domenica 3 novembre 2024

Giochiamo a carte...?

 


Con la mano giusta si può vincere la partita ovvero, le quattro consapevolezze per far saltare il banco.


Picche o realtà data

Partiamo tutti alla pari. Nel senso che impariamo e ubbidiamo all’idea che la realtà è una soltanto, che è oggettiva e certa, sulla quale si può arrivare a dire there is no alternative, senza sentirsi beoti. Con questo principio di tutto, ci scivolano giù come uno sciroppo, tutte le idee ad esso connesse. Lottare per un posto al sole o anche al cesso, se necessario fino alla sopraffazione altrui, sempre senza sentirsi beoti, fa semplicemente parte della realtà. Che altro vuoi aggiungere? Chiede, libero da incertezze, sempre il beota. Un tipo, al quale, fa meraviglia, anzi, assurdità, quando gli dici che la responsabilità di tutto è sua.

Nella realtà data, mentire diventa perfino una dote, stavolta, senza scomodare Orwell e il suo ribaltamento di significati. Darsi da fare per apparire come non si è, ma si vorrebbe, è una specialità con la quale mendicare autostima altrimenti labile e latente e, per i talenti puri, anche a gonfiare il conto in banca.

Ci si può dedicare ad allungare questo elenco proprietà picche, fino allo sfinimento, stando semplicemente al davanzale ad osservare chi viene e chi va. Un’azione semplice, ma impedita a quelli del divano, i protagonisti della realtà data. Attori ligi al copione, disinteressati alla regia e, per questa, proni a tutto. Il tipo tengo famiglia ha sempre una Oscar in mano ed è sempre da loro giubilato.

Nella realtà di tipo picche è ordinario prendere posto in treno e sorbirsi le telefonate altrui, nelle quali sentire per un’ora il giro tondo di parole, intorno a una questione già chiara fin dalla prima tornata. Lo sperpero di dedizione a futilità non è contenibile e non è scomponibile in categorie sociali, culturali, politiche, professionali, di censo, di classe, di erudizione. Ad ascoltarli così concentrati e seri, sembra davvero abbiano a che fare con il tutto.

La realtà picche ha una moltitudine di sostenitori, tra cui la scienza per la quale, solo la misurazione, la scomposizione, l’analisi, la dimostrazione, la ripetibilità sono i requisiti della conoscenza e quindi della verità. Il peso, o l’incanto, della realtà data, è tale che quando il detentore del sapere ti dice che sei depresso, vai di buon grado a farti curare. L’accesso al sospetto che chiunque ha in sé il potere di modificare la propria vita, cioè la piena responsabilità, non è nel seme picche.


Fiori o realtà molteplice

Prendere coscienza della realtà picche, della trama di narrazioni che ce la fanno sembrare autentica, inequivocabile e certa, è il percorso lungo e irto per qualcuno o, immediato, per altri, necessario per riconoscere in che termini è vero che la realtà non è lì, di fronte a noi, come lo è un posacenere. Essa, che è piuttosto come attraversare un sūq affollato, dove scegliere quale carugio imboccare o bottega per comprare. Avere fretta o tempo da perdere sono condizioni che parlano del bazaar in modo differente. Sarà quindi solo la nostra descrizione, indotta da modi e ragioni molteplici, a reificare la realtà del mercato.

Prendiamo le reazioni, i pensieri, i sentimenti e le emozioni che tutti muovono e chiunque può vivere ed esprimere davanti al medesimo fenomeno. Si tratta di matrici con le quali, inconsapevolmente, a piacere, stampiamo la realtà. Un’inconsapevolezza duplice, visto che poi il mondo ci appare effettivamente mostrare le proprietà che gli abbiamo attribuito. E anche triplice quando pretendiamo che il prossimo la condivida con noi.

Il bello della realtà fiori, è osservare che non disponiamo di una cultura che ci educhi a vedere il fenomeno prima e l’investitura di realtà con cui lo strapazziamo a nostro gusto. È come non ci fosse alcun fenomeno, ma solo le proprietà che questo riteniamo presenti e il significato che riteniamo esprima. Da qui, deriva tutto il gorgogliare della psicoanalisi, a mio parere fuorviante linea di ricerca per l’autonomia e l’evoluzione personale. Perciò se dici checca qualcuno ritiene di avere il diritto di offendersi, perché a suo giudizio, quel termine è offensivo di per sé, anche senza chi lo dice e chi lo sente. Dell’attribuzione di qualità neppure se ne accorge, ora più che mai. Un po’ come dire che la Gioconda di Leonardo è bella per tutti e adesso, coi tempi che corrono, anche per legge.

Che la realtà non sia un oggetto e non sia di fronte a noi uguale per tutti, lo si può osservare in altre innumerevoli occasioni. È esperienza comune aver preso posizioni secondo circostanza, come se cogliessimo l’occasione per riempire un vuoto ed esprimere da quella prospettiva la nostra opinione, anche contraria con quanto affermato in altra situazione. Basta andare a scavare nel proprio passato per scovare quando abbiamo detto a ciò che in altri momenti abbiamo detto no; quanto abbiamo affermato e quanto ora prendiamo le distanze da quelle nostre considerazioni. Dunque, in funzione di una posizione se ne prende l’altra, senza vedere ciò che abbiamo sostenuto in altro momento. Il punto non è moralistico – la pretesa di coerenza è disumana – non è cioè il cambio di posizione, né rinnegare se stessi, ma è farlo senza avvedersene. La cui ragione non è che un ottimo e occulto espediente affinché la nostra morale possa essere sempre forte del suo giudizio, proprio come non avessimo mai sostenuto o fatto ciò che, in altro tempo e modo, stiamo colpevolizzando. Ovvero rimanere preda inerme della realtà picche.


Quadri o realtà illuminata

Perché per noi la realtà si reifica in un certo modo e non in altro? Una risposta disponibile fa riferimento ad un minimo comun denominatore culturale che domina il nostro immaginario. Si tratta dell’egoismo e dell’importanza personale che ne segue e che, ora con l’individualismo, troviamo alla sua massima potenza. Se l’egoismo saggiamente sfruttato non ci nuoce, quello inconsapevole, ovvero quello eletto a diritto inalienabile, non è che un impedimento a comprendere il mondo. Non quello deliberato dalla scienza ma quello relazionale.

Se un deliberato egoismo, costantemente al lavoro ci agisce secondo le sue necessità e bisogni, nel dualismo – regno degli opposti e delle parti – in cui ci troviamo, possiamo riconoscere che la sua antitesi è detta amore. L’azione egoica è destinata al bene individuale, quella d’amore, a quello collettivo. L’egoismo, indipendentemente dal bisogno concreto, comporta l’accumulo o lo sperpero, il necessario per difenderlo o dilapidarlo, diffidenza e avarizia generalizzata. Al contrario l’amore implica riconoscenza per quanto sì ha, dono e condivisione.

Ciò che ci interessa qui al simbolico tavolo del poker, è che, se riconosciamo nell’egoismo e nel suo implicato egocentrismo la matrice della storia grondante di sofferenza, saremo disponibili a riconoscere che emancipandoci dalla gogna egoistica-egocentrica, possiamo lasciare spazio all’amore di permeare le relazioni, le comunità, la cultura.

La lotta egoistica, di gran lunga più subdola di quella animale, può essere mitigata dalla morale solo parzialmente e temporaneamente, ma non permanentemente. Tantomeno da quella legislativa.

È necessaria quindi un’emancipazione strutturale, carnale, cristica, non intellettual-ideologico-moralistica. Non impegnarsi in questo processo ricreativo comporta mantenere il male dal quale siamo circondati. E nel quale saremo coinvolti ancor più alla prima buona occasione, così come ora vediamo essere coinvolti altri.

La realtà quadri o illuminata è quindi riconoscere che, se la responsabilità del cambio di paradigma da egoico/antropocentrico a quella olistico-organica è nostra, così come lo era per il male, ora lo diviene per il bene. Se ci lasciavamo guidare dal male, ora lasciandoci condurre dall’amore realizzeremmo un’altra realtà.


Cuori o realtà quantica

Le tre precedenti consapevolezze di realtà non sono sufficienti per vincere la partita della conoscenza, cioè per riconoscerne la natura. Ne è richiesta un’ulteriore, che riguarda la verità delle infinite realtà emergenti dalle descrizioni che ne fanno gli uomini. Per farlo è necessario tornare alle cosiddette emozioni. Non limitando il discorso a quelle eclatanti, ma estendendolo a quelle ben più segrete che tengono sempre le redini del nostro morso. Per esempio, condividere un’ideologia è condividere un’emozione.

Diversamente dal creduto, vederle come qualcosa che insorge e si esaurisce in noi, pare non basti. Sembra più opportuno vederle e concepirle come una forza dominante, ci pilota, ci sfrutta secondo la sua stessa esigenza. Esse latitano nello spazio in attesa del nostro impatto con un evento, pensiero e fatto. In quell’istante decantano in noi, conformando una realtà che viviamo come certa, in quanto corrisponde alla nostra descrizione. Rapiti da un’emozione, obbediamo al suo volere. Il resto diviene inutile e sparisce. Nessun argomento razionale è in grado di sottrarci al giogo di un’emozione, come invece è nel potere magico dell’ascolto e dell’empatia. Modalità idonee al cambio di emozione.

Accade anche con la memoria di un evento, che due persone hanno vissuto insieme e descrivono in modo differente. Non significa soltanto che la realtà non ha a che vedere con leggi razional-meccaniche che la vorrebbero oggettiva e una, ma con quelle magico-quantiche, che invece, permettono di osservarne la dipendenza da noi, da che la osserva-concepisce. Magico-quantiche significa che la realtà, con i suoi infiniti aspetti è latentemente pronta a divenire una soltanto con una sola e precisa forma, nonché qualunque altra purché al cospetto di qualcuno, delle sue esigenze, sentimenti ed emozioni.

Così diventa comprensibile come coloro che detengono la comunicazione vogliano farci credere che il sistema è buono, che dobbiamo seguitare ad obbedire, che stanno lavorando per il nostro bene. Ovvero, che lo strapotere di ricchezza di un’esigua minoranza non solo non è realmente combattuto ma è considerato più che legittimo, come non ci fosse alternativa.


Poker d’assi

I quattro assi contemporaneamente in mano, rappresentano l’arco di consapevolezze utile per una deriva verso una vita personale e sociale profondamente differente da quella che abbiamo ereditato e che, diversamente, perpetueremmo.


Scala reale o realtà socratica

Il poker, quantomeno quello che conosco, mi è sempre sembrato interessante per la sua efficacia nel rappresentare la vita. Ha poche regole, ma la dote di contenere simbolicamente molto di quanto accade agli uomini anche lontano dal tavolo di gioco. Il bluff e l’inesistenza di una giocata definitivamente superiore a tutte le altre, ne sono una sintesi potente. Sorprese, aspettative, speranze, tradimenti, inganni, raggiri, intuizione, ascolto, strategia, vanità, voluttà, sono alcune dimensioni umane che stocasticamente, ruotano tra le carte del mazzo.

Nel nostro caso, significa che anche con i quattro assi/consapevolezze in mano, sempre di faccenda umana si tratta, quindi ontologicamente parziale, mai assoluta. Attribuire loro qualche potere definitivo e qualche certezza garantita è inopportuno. Distrarsi, e concedere ad esso pieno potere è il solo punto di vulnerabilità di tutti noi, in tutti i giochi, in tutti i mazzi. Dunque, per esempio, la realtà picche o oggettiva c’è eccome in un campo chiuso, dove l’equivoco è soffocato dalla condivisione di regole, linguaggio e significati. È il mutuarla ai campi aperti delle relazioni che genera soprusi e scompigli. È non avvedersene che mantiene alto il vessillo del male. Così è vera la realtà quantica o magica, disponibile e/o obbligata a decantare in quel, e solo in quel, modo nel rispetto delle esigenze di chi la descrive.

Non tenere conto che la sola permanenza dell’esistenza è l’oscillazione, significa sempre credere che un poker d’assi ci permetta di vincere la partita della conoscenza o, più ancora, con la scala reale, ma anch’essa oscilla in una trinità: la massima batte la media, la media batte la minima, la minima batte la massima.

Credere nella conoscenza è una suggestione da divanista, è allontanarsi dal centro e dall’origine di tutto, è aver gettato ai porci la perla di Socrate.


Lorenzo Merlo



Il centro del mondo è dove si è...

 

Una cosa che sempre mi ha fatto riflettere è la scoperta, fatta dai genetisti analizzando il genoma mitocondriale,  che le popolazioni europee discendono da 12 donne, presumibilmente emigrate dall’Africa (le loro tracce comunque partono dal Medio Oriente). Dodici apostole di vita e madri di tutti noi. Se poi consideriamo che nei secoli l’Italia è stata abitata  da centinaia di popolazioni diverse in continuo mescolamento fra loro, comprendiamo che l’identità bioregionale non può certamente essere basata sull’appartenenza genetica di una certa comunità che vive nel luogo, bensì sulla capacità di vivere in sintonia con il luogo e con tutti i suoi abitanti, animali compresi.
Il pensiero e l’ideologia e le religioni  alienano l’uomo dall’uomo e l’uomo dalla natura mentre il senso di comunità che sorge dal condividere l’esistenza nello stesso luogo è qualcosa di sano e di concreto. Questo è l’approccio bioregionale e questo è anche il modo in cui cerco di rapportarmi con gli altri e con l’ambiente.
Il luogo in cui si è,  è il "Centro del mondo", così oggi posso dire che Treia  è “il centro del mondo”,  come d’altronde qualsiasi altro luogo in cui si vive lo è, poiché il centro del mondo è dove si manifesta la presenza.
Nel sentirsi parte del luogo c’è da considerare anche l’aspetto emozionale e  “biologico” del pensiero, il pensiero non è solo speculativo o proiettivo, o perlomeno lo è solo nella sua forma visibile allorché si concretizza in una scelta abbinata ad un interesse precipuo (che sia quello di un io di una nazione o di una comunità in cui ci si riconosce). Siamo però consapevoli che la matrice del pensiero è “biologica”? Ed essa non tiene conto dei risvolti e delle conseguenze, se non in funzione di un “progetto” globale evolutivo (tentativi ed errori, causa ed effetto, chiamatelo come vi pare).
La mente è un ricetrasmettitore, è una radio od un televisore od un computer, ma l’operatore che immette dati e fa sì che i diversi programmi vengano sviluppati (sulla base di norme prestabilite e connaturate nelle capacità “tecniche” del mezzo stesso) è incontrollabile dal mezzo, essendo vero l’esatto contrario.
Bios è la “Forza” l’aggregazione che presume di incarnarla è solo il braccio che si muove… La decisione non è del braccio ma appare come tale. La Vita nella sua totalità inscindibile spinge e genera “creature” atte a manifestare il suo “gioco”.
Un esempio pratico.. quando sorge un pensiero nella nostra mente ed in conseguenza a ciò prendiamo una “decisione”.. ci siamo mai chiesti da dove sorge quel pensiero? Quale è la “Forza” che lo rende visibile alla nostra mente?

Così è per tutto il resto: yin e yang, luce e tenebra, chiaroscuri necessari per il sogno! Ciò non ostante…  è “corretto” e “consono” che ci si muova e si agisca nel mondo secondo il proprio sentire.

Paolo D’Arpini - Rete Bioregionale Italiana



sabato 2 novembre 2024

4 novembre. E' giunto il tempo della nascita di un esercito popolare per la difesa...

 


Il Libro dei Mutamenti afferma: "Nel grembo della terra vi è l’acqua: l’immagine dell’Esercito. Così il nobile magnanimo verso il popolo accresce le sue masse” - L’immagine dell’esagramma L’Esercito (Shih n. 7) del Libro dei Mutamenti, è molto chiara nell’indicarne il significato. Infatti in Cina nell’antichità "i soldati erano presenti nel popolo come l’acqua sotto la terra. Ed avendo cura della prosperità del popolo si ottiene un esercito valoroso". Ed ancora nella prima linea. “Un esercito deve servire in buon ordine ed armonia il popolo. Se ciò non avviene incombe sciagura”.
…il 4 novembre ricorre il giorno dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate….

Rinnegare il passato non ha senso… l’Unità d’Italia è stata raggiunta con fatica, lotta e sacrificio… Anche se  potrei obiettare che non serviva e che la prima guerra mondiale (ed ultima del Risorgimento) poteva essere evitata poiché l'Austria si era impegnata a cedere Trento e Trieste in cambio della non belligeranza italiana. Altri addirittura affermano  che si stava meglio con il Regno delle Due Sicilie, con lo Stato del Vaticano (ma quello c’è ancora...), con la Repubblica di Venezia, etc. Può anche essere vero ma pure in quei regni esistevano eserciti ed un senso nazionale… 

Non sono d’accordo con il sistema corrente in cui il servizio militare sia riservato a forze prezzolate,  credo che l'onere della difesa (dico “difesa”…)  della nostra terra o dei legittimi interessi dei suoi abitanti non possa essere delegata a “lanzichenecchi” di professione.  


Tra l'altro l'Italia oggi è alla mercé delle truppe "d'occupazione" della Nato e di un numero sempre crescente di mafiosi e malavitosi e in caso di necessità non c'è più una forza popolare che garantisca  la sicurezza  dei cittadini. Esistono solo "truppe private" al servizio dei politici di turno (tra l'altro ricordo che la maggioranza delle forze dell'ordine funge da scorta ai privilegiati). 
Insomma se in Italia  un governo momentaneamente eletto decidesse di portare l'Italia in guerra  potrebbe farlo senza preoccuparsi delle conseguenze poiché le guerre iniziano con l'invio delle truppe prezzolate e poi seguirebbe la coscrizione  che obbliga innocenti cittadini ad andare a morire al fronte (basti vedere quel che sta accadendo in Ucraina).   
Se in Italia ci fosse un esercito popolare  potrebbe aiutare a mantenere una certa indipendenza e  potrebbe servire a calmierare le eventuali decisioni politiche dei governi italiani condizionati dagli interessi USA e NATO che obbligano l'Italia a schierarsi contro ipotetici "nemici".  
Senza una forza popolare autonoma tutti noi cittadini italiani siamo sottoposti alle decisioni di una  politica succube  e che avendo ai propri ordini  un esercito  di  mercenari può  aderire alle guerre  decise da USA e NATO senza possibile alternativa.
La coscrizione popolare può sembrare una sopraffazione, se serve ad una causa ingiusta, ma è l’unico modo per  garantire libertà e giustizia, riconoscendo i veri interessi del Paese. 
L'esempio della Svizzera, in tal senso, è molto significativo. Questo Stato multilingue e neutrale per antonomasia ha comunque istituito un servizio militare popolare a scopi di difesa. 

Paolo D’Arpini - Rete Bioregionale Italiana


giovedì 31 ottobre 2024

Impatto degli allevamenti industriali sull'ambiente...



Ecco diversi pareri di  veterinari  sulle conseguenze della produzione industriale di carne in Europa  e negli USA:

Il sistema industriale di produzione carne non è sostenibile, tutta la filiera minaccia di implodere. Aumento di produzione, innalzamento dei costi, abbassamento dei ricavi sono temi noti da tempo. Collegare il reale impatto ambientale con il costo di un prodotto, carne bovina o di altri animali o altro, è un approccio  che potrebbe aiutare a lanciare le filiere etiche… (Giulia)

Consiglio la lettura, a questo proposito, di un articolo pubblicato su Le scienze dal titolo: “Hamburger a effetto serra”, in cui l’autore analizza l’impatto ambientale dell’allevamento bovino; un unico dato: produrre la quantità di carne bovina consumata annualmente dallo statunitense medio genera la stessa quantità di gas serra prodotta da un’auto guidata per quasi 3000 chilometri. (Raffaele)

In Italia siamo 60 milioni di abitanti e consumiamo circa un centinaio di chili di carne a testa, per lo più come in Europa e negli Stati Uniti. E così per soddisfare i nostri appetiti macelliamo circa 500 milioni di polli all’anno, 4 milioni di bovini e 13 milioni di suini, ma siccome non ci bastano il resto lo importiamo. Ma sul pianeta Terra viviamo in 6 miliardi e mezzo e gia’ adesso in molti muoiono di fame, altri che la carne la vorrebbero ma non possono permettersela. Tra qualche anno diventeremo 10 miliardi, si potra’ produrre carne per tutti? C’è chi dice che sarebbe il suicidio del pianeta. Fao, Onu, Ipcc avvertono che il 18% dei gas serra che alimentano i cambiamenti climatici sono frutto degli allevamenti, che battono tutte le altre attività umane, comprese le emissioni dell’intero parco auto del pianeta. Per produrre un chilo di carne di bovino si consumano 15.000 litri di acqua e cereali per dieci volte il peso dell’intero animale – cereali che potrebbero sfamare molte più persone – Non basta. Più della metà degli antibiotici prodotti sono usati per uso zootecnico. Le malattie negli allevamenti intensivi aumentano, ma poi aumentano anche ceppi di batteri resistenti agli antibiotici e le malattie umane da benessere come le patologie coronariche, il diabete, l’obesità che derivano anche da eccessivo consumo di alimenti animali. Senza contare il problema della montagna di liquami ed escrementi che inquinano le acque e non sappiamo più dove mettere. Il paradosso è che più si produce carne a basso costo, grazie a questo modello di allevamento industrializzato, e più aumentano i costi per l’ambiente, e l’agricoltura è la prima vittima di un paradigma economico che non regge più. Eppure le soluzioni ci sarebbero, andrebbero però attuate subito, prima che sia troppo tardi. (Marco)

La consistenza tecnica di questi pareri avvalora e giustifica la scelta frugivora anche in termini di ecologia, sia nell’aspetto dell’ecologia fisiologica del corpo umano che quella ambientale del pianeta. Senza una svolta radicale nel sistema alimentare difficilmente la specie umana potrà sopravvivere all’olocausto annunciato.

Paolo D’Arpini - Rete Bioregionale Italiana



Abruzzo. Olivicoltura eroica bioregionale...




Olive, mare e monti… parole semplici, antiche e fatti veri, evidenti: le olive sono sempre le stesse raccolte nei terreni privilegiati dalla geologia e dal clima e lavorate subito a freddo cosi che conservino la purezza degli aromi naturali. Al frantoio le macine in pietra si vedono dall’ingresso dello stabilimento, impianto tradizionale, perchè come afferma un amico scultore: la pietra è la pietra, per estrarre un condensato di luce saporito leggero e delicato! Una felice contaminazione tra qualità del terreno aria clima e altitudine ha favorito la produzione di un olio di oliva di rara qualità. Diverse posizioni geografiche diverse abitudini e temperature, diversa composizione del terreno, di coltura, diverse cultivar, elementi che incidono sul carattere dell’olio. Anche l’aria dal mare e dai monti raggiunge le colture con intensità differenti capace di influenzare sul nascere la piccola drupa in formazione. 

In Abruzzo l’olivo cresce da sempre in tutta la regione da zero fino a 800 metri di altitudine, praticamente dalle spiagge fino alle pendici della maiella e del gran sasso e come in altre terre del mediterraneo influenza il paesaggio diventando elemento caratterizzante. la stessa atmosfera che si vive nelle zone di coltura dell’albero più antico della nostra civilta e che trova in abruzzo una felice condizione climatica, anche la meccanizzazione nella coltura è relativamente diffusa mentre proseguono ininterrotti nei tempi, la raccolta manuale o brucatura, la stesura delle reti sotto agli alberi, il trasporto rapido in cassette areate per evitare fermentazioni e la frangitura organizzata in turni rapidi per non sottrarre valore all’aroma dell’olio. 

Nella regione la maggior parte della coltura olivicola è dislocata sui terreni pianeggianti o ondulati delle colline costiere dove gli alberi sono disposti ordinatamente e facilmente accessibili per le cure meccanizzate, frammentata con i vigneti, si riconosce da lontano per il luccichio delle foglie iridescenti. 

La coltura sfrutta anche terreni montuosi e vegeta miracolosamente tra le rocce dove prende pratica una olivicoltura eroica per le pendenze a volte anche eccessive. l’olio deve il suo successo all’alto contenuto di grassi insaturi che lubrificano le arterie agendo anche da antiossidante cellulare. Il suo aroma è poi sempre più oggetto di attenzione con la creazione da parte degli esperti della carta degli oli come per il vino ogni provenienza infatti dichiara un gusto che si lega armoniosamente ai diversi piatti accompagnandone ed esaltandone ii sapore. l’impiego dell’olio di oliva sempre più diffuso nella rivisitazione di piatti nella cucina contemporanea trova largo uso soprattutto nelle ricette della cucina tradizionale. 

Nella mia famiglia c’è una lunga tradizione legata alla produzione di olio d’oliva che tuttora produciamo e consumiamo soprattutto semplicemente sul pane con sale oppure aglio origano rosmarino e anche altre erbe profumate come maggiorana timo o arricchito con pomodoro capperi olive, ancora più buono il pane con olio sale e limone, forse la cosa più buona che abbia mai mangiato o ancora olio prezzemolo limone curcuma aglio che assieme danno vita a un condimento veramente straordinario sia per sapore che per colore, con il quale si può arricchire la semplice bruschetta, il riso integrale o una ottima minestra di legumi. 

Mio nonno quando riportava a casa olio nuovo per assaggiarlo voleva che mia nonna facesse le rivotiche o scrippelle, frittelle larghe e sottili tipo crêpes realizzate con un impasto di acqua e farina. dolci tipici della raccolta sono gli sgaiozzi che puo significare anche baiocchi, soldini. In una economia di sussistenza la raccolta di olive e la vendita dell’olio portava un piccolo reddito alla famiglia che in genere era usato per l’acquisto di beni di prima necessita, vestiario e provviste per l’inverno. Gli sgaiozzi sono dolcetti anch’essi fritti nell’olio nuovo, realizzati senza una forma ben precisa con un impasto di farina di mais, farina di frumento uvetta passa lievito di birra e patate lesse...
 
Ferdinando Renzetti





mercoledì 30 ottobre 2024

Treia. Presentazione ed invito di partecipazione alla Fierucola delle Eccellenze Bioregionali dell'8 dicembre 2024

 


A Treia, e viciniori,  ci stiamo preparando per l'annuale Fierucola delle Eccellenze Bioregionali dell'8 dicembre.  Quest'anno l'evento si svolge presso la Sala Parrocchiale di Passo di Treia. La Fierucola  sarà aperta al pubblico dalle ore 10 alle ore 19, gli espositori potranno allestire i loro banchetti dalle ore 9 in modo da essere pronti per l'inaugurazione ufficiale  e benedizione religiosa. Durante la giornata sono previsti diversi momenti musicali, culturali e ludici con la partecipazione e collaborazione delle associazioni  ed enti coinvolti. 

Lo scopo della tradizionale Fierucola dell'8 dicembre ha una duplice valenza sia religiosa che sociale, ed è un modo per sviluppare la collaborazione tra concittadini in forma creativa.    Credo che ognuno di noi abbia sentito dentro di sé  quel desiderio di armonia e completezza e quella voglia di esprimersi nel produrre qualcosa di bello ed utile per se stessi e la comunità. Che sia agricoltura, arte, artigianato, poesia, musica od altre espressioni attive, è solo un modo intercambiabile. Proprio per valorizzare questa capacità intrinseca è sorta l’idea di organizzare  questa festa del lavoro creativo che da diversi anni si svolge a Treia  per l'8 dicembre.  

Una semplice fiera paesana, forse, ma anche una meravigliosa fiera campionaria del genio creativo locale.  Molti di voi/noi hanno già partecipato a precedenti edizioni e questo vuole essere un invito per chiedere l'adesione di  altri membri. Per informazioni più dettagliate potete rivolgervi a Caterina Regazzi, tel. 333.6023090,  o Andrea Biondi, tel. 348.7255715. 


(P.D'A.)

martedì 29 ottobre 2024

Ultima ratio per l’auto-determinazione e per l’autonomia amministrativa è il bioregionalismo...



“Una società è l’organismo; i suoi membri costituenti sono gli arti che svolgono le sue funzioni. Un membro prospera quando è leale nel servizio alla società come un organo ben coordinato funziona nell’organismo. Mentre sta fedelmente servendo la comunità, in pensieri, parole ed opere, un membro di essa dovrebbe promuoverne la causa presso gli altri membri della comunità, rendendoli coscienti ed inducendoli ad essere fedeli alla società, come forma di progresso per quest’ultima.” (Ramana Maharshi)

Il tentativo di frantumare gli stati in sub-entità territoriali etniche culturali, come pare stia avvenendo oggi in varie parti d’Europa (Italia compresa), è un modo malsano di affermare la propria autonomia. Infatti non è suddividendo in piccoli “regni” la comunità Europea che si può raggiungere un miglioramento nella gestione della cosa pubblica, poiché se la gestione nazionale e sovranazionale pecca di inefficienza e di immoralità gli stessi difetti saranno presenti in una amministrazione regionale. Anzi una amministrazione regionale corrotta può procurare ancora più danni alla comunità, con l’ampliamento dei ruoli di governo e la moltiplicazione delle clientele.

In verità nell’ottica bioregionale della gestione collettiva della Comunità Europea dovrebbe prevalere l’identità e l’autonomia ristretta ai comuni ed alle province (in qualità di ambiti bioregionali omogenei) e le attuali regioni dovrebbero scomparire (vedi: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2010/10/08/paolo-darpini-%E2%80%9Cil-vero-federalismo-e-solo-bioregionale-no-alle-regioni-carrozzoni-si-alle-province-espressione-della-comunita-locale-%E2%80%9D/)

Prima di tutto nella UE molte cose dovrebbero cambiare, a partire dalla costituzione europea che oggi è centrata solo sul controllo finanziario economico esercitato dalla BCE, unitamente al potere gestionale delle Commissioni che decidono il bello ed il cattivo tempo, mentre il parlamento europeo è un semplice organo notarile di conferma delle norme decise dalle Commissioni e dalla BCE.

Ma cerchiamo di andare per gradi e analizziamo la situazione italiana…

L’Italia arranca. La crisi sociale ed economica è causa di incertezza sul futuro, le soluzioni governative sono “demenziali” e l’opposizione non ha migliori idee. Ad esempio con la riforma del lavoro è aumentata la precarietà, un giovane su cinque non ci prova nemmeno a cercare lavoro… e gli altri 4 comunque non lo trovano, se non sottopagati ad ore, in squallidi callcenter o come attendenti dei potenti.

Possibile che dobbiamo dichiarare forfait senza nemmeno tentare di salvare la società umana dalle bassezze e stupidità in cui è precipitata? Possibile dunque che dobbiamo rassegnarci a diventare topi o scarafaggi sperando che in quella forma l’intelligenza trovi maggiori possibilità di sviluppo?

Allora in difesa della specie umana compiamo uno sforzo, partendo dalla consapevolezza personale di ognuno ed è giusto che ognuno operi nel proprio ambito e nella propria comunità (dice bene il proverbio “ognuno per sé e Dio per tutti), infatti se ognuno risolve i problemi interni del proprio Paese non serviranno più banchieri e finanzieri internazionali né gendarmi del mondo che vengano a “salvarci” (a spese nostre).

Perciò vediamo quali potrebbero essere le soluzioni.

Mai, come in questo momento si può constatare, senza ombra di smentita, che l’Italia sta trasformandosi in una repubblica fondata sul “capitalismo selvaggio”. Poche famiglie e loro gestori, sono in possesso del 50% del patrimonio nazionale e costoro sono sostenuti dal consenso elettorale di servitorelli rappresentanti circa il 30% dell’elettorato (trattasi di tutti coloro che vivono nel e del sistema).

Questo capitalismo selvaggio sta cancellando la definizione costituzionale di repubblica democratica fondata sul lavoro. Ed è incontestabile che quasi tutti i politici ed i parlamentari nostrani, nominati ma non eletti, di destra e di sinistra, non intendono farsi rottamare e quindi rinunciare ad una poltrona di scandalosi privilegi finanziati dal 70% di contribuenti/consumatori/elettori/lavoratori che ne pagano le spese (e che oggi apprendiamo dovranno lavorare sino a tarda età, perché -dicono all’Istat- la durata della vita si è allungata… ma evidentemente non vengono considerati i suicidi e le morti per cancro).

Dunque, ultima ratio, se quel 70% di cittadini, indipendentemente dalla posizione politica o ruolo rivestito nella società, intende risolvere i propri problemi, non si faccia più plagiare dal 30% di succhiatori di sangue e, attraverso la disubbidienza civile ed il rifiuto dell’oppressione burocratica, si auto-organizzi in una forza laica per la riconversione ecologica di tutta l’economia e tecnologia.

Il governo deve essere composto da rappresentanti del popolo tecnicamente qualificati che si impegnino a lavorare gratuitamente per il Paese.

Qualcuno potrebbe chiedersi: “Come potrà avviarsi questo progetto di riconversione sociale? Chi inizierà questo processo?”.

Una sola riposta è possibile: “Occorre sviluppare una capacità di determinazione, o intento, che possa influire sulla psiche collettiva fino al punto che spontaneamente il processo prende l’avvio da sé…”

Paolo D’Arpini - Rete Bioregionale Italiana


P.S. Consiglio la lettura di Post Utopie:
https://www.vorrei.org/persone/11050-post-utopie-la-spiritualita-laica-il-bioregionalismo-e-l-ecologia-profonda.html

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Commento ricevuto da Ida Rosalba Di Biase L’articolo, interessante , termina così:”occorre sviluppare una capacità di determinazione , o intento, che possa influire sulla PSICHE COLLETTIVA fino al punto che spontaneamente anche il processo prenda l’avvio da sé …”
L’autore, però, forse non sa che, lINGEGNERIA del CONSENSO ha potentissimi mezzi di PERSUASIONE della PSICHE COLLETTIVA! Per esempio il DOMINIO delle frequenze RADIO- TELEVISIVE ad esso prostituite e che esercitano un grande potere di CONVINCIMENTO sulla collettività, i cui membri sono essenzialmente video-dipendenti! È sull”HOMO VIDENS” , bellissimo saggio scritto da Giovanni Sartori nel 1997, che si dovrebbe operare per ILLUMINARE le COSCIENZE! Occorrerebbe una RIFORMA RADICALE del sistema radio-televisivo! Ma, i POTERI FORTI che lo utilizzano, non se la sognano minimamente di farla. Per ovvie ragioni!”

Mia rispostina: “Ma tu come fai ad essere certa che la spinta sottile evolutiva non possa influire sulla psiche collettiva in mancanza di mezzi di controllo “materiali” esterni? La psiche è materia estremamente sottile non grossolana. Mezzi grossolani possono influenzare solo la sua superficie e solo su quelle forme già predisposte ad essere influenzate. La coscienza collettiva si muove come una locomotiva: un passo avanti uno indietro ed un altro avanti. E’ una sorta di rincorsa prima del salto Forse dovresti leggerti questo breve articolo sulla Teoria degli pseudopodi: https://circolovegetarianotreia.wordpress.com/2014/09/05/successo-non-significa-riuscita-la-teoria-degli-pseudopodi-e-del-corpo-massa-nel-riciclaggio-della-memoria/