giovedì 31 dicembre 2020

Val di Sieve. Ex-Italcementi, basta con i centri commerciali, salviamo l’economia del territorio

 


Un ennesimo tentativo di utilizzare il suolo di un'area degradata per farne centri commerciali e svuotare in questo modo il tessuto esistente, che ancora resiste, di piccoli comuni come Pelago e Pontassieve (e con effetto domino, anche altri situati nel territorio della Val di Sieve, in provincia di Firenze).

Vorremmo che questi luoghi potessero essere recuperati per farci altro: centro di recupero e riuso, musei diffusi, succursali universitarie (magari inerenti l'agricoltura), centri aggregativi pubblici, biblioteche, centri sportivi, ecc.

Ma l'unica cosa che sembra smuovere i capitali è il commercio!

Possibile che non ci possa essere un'altro visione per questi luoghi carichi di storia (l'area ex cementificio non è la sola in questi comuni), sacrifici per il territorio (perchè hanno inquinato), che hanno dato tanto lavoro nei tempi d'oro.....e che ora servino solo per farne grandi centri commerciali?

Secondo noi occorre in primis un percorso con la cittadinanza, anche questo saltato non per il Covid, ma bensì per tattiche burocratiche per cui entro oggi (29 Dicembre) sono convocati i consigli comunali di Pontassieve (dalle 15) e Pelago (dalle 21) per approvare i documenti del Piano Operativo Associato, in modo da poter poi effettuare varianti anticipatorie (propedeutiche a convincere gli acquirenti che si cambierà sicuramente destinazione d'uso dell'area) e in attesa dell'approvazione sia del Piano Strutturale intercomunale (in fase di VAS), che del PO.
Grazie a chi vorrà darci una mano con le firme.

Catia Pratesi 


Ass. Valdisieve e Valdisieve in Transizione



AIUTATECI A DIVULGARE LA PETIZIONE CHE TROVATE A QUESTO LINK

https://www.change.org/p/comune-di-pelago-ex-italcementi-basta-con-i-centri-commerciali-salviamo-l-economia-del-territorio?utm_source=share_petition&utm_medium=custom_url&recruited_by_id=c02ce390-45d5-11eb-87c9-6bf91892428e

La situazione attuale con la crisi sanitaria ed ecologica in atto ci spinge a ripensare ad un modello di sviluppo che favorisca gli esercizi locali, a minore impatto ambientale e resilienti per le comunità. È chiaro a tutti come la creazione di moltissimi centri commerciali in tutta Europa abbia progressivamente svuotato i centri cittadini, impedendo la sopravvivenza delle economie locali e favorendo invece lo sviluppo di un modello incentrato sul guadagno di pochi e lo sfruttamento di molti.

Ci sono però dei luoghi che ancora resistono, dove la variegata presenza di piccoli esercizi rende la vita migliore e dà lavoro a molte persone, distribuendo la ricchezza senza portare risorse preziose nelle mani di grandi aziende che il più delle volte risiedono dall’altra parte del mondo.

Nell’Unione dei Comuni della Valdisieve, in provincia di Firenze, è in corso di definizione il nuovo Piano Strutturale Intercomunale, uno strumento nuovo che si pone l’obiettivo di tutelare il territorio da uno sfruttamento selvaggio ed insensato salvando questi luoghi caratterizzati da una varietà paesaggistica unica. Ma il tentativo di fare delle operazioni meno sostenibili, prima che venga approvato e che entri in vigore, è visibilmente molto forte.

Nel comune di Pelago, sul territorio limitrofo al centro di Pontassieve, dopo la realizzazione di un centro logistico di 14.000 mq sul fianco di una collina, si stanno facendo delle operazioni che sembrano portare verso la futura costruzione di un nuovo quanto inutile centro commerciale nell’area dell’ex-cementificio Italcementi. La nascita di questa struttura, di dimensioni spropositate rispetto al bacino di utenza, spazzerebbe via l’economia locale dei due paesi, costringendo molti esercizi a chiudere i battenti, lasciando il deserto dove oggi resistono molte attività indipendenti e storiche, già pesantemente danneggiate dalla presenza degli attuali supermercati storici.

Non si tratta solo dei commercianti, ma di tutti i cittadini che vedrebbero il loro territorio svuotato di quei pochi segni di vita che ancora resistono. Le previste compensazioni atte a sanare il sacrificio del territorio non sono sufficienti né adeguate: non ci si deve dimenticare infatti che lo spazio dell’ex cementificio, ha segnato profondamente i nostri luoghi e la nostra storia negli ultimi cento anni, dando sì lavoro e occupazione, ma anche portandosi via vite, sfruttando e inquinando irreparabilmente il territorio.

Riteniamo quindi sia meglio destinarlo ad opere di utilità sociale, culturali, che possano rilanciare l’economia invece che distruggerla: biblioteche, cinema e teatro, spazi per gli artigiani, un centro di riuso e, perché no, un distaccamento di una facoltà universitaria che possa riportare i giovani a conoscere questa meravigliosa parte della Toscana. Questi sono, ovviamente, solo degli esempi; sarebbe necessario iniziare un percorso condiviso per capire, insieme a tutta la popolazione, come utilizzare questa che è una enorme ricchezza, in modo che divenga il centro di un vero, duraturo e sostenibile sviluppo per la Valdisieve.

È importante bloccare questi progetti dannosi, imposti dall'alto e contrari ai principi dello sviluppo sostenibile. Non è solo una lotta locale, ma riguarda tutti. Siamo chiamati a proteggere i territori nella loro diversità, una ricchezza che permea la vita stessa delle persone, salvandoci da un’omologazione economica e disastri ecologici che mettono a rischio la nostra vita ed il futuro dei nostri figli.

Petizione Promossa da 




  Associazione ValdiSieve
Loc. Selvapiana, 45 
50068 - Rufina (Firenze) Italy 
Tel.055 8369848 - Fax 055 8316840 
vieni a trovarci su facebook http://www.facebook.com/assovaldisieve?ref=profile 


mercoledì 30 dicembre 2020

Pandemia continua! Tenere alto il panico è il vero scopo...



Perché questa campagna di terrore, ci sarebbe da chiedersi? Perché, nel bel mezzo di una vera e propria pandemia, si dovrebbe incessantemente ricordare alla gente che la morte la segue passo a passo? Che da un momento all’altro il Virus, diffuso dappertutto da qualche super-spargitore passato fugacemente per la strada, potrebbe insinuarsi nel suo corpo – o, peggio ancora, che noi stessi, infetti ma non colpiti, potremmo silenziosamente contaminare una persona cara?

La risposta rapida è che non lo farebbero mai. In una vera pandemia, queste continue percosse mentali sarebbero superflue. Se fuori dalla mia porta infuriasse la peste nera, il governo saprebbe benissimo che non dovrebbe sborsare neanche un centesimo per convincermi a rimanere in casa; probabilmente dovrebbero pagarmi per farmi uscire.

Eppure, questo governo ha comprato la totalità dei media, spendendo milioni, con l’unico scopo, a quanto pare, di martellarci tutti con messaggi di imminente sventura. Invece di calmare le nostre paure con fatti e argomentazioni razionali, hanno ritenuto opportuno inondare l’etere con slogan appositamente studiati per tenere alto il panico, con bugiardi appelli alle emozioni, con dati pretestuosi sui decessi, camuffando intenzionalmente la differenza tra casi e infezioni, utilizzando un test PCR criminalmente inaffidabile e con grafici e modelli informatici (spazzatura in entrata, spazzatura in uscita) accuratamente selezionati per enfatizzare le peggiori eventualità possibili.  (Gillian Dymond)




Articolo completo: 

https://comedonchisciotte.org/perche-questa-campagna-di-terrore/



martedì 29 dicembre 2020

Conseguenze sull'ambiente della pandemia Covid



La pandemia Covid in atto e le conseguenti restrizioni stabilite per contrastare la diffusione della malattia hanno fornito alcuni impatti positivi a breve termine sull'ambiente europeo.

Abbiamo già affrontato l’aspetto relativo all’inquinamento atmosferico, vedendo come dall’inizio della pandemia si siano potuti apprezzare miglioramenti temporanei della qualità dell'aria. 

Ma questa emergenza sta mostrando chiari segni negativi su altri aspetti, ad esempio il maggior consumo di imballaggi e prodotti in plastica monouso, come risultato delle misure di blocco nella maggior parte dell'Europa, insieme a severi requisiti di igiene. La pandemia ha infatti portato ad un improvviso aumento della domanda globale di dispositivi di protezione individuale; all’inizio dell’emergenza l'Organizzazione mondiale della sanità aveva stimato, ogni mese, la necessità di 89 milioni di mascherine mediche a livello globale, insieme a 76 milioni di guanti da visita e 1,6 milioni di set di occhiali. 



Quanto alle abitudini di consumo della popolazione, poiché la maggior parte dei ristoranti è stata chiusa per la ristorazione in loco, molti sono passati a offrire servizi di asporto e consegna utilizzando contenitori di plastica monouso. Diversi grandi rivenditori di caffè hanno smesso di consentire ai clienti di portare contenitori riutilizzabili, utilizzando tazze usa e getta al loro posto. Nel frattempo, i punti vendita online hanno registrato un'impennata della domanda, con molti prodotti confezionati in plastica monouso.



Sebbene i prodotti in plastica usa e getta abbiano svolto un ruolo importante nella prevenzione della diffusione della malattia, a breve termine, l'aumento della domanda di questi articoli potrebbe frenare gli sforzi fatti dall’UE per combattere l'inquinamento da plastica e passare ad un sistema di plastica più sostenibile e circolare. Su questo versante ricordiamo l’appello che a livello regionale hanno fatto nel mese di giugno 2020 Legambiente e Unicoop Firenze, denunciando il pericolo di un uso strabordante di plastica usa e getta e ricordando a tutti di non perdere le buone abitudini acquisite prima della pandemia. 

Ci sono però anche altri fattori legati all'emergenza in atto che impattano su questo aspetto: la riduzione dell'attività economica ha visto un forte calo dei prezzi globali del petrolio e ciò ha reso significativamente più economico produrre articoli in plastica da materiali vergini di origine fossile piuttosto che utilizzare materiali plastici riciclati. La minore domanda di mercato per la plastica riciclata ha anche complicato gli sforzi di molte amministrazioni europee per la gestione delle loro pratiche di smaltimento, dovendo optare per metodi di smaltimento dei rifiuti meno sostenibili a causa delle quantità significative di rifiuti di plastica.

Al di là di questi impatti specifici, la pandemia sta evidenziando, ancora una volta, la natura interconnessa dei nostri sistemi, economici, sociali, ambientali.



Gli studi indicano Covid-19 come una malattia passata dagli animali all'uomo e la comparsa di tali patogeni zoonotici è collegata al degrado ambientale e alla correlata interazione umana con gli animali nel sistema alimentare. Circa il 60% delle malattie infettive umane sono infatti di origine animale e tre quarti delle malattie infettive nuove ed emergenti sono trasmesse all'uomo dagli animali.

Nuovi virus sono emersi da sistemi intensivi di allevamento di bestiame domestico e più del 50% delle malattie infettive zoonotiche emerse dal 1940 sono state associate a misure per intensificare l'agricoltura.

Il periodo di blocco ci ha dato poi un assaggio di come le specie animali e vegetali reagiscono a un minore disturbo umano, sia in contesti rurali che urbani. Durante il blocco a livello europeo, un minor disturbo nelle aree urbane e remote (meno turismo ricreativo) ha offerto agli ecosistemi e agli habitat la possibilità di riprendersi e ha fornito nuovi spazi e nicchie da occupare per le specie. Una nuova ricerca sta esaminando il modo in cui le aree naturali urbane aumentano la resilienza delle città, mantenendo il benessere delle popolazioni urbane e consentendo anche il distanziamento sociale. Mantenere o espandere lo spazio per la natura nelle città dovrebbe diventare sempre più parte dell'agenda della sostenibilità.

Da tutto ciò emerge l'urgente necessità di affrontare le sfide ambientali, per proteggere non solo l'ambiente, ma anche la salute e il benessere della nostra società. La gestione di questa emergenza è senza dubbio un’occasione importante da cui imparare, anche per orientare le nostre scelte per il futuro.

Per approfondimenti leggi il Briefing dell’Agenzia europea per l’ambiente COVID-19 and Europe’s environment: impacts of a global pandemic



(Fonte: Arpat) 

lunedì 28 dicembre 2020

"Animalia" di Alberto Giovanni Biuso. Evoluzionismo, etologia, ecologia, genetica, ermeneutica...



Evoluzionismo, etologia, ecologia, genetica, ermeneutica. Questi e altri ambiti fondano il discorso che Alberto Giovanni Biuso conduce in "Animalia" (Villaggio Maori Edizioni *), pervenendo alla tesi che tra le forme d’esistenza del pianeta intercorre sempre un rapporto orizzontale. Tutte le forme sono identiche nella comune condizione di viventi e tutte differiscono l’una dall’altra sviluppando a modo proprio ciò che è comune. Le gerarchie di valore tra gli enti non hanno dunque ragion d’essere.

Restringendo il campo al regno animale, Biuso mostra come l’umano comprenda davvero se stesso «soltanto a condizione di conoscere le radici biologiche dei comportamenti individuali e collettivi», ovvero la struttura unitaria, la «naturacultura» che lo distingue ma anche lo congiunge e apparenta agli altri animali. Questa struttura infatti, come «soggettività corporea e desiderante», «non necessariamente coscienzialistica» e fatta di senso del tempo, è presente in tutto il regno animale.

Da qui l’urgenza e la necessità di disfarsi del paradigma antropocentrico dominante, iniziando dalle concezioni che lo rinsaldano (creazionismo, umanismo, specismo). Concezioni con cui l’uomo si autoqualifica signore del mondo e legittima qualsiasi azione serva a mantenere il suo regno. Sfondando ogni limite.

Homo sapiens infatti va sempre oltre. Un oltre che potrebbe infine significare dopo e senza l’umano. Perché l’effetto delle sue azioni è non solo la conservazione della specie ma anche la dissoluzione delle condizioni dalle quali essa stessa si origina. Ormai abituato alle lenti distorte dell’antropocentrismo, egli non vede come l’ordinamento organico e inorganico dia corpo alla sua essenza e non vada quindi stravolto.

Da una diagnosi rigorosa l’antropocentrismo risulta una potente e nefasta negazione della comunanza in cui ogni cosa avviene e si relaziona al mondo. Il suo meccanismo di gerarchizzazione investe tutto: separa l’umano dagli animali, oscura la sua animalità e presenta la realtà restante come fosse uno scarto, un corpo dissanguato che non ha senso se non quello di adattarsi alla vita di un’unica specie.

Il primo modo per disintossicarci da questa visione del mondo è metterci nell’ottica opposta. Dalla prospettiva antropodecentrica si risolvono infatti scissioni tenaci nella storia del pensiero come il dualismo uomo-animale, cultura-natura, mente-corpo, innato-appresso; si impara a coniugare ogni termine con tutti gli altri e a riconoscere come ogni cosa sia ontologicamente unitaria mentre la sua fenomenologia è complessa e molteplice.

Cambiando prospettiva impariamo anche a vivere con gli animali, a educare non solo la nostra fisicità al fine di convivere tra noi umani ma anche il nostro rapporto complessivo con l’animalità estesa e plurale di cui siamo parte. Scopriamo come l’appartenenza a un regno comune limiti ciò che possiamo fare delle altre specie; come curarci di loro significhi curarci di noi; come macellazioni, vivisezioni, biotecnologie risultino controproducenti pure per noi. La cultura serve a questo. Essa coevolve con la natura, sviluppandosi come mezzo con cui Homo sapiens può esprimere e preservare nel tempo anche ciò che condivide con le altre specie: la vita animale.

Grazie a ogni contributo non antropocentrato relativo al mondo animale potremo saldare un nuovo paradigma funzionale alla vita umana. «Un paradigma etoantropologico», che matura da una filosofia del limite – preliminare all’«abbandono del concetto di centralità e di primato attribuito a un qualunque ente nel mondo» – e serve da «antidoto alle azioni distruttive verso l’umano e verso il pianeta».

Il limite come condizione necessaria di ogni forma d’esistenza. L’umano come specie tesa a sfondare il limite finché non comprende pienamente se stessa. Il rapporto con gli animali come parametro della nostra capacità o incapacità di conoscere ciò che siamo e restare umani. Cosa significhino e comportino queste questioni essenziali continuerà a dirlo Biuso ai suoi lettori.

Con un’ultima provocazione: «L’animale, infatti, non esiste», se questa parola fomenta l’illusione di un’estraneità irrisolvibile tra due nature monolitiche. «L’animalità diventa invisibile», scompare sotto il dominio della specie che se ne sente affrancata. Animale «è un significante al quale non corrisponde un’accezione biologica ma un significato politico». Per questo è un fatto politico, di lotta politica, anche la gnosi con cui scopriamo noi stessi e disinneschiamo l’illusione.

Lucrezia Fava  - Il Manifesto











*) Nota della Casa Editrice (Villaggio Maori Edizioni):  Pensare l'animalità significa ridisegnare il confine delle riflessioni sulla vita umana. Cosa rimane del presunto primato per cui l’essere umano è sempre stato considerato il vertice del biocentrismo? Possiamo ancora considerarci superiori in quanto appartenenti a una specie che mette a rischio persino la propria sopravvivenza? Animalia suggerisce un cambiamento di prospettiva, in cui l’arroganza dell’umano viene messa in discussione dallo sguardo con cui veniamo scrutati dagli altri animali, i quali compongono una molteplicità splendente e millenaria. Alberto Giovanni Biuso indaga gli scenari filosofici, letterari e antropologici che sostengono il reticolato fitto e complesso dell’animalità, svelandone somiglianze e differenze: «un’anatomia comparata» come viene definita da Roberto Marchesini nella sua Prefazione. Una riflessione necessaria non per decretare un vincitore unico all’interno del regno animale ma per creare una connessione diversa, nel rispetto della vita di tutti gli animali. Umani e non.
(ISBN: 9788894898743 - Pagine: 186 - Euro 16)

domenica 27 dicembre 2020

La Nazione delle Piante di Stefano Mancuso

 


Se il regno vegetale fosse una nazione, le regole che la governerebbero sarebbero completamente diverse dalle nostre.

Osservando la Nazione delle piante possiamo compiere una vera e propria rivoluzione copernicana che salvaguardi e diffonda la vita dei viventi e delle generazioni future.

Carta dei diritti delle piante

art.01 La Terra è la casa comune della vita. La sovranità appartiene ad ogni essere vivente

art.02 La Nazione delle Piante riconosce e garantisce i diritti inviolabili delle comunità naturali come società basate sulle relazioni fra gli organismi che le compongono

art.03 La Nazione delle Piante non riconosce le gerarchie animali, fondate su centri di comando e funzioni concentrate, e favorisce democrazie vegetali diffuse e decentralizzate

art.04 La Nazione delle Piante rispetta universalmente i diritti dei viventi attuali e di quelli delle prossime generazioni

art.05 La Nazione delle Piante garantisce il diritto all’acqua, al suolo e all’atmosfera puliti

art.06 Il consumo di qualsiasi risorsa non ricostituibile per le generazioni future dei viventi è vietato

art.07 La Nazione delle Piante non ha confini. Ogni essere vivente è libero di transitarvi, trasferirsi, vivervi senza alcuna limitazione

art.08 La Nazione delle Piante riconosce e favorisce il mutuo appoggio fra le comunità naturali di esseri viventi come strumento di convivenza e di progresso



La Nazione delle Piante

Stefano Mancuso

sabato 26 dicembre 2020

Bioregionalismo - Il caso dell'Ecosofia



L’Ecologia Profonda, o Ecosofia, è un movimento filosofico e di pensiero, una visione del mondo a sfondo panteista che richiede un profondo rispetto per tutti gli esseri senzienti (e quindi anche gli ecosistemi) e per tutte le relazioni che li collegano fra loro e al mondo cosiddetto “inanimato”. Non assegna alla nostra specie un valore distaccato e particolare, ma la considera completamente parte della Natura. Vede la Terra come l’Organismo cui apparteniamo.


Il fondatore del movimento in Occidente è stato il filosofo norvegese
Arne Naess, che usò il termine per la prima volta in un articolo del
1972 (The shallow and the deep).

Sono caratteristiche dell’Ecologia Profonda:
- Una visione sistemica del mondo, una filosofia non-dualista, il
riconoscimento della sacralità della Terra e del diritto ad una vita
degna per ogni essere senziente;
- La necessità di non spezzettare l’universale, di considerare
l’aspetto sistemico globale e di evitare di cadere nei dualismi tipo
mente-materia, Dio-il mondo, uomo natura e simili;
- L’idea che l’intero è più della somma delle sue parti. In una
visione olistica si pone l’accento più sulle relazioni che sui singoli
componenti.

L’ecologia è il sentimento profondo che ci dice che tutto è collegato,
che non possiamo danneggiare una parte senza danneggiare il tutto, che
facciamo parte di un unico Organismo (l’Ecosistema, o la Terra)
insieme a tutti gli altri esseri viventi senzienti: il primo valore è
il benessere dell’Ecosistema, da cui consegue anche quello dei
componenti, e quindi il nostro.

Invece l’ecologia come è intesa dal pensiero generale, detta anche
ecologia di superficie, resta completamente antropocentrica e quindi
non modifica il sottofondo di pensiero della cultura occidentale:
richiede soltanto di diminuire il più possibile gli inquinamenti e
salvare alcune aree intatte per il beneficio dell’uomo. Considera la
Terra come la casa dell’uomo: in sostanza, tutto può andare avanti
come prima, con qualche accorgimento tecnico e qualche depuratore.

Invece le prospettive proposte dall’Ecologia Profonda sono un completo
mutamento di paradigma, che porti:
- al sentire consapevolmente la rete che collega qualunque essere o evento;
- all’estinzione del desiderio per i beni materiali;
- all’amore compassionevole verso tutti gli esseri senzienti.

Per far questo è necessario:
- diffondere le basi del nuovo paradigma e mettere in discussione
tante idee considerate “evidenti” solo perché respirate fin dalla
nascita (competizione, successo, desiderio continuo dei beni
materiali, posizione della nostra specie come staccata dalla Natura);
- parlare spesso con grande considerazione e rispetto degli altri
esseri senzienti e della sacralità della Terra;
- evidenziare che l’idea fissa dello sviluppo non è “propria della
natura umana”, ma è nata in una cultura in un determinato momento
della sua storia.

Questo punto la collega al Movimento della Decrescita felice.

Le idee dell’Ecologia Profonda sono il presupposto filosofico per
comprendere il senso di quelle modifiche del pensiero generale che
sono in grado di portare, sul piano pratico, prima a una decrescita
economica e poi a una situazione stazionaria, quindi a salvare la
Terra dai gravissimi pericoli che sta correndo attualmente.

Decrescita
Il mondo contemporaneo si basa sullo sviluppo economico, sistema
lineare con una sola variabile (il denaro), che è un fenomeno
possibile soltanto in un breve transitorio, perché è incompatibile con
la Biosfera, sistema complesso con un grande numero di variabili.
Nell’Ecosistema possono esistere solo cicli chiusi, mentre il sistema
economico preleva e scarica qualcosa di fisso (risorse e rifiuti).
Inoltre, il sistema economico attuale pretende di crescere
all’infinito in un pianeta finito. Il fatto che sia durato per due
secoli significa soltanto che la sua fine è vicina, per il modo di
procedere dei fenomeni esponenziali.

Il movimento attuale della decrescita resta troppo spesso su posizioni
antropocentriche. Non si occupa molto di questioni filosofiche, ma una
decrescita economica è irrealizzabile se si mantiene un sottofondo
antropocentrico.

Il Movimento per la Decrescita Felice cerca di rendere consapevoli
della necessità di:
- vivere meglio consumando meno;
- instaurare rapporti interpersonali fondati sul dono e la reciprocità
anziché la competizione e la concorrenza;
- utilizzare e favorire la diffusione di tecnologie che riducono i
consumi energetici e la produzione di rifiuti;
- impegnarsi perché questi obiettivi siano perseguiti anche dalle
Amministrazioni pubbliche e dagli Organismi internazionali.

Per raggiungere questi scopi è necessario elaborare un paradigma
alternativo al sistema di valori fondato sull’ossessione della
crescita economica illimitata: è utile e fondamentale un sistema di
valori quale quello proposto dall’Ecologia Profonda.

La persistenza delle condizioni vitali del Pianeta richiede che non vi
sia alcuna crescita materiale permanente. Lo sviluppo economico
consiste nel sostituire al mondo naturale, ricco di specie e di
relazioni fra i viventi, un mondo completamente artificiale fatto di
inerti e di poche specie degenerate. Consiste quindi nel “rifare il
mondo” , che è il frutto di un processo di evoluzione durato quattro o
cinque miliardi di anni. E’ chiaro che lo sviluppo economico
prolungato è incompatibile con la Vita della Terra.

Ecopsicologia
L’ecopsicologia è una disciplina molto giovane, soprattutto in Italia,
dove ha avuto inizio poco più di un decennio fa. Nel mondo
anglosassone era cominciata prima, soprattutto per opera di Theodore
Roszak e Joanna Macy.
I fondamenti teorici della nuova disciplina e anche alcune
applicazioni pratiche per ottenere un risveglio di consapevolezza
ecologica nella psiche umana, si rifanno alla psicologia di Jung e al
pensiero dello psichiatra junghiano James Hillmann.
Ecologia e psicologia: queste due discipline, che hanno finora
lavorato una sull’Ecosistema e l’altra sugli aspetti mentali, hanno
molto da dirsi per collaborare al raggiungimento dell’obiettivo di
garantire un futuro che possa evitare gravi eventi traumatici per la
Terra e quindi anche per la specie umana.
Nata dall'incontro tra la psicologia umanistica-transpersonale e
l'ecologia, l’ecopsicologia permette di riconsiderare la propria
identità in termini più vasti a partire dal dialogo con gli aspetti
più profondi di sé stessi e con il mondo naturale.
L'inconscio ecologico riconosce la stretta interconnessione
dell’umanità con la Terra: il desiderio di impegno attivo nei
confronti dell’ecosistema naturale sorge spontaneo, frutto del senso
di compartecipazione.
 
La psicologia ha bisogno di riconoscere di non poter più curare la
psiche umana senza collegare il malessere della mente con il degrado
dell’ecosistema. L’ecologia a sua volta deve riconoscere l’importanza
di una salute partecipativa della mente per far cessare la
degradazione del Complesso Terrestre. Occorre risvegliare il nostro
inconscio ecologico, che richiama l’inconscio collettivo di Jung,
occupandoci anche dei nostri equilibri interiori.
C’è spesso una mancanza di psicologia nell’attuale strategia
ambientalista, che insiste con campagne improntate sulla
colpevolizzazione: così facendo si attivano meccanismi di difesa a
livello psichico che producono l’effetto opposto perché sollevano più
ansia di quanta molte persone siano pronte a gestire.
E’ necessario emancipare l’ecologia da semplice branca della biologia
dalla quale è nata a una scienza delle relazioni e dell’insieme.
Secondo l’approccio ecopsicologico, noi siamo la Terra, anzi siamo la
parte più “cosciente” della Terra, non c’è alcuna stacco uomo-Natura:
quindi si tratta di una disciplina compatibile con l’Ecologia
Profonda.
 
Il nucleo della mente è l’inconscio ecologico. La repressione
dell’inconscio ecologico è la radice profonda della follia insita
nella società industriale. Ritrovare l’accesso verso l’inconscio
ecologico vuol dire ritrovare la via verso la salute psicofisica
dell’individuo, della società e dell’ecosistema.
Siamo parte integrante del mondo in cui viviamo tanto quanto i fiumi e
gli alberi, intessuti dello stesso intricato flusso di materia-energia
e mente.

Filosofie native
L’ecologia profonda - come filosofia di vita – non è nata negli anni
Settanta dalle idee di Arne Naess o da qualche movimento di minoranza
di oggi: da tremila anni in India, e da tempi ancora più lunghi in
tante culture animiste, idee ben diverse da quelle che hanno poi
foggiato la civiltà occidentale avevano avuto modo di diffondersi
nella mente collettiva, come dimostrano questi pensieri, tratti da
antichi testi indiani: “Ogni anima va rispettata e per anima si
intende ogni ordine, ogni vitalità che la sostanza possa assumere: il
vento è un’anima che si imprime nell’aria, il fiume un’anima che
prende l’acqua, la fiaccola un’anima nel fuoco, tutto questo non si
deve turbare”. In uno dei sutra si loda chi non reca male al vento
perché mostra di conoscere il dolore delle cose viventi e si aggiunge
che far danno alla terra è come colpire e mutilare un vivente.

Ancora dall’India: I fiumi, o caro, scorrono gli orientali verso
oriente, gli occidentali verso occidente. Venuti dall’Oceano celeste,
essi nell’Oceano tornano e diventano una cosa sola con l’Oceano. Come
là giunti non si rammentano di essere questo o quest’altro fiume,
proprio così, o caro, i viventi, che sono usciti dall’Essere, non
sanno di provenire dall’Essere. Qualunque cosa siano qui sulla Terra -
uomo, tigre, leone, lupo, cinghiale, verme, farfalla - essi continuano
la loro esistenza come Tat. Qualunque sia questa essenza sottile,
tutto l’Universo è costituito di essa, essa è la vera realtà, essa è
l’Atman. Essa sei tu, o Svetaketu.
(Chandogya Upanishad, 10° khanda)

L’ecologia profonda è stata definita solo recentemente nell’ambito
della cultura occidentale, ma in realtà la sua concezione del mondo
era ben nota a tante culture animiste, soprattutto quelle native del
continente americano, e in molti aspetti delle culture orientali più
diffuse. Per rendersene conto, basta riportare alcune citazioni di
testi o insegnamenti provenienti da alcune di queste culture.
Quindi si tratta di riscoperte o perlomeno di prese di coscienza già
presenti da molte parti dell’umanità da decine di migliaia di anni. In
tante culture native non c’è quel distacco “metafisico” fra uomo e
Natura proprio dell’occidente. Quindi la percezione delle visioni del
mondo delle culture native costituisce un valido aiuto per comprendere
e fare proprie le visioni e gli atteggiamenti dell’ecologia profonda.
I legami sono stretti ed evidenti.

Dai nativi del Nord-America:
Una persona non dovrebbe mai lasciare tracce così profonde che il
vento non le possa cancellare. (insegnamento dell’etnìa Piedineri)
Sai che gli alberi parlano? Si, parlano l’uno con l’altro e parlano a
te, se li stai ad ascoltare. Ma gli uomini bianchi non ascoltano. Non
hanno mai pensato che valga la pena di ascoltare noi indiani, e temo che non ascolteranno nemmeno le altre voci della Natura. Io stesso ho imparato molto dagli alberi: talvolta qualcosa sul tempo, talvolta qualcosa sugli
animali, talvolta qualcosa sul Grande Spirito. Tatanga Mani (da:
Recheis-Bydlinski, Sai che gli alberi parlano? Il Punto d’Incontro,
1994)

E’ la storia di tutta la vita che è santa e buona da raccontare e di
noi che la condividiamo con i quadrupedi e gli alati dell’aria e tutte
le cose verdi: perché sono tutti figli di una stessa madre e il loro
padre è un unico Spirito. Forse che il cielo non è un padre e la Terra
una madre e non sono tutti gli esseri viventi con piedi, con ali e con
radici i loro figli? (Alce Nero, dal libro Alce Nero parla di John
Neihardt, Bompiani, 1982)

Conclusioni
Dati gli stretti legami fra i movimenti citati, è opportuna una
diffusione parallela delle idee portate avanti da ciascuno di essi, in
quanto costituiscono forme complementari necessarie e interdipendenti,
che si completano sia sul piano delle idee di fondo sia sul piano del
comportamento pratico e dell’atteggiamento verso il mondo naturale e
quindi verso tutti gli esseri senzienti.

Guido Dalla Casa