "impronte digitali", lasciate dai "cibi proibiti ed Egli aveva abbandonato le tradizionali regole di purità" (Bellum VII 264) mangiati senza aver fatto le rituali abluzioni prima del pranzo, alla stregua di Cristo, la storia ce lo restituisce attraverso un ricordolontano nel temporievocato dallo storico ebreo Giuseppe Flavio a guerra finita, dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio da parte di Tito: un intero capitolo di ben 22 paragrafi. Per la Legge, i Giudei che mangiavano cibi proibiti erano peccatori. Così i vangeli:

"Come mai Egli (Gesù) mangia e beve in compagnia dei peccatori?" (Mc 2,16);
"Ecco (Gesù) un mangione e beone, amico dei pubblicani e peccatori" (Lc 7,34);
"Egli (Gesù) si mise a tavola. Il fariseo si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo" (Lc 11,38). 

Oltre il falso "Testimonium Flavianum" e il finto "Giacomo, fratello di Gesù Cristo", ricercare autentiche tracce di "Gesù Cristo" nelle opere di Giuseppe Flavio é un'impresa vana a priori poiché lo storico era ebreo e tale rimase sino alla morte. Nel XI argomento, infatti, dimostriamo che "Gesù", "Cristo" e "Nazareno" non erano nomi propri ma titoli divini.
Lo storico ebreo, nobile fariseo conservatore, rampollo della più elevata aristocrazia sacerdotale di Gerusalemme, Principe discendente dagli Asmonei ... nacque nel 37 d.C., qualche anno dopo, secondo i vangeli, che un "Re dei Giudei" fu crocefisso dai Romani in ottemperanza ad una delibera del Sinedrio, incredibilmente avallata dal popolo stesso che lo aveva osannato ... Una farsa di "processomontato in funzione di una dottrina ma in contrasto alla legge di Roma.
Il vero Diritto Romano, coerente al potere imperiale, l'unico ad aver autorità, imponeva direttamente al "Legatus Augusti pro praetore", Governatore provinciale, di eliminare chiunque si fosse insediato autonomamente sul trono in un territorio sotto dominio di Roma.

I genitori dello storico fariseo, residenti in Gerusalemme, presenziarono all'esecuzione di "Giovanni", dopo che questi aveva capeggiato una rivolta durante la quale vennero uccisi Sommi Sacerdoti del Tempio e 
"sfasciarono tutto ciò che restava degli ordinamenti civili".
 Il solo "ordinamento civile" nella Giudea era costituito dal governo prefettizio di Ponzio Pilato, stanziato a Cesarea Marittima, la capitale imperiale di quella Provincia, mentre in Gerusalemme la massima autorità romana era rappresentata dal Tribuno militare di rango eguestre, che, a capo di una coorte di 500 uomini ed una o più ali di cavalleria, dimorava nella Fortezza Antonia.
E' una lunga analisi, esclusivamente storica, tramite la quale si evidenziano "vuoti" ingiustificabili, creati da tagli, nella sequenza storica del XVIII libro di "Antichità Giudaiche": l'epoca di "Gesù". Censure praticate allo scopo di impedire il riconoscimento delle gesta dei "boanergés" zeloti, ma evidenziate da altre fonti storiche le quali ci hanno consentito di colmare le lacune e ricostruire gli eventi reali.
La fine di Giovanni e dei capi zeloti, riferita nel memoriale dell'ebreo, é così descritta in "Bellum VII 272":
"Fecero tutti la fine che meritavano, perché Dio diede a ciascuno la giusta punizione; infattti tutti i castighi che mai possono colpire un uomo si abbatterono su di loro anche sino all'ultimo istante di vitafacendoli morire fra i più atroci tormenti d'ogni sorta".
   
Lo scrittore de "La Guerra Giudaica", a conflitto ormai concluso con l'olocausto etnico ebraico e la distruzione del Tempio di Gerusalemme, rievoca "Giovanni" in un lungo ricordo incentrato sull'azione degli Zeloti avviata da Giuda il Galileo, che richiama assieme al censimento di Quirinio del 6 d.C. Poiché la narrazione delle gesta e la morte di questo "Giovanni" corrisponde al "Giovanni" zelota dei vangeli, gli scribi falsari intervengono per impedire la identificazione del personaggio storico con quello evangelico. In questo caso "il protagonista" é stato fatto "slittare" di una generazione e "coperto", tramite una nota "chiarificatrice" a pié di pagina, da un'altra controfigura reale: Giovanni di Giscala. Ma, come in altre circostanze analoghe, i curatori cristiani delle traduzioni non erano (e non sono) portati ad elaborare letture comparate fra i manoscritti consultati e la storia. Se l'avessero fatto avrebbero constatato che Giovanni di Giscala, un capo ribelle della guerra giudaica, fu catturato nel 70 d.C. da Tito e imprigionato a vita anzichè essere eliminato tramite supplizio.

Poichè "La Guerra Giudaica" fu redatta da Giuseppe Flavio sotto Vespasiano, fra il 75 e il 79 d.C., mentre lo storico riferiva questa testimonianzaGiovanni di Giscala, suo acerrimo nemico, era sempre vivo
L'ebreo Giuseppe conosceva personalmente Giovanni di Giscala ed a lui dedicò buona parte del rotolo manoscritto "Autobiografia" (redatto negli anni 90 del I secolo) descrivendolo come un arrivista che tentò, senza riuscirvi, di screditarlo nei confronti del Sinedrio per sostituirlo nell'incarico di Governatore della Galilea.
Lo studio, troppo lungo per essere riprodotto in sintesi negli argomenti in "bacheca", é riportato nel libro "Giovanni il Nazireo detto "Gesù Cristo" e i suoi fratelli".  
               

Verificato, tramite l'analisi precedente, che la città di “Gesù”, descritta nei Vangeli, non corrisponde alla “Nazaret” odierna bensì a Gàmala, la città di Giuda il Galileo e dei suoi figli, i quali avevano gli stessi nomi dei fratelli del “Signore”… se ne deduce che “Nazaret” servì a giustificare il titolo di “Nazareno”, modifica letteraria di “Nazireo”, ossia il consacrato a Dio tramite il voto “Nazir”: una promessa 
che obbligava gli adepti a non bere vino e non tagliarsi i capelli.

Nei vangeli il voto è stato falsamente accreditato a Giovanni "Battista" perché 
il nazireato era incompatibile con la nuova dottrina cristiano gesuita: contrastava con il rito eucaristico della trasformazione del vino nel sangue. Un “Nazireo”, vincolato dal voto “Nazir”, non avrebbe mai potuto bere il vino nellultima cena per poi trasformarlo in sangue da far bere ad altri Ebrei “Apostoli”, per giunta suoi fratelli.
Fu questa esigenza della nuova teologia a costringere i Padri fondatori della dottrina cristiana della salvezza, come riferito nel vangelo di Giovanni, a sovrapporre (avendo entrambi lo stesso nome) il falso nazireo Giovanni Battista a quello vero, Giovanniil maggiore dei fratelli, figli di Giuda il Galileo

In base alla Legge degli antichi Padri, i Giudei non attendevano “l’Unto di Yahwè” per crocifiggerlo, mangiarlo come "Hostia" e berne il sangue; il loro Messia doveva essere un Re condottiero: un Salvatore (Jeshùa) della terra d’Israele dalla dominazione pagana.
Il rituale teofagico eucaristico, che contemplava bere il sangue della "vittima sacrificata agli Dei" (Hostia), fu ripreso dalle dottrine pagane e innestato nella religione ebraica; venne adottato dai primi cristiani gesuiti nella seconda metà del II secolo, dopo la seconda distruzione di Gerusalemme del 135 d.C. da parte dei Romani, mantenendo la liturgia della "frazione del panepraticata dagli Ebrei Esseni e descritta nel loro "Rotolo della Regola" ritrovato a Qumran.

Monaci e alto Clero, sin dall’inizio, sapevano di discendere dagli Esseni Terapeuti d’Alessandria come riferito, nel IV secolo, dai Vescovi Epifanio ed Eusebio di Cesarea (HEc. II 16,1-2).
Poiché i Vangeli non riportano la descrizione dell’aspetto del “Salvatore”, nei secoli futuri, “Gesù” fu da loro descritto, agli artisti che lo raffigurarono, vestito con il semplice camice bianco usato dagli adepti alla setta (Bellum II 123) e con capelli e barba lunghiobbligatori per un Nazireo”, oppure con il manto color porpora degno di un Re ... perchè, effettivamente, Giovanni riuscì a divenire Re dei Giudei riconosciuto come loro "Jeshùa" nel 35 d.C.

Pur di non farlo apparire “Nazireo”, particolare che avrebbe messo in crisi “la dottrina della salvezza”, i Padri fondatori vollero dimostrare che non lo era, ma esagerarono nel senso opposto…e a un “Dio”, disceso sulla terra per “salvare” l’umanità, prima gli fecero trasformare l’acqua in vino, poi, senza scrupolo alcuno, lo fecero passare per “beone” e “mangione” insieme a “peccatori” (per gli Ebrei peccava chi mangiava cibi proibiti) e a pubblicani, cioè gli esattori dei tributi dovuti dai Giudei a “Cesare”.
Al fine di impedirne la identificazione con gli Zeloti che lottarono contro i tributi, i falsari ideologi, con volgarità, preferirono far passare “Gesù” per un ebreo “crumiro mezzano” che, con i suoi “discepoli”, prima di essere osannato dal popolo di Gerusalemme come "Cristo Re", era dalla parte dei Romani anziché dei suoi connazionali, sino al punto di nominare un pubblicano, Matteo, suo “Apostolo”:

“Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla di pubblicani e d’altra gente seduta con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori?» (Lc. 5, 29-30);
"Interrogato poi«E’ lecito che noi paghiamo il tributo a Cesare?»… egli disse: «date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Lc. 20, 22/25) …

Risposta precisa che vuol dire: pagate le tasse all’Imperatore e poi pregate. In barba al Credo nazionalista che pervadeva la società giudaica e mobilitava una gioventù astiosa e turbolenta, insofferente al dominio romano pagano sulla Terra Promessa da Yahwè al popolo eletto. 

I Padri fondatori del Cristianesimo - in un futuro ormai evoluto e diverso politicamente in conseguenza delle sanguinose guerre contro Roma - si resero conto che le vicende narrate traevano origine da fatti reali che videro protagonisti i màrtiri irredentisti della patria Giudea. Eroi che, pur se mitizzati, col tempo erano entrati in contrasto con la nuova dottrina perché di ideali rivoluzionari, tutt'altro che docili come "agnelli di Dio". 
Andavano apportati cambiamenti per rendere più credibile il sacrificio di un “Salvatore”, in quanto incarnato in un vero uomo, diverso da quello delle religioni pagane basato solo su miti; sacrificio teofagico avente per fine la vita eterna che, unito alla speranza di guarigioni miracolose, era diventato il cavallo vincente del cristianesimo gesuita.

Io sono il pane vivodisceso dal cieloSe uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne (Gv 6,51).
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo resusciterò (Gv 6,54).

Questa era la nuova dottrina che faceva presa su masse di nuovi proseliti: linnesto del sacrificio del "Soter" 
(Salvatore) pagano nella religione ebraica tramite il Messia”, Jeshùa dei Giudei 
Messia non disceso dal cielo, come postulato inizialmente dai mistici creatori dei vangeli primitivi, profetato dagli Esseni nel frammento manoscritto di Qumran (4Q286/7) 
“…lo Spirito Santo che si posa sul suo Messia…” e ripreso letteralmente nel vangelo di Luca (Lc 3,22), ma un Salvatore partorito da una “vergine”, in una grotta.
"Grotta" è il vocabolo riportato nei testi medievali accreditati a Giustino e Orìgene; simile alla "Natività" di altri credi, con un sincretismo mirato, soprattutto con il Dio Mitra.
Sconfitto il concorrente Dio Mitra, la grotta” (mitreo) sparirà dai Vangeli proprio per recidere una delle matrici ideologiche pagane … ma essa rimarrà impressa ugualmente nella memoria popolare, superando i secoli, fino ad oggi, smentendo gli stessi Vangeli canonici ... con la "benedizione", a denti stretti, della Santa Sede.

Non era più necessario uccidere animali e berne il sangue, rituale sacro riservato a neofiti pagani benestanti, seguaci dei Culti Misterici, troppo costoso per la plebe. Bastava seguire una liturgia con semplice frazione del pane vivo consacrato per avere diritto alla vita eterna. La stessa liturgia, senza rito teofagico, descritta dagli Esseni nella “Regola della Comunità” di Qumran.
Il Vangelo di Giuda, un manoscritto originale, sopravvissuto alle devastanti censure ecclesiastiche, venuto alla luce di recente e datato al 275 d.C., tramite verifica con la spettrometria di massa, ci descrive un “Gesù” e un Dio Creatore diversi da quelli raffigurati dalla Chiesa: non parla di Pilato, né di rito eucaristico teofagico avvenuto nella “ultima cena”, tanto meno di “Resurrezione”.
Siamo di fronte ad un “Salvatore” ancora in parte giudaico, ma non condottiero di un popolo che lotta per liberare la sua terra invasa dai pagani. Lo stesso vale per altri Vangeli scoperti a Nag Hammadi, in Egitto, nel 1945; diversità riscontrate anche nei papiri di Ossirinco d'Egitto.
Questo per rimarcare le differenze teologiche esistenti, fra dottrine in embrione, seguite dai primi “Cristiani”; e quanto si rese inevitabile per la “Chiesa”, a partire dagli autentici “Padri” del IV secolo d.C., selezionare e unificare i diversi “Credi” cristiano-gesuiti con la distruzione dei rispettivi vangeli.

Ancora prima della vittoria di Costantino sul pagano Massenzio nel 312 d.C., svariate correnti teologiche cristiane
iniziarono una guerra fra loro, che si protrarrà per oltre un secolo, nella convinzione che ognuna di esse fosse depositaria della vera “Rivelazione sulla Verità della Salvezza”, o della vera “Sostanza del Salvatore”, o della “gnosidel Figlio a forma del Padre” o di quante “Potenze o Sostanze” dovesse essere composto “Il Verbo” o il “Logos”se da un “Padre Ignoto, Infinito e Informe”; o se dovesse essere Dio, tramite un “Battesimo Illuminante” a creare "Suo Figlio come Umanizzazione dello Spirito”; o se dovesse essere "lo Spirito Santo, in una perfetta ipostasi col Padre e col Figlioa far generare da una Vergine, secondo la carne, il Verbo fatto carnein una consustanziale e coeterna Trinità”… Finché non venne coniato il “Verbo” definitivo, che sarà descritto dettagliatamente nelle enciclopedie ed i vocabolari di tutto il mondo: Transustanziazione. Ovvero:

“Il rituale attraverso il quale si attua la presenza reale del Corpo e del Sangue di Gesù nell’Eucaristia, con laconversione della sostanza: del vino nel Sangue e del pane nel Corpo di Gesù Cristorimanendo immutate solo le apparenze del pane e del vino.
E tutto ciò, grazie ad un universale lavaggio del cervello, fu introdotto in una “ostia”. “Hostia”: Vittima sacrificale che i pagani offrivano agli Dei” sopra un “Altare”lastra di pietra, elevata dal suolo, su cui venivano consumati i sacrifici”.
 
Erano gli Episcopi, Patriarchi e Imperatori “Pontefici Massimi”, tutti auto nominatisi  Venerabilissimi e Santi, i quali, fabulando, creavano le divinità da fare adorare agli uomini. Divinità così contrastanti fra loro, ideologicamente, da ingenerare tensioni e guerre; conflitti talmente cruenti che si rese necessario indire Concili su Concili per tentare di “conciliare” dottrine scismatiche che preferirono massacrarsi, accusandosi reciprocamente, come eretiche,apostate o folli. Dottrina contro dottrina … Santi contro Santi … uomini contro uomini, persecuzioni e martirii di Cristiani contro Cristiani, seguaci di Cristi diversi … potere contro potere … morte contro morte … per la vita eterna.

Noi abbiamo sopportato da parte degli eretici le persecuzionile tribolazioni, le minacce per la fede … Si deve anatemizzare ogni eresia, specialmente quella degli Eunomiani o Amonei, degli Ariani o Eudossiani, dei Serniariani e Pneumatomachi, dei Sebelliani, dei Marcelliani, dei Fotiniani e degli Apollinaristi” … Basilidiani, Docetisti, Carpocraziani, Cleobiani, Cerintiani, Modalisti, Adozionisti, Dositei, Marcioniani, Masbotei, Montaniani, Maniani, Novaziani, Simoniaci, Donatisti, Priscilliani, Menandrianisti, Pelagiani, Monofisiti (Copti), Nestoriani, Abelliani, Valentiniani, Saturnilliani ecc…

E il massacro fra i Cristiani continuò, nel IV e V secolo, sino a che tutte le dottrine cristiane dichiarate “eretiche” furono eliminate, con i rispettivi vangeli, da quella vincente sopravvissuta…come una sorta di “naturale evoluzione adattativa delle spècie religiose”: il Cristianesimo odierno.
L'odio profuso dagli aspiranti Capi all'ecumene cattolica viene così descritto da Ammiano Marcellino, il maggiore degli storici imperiali del IV secolo d.C., nelle sue "Res Gestae" ultimate entro il 378 d.C.:

"Nessuna bestia feroce é ostile con gli uomini come la maggior parte dei cristiani fra loro" (ib XXII 5,3-4).

Concepire una nuova figura teologica di “Messia Salvatore”, sin dall’inizio, non fu semplice per le sette degli Esseni sparse a oriente dell’Impero … tenuto conto che, tutt’oggi, ognuno (non gli atei) immagina il suo “Dio” secondo le proprie “esigenze” o fantasie …

I nuovi Padri “evangelisti” studiano i manoscritti disponibili; eliminano la paccottiglia ridicola; dichiarano eretica quella astratta fondata su una “gnosi”, più adatta ad asceti portati all’esaltazione mistica, ma poco richiesta e poco praticata, perché incompresa, da un popolo bisognoso “di eternità” e di miracoli “terapeutici”.
Distruggono molti vangeli con i relativi “Gesù”, diversi e in contrasto teologico fra loro, che dimostrano, troppo apertamente, i molteplici tentativi di “costruzione” della nuova religione. Li chiamano “apocrifi”, che vuol dire “celati”… locuzione ipocrita come chi la usò impropriamente.
Scrivono gli “Atti degli Apostoli” per "testimoniare" e "dimostrare storicamente" la diffusione della nuova dottrina evolutasi dai vangeli primitivi esseno-giudaici accordandola alle esigenze “universali” del nuovo “Credo”, ma devono manipolare la compromettente identità dei "fratelli di Gesù",  trasformandoli in “Apostoli”, replicatiincaricati di predicare e diffondere la "Vera Fede voluta da Dio".
A conclusione di questa evoluzione "adattativa" dei manoscritti nel corso dei secoli, nella nuova teologia sono rimasti, sino ad oggi, nei vangeli in greco e latino, termini e vocaboli autentici (in passato non compresi) che denuncianol'origine zelota antiromana di una dottrina filo giudaica ... prima di essere "redenta" dal cristianesimo paolino.
Nelle fonti storiche, come nei vangeli e nei testi patristici, sono state apportate correzioni per impedire il riconoscimento dei veri protagonisti ed il contesto politico che impose a Giovanni, capo degli Zeloti, figlio maggiore di Giuda il Galileo, di attaccare la guarnigione romana di stanza in Gerusalemme e liberare la Città Santa dal dominio imperiale mentre Roma era impegnata in guerra contro l'Impero dei Parti. Nel contempo, in Giudea, una gravissiva carestia mieteva numerose vittime tra la popolazione indigente al punto " ... venne poi la carestia che rese gli Zeloti sfrenati in modo travolgente ..."Una penuria di viveri talmente grave da indurre la popolazione giudaica, sotto la guida degli Zeloti, a ribellarsi contro le autorità costituite e distruggere l'ordinamento politico vigente.  

L'analisi minuziosa delle cronache dell'epoca, comparata ai resoconti degli storici cristiani, evidenzia contraffazioni talmente grossolane, a partire dal camuffamento della carestia, che ci consentiranno di accertare come si svolsero gli eventi reali.

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Una grave carestia indusse Jeshùa a proclamarsi Re dei Giudei
 
Sintesi
Come sopra dimostrato con lo specifico studio, abbiamo scoperto la effettiva identità dell’ “Apostolo” chiamato, ancora oggi, Giuda Taddeo dalla nuova Chiesa cristiana riformata, evolutasi da quella esseno giudaica.
Il nome autentico era Giuda detto “Theudas” che in greco significa “Luce di Dio”: un titolo messianico tradotto dall'originale ebraico aggiunto al semplice appellativo. Era uno dei fratelli di Giovanni “Jeshùa” e figlio di Giuda il Galileo.
Fu un sedicente Profeta capo di guerriglieri Zeloti, protagonista della lotta di liberazione nazionale contro i Pagani; una volta intercettato da uno squadrone di cavalleria romana, i suoi uomini vennero sconfitti e lui decapitato. La sua testa fu portata a Gerusalemme ed esibita alla popolazione come monito rivolto a chi intendesse emularne le gesta.
Il “Taddaios” greco e “Thaddaeus” latino dei Vangeli erano vocaboli inesistenti in entrambe le lingue nel I secolo e questo aspetto, unitamente all’analisi storica, ci ha consentito di accertare il motivo della falsificazione: la nuova dottrina del “Salvatore” pacifico universale non poteva ammettere la propria genesi zelota integralista giudaica.
Tramite la lettura di “Atti degli Apostoli” abbiamo provato anche l’inesistenza di san Paolo e degli altri protagonisti evangelici, tutti dotati di poteri soprannaturali trasmessi loro dallo "Spirito Santo", descritti in maniera talmente puerile e sciocca al punto che i dotti esegeti ecclesiastici, ad iniziare dal Pontefice, si vergognano di riferire questi particolari ai credenti per evitare di far cadere nel ridicolo i "santi attori" ... ed essi stessi.
Purtuttavia, bisogna ammettere che sarebbe stato avvincente incontrare per strada uomini con una lunga barba,
sguardo fisso al cielo, aspetto ieratico ed una "lingua di fuoco posata sulla testa": lo "Spirito Santo" (At 2,3/4) che li accompagnava nel loro incedere solenne ...  
Stiamo per scoprire un altro di questi personaggi straordinari inventati da Luca : il Profeta Àgabo.

In Atti (At 21, 8/11), "a casa di Filippo, uno dei sette" tale Profeta predisse, "Questo dice lo Spirito Santo", a san Paolo la sua cattura da parte dei Pagani (i Procuratori Antonio Felice e Porcio Festo) ... ma, grazie allo studio su Paolo di Tarso, sappiamo che le vicende e i personaggi tutti, compreso Filippo, furono inventati da scribi falsari cristiani con lo pseudonimo "Luca".   
La  mistificazione che stiamo per accertare, come le precedenti, aveva un suo scopo ben preciso e vitale per la nuova dottrina: nascondere, in questo caso, la data precisa e relativo contesto storico che portò “Gesù” e i suoi fratelli, capi del movimento di liberazione nazionale degli Zeloti, a prendere il potere a Gerusalemmeil 35 d.C.
Questo fu l'anno in cui Iohannes riuscì a farsi incoronare Re dei Giudei, per poi essere giustiziato nella Città Santa dai Romani nel periodo della Pasqua ebraica dell’anno successivo.

Continuiamo, dunque, a comparare fra loro gli scritti neotestamentari e la storia.
Dai "documenti sacri", anche se a prima vista potrebbe sembrare impossibile, siamo in grado di far emergere la Storia, quella vera, dimostrando che gli eventi reali, connessi a “Gesù Cristo”, riguardarono una semplice guerra, fra le molte sostenute dall’Impero Romano, resasi necessaria per mantenere sotto il dominio di Roma una terra i cui abitanti, gli Israeliti, consideravano “Santa” e inviolabile perchè assegnata loro da Dio, pertanto non potevano accettare fosse sottomessa ai Pagani.
    
Giuseppe Flavio: “Antichità Giudaiche” (Lib. XX 101):

“Fu sotto l’amministrazione di Tiberio Alessandro (dal 46 al 48 d.C.) che in Giudea avvenne una grave carestia, durante la quale la regina Elena comprò grano dall’Egitto con una grande quantità di denaro e lo distribuì ai bisognosi, come ho detto sopra”.
Un lettore, dèdito alla lettura progressiva del testo, giunto a questo punto, si rende conto di trovarsi di fronte ad una ripetizione, molto ridotta, di un grave evento riferito, dettagliatamente, poco prima dallo storico … e non può fare a meno di chiedersi il perché.
Ciò che colpisce è il risalto attribuito alla datazione, vero scopo dell’introduzione spuria di questo passo: sotto l’amministrazione del Procuratore Tiberio Giulio Alessandro (46-48 d.C.), quindi sotto il principato di Claudio.
In effetti cosa aveva “detto sopra” lo storico ebreo della regina Elena?:

La sua venuta fu di grande utilità per il popolo di Gerusalemme, perché in quel tempo la città era rattristata dalla carestia e molta gente moriva perché sprovvista del denaro per acquistare ciò di cui abbisognava. La regina Elena inviò i suoi attendenti, ad Alessandria, per acquistare ingenti quantità di grano, ed altri a Cipro per carichi di fichi secchi. Quando Izate, suo figlio, seppe della carestia, anch’egli mandò ai capi di Gerusalemme una grande somma di denaro. La distribuzione di queste somme ai bisognosi, liberò molti dai disagi della carestia. Lascio a un altro momento il racconto dei benefici compiuti da questa coppia reale per la nostra città(Ant. XX, 51/53).

Rileviamo subito un primo dettaglio che rende incompatibili le due notizie: quella appena letta, molto più circonstanziata, parla di "capi di Gerusalemme", mentre la precedente, laconica, ci informa che vi era un solo"capo", ovviamente romano: il Procuratore Tiberio Alessandro.
Consapevoli che dal 6 al 48 d.C. i Governatori della Giudea che si avvicendarono in quella Provincia erano singoli Legati imperiali romani, ad eccezione dell'interregno del Re ebreo Erode Agrippa I (dal 41 al 44 d.C.), proseguiamo nell'indagine per chiarire meglio. 
Elena e suo figlio Izate furono rispettivamente Regina e Re, ebrei, dell’Adiabene, una regione a sud dell’Armenia e ad est dell’alto corso del fiume Eufrate, confine concordato fra l’Impero Romano e la Parthia. Subito prima di questo episodio leggiamo che, appena nominato Re:
“Quando Izate giunse ad Adiabene per prendersi il Regno e vide i suoi fratelli, giudicando cosa empia ucciderli, tenendo presente gli affronti ricevuti, ne mandò alcuni a Roma da Claudio Cesare, con i loro figli come ostaggi; e con la stessa scusa altri (fratelli) li mandò da Artabano re dei Parti (Ant. XX 36-37).
L’accostamento cronologico dei due grandi Imperatori nella vicenda è un errore storico gravissimo che Giuseppe Flavio non ha potuto commettere: lui sapeva benissimo che Artabano sarebbe morto nel 38 d.C. perché lo riferisce più avanti. Questa notizia viene data dallo storico dopo aver descritto la carestia e la guerra condotta dal Re parto contro Tiberio; così come sapeva che Claudio fu proclamato Imperatore nel 41 d.C. (ne riporta la cronaca).
Peraltro i manoscritti del cronista ebreo, nel I sec., furono sottoposti alla verifica degli storici romani prima di essere approvati e depositati negli Archivi Imperiali ... e questa è storia di Roma.
Ne consegue che, essendo Artabano vivo, lunico Imperatore avente causa con lui fu Tiberio e non altri.
Che si trattasse dell’imperatore Tiberio lo conferma inequivocabilmente ancora la storia, infatti: in (Ant. XX 92) Giuseppe scrive: “Izate morì, avendo l’età di cinquantadue anni e ventiquattro di regno (divenne Re a 28 anni).
Sapendo da Tacito (Ann. XII 13-14) che nel 49 d.C. Izate era sempre vivo, ne ricaviamo che fu nominato Re prima del 30 d.C. ma, avendo letto che, appena insediato nel Regno, mandò i suoi fratelli come ostaggi all’Imperatore di Roma,questi non poteva essere che Tiberio.

Procedendo nella lettura di Antichità, dopo l'invio dei parenti di Izate come ostaggi, consapevoli di essere sotto Tiberio, osserviamo la presenza della Regina Elena a Gerusalemme ed il suo provvidenziale aiuto al popolo affamato, appena riportato. Successivamente, sempre in Antichità XX, dal par. 54 al par. 68, Giuseppe Flavio descrive la crisi politica di Artabano III, supremo Re dei Parti, che, confermata dalla storia di Tacito, sappiamoavvenuta nella seconda metà del 35 e fu causata dal condottiero romano Lucio Vitellio. (Ann. VI 31/38).
Da quanto sopra esposto risulta evidente, senza alcuna ombra di dubbio, che la carestia, descritta nei par. da 51 a 53, afflisse la Giudea prima della crisi di Artabano avvenuta alla fine del 35 d.C.; crisi descritta nei par. da 54 a 68. Infatti, a questa carestia posero rimedio (con quali benefici concreti è impossibile stabilirlo) innanzitutto la famiglia reale ebrea con aiuti diretti, poi il Legato imperiale Lucio Vitellio, con la detassazione dei prodotti alimentari, che ne abbassò i costi e la tensione sociale, comunicata durante la Pasqua del 36 d.C. (Ant. XVIII 90), a seguito delle vicende sopra descritte.
E’ importante sottolineare che la sequenza cronologica degli avvenimenti, così come la leggiamo in “Antichità Giudaiche”, è semplicemente assurda poiché prima viene citato l’imperatore Claudio (eletto nel 41), cui Izate invia i parenti come ostaggi, poi la carestia che, secondo gli "Atti" di Luca (stiamo per leggerli) e il par. 101 del Lib. XX in “Antichità” (su riportato), viene datata dopo il 46, ed infine (il contrasto nella sequenza) sappiamo della crisi del 35d.C. di Artabano, antecedente la sua morte avvenuta il 38 d.C. Questa progressione “sballata” di date torna perfettamente a posto semplicemente correggendo “l’errore” dell’Imperatore: Tiberio anziché Claudio.
La crisi polica di Artabano, avvenuta alla fine del 35, fu causata sia dall'intervento delle legioni romane che dalla corruzione dei Satrapi, parenti e amici del vecchio Re, da parte di Vitellio. Il Proconsole operò grazie al mandato ed ai capitali di Tiberio, per riprendere, come avvenne, l’Armenia conquistata da Artabano l'anno prima, il 34 d.C.
La grave difficoltà del Capo della Parthia fu superata grazie all’intervento di Izate, nel 36 d.C., che convinse i grandi dignitari Satrapi a riconoscere nuovamente il Re di sangue arsacide come loro “Re dei Re”.
Agli inizi del 37 d.C., Artabano e Vitellio si incontrarono sul fiume Eufrate, limes tra i due Imperi, per siglare il trattato che vedeva l'Armenia tornare sotto dominio romano:
Giunti al termine degli accordi, il tetrarca Erode (Antipa) diede una festa sotto una tenda da lui innalzata in mezzo al ponte con grande spesa” (Ant. XVIII 101-102).

Tiberio fece appena in tempo a ricevere l'importante notizia ed esultarne che il 16 Marzo del 37 d.C. passò a miglior vita. Ma anche…

Poco tempo dopo Artabano morì e lasciò il regno a suo figlio Vardane” (Ant. XX, 69). Correva l’anno 38 d.C.
La sostituzione del nome dell’imperatore Tiberio con quello di Claudio la effettuarono amanuensi cristiani per farci credere che l’episodio della carestia avvenne sotto Claudio, esattamente come riportata in “Atti degli Apostoli” (11, 28-29), arricchendo "l’eschetta storica" della carestia con l'abituale camuffamento della "Profezia" divina:
“Un Profeta di nome Àgabo, alzatosi in piedi, annunziò, per impulso dello Spirito Santo, che sarebbe scoppiata una grave carestia su tutta la terra. Ciò che di fatto avvenne sotto limpero di Claudio. Allora i discepoli si accordarono per mandare un soccorso ai fratelli abitanti in Giudea, indirizzandolo agli anziani per mezzo di Bàrnaba e Saulo (Paolo)”.
Da evidenziare che i redattori di “Atti degli Apostoli”, così come quelli delle "lettere di Paolo", dopo averci passata questa informazione, si dimenticarono di riferire la conclusione della “missione” di san Saulo Paolo nella Giudea, pur motivata da una causa ben specificata e importante per la gravità della sciagura, abbattutasi su quella regione, al punto di provocare numerose vittime fra la popolazione.
Ciò che importava agli amanuensi cristiani era solo far risultare che avvenne sotto Claudio, pertanto … perché sprecare altro prezioso papiro e inchiostro? Senza contare il rischio di prendere qualche svista storica.
Infatti il riferimento a Claudio non fu accidentale ma mirato. “Luca”, spulciando fra gli eventi accaduti alla ricerca di un alibi per sviare gli studiosi, dopo aver scartato una carestia avvenuta a Roma sotto Tiberio nel 32 d.C. (Ann. VI 13) poiché troppo vicina all’epoca del “Gesù” evangelico, lo trovò in un’altra carestia che afflisse Roma durante l’impèrio di Claudio, riportata da Svetonio e da Tacito:

“…l’addebito avanzato contro uno dei due fu d’aver visto, in sogno, Claudio cinto di una corona di spighe volte all’indietro, con conseguente predizione di una carestia (Ann. XI 4).

Questo “sogno profetico” servì a “Luca” per farsi “dettare da Dio” il vaticinio del Profeta Agabo e depistare, cronologicamente, la vera carestia, molto più grave, avvenuta in Giudea ove raggiunse l'acme negli anni 35 e 36 d.C.; ma, essendo i due territori troppo lontani fra loro, per contenerli entrambi fece dichiarare al Profeta che “una grave carestia sarebbe scoppiata su tutta la terra: un evento di così elevata drammaticità, tale da dover essere riferito da ogni scrittore dell’epoca.
Fatto che non si è verificato, ovviamente, perché, quella di Roma, più che di una seria carestia si trattò di carenza di cibo, di breve durata, risolta senza che nessuno morisse di fame; diversamente da quanto avvenne in Giudea.

La eccezionale penuria di generi alimentari fu letale per molti Giudei e questo evento divenne una delle cause scatenanti che spinsero "Jeshùa" a prendere il potere in Gerusalemme facendosi proclamare Re dei Giudei.
A questo obiettivo concorsero i pellegrini dell'ecumene ebraica, soprattutto Galilei, Idumei e Giudei, oltre gli abitanti di Gerusalemme esasperati dagli stenti; tutti in rivolta contro il potere imperiale e l'aristocrazia religiosa filo romana.
Al fine di impedire che tale calamità, unitamente agli eventi bellici in corso fra il 34 ed il 36 d.C., richiamasse l'attenzione degli storici inducendoli a indagare e scoprire che il 36 fu la data della morte di "Gesù Cristo" e, peggio ancora, individuare che l'uomo veramente esistito non corrispondeva ideologicamente all'essere prodigioso, soprannaturale,
creato sul suo mito molto tempo dopo gli avvenimenti reali, gli scribi cristiani lucani fecero slittare in avanti di oltre dieci anni la notizia riguardante la carestia: sotto Claudio anzichè sotto Tiberio.
L’Eminente Episcopo, Eusebio di Cesarea, grazie alla sua posizione presso la corte del Pontefice Massimo, l’Imperatore Costantino, fu il primo cristiano che poté accedere agli Archivi di Stato per consultare i rotoli e falsificarli laddove si rendeva necessario. Quando inventò la “Historia Ecclesiastica”, in essa riferì di tale carestia in modo particolareggiato e, per renderla più credibile, non poté fare a meno (e lo ringraziamo!) di collegare la “testimonianza” di Giuseppe Flavio a quella di "Atti degli Apostoli", riportando la profezia di Àgabo, con l’intervento della regina Elena, il tutto, ovviamente, sotto Claudio (HEc. II 12,1/3).
Con la sua “testimonianza” Eusebio intese “garantire” le menzogne di “san Luca” in “Atti” facendo manomettere l’opera dello storico ebreo, nei punti sopra riferiti, allo scopo di nascondere l'identità dei veri protagonisti delle vicende e la loro datazione. Ma commise l’errore di specificare che quella era “la carestia della regina Elena”, la stessa, lo abbiamo visto, che la storia dimostra essere avvenuta sotto Tiberio anziché sotto Claudio.
Si trattò di falsificare lo stesso rotolo manoscritto contenente la cronaca, in origine completa del vero nome con patronimico, riguardante il Profeta Theudas di nome Giuda, uno dei fratelli di “Gesù”; non solo, fu costretto ad eliminare anche la notizia, sopra annunciata dallo storico ebreo, riguardante ulteriori elargizioni a beneficio di Gerusalemme, che avremmo certamente letto:

“Lascio a un altro momento il racconto dei benefici compiuti da questa coppia reale per la nostra città” (ibid).

San Paolo Saulo, “il Segretario di Stato” senza jet-executive, fu lui ad occuparsi della “colletta” per gli aiuti e possiamo star certi che i Giudei, finalmente, se pur oltre dieci anni dopo, si rimpinzarono a sazietà e gli storici mistici contemplativi odierni, allibiti dalla suddetta profezia, si inghiottono l’eschetta infilzata sull’amo del “Profeta”, quasi fosse un’ostia consacrata e, all’unanimità, si attivano subito per “interpolare” con note a pié di pagina, allusive alla carestia sotto Claudio e agli “Atti degli Apostoli”, i testi didattici e “Antichità Giudaiche”, allo scopo di indottrinare i giovani in ossequio alla veridicità storica di uno pseudonimo: "san Luca evangelista" … l’impostore.
Ma perché questa menzogna - riferita in "Atti" e ripresa in "Historia Ecclesiastica" - fu ritenuta talmente rilevante al punto di manomettere la fonte principale: gli scritti di Giuseppe Flavio?Della funesta carestia lo storico ebreo già ne parla in “Antichità Giudaiche” all’inizio del XVIII Libro, par. 8, nel preambolo riferito agli Zeloti e così introduce:

“Per colpa loro ribollirono sedizioni e si sparse molto sangue civile, sia per i massacri che facevano i nazionalisti fanatici (gli Zeloti), sia per la strage che facevano dei loro avversari. Venne poi la carestia che li rese sfrenati in modo travolgente…”
Se gli “Atti degli Apostoli” ed Eusebio di Cesarea hanno sentito la necessità di mentire sulla datazione di questa calamità è evidente che era vitale per la dottrina cristiana e doveva essere depistata per impedire la ricostruzione delle vicende che coinvolsero i veri protagonisti col rischio che venissero identificati in “Gesù Cristo” e i suoi fratelli.
Dal 34 al 37 d.C. avvenne un conflitto fra Roma e il Regno dei Parti perché Artabano III, il loro Re dei Re, come riferito da Tacito (Ann. VI 31) Si impossessò dellArmenia minacciando di invadere le terre già possedute da Ciro e Alessandro, fra le quali era compresa la Palestina. Per impedirlo, nella primavera del 35, Tiberio inviò ad Antiochia il suo Luogotenente, il Proconsole Lucio Vitellio, con pieni poteri su tutto lOriente, e questi, durante la crisi bellica che si protrarrà sino agli inizi del 37 d.C., trovò il tempo di recarsi a Gerusalemme, 600 km più a Sud, alla testa delle sue legioni, nel periodo della Pasqua ebraica del 36 d.C., per:
“Intanto Vitellio giunse in Giudea e salì a Gerusalemme dove i Giudei stavano celebrando la loro festa tradizionale chiamata Pasqua e accolto con molti onori, rilasciò in perpetuo agli abitanti tutte le tasse sulla vendita dei prodotti agricoli e che labito del Sommo Pontefice, e con esso i suoi arredi, fossero custoditi dai sacerdoti nel Tempio” (Ant. XVIII 90/95).
Questo evento ha un pròlogo: nel XV Libro di “Antichità Giudaiche” lo scrittore spiega che la “Sacra Veste”,appartenuta ai Re e ai Sommi Sacerdoti di sangue Asmoneo, fu tolta ai Giudei alla morte di Re Erode il Grande.
Da allora i Romani la custodivano nella fortezza Antonia e la concedevano ai Sommi Sacerdoti solo per le festività ebraiche (Ant. XV 403/409). E’ evidente l’alto valore simbolico, e di  potere, che tale paramento sacro rappresentava per il popolo giudeo … e i Romani ne erano consapevoli.
Ciò si protrasse fino alla Pasqua del 36 d.C., appunto, quando Vitellio riconsegnò la sacra veste alle autorità religiose dopo aver nominato un nuovo Sommo Sacerdote filo romano. Lo storico conclude il pròlogo dicendo che:Questa digressione è stata occasionata dalla triste esperienza che si ebbe dopo” (ibid). Ma quale “triste esperienza si ebbe dopo" ? E perché la "digressione" provocò la deviazione o rottura della prassi descritta?.
In “Antichità” non troviamo la spiegazione dell'importante preambolo - che avrebbe dovuto essere riferita nel XVIII libro, prima del brano citato riguardante il condono delle tasse ai Giudei - perché verrà censurata anch’essa.

Nel corso di una guerra contro l'Impero dei Parti (un immenso Stato orientale, da sempre rivale di Roma, governato da un “Re dei Re”) non è credibile che l’uomo più potente dell’Impero Romano dopo Tiberio, in virtù del mandato ricevuto, si sia recato tanto a Sud, a Gerusalemme, solo per detassare i Giudei sui prodotti agricoli perché affamati dalla carestia.
Che bisogno c’era per Vitellio, Luogotenente di Tiberio, Comandante di tutte le forze romane dOriente, di recarsi personalmente in Giudea durante un frangente bellico rischioso, e lasciare Antiochia, sede del più importante presidio militare anti partico? Sarebbe bastato inviare corrieri al Prefetto Ponzio Pilato, suo subalterno, con l’ordine di detassare i Giudei. Al contrario, per imporre le tasse sarebbe stato necessario limpiego della forza  non per abolirle.

Quando un Generale romano, Capo di Stato Maggiore, al comando di più legioni, si muoveva in un momento così difficile e pericoloso, voleva dire che era accaduto qualcosa di grave e, per l’Impero Romano “grave” significava “guerra”.
Approfittando della situazione politica internazionale, nel 35 d.C., mentre Vitellio era alle prese con Artabano III, Re dei Parti, gli Zeloti giudei colsero il momento propizio del conflitto fra Roma e la Parthia per innescare la rivoltae liberare Gerusalemme, la Santa, dalla dominazione pagana... 

"Venne poi la carestia che li rese sfrenati in modo travolgente"
Era in atto una grave carestia e il popolo affamato e “vessato dai tributi dovuti a Cesare” - incitato dai profeti zeloti con veementi prediche per il ripristino della Legge di Yahwè - si ribellò alla guarnigione romana pagana che stanziava nella Città Santa, massacrandola "... e sfasciarono tutto ciò che restava degli ordinamenti civili" (Bellum VII cap. 8). Questo richiamo fatto dallo storico è riferito in un lontano ricordo delle gesta eversive dello zelota Giovanni, tali da giungere a sopprimere gli "ordinamenti civili" costituiti dal governo romano e dai sacerdoti opportunisti del Sinedrio collusi con il potere imperiale.  

Un discendente per parte di madre della stirpe reale asmonea, l’influente Rabbino di Gàmala, Giovanni detto il Nazireo*, figlio primogenito del Dottore della Legge, Giuda il Galileo, definito dallo storico "di grande potere", alcuni giorni prima della Festa delle Capanne del 35 d.C. (fine estate), si mise a capo della rivolta riuscendo a farsi riconoscere 
Re dei Giudei e insieme Sommo Sacerdote del Tempio, restaurando la prassi degli antenati monarchi Asmonei che rivestirono entrambi i sacri uffizi.
Come riferito con maggiori particolari nello studio precedente, siamo in grado di identificarlo attraverso l'analisi di un lontano ricordo riferito da Giuseppe Flavio alla fine della Guerra Giudaica, Libro VII cap.8.
Per gli Ebrei, in quel momemto, fu il “Jeshùa” (Salvatore), della terra santa e, dopo essersi fatto consacrare Messia (Cristo) tramite il rituale dell'unzione descritto dalla ancestrale Legge, dette inizio ad un nuovo Regno, senza schiavi, in cui “solo Dio era Padroneadempiendo i precetti della "quarta filosofia, una novità sinora sconosciuta" ideata da suo padre Giuda di Gàmala.
Ma non durerà a lungo. Entro la fine dell’anno 35 d.C., Vitellio riusci a mettere in crisi Artabano costringendolo alla fuga e, dopo aver assoggettato nuovamente l’Armenia al dominio di Roma, da oltre il fiume Eufrate, "ove si era spinto col nerbo delle legioni romane e gli alleati" invase il Regno dei Parti, poi, "ritenendo bastevole aver fatto mostra delle armi romane ai Grandi Dignitari parti, rientrò in Siria ad Antiochia con le sue legioni". (Tacito Annales VI 37).
Quando il condottiero romano raggiunse il Presidio, alla fine del 35 inizi del 36, venne informato degli eventi accaduti in Giudea e, dopo aver fatto riposare l’esercito nei quartieri invernali, si rimise in marcia alla testa delle sue legioni per riprendere Gerusalemme e giustiziare il monarca, che, illegittimamente, si era proclamato Re dei Giudei.
Nel frattempo aveva già inviato il Prefetto Marcello a Cesarea Marittima per rilevare Ponzio Pilato dal suo incarico. 
Il Legato imperiale "pro Praetore" considerò il Prefetto Ponzio Pilato, di rango equestre, responsabile della perdita di Gerusalemme non essendo riuscito a prevenire la sommossa. In occasione delle festività ebraiche, Pilato avrebbe dovuto rafforzare il contingente degli ausiliari romani, anzi tempo, come previsto dalle precise consegne militari.

Un paio di giorni prima della Pasqua del 36 d.C., Lucio Vitellio, dopo aver cinto d’assedio ed inviato un ultimatum alla Città Santa, ormai impossibilitata a resistere senza scorte di viveri (gli aiuti di Elena non poterono durare a lungo e sfamare un popolo intero), ne otterrà la resa e la consegna del Re abusivo.
Fu il Sinedrio, convocato dal Sommo Sacerdote del Tempio Giovanni in un momento così drammatico, a decretare la fine del Re ed il suo breve regno. Così argomentò Caifa, agli anziani riuniti, l'intimazione di Vitellio della resa di Gerusalemme:
"Considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera" (Gv 11, 50).
Questa testimonianza, sopravvissuta alle censure ecclesiastiche praticate al "vangelo di Giovanni", già da sola dimostra come il pericolo per l'intera nazione giudaica non poteva essere costituito dalle semplici forze ausiliarie reclutate da un Prefetto, individuato nei vangeli in Ponzio Pilato. Soltanto un Proconsole "Legatus Augusti" come Lucio Vitellio - capo dello Stato Maggiore romano di stanza ad Antiochia in Siria, inviato da Tiberio con pieni poteri su tutto il contingente militare dello scacchiere d'Oriente - era in grado di distruggere una eventuale rivolta degli Ebrei coordinata in una "Santa Alleanza".
Per Giovanni, il "Salvatore" Re dei Giudei, non vi fu alcuna possibilità di scampo e accettò il suo destino: la crocifissione. Venne arrestato e portato nella Fortezza Antonia, incatenato e piantonato a vista. La Veste Sacra, depositata nel Tempio, assegnata in tutela al Sommo Sacerdote Gionata, appena nominato da Vitellio e figlio del sadduceo conservatore Sommo Sacerdote Anano ("Anna" dei vangeli); mentre il Diadema (la Sacra Corona) ritornò sotto la custodia del Tribuno, Comandante della Guarnigione romana e rimarrà nella fortezza sino a che, per volere di Claudio Cesare, potrà cingere il capo del futuro Re dei Giudei, Erode Agrippa il Grande.
Il giorno successivo, dopo un lungo, inutile, interrogatorio, sotto tortura, per fargli confessare i nomi dei complici ed i particolari sulla organizzazione rivoluzionaria, Giovanni il Nazireo, figlio di Giuda, venne crocefisso, pubblicamente, come monito agli Ebrei per rimarcarne la sottomissione all'Impero Romano.

Era il capo dei Farisei Zeloti, la setta fondata da suo padre, la più popolare fra i Giudei per i principi filosofici e gli scopi prefissi. E gli Zeloti, come gli Esseni, erano votati al martirio pur di “salvare” la Terra Promessa da Dio al popolo d’Israele. In quanto Capi degli Zeloti, la esecuzione dei fratelli, figli di Giuda il Galileo, doveva essere pubblica: un esemplare monito agli Ebrei. Nove anni dopo Giovanni, nel 45 d.C., toccherà a suo fratello, Giuda.
Anche se questi fu ucciso da Cuspio Fado, lontano da Gerusalemme, la sua testa fu portata nella Città santa e lì esposta: altro avvertimento significativo. Due anni dopo, nel 47 d.C., sarà la volta di Giacomo e Simone: anch'essi crocefissi pubblicamente dopo essere stati catturati e processati dal Procuratore Tiberio Giulio Alessandro.
Non sarà così per il quinto fratello, il più giovane. Nel 66 d.C., Giuseppe, detto Menahem*, capo degli Zeloti, dopo aver distrutto la guarnigione romana di Gerusalemme, anche lui, come Giovanni, riuscirà a proclamarsi Re dei Giudei ma verrà ucciso dalle Guardie del Tempio agli ordini della aristocrazia sacerdotale che aveva spodestato.
* Identificare Menahem con Giuseppe, il quarto fratello di Giovanni "Jeshùa", sarà semplice come l'uovo di Colombo.

Zeloti, Esseni, Farisei, Sadducei e il popolo tutto, distanziati da un fitto cordone di sbarramento composto da miliziani romani, presenziarono in silenzio, impotenti, alla morte di Giovanni, sopraggiunta dopo una lunga agonia "fra i più atroci tormenti d'ogni sorta fino all'ultimo istante di vita" 
(Bellum VII cap. 8, 272), consapevoli del suo significato ... mentre fuori Gerusalemme erano accampate le legioni di RomaIn base alla legge romana, alla vittima predestinata veniva appeso al collo un cartello con il nome e la motivazione della pena capitale. 

I N R I : IOHANNES NAZIREVS REX IVDAEORVM

Per esigenze ideologiche, la futura iconografia cristiana ha rappresentato il supplizio del suo Dio affisso su una croce, stilizzata ma irreale per il complesso lavoro di falegnameria con tanto di "crux" a incastro e "predellino" poggia piedi; quest'ultimo dimostra che, ancora oggi, non si conosce il modo con cui i Romani trafiggevano i piedi ... se li trafiggevano. Una tortura, ritualizzata con modalità irreali, che vede il condannato percorrere una immaginaria "via crucis", senza riscontro alcuno con la letteratura classica. Lucio Anneo Seneca (3 a.C. - 65 d.C.), il famoso filosofo stoico coevo a "Gesù", in "De Consolatione Ad Marciam" (XX 3) afferma che le croci (o patiboli) venivano realizzate in molti modi per torturare i condannati. Oltre Seneca anche Marco Tullio Cicerone, Maccio Plauto, Plinio il Vecchio, pur riferendo sulle crocifissioni, nessuno di loro accenna alla "via crucis": una complicazione ridicola perché avrebbe obbligato il servizio d'ordine a muovere il cordone di miliziani intorno al condannato e seguirlo. La crocifissione di "Cristo" doveva ostentare un macabro spargimento di sangue, molto copioso per simboleggiare il sacrificio eucaristico universale ... ma la scritta "I N R I" non poteva nascondere il "Sacro Cuore di Gesù" pertanto la parte superiore della "crux" fu prolungata appositamente, a mò di locandina, per ospitare il più famoso manifesto dell'umanità indottrinata.
     
Yahwé aveva abbandonato Giovanni al suo destino e per gli Ebrei questo voleva dire che non poteva essere il Messia prescelto da Lui. Secondo i Profeti ebrei, l'intervento di Yahwé avrebbe schierato le potenze celesti e la Sua ira annientato la supremazia dei "Kittim" pagani invasori con una grande strage; consentendo al popolo eletto di costituire un "Regno che sarebbe durato in eterno" (Rotoli di Qumran: frammento 4Q 246).
Il vero "Messia" giudeo sarebbe stato un "Dominatore del Mondo" il cui avvento, dato per certo dai Profeti, spinse i Giudei alla guerra contro Roma, come spiegò Giuseppe Flavio in "La Guerra Giudaica" (VI 317).
Ma lo storico ebreo non poteva prevedere che, dopo la sua morte, sarebbe nata una nuova dottrina messianista, derivata dalla "quarta filosofia, una novità sinora sconosciuta", che avrebbe riformato il "Messia" giudaico ("Cristo" dal greco) in un "Salvatore del Mondo".

Nell'analisi precedente abbiamo dimostrato che Giovanni era sulla croce non sotto la croce, come riportato nel vangelo in cui risulta attorniato da svariate "Marie", madri di figli con nomi giudaici corrispondenti ai fratelli di Cristo. Madri "Marie" inventate per confondere e impedire ai credenti di capire il nesso tra i figli dell'unica, vera, Maria con i figli di Giuda il Galileo tramite l'abbinamento degli appellativi che risultano identici.
Ma a nessuno era concesso avvicinarsi al condannato, tanto meno i parenti. Le esigenze escatologiche imposero agli scribi cristiani, di questa rappresentazione evangelica, ideare una scena incompatibile con la realtà storica:

"Stavano presso la croce di Gesù sua madre (Maria), la sorella di sua madre, Maria di Cleofa (sic! due sorelle con lo stesso nome) e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che Egli amava disse alla madre:"Donnaecco tuo figlio!" (Gv 19,25-26).
Il non meglio specificato "discepolo che Gesù amava", che la Chiesa identifica con "Giovanni", sarebbe stato crocefisso anche lui se avesse osato avvicinarsi ad un condannato alla pena di morte, pubblicamente e atrocemente torturato come esemplare monito agli Ebrei per dissuaderli ad imitarne le imprese. L'unico posto permesso a Giovanni il Nazireo dalla legge di Roma era sulla croce ... chiunque altro doveva mantenersi alla larga, tenuto a bada con le armi.
"Allora tutti i discepoliabbandonandolo (Gesù), fuggirono" (Mt 26,56).

Nel vangelo secondo Matteo, almeno su questo aspetto, la legge di Roma viene ottemperata. I Suoi fratelli e gli Zeloti più in vista sapevano di poter essere identificati e denunciati da qualche delatore del partito conservatore, contrario a quei cambiamenti sociali che avevano cancellato i privilegi acquisiti prima del breve regno di "Jeshùa". Vantaggi sociali e ricchezze combattute dall'ideologia della "quarta filosofia, una novità sinora sconosciuta", ideata dal padre diJohannes bar Yehudas nel 6 d.C.
Giovanni era il nome di uno dei figli di Maria, "madre di Gesù", elencato assieme agli altri fratelli, come riferito in molti codici manoscritti del vangelo di Matteo che abbiamo elencato nel primo studio "Non sono esistiti gli Apostoli".

Non vi fu alcun processo per stabilire la colpevolezza o meno dell’imputato, non ve n’era bisogno: la flagranza di reato era manifesta. Giovanni, un suddito dell'Impero, approfittò della guerra contro i Parti per insediarsi con la forza sul trono di un territorio di Tiberio: un ribelle senza cittadinanza romana divenne nemico di Roma e come tale fu eliminato.
Il “Processo” è stata un’invenzione per far ricadere sui Giudei la colpa dell’uccisione del “Salvatore”. Infatti, Gesù Cristo “Nostro Signore”, per la nuova dottrina, non doveva risultare giustiziato da un alto plenipotenziario imperiale di Roma perché ciò avrebbe dimostrato che fu un Re ebreo zelota guerriero e questo era in contrasto con la nuova, docile, figura dell’ “Agnus Dei”, vittima sacrificale divina per il bene dell’umanità.
Un "Agnello di Dio" con intenti bellicosi, stando alle Sue parole:  
"Non sono venuto a portare pace sulla terrama una spada(Mt 10,34);
"E quei nemici che non volevano diventassi loro Re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me" (Lc 19,27);
"Chi non ha spada venda il mantello e ne compri una...gli apostoli dissero: «Signore, ecco due spade»" (Lc 22,36/38).
I Vangeli, lo sappiamo tutti, narrano che, costretto dai Giudei, fu Ponzio Pilato ad uccidere “Gesù” e non Lucio Vitellio. Anche due scritti extracristiani di Giuseppe Flavio (Testimonium Flavianum) e di Cornelio Tacito (Ann. XV, cap. 44), giunti sino a noi per mano degli amanuensi cristiani, riportano che l’uccisore di Gesù fu Ponzio Pilato. Così come lo riporta il “Credo” che, quale simbolo apostolico di fede, masse di praticanti recitano ad alta voce in una cantilena puerile, reiterata all’infinito, durante la liturgia della Messa domenicale: patì sotto Ponzio Pilato.... Un vero e proprio lavaggio del cervello perpetrato allo scopo di impedire la conoscenza della verità storica, alterata spostando la datazione dell'esecuzione di "Gesù" avvenuta poco dopo la destituzione di Pilato. 
Nella analisi comparata delle cronache di Cornelio Tacito e Giuseppe Flavio, riportata nel successivo studio sui màrtiri di Nerone, dimostriamo che i passaggi dei due grandi storici del I secolo sono interpolazioni spurie. Furono introdotte da falsari amanuensi i quali, dopo aver copiato e censurato i manoscritti originali dei due scrittori, con le modifiche aggiunte, anziché conservarli li distrussero per eliminare le prove delle loro manomissioni.
Tuttavia Ponzio Pilato - il Magistrato romano che non intendeva giustiziare “Gesù” ma si sottomise alla decisione del Sinedrio e del popolo giudaico che lo voleva crocifisso - la storia lo fa scomparire anche dal…“Credo”.
Il nome di quel Prefetto fu introdotto nel “Credo” del Concilio di Costantinopoli, convocato dai Cristiani nel 381 d.C., che declamava:

“…incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, si sacrificò e fu sepolto, il terzo giorno è resuscitato…”.Mentre, il “Credo” originale, formulato a Nicea nel 325 d.C., recitava così:

“…si è incarnato, e si è fatto uomo, si sacrificò, e il terzo giorno è resuscitato…” .
Oltre Pilato manca “la Vergine Maria Madre di Dio” la cui "Immacolata Concezione" non era ancora stata ripresa dai culti pagani, fatto sancito nel Concilio di Efeso del 431 sotto l'Imperatore Teodosio. In relazione al Prefetto imperiale di Tiberio, è doveroso riportare una dichiarazione, molto importante, fatta nel IV secolo da Eusebio di Cesarea:
“E’ dunque dimostrata la falsità degli Atti degli Apostoli contro il nostro Salvatore, pubblicata recentemente, essi, infatti, pongono sotto il quarto consolato di Tiberio, che coincide col suo settimo anno di regno, le sofferenze che gli Ebrei osarono infliggere al nostro Salvatore: ma in quel tempo Pilato non governava ancora la Giudea” (HEc. I 9,3/4).
Da quanto appena letto, Eusebio ci informa della pubblicazione di una versione di “Atti degli Apostoli” (fatta poi sparire, ovviamente), diversa da quella giunta sino a noi, nella quale si fa cadere il supplizio di “Gesù” il 21 d.C. (quarto consolato di Tiberio), cioè sotto Valerio Grato, predecessore di Pilato, a dimostrazione dei rimaneggiamenti fatti dai redattori evangelici per depistare la ricerca su chi crocifisse veramente “Gesù”... e la datazione dell'evento immaginario. Secondo quegli Atti” fu il Prefetto Valerio Grato a sacrificare” Gesù.

Stando a quanto scritto dai calligrafi cristiani di Eusebio quando interpolarono il brano spurio del "Testimonium Flavianum" in "Antichità Giudaiche" (XVIII 63/4) - nel quale viene riferita la "testimonianza" dello storico Giuseppe con la condanna di Gesù alla croce da parte di Pilato - tutt'oggi leggiamo che gli ingenui amanuensi collocarono (incollarono) l'evento nel 19 d.C., sotto Valerio Grato.
Da una semplice analisi del "Testimonium Flavianum" chiunque capisce che è un falso perché "Gesù" risulta crocefisso nel medesimo periodo in cui lo storico registra la cacciata da Roma di tutti i Giudei da parte di Tiberio nel 19 d.C. (ibid. XVIII 83), confermata da Tacito (Annales 2,85) e Svetonio (Tiberius 36).
Peraltro, gli amanuensi di Eusebio hanno preso una seconda "dolorosa cantonata mistica" sino al punto di smentire gli stessi vangeli: la crocifissione di "Gesù" risulta eseguita molti anni prima dell'uccisione di Giovanni Battista mentre gli evangelisti attestano che muore prima di Cristo. Per la storia la morte del Battista fu ordinata da Erode Antipa oltre 15 anni dopo la "resurrezione di Gesù" riferita nel "Testimonium Flavianum", cioé poco prima del 36 d.C., l'anno in cui Antipa fu sconfitto nella guerra contro l'ex suocero Re Areta IV (Ant. XVIII 116/9). 
 
Lo stesso Eusebio, al fine di "garantire" la presenza evangelica di Pilato come giudice al Processo di Cristo, si spinse ad affermare che il Governatore romano (HEc. I 9,2) "Ponzio Pilato ottenne la procuratura della Giudea e vi restò per dieci anni fino alla morte di Tiberio" ("Historia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea". Città Nuova Editrice, II^ ediz. Sett. 2005, a cura di Franzo Migliore e Salvatore Borzì). Tiberio morì nel Marzo del 37 d.C. ma la storia attesta che Pilato fu sostituito da Vitellio agli inizi del 36 quando l'Imperatore era sempre vivo. Nonostante le continue rielaborazioni e rimaneggiamenti dei documenti neotestamentari e quelli patristici, riguardo Ponzio Pilato permane la certezza che gli scribi cristiani non hanno mai incolpato il Prefetto romano per l'uccisione di "Gesù", bensì il Sinedrio e tutto il popolo ebraico, come attestato da Eusebio (ibid):
"furono gli Ebrei che osarono infliggere le sofferenze al nostro Salvatore"... 
Esiste un'altra importante testimonianza sul Governatore della Giudea Pilato che, inevitabilmente, si riflette anche su Jeshùa il "Salvatore" ebreo dell'umanità: quella del grande studioso e filosofo giudeo Filone Alessandrino (20 a.C - 45 d.C.), contemporaneo del Messia Gesù e di Ponzio Pilato.
Dopo aver riferito nel suo trattato "De Providentia" (II 107) che si recava frequentemente in pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme per offrire sacrifici a Dio (senza accennare all'esistenza di Gesù Cristo e suoi Apostoli, tanto meno loro "miracoli"), nella sua opera "De Legatione ad Caium" (paragrafi 299-303), Filone affermò di conoscere Ponzio Pilato rilasciando un giudizio tanto negativo quanto lapidario su di lui:

"Un tiranno corrotto, avido e insensibile alle ragioni della giustizia. Orgoglio, prepotenza e insolenza erano la sua regola. Il paese sotto di lui fu lasciato al saccheggio di bande di ribelli che incendiavano le case dei ricchi e la gente veniva uccisa senza il rispetto di alcuna legge".
Risulta evidente il richiamo agli Zeloti rivoluzionari, in particolare ai Boanergés "figli dell'ira", e l'impossibilità del Prefetto, al comando di una forza militare ridotta, a prevenire e contrastare le numerose scorrerie eversive che avvenivano ovunque in una Palestina dove il partito dei "fanatici nazionalisti" era maggioritario.
Filone era un ricco ebreo privilegiato e riportò questa informazione sul recente passato dopo la sfortunata Legazione
al cospetto di Gaio Caligola (op. cit. XXX 203) avvenuta nel 40 d.C. Ma il filosofo ebreo, profondo sapiente dell'Antico Testamento, in nessuna delle sue opere riferisce l'Avvento di un "Messia" divino giudaico (Cristòs) di nome "Gesù" che, secondo i vangeli, visse nella stessa terra, stesso periodo, autore di prodigi straordinari, osannato dagli abitanti di Gerusalemme come "Re dei Giudei" e da loro chiamato "figlio di Davide" ... né sa della sua crocifissione avvenuta per mano del Prefetto romano

Come possiamo constatare, nel IV secolo la “costruzione storica” della nuova fede era ancora in evoluzione e tendeva ad allontanarsi dalle religioni pagane precedenti, soprattutto da quella dell’ultimo “Salvatore” sacrificato: il Dio Mitra.
Oltre ad aver inventato la nuova “Madre di Dio”, che prima non esisteva, per farla adorare agli uomini “gentili” dolciotti, i “Venerabilissimi Santi Episcopi” inventarono anche il “sacrificatore” di “Gesù” ripescando il funzionario romano Pilato, (senza incolparlo del delitto) precedente a Lucio Vitellio, per depistare la ricerca storica sull’intera vicenda.
Il colpo di stato, vero e proprio atto di guerra contro il dominio di Roma, imponeva a Vitellio, ancora in conflitto con i Parti, di sottoporre direttamente a supplizio il capo responsabile e ucciderlo. Plenipotenziario e rappresentante imperiale su tutto l’Oriente, “Egemone” unico della Provincia di Siria cui erano annesse Giudea, Idumea e Samaria, il Luogotenente di Tiberio sapeva che quella ribellione mirava ad esautorarlo dei suoi poteri-doveri, il primo dei quali consisteva nel garantire il primato di Roma sui territori ad essa sottomessi.
Giovanni il Nazireo aveva osato nominarsi Re dei Giudei, Re di un territorio di proprietà dell’Impero, macchiandosi del crimine più grave imputabile ad un suddito del Cesare. Un attentato contro la sovranità di Roma e gli ordinamenti imperiali intesi a salvaguardare lo Stato e, conseguentemente, la sicurezza di tutti.
Era Tiberio, l’Imperatore, che decideva chi, quando e dove, nell’ambito dei possedimenti sotto la sua giurisdizione, potesse fare il Re, purché sempre suo fedele “cliente”.
Da quando Pompeo Magno, nel 63 a.C., conquistò la Palestina, tutti i Re e Tetrarchi, che si susseguirono nel governo di quelle regioni, venivano nominati da Roma; e vi rimanevano finché l’Imperatore voleva … e l’Imperatore acconsentiva fintanto, a suo inappellabile giudizio, riteneva che essi operassero nell’interesse dell’Impero … un semplice dubbio e venivano subito destituiti o esiliati; come successe il 6 d.C. ad Erode Archelao e come avverrà nel 39 ad Erode Antipa.

Durante l’interrogatorio, Vitellio (lo stesso sarebbe valso anche per Pilato), non fu neanche sfiorato dall’idea di chiedere a Giovanni il Nazireo: Sei tu il Re dei Giudei?; o peggio ancora, mentre “Gesù” era davanti a lui, avrebbe chiesto alla folla: Volete che vi rilasci il Re dei Giudei? (Mc 15,8-9); oppure, rimanendo su Pilato, in riferimento alle consegne di un Prefetto imperiale di Roma, sentite cosa ci vuol far credere san Luca nel suo Vangelo, per scagionarlo:
“Essi insistevano a gran voce chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasciò colui (Barabba) che era stato messo in carcere per sommossa ed omicidio…” (Lc 23,25).
Non tanto per l’uccisione di un giudeo, che ad un romano non avrebbe importato più di quanto ma, un Prefetto di Tiberio, che governava un territorio di Roma su suo mandato, non avrebbe mai rilasciato il responsabile di una sommossa già arrestato da lui … solo un esercito avrebbe potuto farlo desistere … ma l’esercito era ai suoi ordini e le legioni agli ordini del suo diretto superiore: Vitellio.
Solo menti in piena estasi mistica, visionari senza la minima conoscenza della realtà storica di tutti i tempi e di tutti gli Imperi, antecedenti e successivi a quello romano, hanno potuto concepire idiozie simili e, pur avendo compreso il motivo per cui l’abbiano fatto, lo sproposito rimane ugualmente … anche per chi, ingenuamente e docilmente, vi crede. L'amanuense "Luca" evangelista e tutti quelli che, come lui, lo hanno imitato, non volevano far risultare che un potente funzionario romano aveva sottoposto a supplizio “Gesù” il “Salvatore”, per aver messo in atto una sanguinosa sovversione politica contro il potere di Roma.

Nei Vangeli è stato introdotto un falso processo per far ricadere la decisione della condanna di Gesù sui Giudei e sul Sinedrio con motivazioni esclusivamente religiose, non patriottiche rivoluzionarie che provocarono spargimento di sangue: l’ “Agnus Dei” non poteva aver organizzato e commesso un’azione militare così violenta e palesemente antiromana.
Tutti i sudditi dell’Impero erano testimoni che Roma non aveva mai perseguitato gli adepti di alcuna religione, tranne per casi limite e ben motivati. Al suo interno esisteva un crogiolo di dottrine che vivevano a contatto con altri credi senza problemi; sarebbero stati guai per i Romani se le avessero perseguitate: l’Impero sarebbe caduto.
Le autorità si preoccupavano quando una religione diventava la base ideologica per sobillare il popolo e sovvertire le istituzioni, allora, in quel caso, scattava la repressione, violenta, come contro quella ebraica nazionalista.
Gli scribi cristiani "lucani" erano ben consapevoli di ciò e provvidero a nascondere il “Salvatore”, e gli altri protagonisti ebrei che lo attorniavano, dietro un’aureola di “santità” innocua e rassicurante…fino al punto di far apparire un “Gesù” che predicava, impunemente, ai Giudei di "dare a Cesare” il tributo" … mentre, nella realtà, per una provocazione simile, i Giudei avrebbero lapidato il “Cristo” ancor prima che finisse la “paraboletta”.
La nuova dottrina cristiano gesuita, evolutasi dalla riforma del Messia da parte degli ebrei Esseni, dopo le guerre del 66/70 e del 132/135 d.C. e i conseguenti olocausti dei Giudei in molte città orientali dell’Impero, era diventata, opportunamente … filo romana.
Giunti a questo punto dello studio abbiamo individuato con precisione quattro figli di Giuda il Galileo: Giovanni, Giacomo, Simone e Giuda, i cui nomi erano uguali a quelli dei fratelli di “Gesù”. Abbiamo anche accennato, in parte, alle gesta di un quinto figlio, il più giovane, Giuseppe, che lo storico ebreo chiama "Menahem figlio di Giuda il Galileo", il quale riuscì a divenire Re dei Giudei nel 66 d.C. Rimarchiamo ulteriormente che identificare "Menahem" con "Giuseppe" sarà molto semplice: come per l'uovo di Colombo. 
Giovanni fu il promogenito con diritto di investitura a Re dei Giudei, e per questo, alcune generazioni dopo l'avvenimento storico, verrà mitizzato dai monaci ebrei Esseni come "Messia" col titolo divino aramaico di "Jeshùa", Salvatore.
Durante la dominazione romana, gli ebrei Esseni, anch'essi nazionalisti come gli Zeloti, usavano le loro "profezie" allo stesso modo degli "Oracoli di Yahweh" per incitare il popolo a ribellarsi. Ma dopo lo sterminio etnico perpetrato dai Romani e le persecuzioni ordinate da Vespasiano contro i Giudei, familiari compresi, che non lo riconoscevano come Signore o Padrone, gli Esseni, preso atto della disparità di forze, rividero la rappresentazione del Messia condottiero, atteso dal popolo come il mitico Davide.
Non più, quindi, un "Dominatore del Mondo", bensì un "Salvatore del Mondo" ... docile come un "Agnus Dei".
Furono cinque fratelli, uomini appartenenti a una dinastia ebraica definita più volte da Giuseppe Flavio "di grande potere" ... Una stirpe di "sangue reale" che, rivendicando il diritto a sedersi sul trono dei Giudei appartenente agli Asmonei, si impegnò, fino al martirio, in una guerra contro il dominio di Roma attraverso un contesto storico pericoloso ed estremamente difficile per gli Ebrei.
Il casato asmoneo si estinguerà definitivamente nel 73 d.C. per mano dei Romani con la caduta di Masada, ultima roccaforte degli Zeloti, condotti dal nipote di Giuda il Galileo: Eleazar bar Jair (Lazzaro figlio di Giairo).
Una triste epopea perfettamente compatibile con le vicende reali di quegli anni, riferite, soprattutto, da Tacito e Giuseppe Flavio, ma confermate, pur con descrizioni ridotte, anche da Filone Alessandrino, Svetonio e Cassio Dione.

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