La nuova dottrina, ce lo sottolineano tutti i media main-stream, abbassa significativamente la soglia delle condizioni che consentirebbero a Putin di ricorrere all'arsenale nucleare, ampliando le circostanze in cui le armi nucleari potrebbero essere utilizzate. Ma tutto sommato non di molto, come vedremo in dettaglio più avanti. La novità, insomma, non è tanto nuova, è una novità molto relativa.
Questo cambiamento è stato annunciato ora, in una logica geopolitica e strategica, per inviare un messaggio chiaro ai potenziali avversari e per rafforzare la deterrenza nucleare della Russia in un momento di alta tensione internazionale.
La nuova dottrina nucleare russa, in barba come le vecchie al no first use dell'arma "atomica", permette l'uso delle armi nucleari non solo in risposta a un attacco nucleare, ma anche a minacce convenzionali che compromettano gravemente la sovranità o l'integrità territoriale della Russia. Inoltre, ed è questo il punto più attenzionato, "qualsiasi attacco convenzionale da parte di un Paese non nucleare, sostenuto da una potenza nucleare, sarà considerato una minaccia diretta".
Su Repubblica del 20 marzo Rosalba Castelletti riassume così il testo nell'articolo dal titolo: "Possiamo colpire Kiev e i suoi alleati".
Nella sua ricostruzione, il testo ribadisce che il ricorso alle armi nucleari è previsto come gesto estremo e ultima risorsa, ma si abbassa la soglia di impiego: "Non più la minaccia all'esistenza stessa dello Stato, prevista nel precedente documento del 2020, ma un attacco con armi convenzionali, come droni e missili, che costituisca una minaccia critica alla sovranità e integrità territoriale della Russia e dell'alleata Bielorussia. D'ora in poi, inoltre, l'aggressione di qualsiasi Stato non dotato di atomiche, come l'Ucraina, ma con la partecipazione e il sostegno di una potenza nucleare, come gli Stati Uniti, potrà essere considerata come un'aggressione congiunta e qualsiasi attacco da parte di uno Stato membro di una coalizione militare potrà essere visto come un attacco da parte dell'intero blocco."
Questo ampliamento delle condizioni per l'uso delle armi nucleari è, come abbiamo accennato, una risposta diretta agli sviluppi recenti nel conflitto in Ucraina, dove l'uso di missili ATACMS da parte delle forze ucraine ha rappresentato una nuova modalità di attacco all'esercito russo sul territorio della Russia. Quindi abbiamo precisamente l'attacco convenzionale sul territorio russo da parte di un Paese non nucleare (l'Ucraina), sostenuto da un Paese non nucleare (gli USA), che è da considerare una minaccia diretta. Che chiama in causa l'intero blocco militare di cui fa parte.
Specifica la Castelletti: "Il riferimento alla NATO è chiaro. E la risposta potrà essere diretta anche contro Stati e territori che mettano a disposizione il territorio, lo spazio aereo o marino, e le risorse sotto il loro controllo per la preparazione e l'attuazione delle aggressioni".
Sempre su Repubblica del 20 novembre, il retroscena di Paolo Mastrolilli nell'articolo intitolato: "Lo zar è un irresponsabile. Biden non cambia linea in attesa di lasciare l'incarico ", ricorda che la decisione di Biden sugli ATAMCS è stata motivata dalla necessità di rispondere allo schieramento dei militari nordcoreani nella guerra ucraina, anch'essa una mossa escalatoria.
Repubblica ha interrogato la Casa Bianca ottenendone da un portavoce la risposta che, dopo la pubblicazione della nuova dottrina nucleare russa, "non avendo osservato alcun cambiamento nella postura nucleare della Russia, non abbiamo visto alcun motivo per modificare la nostra postura o dottrina nucleare".
Entra in gioco, dentro questo schema della posizione russa, quella che si chiama deterrenza preventiva. La Russia potrebbe utilizzare test o dimostrazioni di forza nucleare come strumento preventivo per scoraggiare ulteriori azioni aggressive da parte di altri stati. Questo è particolarmente rilevante in un contesto di crescente tensione con la NATO e gli Stati Uniti.
Si persegue, con questa scelta, all'interno della logica della potenza, un rafforzamento della sicurezza strategica. La Russia percepisce le azioni militari e le tecnologie avanzate dei suoi avversari come minacce dirette alla sua sicurezza e risponde di conseguenza, nel momento in cui le tensioni internazionali vanno crescendo.
La decisione degli Stati Uniti di autorizzare l'uso di missili ATACMS da parte dell'Ucraina ha spinto il Cremlino a ridefinire la propria strategia difensiva. Putin in persona lo ha precisato chiaro e tondo: la Russia considera queste azioni come provocazioni che giustificherebbero, teoricamente, persino una risposta nucleare.
Però è da calcolare, per la retorica adottata, il particolare periodo dell'interregno tra Biden e Trump. La citata Castelletti fa parlare la politologa Tatiana Stanojava, a capo del think thank R.Politik: "Putin potrebbe cercare di presentare all'Occidente due scelte nette: "Volete una guerra nucleare? L'avrete, oppure "Mettiamo fine a questa guerra alle mie condizioni".
A questo punto, dal nostro punto di vista di uomini comuni, e non di addetti ai lavori strategici, la domanda che ci facciamo e che conta è una sola: davvero la Russia userebbe bombe atomiche, sia pur tattiche, in Ucraina? A leggere i Soloni geopolitici intervistati sulla stampa le minacce di Putin andrebbero trattate come un semplice bluff. È quanto sentiamo da parte dei governanti ucraini, che strillano contro il paventato disimpegno dell'Occidente. E, con loro, da molti politici europei, dalla Polonia, al Baltico alla Gran Bretagna. La Polonia ha cominciato a costruire bunker antiatomici e ad offrire agli USA la disponibilità a ospitare armamenti nucleari. La Svezia, pragmaticamente (si fa per dire), ha distribuito a cinque milioni di famiglie opuscoli con le istruzioni in caso di attacco atomico.
Il Manifesto, nella prima pagina di oggi, 20 novembre, propone un editoriale di Tommaso di Francesco dal titolo "Minaccia atomica. Non è un bluff. La ritorsione ora è possibile", e un richiamo all'Europa che spinge sugli armamenti. "A Varsavia 5 Paesi UE (Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna) e il Regno Unito si sono pronunciati per la prima volta a favore di obbligazioni europee per finanziare l'industria militare. E a Bruxelles il segretario NATO Mark Rutte rilancia l'esigenza di spendere in armi ben oltre il 2 per cento del prodotto interno lordo".
Anche da parte pacifista però si fanno spesso spallucce, si propende per il bluff, appoggiandosi sulla considerazione che l'uso della tattica non servirebbe a Putin dal momento che starebbe vincendo la guerra sul campo.
Però qui non si parla di un videogioco. Le percentuali da attribuire al bluff per Putin mettiamo che siano al 99%. Ma dell'1% che resta in ballo che ne facciamo? La domanda non prevede risposte certe ma solo dubbi che provocano brividi nella schiena. Dubbi che è bene che la gente si ponga proprio quando una ricerca Gallup certifica che, per la prima volta dal 2022, la maggioranza degli ucraini (52%) chiede l'avvio di un negoziato di pace. Ora, se il leader russo, con le sue intimidazioni, specula su questa situazione di stanchezza e paura dell'opinione pubblica (a nostro parere pienamente giustificate), questa nostra consapevolezza non cancella le incognite e i pericoli che un proseguimento della guerra potrebbe comportare.
La parola "escalation" è quella che emerge continuamente e incontenibilmente, ovvero: quella cosa che tutti gli attori del conflitto dicono di voler evitare anche se, per tutti questi mille giorni, le cosiddette linee rosse si sono spostate sempre più avanti. Il ragionamento riguarda gli aiuti militari all'Ucraina (consistenti ma pieni di condizioni e restrizioni) ed ha anche un legame con una certa frustrazione per i risultati sul campo e l'esito poco significativo delle sanzioni anti-russe. Il Cremlino, al contrario, di limiti, a quanto ci dicono, se n'è dati un po' meno e ha cominciato assai presto a sbandierare lo spettro dell'arma nucleare fino, appunto, a cambiarne platealmente la dottrina d'impiego.
Escalation: botte e risposte reciproche in crescendo che si sa quando cominciano ma non si sa come possono andare a finire. Soprattutto se il monitoraggio dei dati e della situazione sul campo può essere soggetto ad errori di rilevamento e di interpretazione. Questi errori, in sintesi, possono derivare da vari fattori, che qui elenchiamo schematicamente:
- I sistemi di rilevamento utilizzano tecnologie avanzate come radar, satelliti e sensori sottomarini. Tuttavia, questi strumenti possono essere influenzati da condizioni atmosferiche, interferenze elettroniche o malfunzionamenti tecnici, portando a falsi allarmi o mancati rilevamenti.
- Anche quando i dati vengono raccolti correttamente, l'interpretazione può essere complessa. Gli analisti devono distinguere tra attività normali e potenziali minacce, il che può essere difficile in situazioni di alta tensione. Errori di interpretazione possono portare a decisioni sbagliate, come l'innesco di una risposta nucleare non necessaria.
- La comunicazione tra diverse agenzie e paesi è cruciale per il monitoraggio efficace. Errori di comunicazione o mancanza di coordinamento possono causare ritardi nella risposta o interpretazioni errate delle intenzioni dell'avversario.
- Gli esseri umani sono soggetti a errori, specialmente sotto stress. Decisioni prese in situazioni di emergenza possono essere influenzate da bias cognitivi, stress o mancanza di informazioni complete. Il fattore umano ha però operato in modo positivo nel caso del colonnello sovietico Stanislav Petrov, che nel 1983 salvò il mondo da una possibile guerra nucleare e che per questo viene celebrato il 26 settembre con la giornata ONU contro le armi nucleari.
La stampa, anche quella pacifista, tende però a rassicurare e a minimizzare un po' troppo. Parla più di fumo che di arrosto, più di strategia comunicativa che di nuove minacce reali. Un esempio di questo atteggiamento ce lo dà il Fatto Quotidiano, con l'intervista, pubblicata oggi, 20 novembre 2024, di Gianni Rosini a Mariana Budjeryn, ricercatrice senior del Project on Managing the Atom (MTA) al Belfer Center della Harvard Kennedy School.
Il titolo del pezzo è, appunto: "Putin modifica la dottrina nucleare russa", l'esperta: "C'è tanta strategia comunicativa, i cambiamenti sono minimi e interpretabili".
Domanda del giornalista: "Che cosa cambia veramente nella dottrina nucleare russa dopo questa dichiarazione?"
Ecco la risposta, per alcuni aspetti eccessivamente rassicurante:
"(Rispetto alla precedente formula dottrinaria) si aumenta il numero dei casi in cui si può ricorrere al nucleare. (…) La Russia ha aggiunto una nuova possibilità di utilizzo dell'arma nucleare rispetto al passato. Nella precedente versione le circostanze erano quattro, adesso ne hanno aggiunta un'altra. E si tratta dell'ottenimento di informazioni credibili su un attacco di massa o massicci raid aerei, includendo aviazione strategica e tattica, missili da crociera, veicoli aerei senza pilota, quindi droni, aerei ipersonici e altri tipi di aerei. Ma questo è qualcosa che Putin ci aveva anticipato già a settembre. Magari, vista la situazione attuale, la domanda che dobbiamo porci è quali debbano essere considerati confini russi".
E ancora: "Fondamentalmente dà a Putin, quindi alla leadership politica militare russa, un ampio spazio di interpretazione su quando può ricorrere all'autorizzazione sull'uso nucleare. Quindi cercare di essere molto legati al significato stretto delle parole probabilmente non è nemmeno utile perché sappiamo che i russi potrebbero interpretarle nel modo che gli conviene, se decidono di agire. Quindi c'è uno spazio di manovra e di interpretazione più ampio per la leadership russa. Un altro punto è che una dottrina nucleare non è un algoritmo per l'uso del nucleare. Non sarebbe giusto dire che è un documento di propaganda, ma una comunicazione agli avversari e al pubblico interno. Non è che Putin resterà seduto con questa dottrina spuntando caselle relative alle singole condizioni soddisfatte o meno. Non significa che, anche se tutte queste condizioni vengano soddisfatte, si arrivi a una risposta automatica".
Il Giornalista: Dovremmo considerarla una sorta di linee guida?
Risposta: "Sì, si tratta di linee guida, ma senza un vero automatismo per autorizzare una risposta nucleare nonostante alcune di queste condizioni possano essere soddisfatte. Ripensiamo all'ottobre 2022, quando il rischio dell'uso nucleare della Russia in Ucraina era piuttosto alto: sappiamo che la l'intelligence statunitense ha stimato quel rischio in quel momento al 50%. Putin le avrebbe usate in una situazione sfavorevole per la Russia, per fermare l'avanzata ucraina a Kharkiv e nella regione di Kherson durante la controffensiva. Ma questo non avrebbe rispettato alcuna delle condizioni di cui abbiamo parlato e il fatto che non le abbiano usate ci dimostra che i russi tengono queste condizioni ancora in considerazione. Penso che la Russia stia davvero cercando di comunicare con l'Occidente e di bloccare certe decisioni più di ogni altra cosa".
Per l'esperta lo scenario plausibile di impiego da parte russa dell'arma atomica tattica è solo il seguente:
"Se la Russia si ritirasse proprio come nell'ottobre del 2022, con le truppe russe sbaragliate, per fermare questi progressi Mosca potrebbe usare un'arma nucleare. Questo è uno scenario plausibile. Ma proprio le difficoltà di ottobre e novembre 2022 ci mostrano anche quali siano alcuni dei fattori che potrebbero impedire alla Russia di farlo. Ha considerato l'uso del nucleare e poi ha deciso di non farlo, perché? Quello che sappiamo è che si è trattato di una combinazione di cose. Una di queste è stata una comunicazione molto chiara da parte degli Stati Uniti, con il direttore della Cia Bill Burns che si è recato a Istanbul e ha parlato con la sua controparte, Naryshkin, dicendo sostanzialmente che ci sarebbe stata una risposta convenzionale Usa-Nato contro obiettivi militari russi sul territorio ucraino, inclusa la Crimea, se la Russia avesse fatto uso del nucleare in Ucraina. Quella era una minaccia deterrente. In aggiunta a ciò, la Cina è intervenuta e ha comunicato in privato, ma anche pubblicamente, che non sosterrebbe l'uso dell'arma nucleare da parte della Russia. Anche il primo ministro indiano Modi ha rivolto lo stesso appello alla Russia. Inoltre, ci sono anche degli svantaggi piuttosto significativi nell'usare un'arma nucleare tattica direttamente sul campo di battaglia perché inquina e complica la situazione delle truppe sul terreno. Condurre operazioni militari in un teatro colpito dall'uso nucleare è molto difficile, nessun esercito è addestrato per questo. Quindi la combinazione di questi fattori ha funzionato per impedire alla Russia di usare un'arma nucleare durante un ritiro".
L'errore di rilevamento e di valutazione in un contesto di escalation: ecco ciò che si tende colpevolmente a sottovalutare, anche da parte pacifista. E per capire che chi propone l'argomento non fa dell'allarmismo da quattro soldi più che dei ragionamenti astratti è utile proporre la conoscenza di fatti che sono effettivamente accaduti e che sono lì ad ammonirci sui pericoli che realmente corriamo.
Il 26 settembre è la giornata ONU contro le armi nucleari. Oggi, rispetto al periodo della guerra fredda, in cui avvenne l'episodio in cui il colonnello sovietico Stanislav Petrov rimediò a un falso allarme nucleare contro la capitale Mosca, evitando una guerra nucleare per errore, questo rischio tende ad aggravarsi sia per il caos geopolitico (si pensi alle guerre sul territorio ucraino e in Medio Oriente), sia per i progressi tecnologici male indirizzati (miniaturizzazione delle armi, velocità ipersonica, intelligenza artificiale). Quella notte trovammo "un uomo giusto, al posto giusto, al momento giusto".
Stanislav Petrov riuscì a capire che le tracce di missili americani in avvicinamento apparse sui computer del centro di avvistamento vicino Mosca, che comandava, erano in realtà un falso allarme da parte dei satelliti di rilevamento (onde elettromagnetiche del sole riflesse dalle nuvole, abbiamo saputo poi); non avvisò allora i superiori evitando che si innescasse il meccanismo della risposta nucleare.
Consigliamo a tutti la visione del film di Peter Anthony, The man who saved the world, sulla vicenda del colonnello sovietico e sulla crisi del 26 settembre 1983, su You tube alla URL: https://www.youtube.com/watch?v=8TNdihbV5go.
Citiamo la petizione (https://www.petizioni24.com/ricordiamo_petrov_no_rischio_nucleare ) con la quale abbiamo proposto e proponiamo alle attiviste e agli attivisti pacifisti italiani di darsi da fare perché siano intitolate vie o piazze all'obiettore russo (obiettore dell'intelligenza!) per sensibilizzare sul crescente rischio nucleare.
Un terreno di opposizione disarmista che si è aperto, con possibili implicazioni antinucleari, riguarda la decisione di installare in Germania nel 2026 missili a raggio intermedio (da 500 a 5.500 km), che è anche frutto della disdetta del Trattato INF (Forze nucleari intermedie), dichiarata, nel 2019, dall'allora presidente USA Donald Trump.
A Berlino, il 3 ottobre 2024, si è svolta una grande mobilitazione nazionale del movimento pacifista tedesco. Su questo punto dei cosiddetti EUROMISSILI l'esperienza "storica" del Cruisewatching a Comiso (oggi sede della Pagoda per la Pace) e in Europa, sviluppatasi dal 1984 al 1987, dà l'indicazione di non mollare mai, fino al possibile, riconosciuto, successo (allora costituito dalla firma del Trattato da parte di Gorbaciov e Reagan).
Ma il filone principale dell'impegno antinucleare riguarda la campagna ICAN (Campagna Internazionale per l'Abolizione delle Armi Nucleari), premio Nobel per la pace 2017.
Sul sito ufficiale icanw.org della campagna è riportata la notizia che 73 Stati hanno già ratificato il Trattato di proibizione delle armi nucleari.
In Italia le forze aderenti ad ICAN lavorano per coinvolgere gli Enti Locali nell'ICAN PLEGDE (100 città, tra le quali la capitale Roma, grazie in particolare a WILPF Italia), cui attualmente aderiscono circa 30 parlamentari, nella modalità per essi predisposta.
A New York si terrà nel marzo 2025 la terza riunione degli Stati parte del Trattato e i Disarmisti esigenti hanno da presentare per l'occasione un working paper che intende mettere in relazione la Campagna ICAN con la Campagna No First Use.
Il working paper propone che, per l'obiettivo del disarmo nucleare effettivo, tutti i 9 paesi che possiedono armi nucleari (insieme ai loro alleati) dovrebbero sedersi allo stesso tavolo delle trattative, con l'ONU nel ruolo di mediatrice riconosciuta, avendo compreso che il possesso di armi nucleari costituisce un rischio inaccettabile, in primo luogo per loro stessi.
Il pericolo concreto di una possibile "guerra nucleare per errore" andrebbe messo in cima alle ragionevoli preoccupazioni di chiunque abbia a cuore la sopravvivenza della specie umana sulla Terra. Se da un lato spetterebbe a questi Stati dotati di armi nucleari prendere questa iniziativa, spetta anche a noi, società civile, aiutarli a raggiungere tale consapevolezza anche mediante una "esigente" pressione dal basso. Di conseguenza dovremmo concentrarci principalmente sui fattori di rischio per convincere gli Stati dotati di armi nucleari a decidere un disarmo nucleare globale. Quindi, l'adesione universale al TPNW, il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, non dovrebbe più incontrare ostacoli. Come contributo a questo approccio, proponiamo di lavorare per armonizzare e integrare la Campagna ICAN con la Campagna No First Use (NFU) perché riteniamo importante schiudere ammorbidimenti e contraddizioni nel fronte nuclearista, già non del tutto monolitico. Sarebbe apprezzabile che l'adozione ufficiale di dottrine sulla deterrenza che escludano un primo colpo nucleare in qualsiasi circostanza sia accompagnato da misure, sotto controllo IAEA, che rendano più difficile la guerra nucleare per errore, come la deallertizzazione delle testate e la separazione delle stesse dai vettori. Il TPNW già, all'articolo 4, prevede un periodo di conversione e una certa flessibilità nelle forme di adesione da parte degli Stati dotati di armi nucleari e degli Stati che ospitano armi nucleari controllate da un altro Stato. Entro la prossima conferenza di revisione, fissata nel 2027, possiamo stabilire una categoria riconosciuta formalmente di Stati "collaboratori", "fiancheggiatori" (o altro termine similare) del Trattato. Sarebbero Stati non aderenti a pieno titolo ma orientati positivamente verso il percorso della proibizione giuridica, valutato quale strumento utile e opportuno, compatibile con le istanze di sicurezza globale, per giungere a un mondo senza armi nucleari.
A cura di Alfonso Navarra, coordinatore dei Disarmisti Esigenti