domenica 31 luglio 2011

Guido Dalla Casa: "Il collasso del sistema economico corrisponde alla salvezza della Terra"


Sono tornato dalla montagna, da una zona che dovrebbe essere uno Parchi naturali italiani più belli (il Parco Adamello-Brenta). Che tristezza! Camion, fuoristrada, cantieri, ruspe, macchinari giganti, alberi abbattuti. Per fortuna, in alcuni angoli ci si può ancora immergere in qualche bosco, o sedersi sotto un albero.
Si pensa solo all’inverno, allo sci da discesa, alle piste, cose che portano “sviluppo” e denaro: così aumentano i consumi anche lontano da qui. I prati vengono rivoltati, non devono più ricrescere, per “facilitare” la neve (?): l’aspetto estivo delle piste da sci è veramente orribile. Ovunque ci sono enormi ferri ricurvi per impedire che i “veri” turisti, quelli invernali che vanno a cento all’ora, vadano a sbattere contro un albero.


Botole per l’acqua e cannoni per l’innevamento artificiale si vedono ovunque: sono impianti che consumano enormi quantità di energia (e acqua). Forse la “maggioranza” vuole questo: non vogliono gli alberi, i prati, i boschi e i fiori, vogliono il male, per quanto sia spietato con la Vita.
Degli escursionisti estivi non si occupa quasi nessuno: portano pochi quattrini, consumano poco.
C’è un rifugio che porta il nome di una Casa automobilistica, vende le relative magliette.

Tutto viene sacrificato a due divinità maligne e sanguinarie di questa civiltà: la velocità e la competizione. Sci e auto sono servi degli stessi dei. Questo, in modo ancora più grave, sta accadendo in tutto il mondo: 100.000 Kmq di foreste spariscono ogni anno. I prati spontanei sono cementificati e diventano materia inerte. Il territorio viene distrutto e degradato a vista. Nel frattempo la percentuale di anidride carbonica nell’atmosfera cresce di tre punti all’anno e il mostruoso eccesso di popolazione umana peggiora sempre: 80 milioni in più ogni anno, tre bambini in più ogni secondo, destinati a una vita molto grama.

Solo la fine dei combustibili fossili può salvare la Terra: è una speranza, anche se i traumi non fanno piacere a nessuno. Ma è meglio che accada al più presto.“If there is not an economic collapse soon, something terrible is going to happen”, così finiscono le mail di un mio amico canadese. Se non collassa il mondo economico, la Terra si troverà in guai gravissimi, e quindi anche noi.

Un’amenità finale: ho visto una comunicazione inviata agli alberghi da un ente turistico che invitava a non stampare le mail pensando che così si salva un albero del Parco!

Cari saluti a tutti.
Guido Dalla Casa
Rete per l'Ecologia Profonda

venerdì 29 luglio 2011

Fulvio Di Dio: "Bioregionalismo e identità ecologica.. per il ciclo della vita!"


La natura opera secondo un sistema di nutrienti e metabolismi in cui non esistono rifiuti. Un ciliegio fa germogliare fiori e (forse) produce frutti. È per questo che gli alberi fioriscono. Ma i fiori che danno frutti sono tutt’altro che inutili. Cadono al suolo, si decompongono, nutrono vari organismi e microrganismi, e arricchiscono il terreno. Gli animali e gli uomini emettono biossido di carbonio che le piante assorbono e usano per crescere. L’azoto contenuto nei rifiuti viene trasformato in proteine da microrganismi, animali e piante. I cavalli mangiano l’erba e producono sterco che diventa nido e nutrimento per le larve delle mosche. I più importanti nutrienti della Terra – carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto – sono riciclati di continuo. Rifiuti uguale cibo.

Questo sistema biologico ciclico, “dalla culla alla culla”, ha tenuto in vita e nutrito per milioni di anni un Pianeta ricco e diversificato. Fino a poco tempo fa era l’unico sistema esistente e ogni essere vivente del Pianeta ne faceva parte. Poi è arrivata l’industrializzazione e ha alterato l’equilibrio naturale dei materiali sulla Terra.

Gli uomini hanno cominciato a estrarre materie prime dalla crosta terrestre, le hanno concentrate e alterate, e hanno sintetizzato materiali che non possono essere restituiti al terreno senza provocare danni.   Gli esseri umani sono l’unica specie terrestre che prende dal suolo grandi quantità di nutrienti necessarie ai processi biologici, e raramente le restituisce in forma utilizzabile. I nostri sistemi – eccetto alcune piccole realtà locali – non sono più studiati a questo scopo.   Industriali, progettisti, ambientalisti e in genere gli addetti ai lavori parlano spesso di un “ciclo vitale” del prodotto. Naturalmente solo pochissimi prodotti sono “vivi” in senso stretto, ma in molti casi siamo noi che, per così dire, proiettiamo su di loro la nostra vitalità, e la nostra mortalità. Sono quasi parte della famiglia. Vogliamo che vivano con noi, che ci appartengano. Nella società occidentale gli esseri umani vengono seppelliti nelle tombe e così i prodotti. Ci piace l’idea di essere potenti, unici; e ci piace compare cose nuove di zecca, fatte di materiali “vergini”.

Quando io (che sono una persona speciale e unica) avrò finito di usare un prodotto vergine, nessun altro lo userà. Le industrie progettano e pianificano in accordo con questa mentalità.   Nel caso dei materiali, ci sembra invece decisamente più sensato insistere su quei caratteri di somiglianza e ordinarietà che ci permettono di godere più di una volta anche di prodotti speciali e unici. Cosa sarebbe accaduto se la Rivoluzione industriale avesse avuto luogo in società che mettono al primo posto la comunità e non l’individuo, e in cui si crede non in un ciclo vitale “dalla culla alla tomba” ma nella reincarnazione?   I sistemi e le industrie umani diventeranno rispettosi della diversità solo quando riconosceranno che la sostenibilità, come tutte le politiche, è un fatto locale.

Quando si connetteranno ai flussi locali di materiali e di energia, ai costumi e ai gusti locali, dal livello molecolare fino a quello dell’intera bioregione.  Le realtà locali non sono tanto da intendere come isole di civiltà, astratte dal contesto naturale, ma proprio come forme di “sapere ecologico”, un sapere che deve la sua esistenza al legame che le comunità umane hanno, nel corso della loro storia, intrecciato con il territorio cui appartengono. Tutto ciò implica che si costruisca, intorno ai territori naturali, una vera e propria “identità ecologica“, in cui si esprima e si rafforzi la relazione biunivoca tra le bioregioni e i loro abitanti. Per questi motivi, il bioregionalismo implica innanzitutto un coinvolgimento attivo da parte dei membri delle comunità.

Ciò significa che esso non è solo un progetto meramente politico-gestionale, ma anche un progetto culturale. Insieme a un forte senso di appartenenza al territorio, nell’ “identità ecologica” confluiscono infatti il recupero di tradizioni legate ai luoghi, la riscoperta di lingue, arti, riti e conoscenze indigene, ecc.

Fulvio Di Dio

Referente della Rete Bioregionale Italiana per le aree urbane


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Di questi e simili argomenti, relativi alla "morte e rinascita" in natura, si parlerà durante il prossimo incontro bioregionale sul Ciclo della Vita che si terrà nelle Marche, il 31 ottobre 2011

mercoledì 27 luglio 2011

Zuccallegra di Bracciano (Roma), 2 ottobre 2011: “Commemorazione di Gandhi con Paolo D’Arpini e Caterina Regazzi”



Mahatma Gandhi nella sua minuscola stanzetta dell’ashram da lui fondato teneva alle pareti solo due ritratti, quello di Giuseppe Mazzini e quello di San Francesco d’Assisi, che lui riteneva esempi ispirativi per la non violenza e per l’acume politico sul concetto laico di libertà.  Mi è sembrato perciò giusto unire le due ricorrenze, quella di Gandhi del 2 ottobre e quella di San Francesco del 4 ottobre, in un’unica manifestazione.

Grazie alla collaborazione del caro amico fraterno, Roberto Caivano, dell’associazione Il Fiore della Vita, abbiamo ottenuto accoglienza presso Zuccallegra di Bracciano, dove ci incontreremo per parlare di spiritualità laica, vegetarismo ed ecologia profonda, e dove presenteremo agli amici un nuovo libro “Vita senza tempo” edito da Vivere Altrimenti, scritto dal sottoscritto e da Caterina Regazzi. In esso si narrano, in forma di amorose lettere, alcuni eventi intercorsi nell’ultimo anno di mia permanenza a Calcata, prima del trasferimento a Treia.
  
Vorrei ora spendere qualche parola sulla figura di Gandhi. Tanto per cominciare mi  sembra di capire dall’etimologia del nome che si tratti di una combinazione di “gana” e “dhyan”. I Gana sono i custodi della verità assoluta, i difensori del monte Kailash  la dimora di Shiva (l’Assoluto) e Dhyan  significa “meditazione”. Si potrebbe arguirne che il nome Gandhi  significhi “Colui che medita sulla difesa della Verità”. Ed infatti per Gandhi la “Verità” fu il primo comandamento e per essa egli sacrificò l’intera sua vita.  Ricordo tanti anni fa (ai primi dell’80) quando a Bombay potei assistere alla prima del film “Gandhi”, la sala era stracolma e tutti gli spettatori –me compreso- piangevano lacrime di commozione ma anche  di gioia  nell’assistere alla determinazione e santità di un uomo, piccolo e non violento,  assolutamente sincero e  verace nel suo perseguire l’ideale.

Termino invitando tutti gli amici non violenti, bioregionalisti, spiritualisti laici e vegetariani ad intervenire all’incontro che si terrà il 2 ottobre 2011, alle h. 18.30,in  via G. Tamburri 9,  presso  Zuccallegra di Bracciano (Roma) al quale parteciperò assieme alla mia compagna (e coautrice del libro) Caterina Regazzi.

Paolo D’Arpini – Presidente del Circolo Vegetariano VV.TT.

Info. generali - circolo.vegetariano@libero.it 
Info. sul luogo dell'incontro: zuccallegra@gmail.com 

martedì 26 luglio 2011

Comunicazione ed informazione gioiosa, pensiero positivo, musica melodica e poesia.. così i giovani restano sani e felici...


Lo studio sull’effetto delle espressioni positive psicologiche negli adolescenti, condotto presso la Northwestern University, dal 1994 al 2001 su di un campione di 10.147 ragazzi, rappresenta uno dei primi lavori sull’argomento, è stato pubblicato nel luglio 2011 sul Journal of Adolescent Health.

I risultati sono parte del National Longitudinal Study of Adolescent Health (Add Health) nel corso del quale sono stati monitorati, con utilizzo di questionari mirati, i comportamenti di un grande numero di ragazzi in età adolescenziale.

L’adolescenza è l’età delle angosce e i ragazzi che attraversano questa delicata fase di vita, nel corso della quale si cerca di diventare individui, sono spesso preda di comportamenti carichi di ansia, di impulsività, di rabbia e di ribellione. Secondo lo studio in questione gli adolescenti che, invece, vivono questa tumultuosa fase all’insegna della solarità, della gioia, della positività, sembra sviluppino un rapporto migliore con lo stato di salute psico-fisica.

Il rischio di cadere preda di comportamenti autolesivi e comunque poco sintonici al mantenimento della salute (uso di droghe, affezione agli alcoolici, soprattutto abitudine alle binge drinking, tabagismo, alimentazione insalubre, inquinamento psichico da musiche sataniche ad altissimo volume, etc...) sembra nettamente ridotto in questa seconda tipologia di adolescenti.
Secondo Lindsay Fino Hoyt, primo autore dello studio, questa è una dimostrazione del fatto che promuovere e valorizzare in modo positivo il benessere nel corso dell’adolescenza può rappresentare un ottimo strumento teso al miglioramento della salute a lungo termine.

In relazione alla misurazione del benessere adolescenziale, il team, facente capo alla Hoyt, ha valutato una sequela di domande poste ai ragazzi già dal ’94 riguardanti argomenti che potessero in qualche modo misurare lo stato di benessere di cui godevano o meno.

Gli argomenti trattati focalizzavano l’attenzione sul loro vissuto di felicità, sulla loro voglia di vivere, sulla loro speranza per il futuro, la loro autostima e il loro vissuto di accettazione sociale.

La ricerca ha assunto un significato nel momento in cui si è fatta una seconda valutazione riguardante gli stessi adolescenti, poi giovani adulti in riferimento allo stato di salute o meno nel quale versavano.

A completamento e a specifica valutazione del lavoro nell’insieme non si è potuto non considerare alcuni dati: lo stato di salute durante l’adolescenza, lo status socio-economico, eventuali sintomi di depressione e di altri noti fattori predittivi di salute o malattia a lungo termine.

Emma K. Adam, co-autore e professore associato di istruzione e di politica sociale alla Northwestern University, dice: “i nostri risultati mostrano con chiarezza che il benessere derivante dal vissuto positivo durante gli anni dell’adolescenza è significativamente associato a comprovato stato di buona salute in età adulta”.

Certo è che se il vissuto positivo adolescenziale riduce le possibilità di tenere comportamenti lesivi, risulta facile comprendere come in età adulta si possa ambire ad una qualità di vita migliore.

I programmi di intervento clinico o sociale destinati ai giovani dovrebbero tenere in considerazione i dati in prospettiva emersi dallo studio, rinforzando e cercando di sviluppare le caratteristiche psicologiche tese alla positività.

L’approccio in questo senso, secondo i ricercatori americani, dovrebbe essere utilizzato nel
contenimento di problematiche legate alla delinquenza e al rendimento scolastico, considerando quanto e come possa contribuire al miglioramento della salute dei giovani e, a seguire, degli adulti che saranno.

Luisa Barbieri
(Rete Civica Napoli)

lunedì 25 luglio 2011

"Il Custode dei Sogni" di Franco Farina

"E divento Luce" dipinto di Franco Farina


Buongiorno!

Uno scritto recente che mi è scappato fuori dalla penna ieri sera ascoltando una canzone.

Il titolo:  “Il Custode dei Sogni”

Quest’ uomo andava in giro con la sua valigia e raccoglieva i sogni dei bimbi e degli uomini e donne che li immaginavano e li lasciavano in giro.

Raccoglieva i sogni e li riponeva nella sua valigia di cartone con sopra dipinte le stelle.
Lui poteva vederli erano leggeri ed evanescenti e leggermente luminosi. Molte volte le persone li abbandonavano e si spegnevano un poco e lui camminando per strade e piazze li vedeva e li raccoglieva.
Giorno dopo giorno continuava a mettere i sogni in questa valigia.
Una sera stanco di camminare si sedette su una panchina, guardò il cielo dove vi era una luna piena.

Intorno nella piazza vi era gente che passeggiava e bambini che giocavano.

Il custode dei sogni si mise la valigia sulle ginochia e l’aprì.
Da questa valigia usciva una luminescenza. Questi sogni avevano una luce propria che pulsava leggermente. Alcuni curiosi si fermavano a guardare.

Lui aprì a poco a poco la valigia.

Bolle luminescenti brillando si gonfiavano e questi globi di luce fluttuaavano leggermente nell’aria sopra la valigia.

I curiosi divenivano sempre più numerosi, i bambini si avvicinavano a guardare; così il custode dei sogni iniziò a prendere ciascuno dei sogni racchiusi in queste bolle di luce e a darli a ciascun bambino che si faceva avanti, anche agli innamorati che si avvicinavano, ed alle persone che ne chiedevano uno.

E così man mano che queste persone che li raccoglievano divenivano anche loro leggermente luminescenti.
La piazza era diventata luminosa e la luna sorrideva nel cielo.

Ad un certo punto il custode dei sogni prese dalla sua valigia una tenda nera, salì sul piedestallo della statua in mezzo alla piazza e sventolando la tenda nera disse a tutti:

“Vedete anche voi cosa ho in mano?”
Il brusio della gente disse: “Una tenda nera”.
“Ebbene si! …” lui disse “Questo velo è il velo che ponete sui vostri sogni quando avete difficoltà a raggiungerli” … “Vedete tutti?”
La gente disse un timoroso “Si”.
“Bene ! “ disse il custode dei sogni “Volete sapere come togliere questo velo nero dai vostri sogni?  Ascoltate, ci sono due cose da fare per ravvivare i sogni, la prima è ridare vita al vostro sogno, senza mai stancarsi di infondere energia su di esso, e avere il coraggio di continuare anche quando sembra “impossibile”. Quindi perseverare. La seconda cosa è conoscere COME raggiungere la meta, dovete mettere lì un modo di realizzarlo.
Perseverando nel vostro intento, raggiungerete la meta. Quale meta? Quella la dovete mettere voi, o ‘scoprirla’ togliendo il velo”.

Così dicendo il custode dei sogni agitò la tenda e svanì.

La gente stupita rimase a guardare immobile.
Tutti avevano la loro bolla di luce in mano e pulsava, … il loro sogno.

Rimase giusto una valigia su una panchina con sopra tante stelle dipinte.

La valigia dei sogni.
Quella non buttiamola.
Non buttarla via, riponila in un angolo della Tua mente,  dove potrai riporre  i tuoi sogni e riprenderli e coltivarli uno per uno.
Buona fortuna.

Franco Farina
www.francofarina.it <http://www.francofarina.it>

sabato 23 luglio 2011

Rapporto d'amore non duale.. nella coppia spirituale

 
Oggi parlando con Caterina siamo andati sul discorso della comunione spirituale e sulla crescita che può avvenire durante un rapporto di coppia. La mia opinione è che ognuno singolamente compie un suo percorso e che la possibilità di restare affiancati permane nella capacità di non attaccarsi al percorso in se stesso, a delle norme di comportamento prefissate, all'uniformarsi alle regole dell'unione costituita, etc. Insomma ognuno avanza senza aspettarsi nulla dall'altro, pur essendo consapevole della presenza dell'altro al suo fianco. Quello che funge da legante è la reciproca libertà e la capacità di restare allo stesso livello...
 
Non che  realmente ci sia un livello nella "coscienza" si tratta semplicemente di una capacità di restare liberi da  aspettative.. e questo mantiene i  membri della coppia su un piano  di "comunanza".. Il legante della coppia  "spiritualmente evoluta" è l'amore verso l'altro espresso in forma incondizionata  e disinteressata. Così sorge un vero incontro che supera il dualismo....
 
In un certro senso il rapporto fra due veri amanti è lo stesso che intercorre fra un mestro ed un discepolo.. intendendo bene cosa  significa  "maestro" e "discepolo" 
 
Affermava Ramana Maharshi di non avere alcun discepolo… e questa affermazione è sicuramente corretta dal punto di vista di un vero maestro, che ha superato il senso dell’individualità separata. Infatti per lui non esiste null’altro che il Sé di cui  ogni cosa è la forma manifesta, ed il Sé  è presente in tutto ciò che si muove nello spazio e nel tempo.  Ma dal punto di vista empirico egli accettava che una “persona” –cioè un’entità  ancora identificata con il nome forma-  si considerasse suo discepolo…. Insomma è il discepolo che fa il Guru ma il Guru non può fare discepoli.

La stessa cosa diceva la mia madre spirituale Anasuya Devi quando –giocando con le parole- confessava candidamente “Io non ho shisya (discepoli) … ho solo shisu (figli)” e con queste parole confermava il suo amore materno per tutto e per tutti. Ed in verità avveniva la stessa cosa anche per Ramana il quale considerava benevolmente ogni creatura come farebbe un padre verso i propri figli.
 
Certo, da parte di un maestro pensare di avere degli allievi sarebbe come dire che si crede ancora in una scala di valori, in una gerarchia, che è sempre frutto di un senso di separazione. Ma come avviene nel sogno, in cui pur essendo tutti i personaggi sognati lo stesso sognatore, esistono apparenti differenze di rango e posizione fra le varie “entità”,  talvolta accade che una di esse funga da insegnante all’altra (pur essendo la stessa identica cosa, ovvero immagini…). Nel sogno accettiamo queste differenze ed anche nello stato di veglia (che è un’altra forma di sogno ad occhi aperti) possiamo accettare di svolgere una mansione, come accetteremmo di fare un lavoro piuttosto di un altro fra pari grado.
 
A questo proposito mi viene in mente una storiella raccontata dal mio Guru, Swami Muktananda. In un club di ricchi potevano essere accettati solo i ricchi, e gli stessi aderenti svolgevano perciò i vari servizi interni, chi come direttore, chi come cameriere o scopino, chi come portinaio o addetto alla segreteria.  Tutti erano parimenti milionari e non si vergognavano di fare ognuno la sua parte per il mantenimento del club. Questo stato di cose  potrebbe rappresentarsi  anche nella nostra società, se fosse realmente illuminata, in cui l’accettazione delle differenze verrebbe vista come un gioco delle parti e null’altro.
 
Ciò vale anche nel rapporto di una coppia spirituale, in cui non esiste una valenza specifica attribuita al ruolo od al genere.. pur continuando a manifestarsi al suo interno le qualità reciproche stabilite dalle proprie naturali propensioni e dalle tendenze innate.
 
Così l'uomo può continuare a restare uomo, senza doversi effeminare, e la donna può continuare a restare donna, senza doversi mascolinizzare.... e la "coppia spirituale" compie il suo scopo... di essere due in Uno.
 
Paolo D'Arpini 

giovedì 21 luglio 2011

Settimana Mondiale Vegetariana 2011 - Eventi previsti dal Circolo Vegetariano VV.TT.

"Quando l'ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere.''  (Bertolt Brecht)



Come è già avvenuto in passato anche per l’edizione di quest’anno il Circolo vegetariano VV.TT. aderisce alla settimana mondiale del vegetarismo, che si svolge ai primi di ottobre 2011.

Ancora una volta parleremo e dimostreremo esempi  di Ecologia Profonda,  Alimentazione naturale e Spiritualità Laica e stiamo prevedendo una serie di appuntamenti su questi temi. Tanto per cominciare il 2 ottobre ricorre la nascita di Mohandas Karamchand Gandhi, nato in quel giorno del 1869. Qui vorrei ricordare che Gandhi fu preso a modello della Nonviolenza da Aldo Capitini che fondò sia il Movimento Nonviolento Italiano che l’Associazione Vegetariana Italiana, di cui il Circolo VV.TT. è un membro storico.  Pertanto in questa giornata stiamo organizzando alcuni incontri nella Tuscia, ove sono le nostre radici, per benedire gli amici vegetariani che hanno proseguito nell'opera. Caterina ed io saremo a Nepi a pranzo  a casa di Luisa, la segretaria del Circolo, più tardi, verso sera, andremo nel nuovo punto d'incontro vegetariano Zuccallegra di Bracciano, invitati dall'amico Roberto Caivano. Seguirà successivamente un programma più dettagliato.

Il  3 ottobre 2011,   si terrà a Calcata (Vt) un  incontro informale presso la sede storica del Circolo, in Via del Fontanile snc. L’appuntamento   è alle 10 di mattina  e si protrae sino all'ora di pranzo, saranno presenti  amici e parenti stretti.
Particolarmente cara mi è la celebrazione di San Francesco, patrono d’Italia e vegetariano antesignano, che ricorre il 4  ottobre, in cui  nella nuova sede di Treia, nelle Marche, si terrà verso sera una recita di brani edificanti  tratti dai Fioretti di San Francesco. La recitazione sarà seguita da una condivisione del cibo vegetariano da ognuno portato.
Un esempio di narrazione: “Il devotissimo Francesco per il tanto pregare era divenuto quasi cieco e  sentì il bisogno di confidarsi con il frate Bernardo, suo primo discepolo,  così egli si recò nel suo eremitaggio. Ma il frate era raccolto in meditazione nella boscaglia e non udì il richiamo di Francesco che per tre volte consecutive l’aveva chiamato: “Vieni e parla a questo cieco!”. Visto che non otteneva risposta alcuna Francesco se ne partì alquanto sconsolato e dubbioso e si rivolse a Dio per sapere la ragione del silenzio con cui era stato accolto. Mentre così contemplava   ecco che udì la voce dell’Altissimo: “Oh omicciolo, di cosa sei turbato? Deve l’uomo lasciare Dio per la creatura? Frate Bernardo quando tu lo chiamasti era congiunto meco e non poteva  rispondere né venire a te”.
Avuta questa rivelazione immediatamente Francesco tornò all’eremo di Bernardo e trovatolo per strada gli raccontò i fatti e poi gli disse: “Io ti ordino per santa obbedienza che tu faccia querl che io ti comanderò”. Al che Bernardo, che conosceva l’umiltà di Francesco temendo che troppo si sottomettesse a sua volta gli disse.”Io sono pronto a rispettare la  tua obbedienza se  mi prometti di fare altrettanto”. Così avendo entrambi promesso ecco che Francesco  si gettò a terra ed ordinò a Bernardo:  “Poggia un piede sulla mia testa ed uno sul mio collo ed apostrofami in questo modo ‘giaci, villano, figlio di Pietro Bernardone,  da dove viene a te tanta superbia che sei una vilissima creatura…”. Bernardo soddisfece la richiesta con la maggiore gentilezza possibile e poi a sua volta chiese a Francesco: “Ed  ora per santa obbedienza domando che tu ogni volta che stiamo insieme mi riprenda per tutti miei difetti…” (continua)….
Gli aspiranti partecipanti sono pregati di contattare:
Paolo D’Arpini e Caterina Regazzi
circolo.vegetariano@libero.it – Tel. 0733/216293

mercoledì 20 luglio 2011

Treia, dall’8 al 15 agosto - Visione pagana, popolare e cristiana per l’annuale pioggia di stelle cadenti


Abbiamo già preannnunciato i festeggiamenti previsti a Treia per l’8 di agosto: http://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2011/07/treia-e-lacqua-cotta-del-8-agosto-2011.html


Vorrei ora integrare l’informazione annunciando la consueta pioggia di stelle cadenti che si manifesta proprio  nel periodo sopra menzionato, in particolare il 10 di agosto. Nella tradizione cristiana si parla di “lacrime di San Lorenzo” ma dovete sapere che in precedenza tale pulviscolo di comete veniva definito il getto di sperma del Dio Priapo, anche definito Dioniso,  che dal cielo feconda la terra.

Memoria  di Giorgio Vitali:.

Nel  “De cupiditate divitiarum”, Plutarco così ci illustra la processione in onore del Gran Dio Priapo, il giorno 10 di agosto e giorni seguenti:
In testa è portata un’anfora di vino misto a miele, ed una ramo di vite.
Poi un uomo che trascina un caprone da immolare al Dio (poi nel tempo, sostituito da un asinello). Poi un altro processionista con un cesto di fichi. Infine, le Vergini portatrici del fallo gigantesco col quale erano irrorati i campi.  (In Grecia, invece, le processioni col fallo terminavano con una pioggia di acqua mista a miele e succo d’uva indirizzata verso i campi, quale eiaculazione del SEME PRIMORDIALE, origine della VITA.
[Falloforìe, feste in onore di Dionso, prima, poi di Priapo.]

Le divinità della fecondazione sono: Priapo, che è venerato assieme a PAN, Dioniso, Luperco, Inu, Fauno. Sono festeggiate il 10 agosto, giorno dello Sciame meteorico annuale, simbolo della pioggia del SEME FECONDATORE.

Esso si chiama Lacrime di San Lorenzo per questa ragione: La Divinità etrusca Acca Larentia, poi acquisita dai Romani, un tempo: Madre Terra, poi: Sacra Prostituta (che si prostra ), protettrice di plebei e della fertilità dei campi, era assimilata a Fauno e Lupesco. Da Larentia a San Lorenzo il passo è brevissimo.

Per quanto riguarda altri riti priapei, Piedigrotta è quello più celebre.
“neapolitana ubi sacellum Priapi et sacra abdita.”

Il culto di Priapo risale ai tempi di Alessandro Magno, proveniente dall’Ellesponto o dalla Propontide, sempre come simbolo della forza sessuale maschile e fertilità della Natura. Nel Mito, egli risulta cacciato dall’Olimpo per avere cercato di stuprare la Dea Vesta. (Ci chiediamo ora, in piena desacralizzazione, che significato può avere il negare la potenza rigeneratrice della Natura. Quale altra forza, se non quella degenerata della MONETA o della POTENZA nucleare a FINI DI MORTE, può proporre il POTERE contronatura che governa il FATO degli umani?)

CANTO DI PRIAPO.
per me le corolle di fiori in primavera
per me le bionde spighe nel cuore dell’estate
per me i dolci grappoli dell’uva che si matura
per me la glauca oliva formatasi nel freddo.

……………..

Commento in chiave popolare di Antonella Pedicelli:

Caro Paolo.
Ringrazio Giorgio Vitali   per il suo splendido contributo dedicato alla pioggia di stelle agostona e al suo significato in chiave “pagana”: mi sono appassionata nella lettura e ho sentito, in tante immagini evocative, la pienezza e la forza di questo rito che, spero, possa essere sempre riproposto alla nostra attenzione in queste giornate di piena estate.

Ti invio la descrizione di un rito volto, anch’esso alla “fecondazione” della Terra, ma in una chiave un po’ diversa: questo rito viene celebrato nel paese di Lula, in Sardegna. C’è una componente, anche qui, tipicamente maschile che permette diverse associazioni a livello “evocativo”.  Spero sia una piacevole lettura!

Sulle tradizioni locali, presenti a Lula, meritano menzione: “su ballu e sa vaglia”, una sorta di rito per vanificare il potere malefico del malocchio, e la maschera de su Batileddu: maschera protagonista del carnevale di Lula, la vittima. È vestito di pelli di pecora o montone, ha il volto sporco di fuliggine e di sangue e la testa coperta da un
fazzoletto nero femminile, porta un copricapo con corna caprine, bovine o di cervo tra le quali è sistemato uno stomaco di capra (”sa ‘entre ortata”). Sul petto porta i “marrazzos” (campanacci), sulla pancia seminascosto dai campanacci porta “su chentu puzone”, uno stomaco di bue pieno di sangue e acqua, che ogni tanto viene bucato per bagnare la terra e fertilizzare i campi. Riguardo all’origine della maschera molte teorie riportano ai riti dionisiaci, con la rappresentazione della passione e la morte del dio, e più in generale ai riti agrari arcaici di fecondazione della terra con il sangue. 
La maschera del Battileddu, abbandonata nella prima metà del Novecento, forse a causa della miseria e dei lutti provocati dalla guerra, cadde nell’oblio. È stata riproposta nel 2001, in un clima teso alla valorizzazione delle antiche maschere sarde e di spiccato interesse scientifico e antropologico verso la maschera di Lula.


………


Nota in chiave cristiana di Rita De Angelis:

Caro Paolo.
Il 10 Agosto vale sicuramente la pena di stare svegli sino alle prime luci dell’alba per esprimere i desideri che ognuno dei noi cela nel cuore , affidandole alle scie luminose. La scienziata Margherita Hack, ci ricorda che le stelle cadenti sono di anno in anno meno frequenti, e per avere un massiccio rifornimento di polvere da cometa, bisognerà attendere il 2126.

A proposito di stelle, un gruppo internazionale di scienziati, ci comunica che per la prima volta è nata nella nostra costellazione una stella gigante, è venuta  alla luce,nella costellazione del Centauro, ed ha oltrepassato il bozzolo prenatale di polvere e gas, nel quale si è formata. Venti volte più massiccia del nostro Sole, e con un raggio cinque volte superiore,è appena venuta al mondo ed ha mosso i suoi primi passi unendosi così a tutte le altre stelle presenti nel nostro firmamento.

Si dice che la maggior concentrazione di stelle cadenti potrebbe esserci tra il 12 ed il 13 Agosto. Ma la notte di San Lorenzo,  dall’avvento del cristianesimo, è dedicata al martirio di San Lorenzo, che dal III secolo è sepolto nell’omonima Basilica a Roma, e le stelle cadenti sono le lacrime versate dal santo durante il suo supplizio,  che vagano in eterno nei cieli, e scendono sulla terra, soltanto nel giorno in cui Lorenzo morì, creando così un’ atmosfera del tutto magica e carica di speranza. In questa notte infatti, si crede, si possano avverare i desideri di tutti coloro che ricordano il dolore di San Lorenzo, e con il naso all’insù si aspetta di vedere una stella cadente dal cielo  e si pronuncia quasi un desiderio o una filastrocca che così recita: “Stella,  mia bella stella, desidero che…”, e sognando come in una fiaba si attende che l’evento desiderato si avveri e verifichi durante  l’anno!

…………

Vi aspettiamo a Treia, dove l’aria è dolce, per assistere dall’alto della collina alla discesa del “pulviscolo d’oro” di metà agosto.

Paolo D’Arpini

Circolo Vegetariano VV.TT.
Via Sacchette 15/a – Treia (Macerata) – Tel 0733/216293

martedì 19 luglio 2011

Treia, 15 agosto 2011: “.. l’attesa del Grande Cocomero” - Ovvero: vuoto nel pensiero e perdita della ragione, restando nell’ignoto…..


“L’ignoranza di Sè non esiste,  è solo  disattenzione. In fondo il preoccuparsi è semplicemente un penoso stato mentale, e la pena chiama attenzione. Il momento che tu sei attento, l’impellenza si scioglie e l’ignoranza scompare. L’attenzione ti riporta al presente, l’adesso, e questo è il tuo stato naturale, anche se raramente percepito”
(Sri Nisargadatta Maharaj)



Anche quest’anno si ripete la celebrazione dell’attesa senza speranza.. l’attesa del Grande Cocomero. L’evento è catalitico e criptico, rappresenta il momento in cui non c’è più nulla da aspettarsi, in cui le aspettative scompaiono, riscoprendo la gioia dell’essere presenti qui ed ora…. 

C’è stato un momento della mia esistenza  in cui ho dovuto affrontare la perdita della ragione. Non nel senso che sono uscito di senno ma  significando l’entrata in una condizione “psichica”  in cui non è più possibile giudicare quel che è giusto e quel che è sbagliato. Uno stato di vuoto in cui l’osservatore interno osserva le potenzialità del momento sostituendo il giudizio con  la testimonianza. 

E lì  finisce ogni affermare o negare, ogni vincere od essere sconfitti. So che quel momento glorioso in cui trionfa “l’attimo presente” è lo stato della vera nascita e della vera beatitudine. Eppure questa “condizione” si manifesta (e per me avvenne drammaticamente) come un ingrippamento del motore funzionale della mente. Un vuoto che sopraggiunge di fronte all’imponderabile ed all’inaffrontabile. Sapete la storiella zen che racconta il “satori”? Un giorno un viandante si trovò dinnanzi ad una tigre affamata.

Cercando di sfuggire alle sue fauci aperte ed ai suoi unghioni appuntiti si rifugiò su un precipizio, aggrappandosi ad una radice sporgente nel vuoto. La tigre si aggirava sopra di lui rabbiosa allorché l’uomo si accorse che anche sotto di lui, alla base del crepaccio, c’era un’altra tigre che lo spiava famelica. Proprio in quel momento la radice alla quale era avvinghiato prese a staccarsi dalla roccia, si vide perduto, non poteva risalire né scendere,  nel mentre il suo sguardo si posò su una fragolina selvatica matura che pendeva invitante davanti ai suoi occhi,  la colse.. Com’era buona….

Successe più o meno così pure a me,  mi sentivo oppresso ed aggredito a destra e sinistra, il destino aveva deciso di  farmi apprendere questa lezione. Che fare? Rispondendo alle provocazioni, con la violenza o la capziosità, avrei perso la mia equanimità di giudizio e sarei precipitato nella finzione speculativa (e satana è questo che vuole per attiraci nella sua trappola).  Non avevo speranze..  e quando  smisi di preoccuparmi, sentii che non importava assolutamente nulla ottenere un risultato logico e soddisfacente, lasciai andare ed abbandonai la frustrazione e la potenza,  la vendetta e l’umiliazione, la giustizia e l’ingiustizia, il bene ed il male…. Insomma rinunciai, anzi “dimenticai”, ogni azione-reazione, questo lo chiamo “perdere la ragione”.

Ma attenzione, questa condizione di Vuoto, strettamente parlando, non si risolve in un “momento”, anche se la comprensione avviene in un “flash”,   dovrà trasformarsi in uno stato, quell’essere in perfetto bilico, in cui non c’è che il sorridere ed il piangere insieme.

Come dice  Capra, il fisico: “..analogamente al Vuoto dei mistici, il “vuoto fisico” -così chiamato nella teoria dei campi quantici- non è uno stato di semplice “non-essere” ma contiene in sé la potenzialità di tutte le forme. Queste forme non sono entità indipendenti ma sono manifestazioni transitorie del vuoto, che sempre soggiace ad esse. Il vuoto è “vuoto vivente”, pulsione creativa e distruttiva”.

Ed è proprio in questo stato  “aldilà del ragionamento” che è veramente possibile godere in pieno della vita, nella sua interezza,  è uno stato di perenne “comprensione” in cui è impossibile perdere, si vive momento per momento, con chiarezza, intelligenza, creatività. E’ un vivere nell’ignoto!

Buona “vacanza” anche a voi tutti!

Paolo D’Arpini


Programma – Attesa del Grande Cocomero, edizione 2011 – Treia, sede del Circolo Vegetariano VV.TT., Via Sacchette, 15/a (vicino alla porta Mentana o Montana o Montanara)

h. 9.30 – Rendez vous per un pellegrinaggio al pianoro di Santa Sperandia, nei pressi della torre diroccata resteremo in contemplazione del vuoto.

h. 12.00 –   Ritorno al Circolo, canto dell’inno sacro dedicato al Guru Swami Muktananda, segue  condivisione del cibo vegetariano da ognuno portato.

h. 15.00 -  Riposo

h. 18.00 – Passeggiata sotto le rupi di Treia per la raccolta di rifiuti abbandonati e dialogo in movimento.


Per info. e prenotazioni: circolo.vegetariano@libero.it – Tel. 0733/216293

domenica 17 luglio 2011

L’immondizia che unisce 2 - Il destino stantio dei rifiuti solidi urbani che non trovano idonea ubicazione, dal nord al sud e dal sud al nord

 "Sotto il verde e sotto le rupi solo immondizie..." (Saul Arpino)


Torniamo al discorso dei rifiuti indifferenziati  e di come sistemarli. Ci ha scritto Claudio Martinotti Doria (Gevam) a commento degli articoli pubblicati i giorni scorsi sul destino dei RSU sparsi per l’Italia:

(Vedi articoli menzionati:



A proposito di immondizia, ho letto l'esaustiva ed intelligente riflessione di Caterina, e devo dire che la situazione è identica anche qui nel Monferrato di Area Casalese, ma temo lo sia più o meno ovunque, soprattutto nei piccoli centri storici dove non si possono collocare isole ecologiche, ma anche dove c'è ampia dotazione di cassonetti e raccoglitori per ogni tipo di rifiuti, c'è un'assoluta assenza di cassonetti per l'indifferenziata, solo parzialmente mitigata da qualche cestino di minime dimensioni collocato per gentile concessione, che si riempie in poco tempo e viene svuotato raramente, QUINDI QUASI NESSUNA ATTENZIONE PER I VISITATORI E TURISTI ED ANCHE ABITANTI IN MOVIMENTO, che non sanno dove depositare i rifiuti e devono riportarseli a casa. Stendiamo poi un velo pietoso ma anche risentito (legittimamente) per coloro che come me fanno la raccolta differenziata fin dal "neolitico", quando ancora non esistevano le isole ecologiche ed i rifiuti si dovevano portare ai vari raccoglitori artigiani nei loro depositi sparsi sul territorio, EBBENE NONOSTANTE LE VARIE PROMESSE FATTE, ORMAI SONO PASSATI DECENNI, NON CI SONO MAI STATI INCENTIVI E NEPPURE FORME DI PREMIAZIONE O RIDUZIONE DEL COSTO E COMPENSAZIONE PER COLORO CHE HANNO EFFETTUATO LA RACCOLTA DIFFERENZIATA, CHE PAGANO ESATTAMENTE COME COLORO CHE NON L'HANNO MAI EFFETTUATA.

L'equità, l'etica, la correttezza, l'affidabilità, ecc., non appartengono alla classe politica di questo paese, meno che mai a livello macro e neppure a livello micro (Enti locali, che però hanno l'attenuante che hanno scarsa autonomia decisionale, dovendo applicare le leggi). Si continua a pagare la tassa e non la tariffa che dovrebbe essere proporzionata alla quantità conferita di rifiuti ...

ciao, Claudio Martinotti Doria

………..

Il mio commento è stato: Caro Claudio, siamo proprio nella stessa onda... devi sapere che già parecchi anni avevo iniziato la raccolta differenziata ed il riciclaggio a Calcata, per conto mio, andando a pescare nei cassonetti stracolmi il cibo residuo gettato via e legnami vari ed altro materiale utile per gli animali e per la manutenzione del Tempio della Spiritualità della Natura. Questo mia opera di recupero avrà fatto risparmiare alla comunità migliaia di euro, poichè in totale avrò riciclato tonnellate di rifiuti.. Eppure proprio un mese fa ho ricevuto dal comune di Calcata un ingiunzione di pagamento per lo smaltimento addietrato di immondizie di una vecchia casa nella quale non abitavo da anni e che era rimasta vuota.. Però ho dovuto pagare egualmente il maltolto,perchè la legge amministrativa è legge assoluta e supera ogni giustizia umana....  Ciao, Paolo D’Arpini

Replica di Claudio:

INCREDIBILE COINCIDENZA!  Prima di trasferirmi a Ozzano Monferrato dove abito da una decina di anni, vivevo in una cascina a Cereseto, paese appena oltre un paio di colline, ebbene siccome ci sono voluti 5 anni per vendere la cascina ormai vuota, il comune mi ha fatto ugualmente pagare la tassa a pieno regime, come fosse abitata, pur non avendo mai prodotto neppure un sacco di immondizia, e siccome la tassa è a superficie e le cascine ovviamente non sono piccole come gli appartamenti, ho sborsato 1500 euro ... Ci sarebbe motivo di solenne incazzatura, ma ormai in Italia siamo purtroppo vaccinati e debilitati.  A presto


Ed ecco il commento di Caterina alla lettera di Claudio

Paolo mi ha fatto leggere la tua lettera e la situazione effettivamente deve essere così un po' ovunque. Qui a Spilamberto (MO) dove siamo ora, ci sono si i cassonetti anche per l'indifferenziata, ma nel centro storico ci sono pochi cestini per i rifiuti che spesso sono strapieni, soprattutto in concomitanza di "eventi cultural-commerciali" tipo "festa della birra", fiere varie e simili. Questi eventi sono graditi a buona parte della popolazione, ma lasciano spesso strascichi poco piacevoli per tutti. Del resto tante manifestazioni patrocinate dai Comuni sembra che debbano avere per forza, a causa degli scarsi mezzi a disposizione  per la cultura, la collaborazione degli operatori commerciali, che, per carità, hanno tutto il diritto di guadagnare se lavorano, ma dovrebbero assumersi anche l'onere di lasciare il luogo come l'hanno trovato.

Certo mi si potrà obiettare che tanti ripristini di opere pubbliche si possono fare grazie alle sponsorizzazioni di piccoli o grossi investitori che giustamente (?!) chiedono il loro tornaconto.

Praticamente sembra quasi che più il paese è "ricco", più, indirettamente, ne dovrebbe giovare l'intera collettività, ma sarà veramente così? Non è che alla fine paga sempre Pantalone?

Forse sono uscita un po' fuori tema, ma tutto influenza, condiziona ed è collegato col tutto.

Ciao e grazie, Caterina Regazzi


P.S. Altra faccenda: perchè i cestini sparsi per i paesi vengono svuotati così raramente? Ovvio: la "nettezza urbana" non è più gestita come una volta dall'ente pubblico, ma data in appalto a ditte private, spesso cooperative (di destra, di sinistra), che devono lavorare forzatamente a prezzi concorrenziali (appalti) e quindi, cosa si può pretendere? Il pubblico ormai non gestisce più nulla, perchè il pubblico non è capace di gestire le cose spendendo il giusto, ma perchè il privato lo può fare e il pubbblico no? Una volta fare lo spazzino era un posto di lavoro se non ambito almeno decoroso e sicuro e se le strade erano sporche sapevi con chi prendertela, oggi se io arrivo in ufficio e trovo il cortile antistante pieno di cartacce e cicche di sigarette, chi vado a chiamare?

sabato 16 luglio 2011

Treia / Spilamberto: “L’immondizia che unisce” - Viaggio sulla litoranea adriatica con un sacchetto di RSU che non si sa dove gettare…

Eccoci,  partiti da Treia, abbiamo percorso la strada, sempre la solita, in automobile, la mia fida (per ora) automobile, che, almeno fino a quando non finirà questo petrolio o almeno fino a quando potremo permetterci di comprarlo, o almeno fino a quando io e Paolo non vivremo definitivamente insieme, ci/mi porterà in questi avanti e indietro tra la mia e la sua residenze abituali.

Il viaggio odierno, durato un po' più del previsto, a causa di un incidente all'altezza di Pesaro, è stato allietato dai nostri canti, ma anche da una presenza un po' ingombrante: un bel sacchetto pieno dell'immondizia indifferenziata che in questa settimana di permanenza a Treia abbiamo accumulato (compresi i rifiuti raccolti durante l’escursione alla Grotta di Santa Sperandia e quelli trovati sparsi nell’orto).

Dico "allietato" anche riguardo all'immondizia (monnezza, rusco, pattume, ecc.) perché questo fatto è stato motivo di nostre riflessioni per la prima parte del viaggio, riflessioni che vorrei condividere con voi. Per inciso: non sono considerazioni altamente filosofiche o introspettive, ma deduzioni che provengono da osservazioni e collegamenti tra fatti osservati quotidianamente e soprattutto negli ultimi tempi.

Perché, chiederete voi, vi siete fatti più di 4 ore di auto con un sacco di immondizia nell'abitacolo e precisamente tra le gambe di Paolo (io ero alla guida)?

Come tutte le volte che lasciamo un'abitazione, svuotiamo il bidone dei rifiuti, ma quando siamo a Treia, ci troviamo col problema di DOVE depositarli. Quando Paolo si è trasferito là, dato che nel centro storico non esistono contenitori per i rifiuti, ma viene fatta la raccolta porta a porta, come tutti i bravi cittadini ci siamo informati sulle giornate e sulle date del ritiro dei diversi tipi di rifiuti.La raccolta porta a porta è una gran bella cosa, quei grandi bidoni che vengono usati altrimenti, sono sempre degli obbrobri e comunque per le strette stradine di Treia non ci passerebbe un automezzo per il loro svuotamento.

Evidentemente, per incentivare il più possibile la raccolta differenziata e forse anche per diminuire le spese, il Comune di Treia ha previsto la raccolta dell'indifferenziata solo al lunedì. Essendo sabato mattina, non potevamo certo andarcene lasciando sul portone il sacco giallo per due giorni!

Ce lo siamo caricato in auto ed io ho cominciato a percorrere la strada aguzzando la vista in modo da potercene sbarazzare al più presto. Dopo poco abbiamo incontrato dei bidoni per l'"umido", per cui il buon Paolo, che aveva tenuto da parte bucce di patate, di cipolle, di cocomero e melone, ha potuto smaltire almeno quelle..... dopo di che il nulla! Abbondanza di bidoni per tutti i tipi di rifiuti, compresi bidoni gialli per i pannolini, ma per l'indifferenziata il nulla! E così per tutto il percorso da Treia a Porto Recanati, dove c'è l'ingresso dell'autostrada che solitamente prendiamo per raggiungere l'Emilia. Abbiamo ripensato allora alla discarica che abbiamo avuto modo di visitare sul retro della spiaggia libera di Porto Recanati. Se anche Porto Recanati è in queste condizioni, dove mai possono depositare i loro rifiuti quelle frotte di stranieri che sostano in quel tratto di spiaggia libera alla sera, per riposarsi dopo aver percorso chilometri sotto il sole cocente e dopo aver fatto (credo proprio) magri affari? Con tutto quello che paghiamo (circa un euro al giorno) non si avrebbe diritto ad un servizio un po' più completo?

E poi (e questa non è una cosa che può essere affrontata localmente): non sarebbe giusto che almeno una parte del costo dello smaltimento fosse addebitato alle ditte produttrici che pur di vendere e di guadagnare non fanno nulla per ridurre il volume e per usare materiali più degradabili per gli involucri? Paghiamo carta, cartone, plastica quando acquistiamo un prodotto e poi paghiamo per smaltirli, senza sapere se e come tali materiali vengono effettivamente recuperati. Ma il risparmio vero, la vera ecologia, in questo caso, si dovrebbe basare sulla non produzione dei rifiuti, incentivando, quando sono inevitabili, veramente il loro riutilizzo (l'organico nelle compostiere, la carta e la legna per accendere i camini, il vetro tornando al "vuoto a rendere"). La plastica, visti anche i problemi del picco del petrolio, dovrebbe piano piano scomparire.....

Comunque alla fine siamo giunti in quel di Spilamberto e qui  ci siamo alleggeriti del "ingombrante fardello"!

Caterina Regazzi

venerdì 15 luglio 2011

Treia e l'Acqua Cotta del 8 agosto 2011 – Celebrazione culinaria povera ricordando Nityananda (la beatitudine eterna del Sé)


Seguendo la tradizione, come da calendario interno, anche quest’anno il Circolo Vegetariano VV.TT. festeggia l’8 agosto, con la consueta ricorrenza della Festa dell’Acqua Cotta.

Quel giorno la “comunione” consiste solo di acqua calda, pan secco ed erbe che siamo riusciti a raccogliere durante la passeggiata selvaggia… e chi conosce la natura sa che ad agosto di erbe ve ne sono ben poche… è perciò importante che i partecipanti apprendano velocemente a riconoscerle per non lasciarsene sfuggire nemmeno una. Cerchiamo in questo modo di risvegliare nei neofiti l’amore per il necessario e la gioia di godere di quel che si ha, senza aspettarsi la manna dal cielo.

Due parole sull’origine di questa manifestazione. Ricordo che già dai primi anni della fondazione del Circolo avevo inserito in calendario la commemorazione dell’8 agosto, la data in cui nel 1961 il mio nonno spirituale Bhagawan Nityananda lasciò il corpo. Certamente la ricorrenza non aveva alcunché di prosaico, ed era più che altro una celebrazione di carattere spirituale … ma accadde che “i turisti per caso” Syusy Blady e Patrizio Roversi decisero di venire a trovarci per girare un breve reportage sulla nostra realtà di Calcata, e scelsero proprio quella data.. Dovetti pensare a qualcosa per coinvolgere un po’ di amici nell’evento e ricordai che quello era il periodo, nella consuetudine contadina, in cui si preparava l’acqua cotta.

Recuperai perciò una ricetta locale ed assieme alla banda di soci del Circolo, che solitamente volontariava la presenza in occasioni simili, “ripristinai” la prima Festa dell’Acqua Cotta. La cosa non mi sembrò irriverente nemmeno nei confronti di Nityananda infatti voi sapete che nell’antichità si usava commemorare i defunti con pranzi e banchetti, perciò questa celebrazione mi parve di buon auspicio…..

Programma del 8 agosto 2011 – Treia, Via sacchette 15/a

h. 18.30 – Appuntamento in sede, venire muniti di sacchetto di stoffa o di cestino in vimini. Portare con sé alcuni tozzi di pan secco.
h. 19.00 – Partenza lungo un sentiero francescano per la raccolta di erbe aromatiche e commestibili, utili alla preparazione dell’Acqua Cotta.
h. 20.00 – Ritorno in sede e succesiva degustazione dell’Acqua Cotta. Segue una narrazione su Baghawan Nityananda e canto di mantra.

Prenotazioni ed info. circolo.vegetariano@libero.it – 0733/216293

giovedì 14 luglio 2011

Porto Recanati simbolo delle qualità d'Italia.. il nord ed il sud uniti dalle "immondizie"


Commenti ricevuti sull'articolo: http://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2011/07/porto-recanati-macerata-spiaggia-libera.html   e risposta di Caterina Regazzi


Caterina (consentimi il tu), sai che riesci a rendere ogni tuo ricordo in modo semplicissimo, assolutamente naturale e, quindi, coinvolgente ed interessante? A me, già grandetto e "navigato" (non mai abbastanza) risalgono a galla dai meandri della memoria esperienze e ricordi simili.  Per questo mi sento quasi in famiglia . Grazie.  Ed, in aggiunta, guarda che con il resoconto della gita a Porto Recanati hai... riunificato l'Italia! Quella del vergognoso degrado del territorio, del disinteresse dei politici per una amministrazione "non interessata" e, non ultimo, dello incivile comportamento di parte dei cittadini verso l'ambiente e contro se stessi .

Qualità, si fa per dire , che ritengo primarie dei catanesi (miei concittadini per nascita), dei siciliani e dei meridionali in genere . Non generalizzando ovviamente, tantissimi sono a posto . Ma decisamente troppi sono della altra specie. Io, di non certo purissima razza siculo-calabrese, viste forse le ascendenze tosco-umbre-germaniche e pure sarde (mi fermo solo ad una parte di quel che ricordo) ho però sempre addebitato questa mancanza alla coscienza civica dei meridionali . Battendomi sempre affinchè venisse modificata . Sulfuru !! Si dice così in Sicilia    per indicare qualcosa di persistente (i vapori di zolfo) che evaporano alla fine senza lasciar traccia. Ed ho reso l' idea, spero.  Quindi, per eccesso di amore verso il Sud, ho portato come esempio il Centro (Lazio escluso) ed il Nord Italia quasi fossero i modelli reali da seguire in materia.

Eppure ho tanto girato in lungo ed in largo. Forse però non ho guardato bene. Perlomeno in tanti posti. Ed ecco arrivi tu, Caterina .

Ed in quattro mirabili e semplici frasi, descrivendo il parziale (spero) schifo trovato nella civilissima (?) e bella zona del maceratese, mi hai aperto gli occhi sulla vera unità d' Italia realizzatasi: quella della vergogna!  Ciao , Enzo  (Vincenzo Mannello).

.........................

Risposta di Caterina Regazzi

Caro Enzo, ti ringrazio per le belle parole, in effetti la "sporcizia" è un problema sempre più opprimente ovunque, anche luoghi che amavo evidenziare agli amici e ai visitatori ormai ne sono invasi, come appunto, questo tratto di mare, ma anche la "civile" Emilia Romagna, dove vivo e lavoro. Qui i danari scarseggiano sempre più e le amministrazioni debbono barcamenarsi, tra la cura del territorio e le rappresentazioni sceniche che fanno "audience" e quindi, "voti".
Ma si sa, se il cambiamento non parte da ognuno di noi, come possiamo pretendere che il mondo migliori? Se non educhiamo i nostri figli, per scarsità di tempo e di pazienza, as avere cura di sè e dei loro luoghi, dove andrà questo mondo? Per non parlare della "pulizia interiore".

Ciao, Caterina


Ah, vedi anche  un altro commento ricevuto sull'articolo della "immondizia".


Ciao sono Giorgio, ho letto la tua lettera, forse perchè mi sono registrato a peacelink. Oltre che simpatica è molto efficace.
Proprio in questi giorni ho scritto un articolo in  tal senso a questo link:
http://www.anoilaparola.it/ultimi-articoli/un-mare-di-rifiuti-legambiente-e-vas-le-piu-attive
è il sito con cui collaboro.

Magari, se ti va, puoi intervenire dopo l'articolo e "denunciare" quello che ti è successo. Oltre che segnalare il fatto a V.A.S. on line. Scusami se mi permetto, ma anche mia moglie sta attraversando il
periodo di menopausa, è molto utile aiutarsi con il Biancospino, ma credo che queste informazioni già le conosci.

Un saluto a te e family,
Giorgio

mercoledì 13 luglio 2011

Amarcord bioregionale di Caterina Regazzi: "Storie di Treia e su Treia, con nonna Annetta, i tagliolini in brodo, Andrià, l'eredità... ed altri eventi"

Caterina da grande nell'orto di Treia


Caterina da piccolina in braccio alla nonna Annetta
 
Oggi, 13 luglio 2011, io e Paolo siamo a Treia e stiamo aspettando l'arrivo di sua figlia Caterina, dei due suoi bambini, Matteo e Massimo e della connonna, Paola.
 
Pensando alle sistemazioni per la notte mi è subito venuto in mente che Caterina e i bambini potrebbero dormire nella "camera della nonna", cioè la camera, vicino alla grande cucina e che una volta, tanto tempo fa, sarà stata adibita a dispensa, dove ho dormito per anni, con mia nonna Annetta.
 
Mi è sorto naturale allora voler riproporre il ricordo che ho di lei, che mi ha cresciuto per i primi dieci anni di vita, senz'altro più di mia madre, Gina, fino a quando non ci ha lasciato.
 
La sua presenza qui comunque, è sempre molto forte.

Mia nonna Annetta si era sposata in tarda età (almeno per quei tempi con Vittorio, proveniente da Mezzocorona (TN). Lui è morto molto giovane, 31 o 32 anni al massimo, lasciando vedova mia nonna, 36 anni (6 anni più di lui) altrimenti nominata "Annetta", con una figlia, mia madre, di appena due mesi. Già da questo inizio, si  può immaginare che la vita di mia nonna non è stata semplice. Dopo il parto, poi, aveva avuto le febbri puerperali e quindi aveva dovuto "abbandonare" mia madre nelle mani di una balia, amorevole si, tanto che mia madre, quando mia nonna è andata per riprendersela, a circa un anno (?) non ne voleva sapere di andarsene da lì, ma pur sempre una balia.

Io, come molti figli "ingrati", ho sempre incolpato mia madre di scarsa affettuosità nei miei confronti, ma negli ultimi anni l'avevo un po' "perdonata" pensando all'infanzia che deve aver passato, senza padre e con una madre giovane vedova, infanzia di cui lei comunque non si è mai lamentata, anzi, lei ha sempre adorato sua madre, mia nonna e se raccontava qualche episodio della sua infanzia erano esclusivamente ricordi felici.

Mia nonna era nata nel 1898, a detta di Paolo, anno della Scimmia, mentre mia madre era del 1932 (anche lei Scimmia) e Paolo è un altro Scimmiotto (1944).

Erano 9 tra fratelli e sorelle. Io non li ricordo tutti neanche nel nome. Alcuni erano morti da piccoli, altri erano emigrati in Argentina e di questi se ne erano perse le tracce, i rimanenti erano, oltre mia nonna, due fratelli più piccoli (Antonio - Antò- e Giuseppe - Peppe) e una sorella più grande, Maria (Mari'). Questi li ricordo tutti bene. So che lei, essendo rimasta in casa più a lungo dell'altra sorella (mia nonna si era sposata a 35 anni) aveva fatto un po' da "servetta" ai fratelli curandoli amorevolmente fino a quando non si erano sposati, tutti e tre in tarda età (specialmente mia nonna) e quando in estate mi trasferivo a Treia per tre mesi con lei, sulla credenza c'erano sempre e specialmente il martedì, giorno di mercato, il ciambellone e il vermouth, per accogliere degnamente i fratelli e i nipoti in visita, dato che, mentre noi stavamo in paese, gli altri facevano i contadini e vivevano nelle campagne circostanti.

Era una gran festa per mia nonna ricevere i suoi fratelli, si volevano veramente una gran bene ed era commovente vederli abbracciarsi, baciarsi e ridere insieme. Mia nonna aveva una pancia molto voluminosa e quando rideva questa pancia sembrava si animasse, ballava con lei....................

Dopo la morte di mio nonno e il "recupero" della figlia mia nonna si dovette rimboccare le maniche ed trovò un lavoro da "governante" presso un uomo che aveva fatto i soldi emigrando in Argentina. Non so in seguito a quale incidente o malattia aveva perso una gamba (aveva la gamba di legno, anzi , ne aveva due, una per i giorni normali ed una per i giorni di festa) ed era tornato in Italia, ad Appignano, un paesino vicino a Treia ma ancora più piccolo (e meno bello). Aveva bisogno di chi lo accudisse , mia nonna aveva bisogno di lavorare e così lei si trasferì con la piccola "Ginetta" in quel paesino, famoso per la produzione di cocci e coccetti, terrecotte anche di piccolissime dimensioni con cui ho sempre giocato anche io da bambina e per le fabbriche di mobili.

Lui si chiamava Giacomo Andreani, detto "Andrià":  era un uomo burbero, ma generoso e mia madre era una bimbetta che sapeva farsi voler bene (come tutte le Scimmie); lui la teneva sulle ginocchia e forse le raccontava le storie della sua gioventù.

Quando morì lasciò a mia nonna del denaro con cui lei acquistò la casa di Treia, dove si trasferì e dove mia madre visse la sua giovinezza.

La casa era su due piani abitabili, venne acquistata in blocco dalle due sorelle Annetta e Marì, indivisa (la divisione fu fatta successivamente alla loro morte dai figli, cose di eredità) un piano lo abitò mia nonna e il piano superiore sua sorella.
 
Ma ecco che ricominciavano i problemi economici per la piccola famiglia, allora mia nonna si trasformò in "pensionante", cioè affittava le stanze ai "forestieri" fino anche a cedere il suo letto a gente che veniva da fuori per lavoro, tra cui preti e professori. Lei si arrangiava a volte a dormire su una grande e dura cassapanca, che ora, dopo essere stata restaurata e lucidata, fa bella mostra di sé nel mio soggiorno a Spilamberto.
 
Mia madre ricordava quello come un bel periodo della sua vita, in mezzo a gente da cui imparò ad amare la lettura e , nella sua semplicità, una certa cultura.

E mia nonna cucinava e cucinava.............

E cucinando cucinando ha trasferito la sua attività da Treia a Roma, seguendo mia madre che nel frattempo si era sposata con mio padre. Chissà se ha sofferto nel lasciare il suo paese e i suoi fratelli! Forse la consolava il pensiero che, comunque, era previsto e così è stato finchè è vissuta, che la bella stagione lei la passava comunque a Treia con me, che dopo due anni sono venuta al mondo.

A proposito di cucina le sue specialità, che sono poi le specialità della sua zona di origine erano: vincisgrassi, una sorta di lasagne con un sugo di carne particolare, come è il sugo di carne alla marchigiana, cioè con carne di manzo e odori (cipolla e poco altro) a pezzi e non tritati come nel ragù alla bolognese (la specialità dell'altra mia nonna, ma questa è un'altra storia, meno conosciuta da me e meno variegata), gnocchi di patate, con il solito sugo di carne (questi li faceva altrettanto buoni, se non addirittura migliori, mia zia Augusta, una cugina di mia madre, figlia di quella zia Marì), ravioli di ricotta, tagliatelle (entrambi col solito sugo), tagliolini in brodo........

Quanto mi piaceva vederle fabbricare con perizia e precisione quei manicaretti!

Per i ravioli faceva la sfoglia rigorosamente a mano sul tagliere col mattarello, poi la tagliava a quadri, metteva al centro di ognuno un mucchietto di ripieno fatto con ricotta di pecora, parmigiano, uova, sale e un po', se non ricordo male, di noce moscata. Ogni riquadro veniva ripiegato in due a forma di rettangolo e per chiudere meglio i bordi veniva usato un ditale, premuto in quattro punti con la precisione di una macchinetta.

La festa continuava per me che ero addetta alla ripulitura con le dita della ciotola in cui era stato il ripieno... che dopo il mio intervento riluceva come appena uscita da una lavastoviglie.

I tagliolini erano l'apoteosi della precisione: dopo aver fatto la sfoglia ed averla fatta un po' asciugare, veniva arrotolata stretta e un po' schiacciata e poi, tenuta ferma con la mano sinistra, con la destra armata di un coltello con la giusta affilatura veniva "affettata" come un salame con un ritmo cadenzato e regolare che produceva un rumore che ancora mi risuona, dopo più di 40 anni, nelle orecchie: "zum! zum! zum! ......" ed ogni 10 - 15 tagli, la sfoglia affettata veniva aperta a formare dei nidi che poi venivano lasciati sul tagliere ad asciugare. La misura del taglio veniva data dalle dita della mano sinistra sfiorate ogni volta da quel coltello affilato ed io tutte le volte mi domandavo, tra me e me: "Ma come fa a non tagliarsi mai?

A quel tempo mia madre lavorava, era un'infermiera (lei ci teneva a sottolineare che era un'infermiera professionale con diploma di caposala), ma aveva lavorato in ospedale per pochi anni, a Roma, poi, dopo la mia nascita, aveva deciso di lasciare l'ospedale per un lavoro più tranquillo, più vicino a casa, senza i turni massacranti e “sfasanti” che ancora oggi gli infermieri che io sappia devono fare. Mia nonna era un grosso aiuto per lei. Mia madre non sapeva cuocere neanche un uovo al tegamino, mia nonna non la voleva in cucina e le diceva: “Tu hai studiato, pensa a fare bene il tuo lavoro, a far da mangiare imparerai quando non ci sarò più!”.

E così è stato: mia nonna se n'è andata in fretta, senza darci tanto da fare in un inverno in cui una brutta forma di influenza ne portò via tanti, quando io avevo 10 anni e mia madre 37.

Mia madre ha cucinato per qualche mese fettine di carne, pasta al burro e minestrina di dado, dopo di che, forse per disperazione sua, mia e di mio padre, ha cominciato a comprare libri di cucina ed uno in particolare: “La cucina dalla A alla Z” di Carnacina e, tra tutte le ricette disponibili sceglieva quelle della cucina romanesca. Pur non essendo romana evidentemente voleva fare parte di quella terra che l'aveva così amorevolmente accolta e così giù con code alla vaccinara, penne all'arrabbiata, bucatini all'amatriciana, spaghetti alla carbonara, coratella coi carciofi....... aveva una sapienza nell'aggiungere la giusta dose di sale e di aromi, dare quel tocco che anche seguire pedissequamente una ricetta non può dare, come se anche in lei geneticamente ci fosse una predisposizione naturale a dare ai cibi la giusta amalgama di sapore.

Essendo cresciuta con questi sapori, come potrei mai disprezzare la carne ed avercela con chi, senz'altro più di me, la consuma?

Caterina Regazzi

Vecchia cartolina di Treia