domenica 28 aprile 2019

Dryas recente - La glaciazione di 13.000 anni fa e quella che verrà (o che sta già venendo)

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Non parliamo di milioni di anni, ma di tempi più recenti (ovviamente dal punto di vista geologico), stiamo parlando di 12.800 anni fa. Cosa accadde al nostro pianeta allora? Sappiamo che ci fu un calo delle temperature notevole in un breve arco di tempo, proprio mentre la temperatura media della Terra stava invece aumentando alla fine dell’ultima grande glaciazione. Il nome dato a quel periodo di repentino raffreddamento, durato un migliaio di anni o poco meno, è Dryas recente. 

Gli scienziati fino a poco fa non capivano bene il motivo di questo nuovo clima rigido planetario, attribuendo la causa ai motivi più svariati. Poi però, recentemente, di cui Accademia Kronos se ne è occupata già all’inizio del 2000, si è scoperto che questa mini era glaciale era stata provocata da “qualcosa non terrestre” . Quindi una delle ipotesi che indicavano come causa un fenomeno celeste, come l'impatto di una cometa, finalmente ha preso corpo. 

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Apriamo una breve parentesi su questo evento perché noi di AK lo abbiamo studiato attentamente e alla fine abbiamo compreso perché una delle civiltà progenitrice di tutte le culture indigene dell'America del Nord e del Sud, sia scomparsa improvvisamente. 

Parliamo della cultura Clovis, vittima di una catastrofe climatica innescata dalla pioggia sulla Terra di uno sciame meteorico. La cultura Clovis, è una cultura preistorica nativa americana che appare per la prima volta nelle rilevazioni archeologiche del Nord America circa 13.500 anni fa, alla fine dell'ultima grande era glaciale. Il popolo Clovis, noto anche come Paleoindiani, è di norma visto come i primi abitatori umani del Nuovo Mondo. 

Questo popolo dallo stretto di Bering, nell’ultima grande glaciazione terrestre di circa 14.000 anni fa, era passato dall’attuale Siberia all’Alaska, attraverso un ponte di ghiaccio, lasciando nella sua lunga migrazione, durata qualche secolo, varie comunità dal Nuovo Messico fino al Cile. Scomparve circa 12.800 anni fa a causa di una nuova e improvvisa era glaciale, innescata da un “bombardamento” meteorico terrestre che a causa delle polveri sollevate fino alla stratosfera determinò un nuovo e deciso abbassamento della temperatura globale, facendo inaridire foreste e praterie e, ovviamente, determinando anche la morte della fauna selvatica che sfamava i cacciatori raccoglitori Clovis.  

Di questo disastro naturale si trova traccia in una stele del tempio più antico del mondo, stiamo parlando di Göbekli Tepe (di 13.000 anni fa) scoperta recentemente in Turchia. Dal pittogramma inciso su una sua stele si capisce che si parla di una catastrofe siderale. Infatti tra tutti i totem che sono stati riportati alla luce, uno in particolare descrive l’impatto violento sul nostro pianeta causato da un corpo celeste. La “cronaca” incisa sulla pietra del disastro meteorico, si deve al collegamento tra la descrizione sulla stele e l’eventuale disastro cosmico grazie allo studio meticoloso dei ricercatori dell’Università di Edimburgo che alla fine hanno pubblicato i risultati delle loro ricerche sulla rivista “Mediterranean Archaeology and Archaeometry”. 

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E’ stato un software particolare che, analizzando la posizione delle figure animali incise sulla pietra e il cielo di allora, ha potuto confermare che la stele riporta effettivamente la storia di un impatto di un corpo celeste sulla Terra che sarebbe avvenuto, guarda caso, all’incirca 13.000 anni fa. Ad avvalorare questa tesi si sono aggiunte le ultime scoperte effettuate grazie alle foto satellitari che hanno individuato in Groenlandia una cratere con un diametro di 30 Km sotto un alto strato di ghiaccio continentale e contemporaneamente un altro cratere in Cile anch’esso datato intorno al 13.000 a.C. Secondo i ricercatori, fu un grosso meteorite che prima di impattare sulla Terra si divise in due parti, una precipitata in Groenlandia e un'altra nell’America del Sud. 

Altri scienziati invece pensano, viste le presenze di altri crateri anche in Canada e in Africa, che non fosse stato un grosso meteorite spaccatosi poi in due a precipitare sulla Terra, ma addirittura uno sciame di meteoriti. Sta di fatto che il clima terrestre fu ancora una volta stravolto e soprattutto in Sud America si innescò una profonda alterazione climatica che causò l'estinzione della megafauna (gli animali di grandi dimensioni) e fu la ragione principale del rapido declino della cultura Clovis. 

Gli scavi di Göbekli Tepe 14 Una curiosità interessante: Gli studiosi dei miti pensano addirittura che le opere di Platone, il Crizia e il Timeo, che narrano della distruzione “in una notte e in un giorno” di Atlantide, raccontassero il vero. Quindi, se fosse vero, l’isola di Atlantide si sarebbe sprofondata a causa del “bombardamento” meteorico avvenuto, come abbiamo visto, circa 13.000 anni fa. Quindi Platone avrebbe scritto il vero.    

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A.K. Informa N. 17


mercoledì 24 aprile 2019

Secessione dei ricchi o federalismo bioregionale?


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Per un bioregionalismo federale in Italia 

Nei tempi, purtroppo difficili, dell’attuale vita politica, emergono, tuttavia, delle occasioni per valorizzare un patrimonio culturale importante ma spesso dimenticato. Mi riferisco, in questo scritto, al bioregionalismo che, ad esempio, nella nostra situazione, come si cerca da tempo di porre in luce, risolverebbe molti problemi del nostro territorio. Infatti, la Tuscia è, per così dire, una regione che trova le sue basi giustificative non tanto su un piano politico, quanto in base a riferimenti di natura ecologica. 

La situazione vissuta dal territorio posto a confine tra il Nord del Lazio, l’Umbria ed il Sud della Toscana costituisce, come noto, un ecosistema importante sul quale si sono strutturate le organizzazioni istituzionali in una lunga storia che, dall’antichità, ci conduce ai nostri giorni. 

L’ecosistema così si configura secondo principi etici e culturali che si collocano nello spazio dell’ecologia profonda. La Tuscia (comprendendo la fascia di territorio attualmente in Provincia di Roma), quindi, manifesta in sé una singolare fusione tra elementi biologici ed elementi spirituali che insieme connotano la singolarità del territorio, abitato dalle popolazioni che, attraverso i millenni, hanno fatto dell’agricoltura e dell’artigianato le loro principali fonti di sussistenza. 


L'opzione bioregionale, perciò, assume la sua importanza nel momento in cui, rivisitando le caratteristiche del territorio, riesce a formulare un programma politico condiviso, capace di dar vita ad un progetto di sviluppo intorno al quale possano aggregarsi, in un’attiva partecipazione, le popolazioni di un interessante spazio inter-regionale. 

La situazione indicata, fino a questo momento, ha rappresentato i contenuti di un’utopia lontana dalle possibilità di un’effettiva realizzazione storica ma i, sia pure discutibili, programmi politici che si vanno attuando nel momento presente nel territorio italiano forniscono delle possibilità, forse insperate in altre situazioni, per inserire il nostro bioregionalismo nelle nicchie aperte dalle rivendicazioni federative, in base alle quali si intendono modificare le istituzioni politico-organizzative della nostra nazione. Ciò giustifica, con particolare enfasi, l’opportunità di rilanciare, ancora una volta, al dibattito pubblico la nostra "utopia" concreta del bioregionalismo. 

Aurelio Rizzacasa, 


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Docente ordinario di storia della filosofia all’università di Perugia.




Altro articolo sul bioregionalismo:

https://www.terranuova.it/Blog/Riconoscersi-in-cio-che-e/Le-radici-del-sistema-multipolare-bioregionale

lunedì 22 aprile 2019

Vetiver. Disinquinante naturale


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Vi segnalo  la ricerca fatta con Università di Roma1, ENEA Casaccia e CREA per la bonifica dei terreni e delle acque della valle del fiume Sacco. Abbiamo piantumato il vetiver a Colleferro e la ricerca è stata poi presentata a un convegno Internazionale, mentre il mio PowerPoint  è stato da me presentato assieme alla relazione al VI Convegno Mondiale sulla VetiverTecnologia, che si è tenuto nella città di Danang (Vietnam). Naturalmente è disponibile la mia relazione e il relativo piano di bonifica e occupazionale, che in realtà non riguarda solo la valle del fiume Sacco, in quanto è replicabile in e per tutti i suoli e le acque inquinate e ovviamente anche la “terra dei fuochi”.

Sarebbe importante che questa segnalazione  arrivasse anche al Ministro Costa al quale è giustamente tanto cara la salvezza della “Terra dei Fuochi”.

Col vetiver, come sapete, si risolve anche il problema dell’inquinamento dell’aria.  Una pianta di vetiver utilizza 3 kg di CO2 l’anno e solo le piante possono riportare l’anidride carbonica ai valori che consentono il giusto andamento dei cicli vitali della terra.

Nell’ultimo convegno “L’urlo di GEA” tutti i relatori che mi hanno preceduto, hanno esposto i disastri creati dall’umanità con dovizia di dati, relazioni di alta qualità, un vero e proprio corso in piena immersione sui problemi dei nostri tempi. Le relazioni per alcuni convenuti erano l’accesso a un mondo poco noto, per altri un’affermazione, un approfondimento o la quantificazione di un mondo conosciuto, mancava però la visione di una cura, non si intravedeva una via di scampo.

Laura Scalabrini aveva aperto i lavori con la sua forte aria battagliera e senso della realtà, poi con la sua lucidità organizzativa ha spostato il mio intervento, che era previsto per secondo ed altri interventi probabilmente perché proponevano soluzioni per alcuni dei fatti esposti. Di fatto il mio intervento arrivò nel momento giusto: si passava dai problemi alle soluzioni. Infatti, dopo di me, si parlò di biologico, ci fu un intervento in cui ci fu uno scambio quasi un gioco con il pubblico, insomma è come avere la cattiva notizia dal medico di fiducia, che il parente è gravemente ammalato, ma anche la buona che ci sono i mezzi per guarirlo.

Così ho rassicurato i presenti, ricordando loro l’importanza di quanto esposto nelle relazioni di quanti mi avevano preceduto, che contenevano informazioni sulla situazione critica del nostro pianeta e di quanti lo popolano, basate su fonti certe ed esposte da esperti nelle varie discipline ambientali, con lo scopo non di scoraggiare e far perdere la speranza, ma per prendere coscienza di queste criticità e magari trovare soluzioni che già possono essere realizzate e che accendono la speranza per un futuro migliore.

Essere informati e informare è già un primo passo per la soluzione dei problemi e la condizione per distinguere quanto è nelle nostre possibilità e quanto non lo è.  Grazie alla nostra conoscenza delle soluzioni, possiamo influire su chi governa per attuarle.  Attuarle però secondo un piano strategico che ne assicuri la sostenibilità. 

Così ho aperto una parentesi per parlare di una esperienza di governo che può fare ognuno di noi. Ho descritto ognuno di noi come il capitano della popolazione di miliardi di microrganismi che popolano il nostro intestino e quanto sia importante la capacità di saperli governare, perché questa capacità determina la nostra salute e i nostri umori. Noi possiamo nutrire queste popolazioni con alimenti prebiotici, alimenti probiotici, o ucciderle con gli antibiotici. Noto ciò, possiamo fare un piano strategico per raggiungere il benessere individuale alimentandoci con biomassa prebiotica (carote, carciofi, asparagi, cicoria, ecc.) che è quella di cui si alimentano solo i microrganismi “buoni” e che non piace a quelli “cattivi”, facendo in tal modo, aumentare la popolazione di quelli buoni, che essendo più numerosi ridurranno proporzionalmente le attività di quelli cattivi riconducendole a quelle necessarie per il giusto equilibrio e la comunicazione col “diverso”, evitando così, le armi di distruzione di massa che sono gli antibiotici. Questa introduzione ci anticipa i paralleli, come la metafora dell’ambiente che ci circonda. 

Noi italiani siamo individualisti. Propongo di limitare il nostro individualismo al nostro intestino, per il nostro benessere individuale e per essere forti, equilibrati e pronti per il lavoro di gruppo che ci porta alla soluzione dei problemi collettivi. Uniti possiamo fare moltissimo, come hanno detto altri prima di me, determinare l’andamento del mercato, possiamo capire l’importanza di superare le “differenze”, possiamo ricordarci che siamo nati per essere felici e cercare soluzioni per e verso questi obiettivi. Dopo con l’orgoglio di ogni buon padre ho cominciato a parlare del vetiver, e delle soluzioni che ci offre assieme alle piante in generale, che sono i prebiotici per il nostro pianeta. Così guardando chi mi ascoltava, ho avuto l’impressione di aver tirato su il morale dei presenti che poco prima sembravano sempre più sprofondati nelle sedie, mentre vedevo rientrare quanti avevano cercato rifugio sul pianerottolo antistante la sala.


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venerdì 19 aprile 2019

Inquinamento e distruzione dell'habitat - Rapporto sulla insicurezza sociale in Italia e in Europa

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Il Rapporto sulla sicurezza e l’insicurezza sociale in Italia e in Europa, giunto all’undicesima edizione si concentra sulla percezione sociale della sicurezza, nelle sue diverse dimensioni, rilevata attraverso due inchieste campionarie:
  • la prima, realizzata in Italia, si propone di ricostruire i trend di lungo periodo della sicurezza, tra i cittadini italiani
  • la seconda, realizzata in sei tra i maggiori paesi europei (Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Olanda e Ungheria), costituisce un approfondimento sul tema del lavoro, delle sue trasformazioni e delle insicurezze generate nella società, in prospettiva comparata internazionale.
Nell'ultimo Rapporto sulla sicurezza, le paure degli italiani sono state sintetizzate in tre indici, il primo che prende il nome di "insicurezza globale" (75%) detiene, anche in questa edizione, il primato nella graduatoria.  All'interno di questa tipologia troviamo i cd timori o ansie ambientali:
  • l’inquinamento (64%, 9 punti in più rispetto al 2017) 
  • la distruzione dell'ambiente e della natura (60%).
A seguire la sicurezza dei cibi che mangiamo (44%).
Dal rapporto emerge con chiarezza che la protezione dell'ambiente è una priorità, rispetto allo sviluppo economico, per i due terzi degli italiani, sia in base alla professione svolta che in base all'età. La generazione di giovani tra i 15 e i 25 anni risulta la più sensibile all'emergenza ambientale.

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(Fonte: Arpat) 

giovedì 18 aprile 2019

Consumismo e distruzione dell'habitat - Spegniamo il nostro smartphone e riflettiamo: dove stiamo andando?


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Meno di un secolo fa, parliamo del 1945, nessuno avrebbe pensato di assistere allo sbarco sulla luna, alla nascita di internet, alle centrali atomiche, ai treni superveloci, allo smartphone e, infine, a vedere un black hole al centro di una galassia lontanissima da noi (M 87). Presi come siamo tutti i giorni a correre sotto gli input di una società consumistica e materialista, sempre più presente nella vita di ogni giorno, non abbiamo avuto il tempo di riflettere e chiederci: ma dove stiamo andando? 

Nel 1950 la popolazione mondiale era costituita da poco più di 2,5 miliardi di individui (e forse si viveva, almeno qui in Italia, meglio di oggi), ora però stiamo per sfiorare gli 8 miliardi, un peso che tra un po’ diventerà insostenibile per tutti gli equilibri naturali del pianeta (soprattutto continuando con il livello di consumismo odierno n.d.r.). Oggi anche le persone più semplici avvertono un futuro incerto dal punto climatico e ambientale. E allora, per un attimo smettiamo di mandare messaggini e immergerci nel nostro smartphon, anzi chiudiamolo e, invece, cominciamo ad accendere il nostro cervello per riflettere. 

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Senza dubbio la scienza e la tecnica ci hanno portato a vivere più comodamente, più a lungo e a disporre di tecnologie sempre più sofisticate, ma nel contempo tutto ciò ha riempito gli oceani di plastica, ha reso irrespirabile l’aria delle grandi metropoli, ha accelerare la fusione dei ghiacci terrestri, ha distrutto milioni di ettari di foreste e fatto avanzare i deserti in ogni angolo del pianeta... e allora? 

Ci si chiede ancora: la scienza e la tecnica di oggi è ancora a servizio dell’umanità, o solo a beneficio di pochi potenti della Terra? Secondo la scienza libera, non quella a servizio dei ricchi sfruttatori del Pianeta, abbiamo preso la strada verso un futuro caratterizzato da immani catastrofi  ambientali. 

Tutto questo per soddisfare le bramosie di profitto e di potere di pochi (i soliti) a danno del 90% dei popoli della Terra, ma anche loro, i pochi che beneficiano di questa distruzione della natura, ne subiranno le conseguenze negative, a meno che non abbiano già approntato un programma segreto capace di superare la crisi e, dopo che parte dell’umanità si sarà estinta, tornare a vivere su un pianeta in parte distrutto, ma ancora in parte vivibile. 

E allora… cominciamo a riflettere con la nostra testa...  

Filippo Mariani  - Accademia Kronos

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martedì 16 aprile 2019

Bioregionalismo e agricoltura biologica - Se la natura aiuta se stessa...


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Basterebbero circa 7 miliardi all’anno per sostenere la riconversione biologica di tutta l’agricoltura e la zootecnia italiana.
Ne abbiamo a disposizione circa 12, tra fondi PAC e Pani di Sviluppo Rurale, dal 2016 al 2020.
Mentre spendiamo oltre 100 miliardi all’anno di terapie per malattie degenerative collegabili in “Concausa aggravante a sinergia negativa moltiplicativa” ai numerosi residui chimici agricoli presenti negli alimenti e nelle acque potabili…
E almeno altri 10 miliardi all’anno a causa dei danni idrogeologici per alluvioni e dissesti, causati anche dall’uso di disseccanti “Agenti arancio”, concimi e pesticidi chimici che hanno distrutto l’humus dei terreni, i quali pertanto non trattengono più l’acqua a monte.
L’uso dei prodotti chimici di sintesi in agricoltura resta sempre e comunque pericoloso e i rischi derivanti dall’esposizione sussistono in ogni circostanza, per cui sempre e comunque prevale il diritto alla salute (Art 32 Cost.), all’ambiente salubre (Art. 9 Cost.) ed allo sfruttamento razionale dei suoli (Art. 44) e mai è possibile anteporre qualsiasi interesse economico, quando vi sia un danno arrecato all’interesse sociale (Art. 41, 42, 44 Cost.).
E dal momento che i più deboli rappresentano le principali vittime di patologie cronico degenerative, i Pesticidi che si accumulano nell’ambiente e nella catena alimentare violano anche l’Art. 3 della Costituzione, sul principio di uguaglianza e pari dignità.
Purtroppo, nonostante un referendum tenutosi nel 1992 sui residui di pesticidi, le norme di legge non prevedono il limite massimo ammesso della sommatoria dei diversi residui chimici di sintesi che si possono trovare negli alimenti, ma solo un limite per ogni singolo prodotto chimico.
Ciò espone i cittadini ad assorbire Cocktayls di residui chimici, la cui somma spesso supera di gran lunga quella dei limiti ammessi per ogni singola sostanza chimica pericolosa, i cui danni risultano molto più gravi per la “sinergia negativa di tipo moltiplicativo” scientificamente dimostrata, cui si somma l’interferenza endocrina anche a bassissime presenze.
Ciò ha indotto la comunità europea a definire, in leggi e Regolamenti i Pesticidi chimici impiegati in agricoltura “pericolosi per la salute”, chiedendone la sostituzione attraverso la coltivazione biologica a pagamento pubblico… per non continuare ad essere “avvelenati a norma di Legge”.
I dati statistici ARPA confermano che in un piatto misto mediamente ingeriamo da 8 a 13 residui chimici, ma talvolta si è arrivati a rilevarne oltre 30 …fino a 91!! (Lorenzin et al.)
Infine è assolutamente antiscientifica l’affermazione che le piante producono Pesticidi pericolosi come quelli chimici sintetici, a meno che non si tratti di OGM, organismi transgenici in cui sono stati inseriti pezzi del dna di batteri produttori di tossine, per fortuna in Italia vietati dalla coltivazione.
In realtà, la co-evoluzione di miliardi di anni dei vegetali con gli animali che se ne nutrono e con l’Uomo, molto ben selezionato ed adattato, ha fatto si che proprio le sostanze che le piante producono per difendersi dai parassiti siano preziosi antiossidanti e complessi enzimatici molto utili per la salute umana ed animale.

Prof. Giuseppe Altieri, Agroecologo
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domenica 14 aprile 2019

Laicità, naturismo e spiritualità


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Si dice che lo Stato laico sia l'unico ente "super partes" che consenta libertà di pensiero a tutti i cittadini. Nella Costituzione italiana tale libertà è garantita in diversi punti, questo perché la nostra costituzione è nata in un momento particolare della nostra storia patri, subito dopo la caduta del fascismo che aveva fatto del "concordato con la chiesa cattolica" una pietra miliare utile alla sua egemonia politica interna. Dopo la liberazione dal fascismo, per alcuni anni, si sperò che la divisione  tra i poteri laici dello stato ed i dettami religiosi della chiesa avessero trovato un equilibrio, garantendo una libertà espressiva. Purtroppo non è stato così, a cominciare dai patti stilati da Bettino Craxi con il vaticano  nel 1984 (Vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Accordo_di_Villa_Madama) che andavano a  sancire una sorta di rivincita religiosa nei confronti dello stato laico.

Il significato di "laico"

Ma a questo punto cerchiamo di capire il significato che viene dato al termine "laico". Controllando sul vocabolario l’origine etimologica della parola  viene fuori:  “Laico”, dal latino “laicus” di derivazione dal greco “laikos” significa “del popolo, profano, estraneo al contesto strutturale sociale e religioso”, opposto a “clerikos” (dal greco) “del clero”! Al contrario nella terminologia religiosa cattolica  questa parola assume tutt'altro significato,  il termine “laico” è sostanzialmente travisato venendo a significare "persona appartenente alla religione ma non ordinata nel vincolo sacerdotale". Questa differenza di vedute ha  portato ad una contrapposizione   tra la “cultura laicista” e quella “clericale”. Ma ciò non è benefico dal punto di vista della libertà di pensiero che andrebbe estrinsecata non nella funzione contrappositiva bensì in quella della ricerca spontanea.

Mi spiego meglio.   



Perché darla vinta a chi storpia il significato invece di correggere le devianze (opera di strumentalizzazione)? Occorre restituire valore-verità alla parola "laico", simbolo di autonomia da ogni sovrastrutturazione ideologica, compresa quella del "laicismo". Non prestandosi al  gioco delle ideologie politiche e religiose,  la laicità  si affranca da ogni tendenza alla diatriba, ritornando ad essere un’espressione priva di connotazioni (come specificato nel significato originario…"del popolo, estranea ad ogni  costrutto sociale e religioso..."), insomma libera! Che altrimenti la battaglia per il mantenimento della laicità nello stato si presta ad interpretazioni deviate e di parte.

Fino a qualche anno fa la battaglia "laicista" in Italia si combatteva più che altro contro la chiesa, ed essenzialmente  contro l’esibizione del crocifisso nei luoghi pubblici. Poi pian piano  all’antagonismo contro la prevalenza del  cristianesimo si sono aggiunti torme di “fedeli” di altre religioni, compresi i credenti nell’ateismo. Ogni fede concorrente vuole occupare un pezzetto dello stato ed ottenere  maggiore influenza. Lo spirito laico deve oggi difendersi non solo dai cristiani  ma da una  grande ammucchiata oppositiva: ebrei, musulmani, protestanti di varie sette e congregazioni, buddisti, bahai, new age, etc.   Ognuna di queste fedi con le proprie richieste ed intromissioni.

Ed ora i veri laici  sono costretti a barcamenarsi e a difendersi non solo dalle arroganti  pretese  del cattolicesimo, che afferma la sua posizione di “religione di stato”,   ma debbono osservare sgomenti l'avanzata di  nuovi "compromessi storici",  mentre lo Stato deve cedere il passo al nuovo corso dettato dai mullah e dai rabbini, etc.

Per un rispetto delle pari opportunità  di tutte le minoranze religiose presenti oggi in Italia e per una politica dell'accoglienza  si tende ad accettare sempre più le richiese contrastanti di altre religioni che bussano alle porte dello Stato, favorendo la costruzione di nuovi luoghi di culto e l'approvazione  di  simboli e regolamenti religiosi contrastanti con le leggi vigenti, vedi ad esempio la macellazione per sgozzamento senza stordimento, halal musulmana  e kosher ebraica, o la legge  della sharia o i dettami talmudici, etc.  Tale avanzata, su più livelli di diverse nuove e vecchie  religioni,  porta ad un ulteriore indebolimento dello Stato laico.

Natura è spirito. Contro l'abuso delle religioni

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Mi scriveva l'amico Nico Valerio: "Contro gli abusi lessicali suggeriti dalla Chiesa (pensiamo  ad esempio all’inesistente distinzione semantica-politica tra Stato “laico” o scuola “laica”, e “laicista”, nel senso di seguace di quella stessa idea; mentre i preti danno a intendere che il secondo termine sia un rafforzativo o peggiorativo del primo...) con  papa Giovanni Paolo II in testa e qualche politologo finto-laicista a fargli da contorno, per cui i “laici” sarebbero loro, cioè preti e clericali nientemeno..."

Ma sostanzialmente la laicità,  intesa nel senso originario,   non dovrebbe assolutamente essere confusa con una "non religiosità" ma come espressione  di una spontanea “spiritualità naturale”, che deriva da Naturismo o filosofia della Natura. 
Com’è noto agli antropologi e storici  le forme  antiche di spiritualità sono  tutte  naturalistiche. Nei dizionari migliori il termine “Naturismo” ha anche questo antico significato.

Tra le differenze d'impostazione  che contraddistinguono le filosofie naturalistiche e le religioni  di matrice giudaico-cristiana-musulmana,  va considerata l'aderenza alla vita e la non differenziazione tra spirito e materia, che prevale nelle forme pensiero libere da dogmi teisti,  mentre nelle fedi del "libro" prevale la condanna della naturalità e la separazione tra spirito e materia.

La causa di questo scollamento dal quotidiano nella nostra cultura occidentale  è una conseguenza della conversione ai dettami biblici (e sue elaborazioni in termini cristiani e maomettani) che ha  provocato la progressiva corruzione  e cancellazione della originaria visione naturalistica. 
Tra l'altro la parola "religione" sta a significare "riunire ciò che è diviso" mentre nella natura non c'è mai stata  alcuna divisione. Il tutto è sempre presente nel tutto: Natura naturans e Natura Naturata.  Questa è anche una vera espressione di laicità, una laicità pura, naturale, non macchiata da una rivalsa nei confronti del pensiero religioso o spirituale. 

Laicità come emblema di libertà

Il significato stesso di “laicità” impedisce l’assunzione di un modello, di un pensiero definito e specifico. Ciò vale anche per la cosiddetta Spiritualità Naturale o Laica, che è sincretica nell’accettazione delle varie forme di pensiero ma non riveste i panni di alcune d’esse, si tiene in sospensione, in una condizione di trascendenza.

Ovviamente la laicità per essere genuina deve essere distaccata persino dal concetto stesso di “laicità” ovvero non deve considerare questo atteggiamento di distacco come un prerequisito di verità. Ciò è comprensibile se osserviamo i vari aspetti della  ricerca di sé nel dominio dell’esperienza diretta e quindi dell’indescrivibilità del suo processo conoscitivo. In un certo senso la “laicità” è una forma di osservazione che denota assoluta libertà, una libertà che non può essere mai racchiusa in una descrizione.

Paolo D'Arpini



mercoledì 10 aprile 2019

Il bioregionalismo della concittadinanza per un nuovo mondo - di Giovanni Tomei

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Caro Paolo D'Arpini,  non ci conosciamo di persona, ma il bioregionalismo della concittadinanza tra cuore e intelletto va più che bene, perché così è tra consimili umani. E questo offre una speranza al catastrofismo atteso nella transizione senza speranza di cui parli prima della speranzosa conclusione.
Poi, tutte le guerre, dalle religioni, alla fame, al calcio, al colore della pelle, hanno due componenti essenziali: il benessere e le culture, accentuate dal tasso d'ignoranza, nel senso d'ignorare le tante prospettive con cui si possono misurare "le cose", se predisposti. E qui metto prima il benessere, perché le mancanze sono così insopportabili per mancanza di denaro, il centro che permette il recupero della ridondanza cuore - cervello per essere tutti empatici. Nel senso che, poi, sul benessere, tutto si può comporre (più o meno).

Quando non avevo i miei 78 anni di oggi, all'incirca in tempo di lavoro, la mia attitudine culturale e professionale era rivolta all'analisi di sistemi complessi, da risolvere con i nascenti sistemi e tecnologie digitali. Attitudine rimasta, a maggior ragione quando il tempo si accorcia e pensi a chi verrà dopo di te, a cominciare da coloro che ami. 

Così, so per certo e provo a lavorarci nel tentativo di comprenderle e misurarle, che se fossimo fatti di solidarietà umana mutualistica, se si consolidassero abitudini convenzionali, in cui le regole generali servissero solo a codificare le modalità con cui nutrire le abitudini consolidate, nelle relazioni locali di comunità in cui viviamo, potremmo (forse) affrontarle con semplicità e senza porci troppe domande, anche nella globalizzazione. Giusto per racchiudere aspetti culturali e di saperi diversi, si potrebbe pensare alla signora Maria, anziana, che va al mercato vicino casa, oppure al supermercato, pagando al massimo con il bancomat, se ce l'ha. Tutto questo, mentre suo nipote compra online qualcosa, pagando con carta di credito e scegliendo tra varie opzioni, chi dovrà consegnargli a casa in un certo giorno, il pacco contenente l'acquisto effettuato. Circostanze uguali certamente dappertutto in Europa e dove vige il modello dell'economia di mercato, ovunque nella transizione verso il Nuovo Mondo.

Per dire che le capacità sono diverse e se c'è un'infrastruttura generalista che le permette più o meno tutte, significa aver costruito un modello generale che permette di concludere una relazione nella comunità, appunto, senza modificare le proprie abitudini. Questo propone che le situazioni generali che sono utili per tutti, possono essere relegate e regolate dal modello generalista, a maggior ragione perché uguali e sentite come utili ovunque. Per esempio, il controllo sugli alimenti che non siano nocivi alla salute umana, è un ambito d'intervento generale che il singolo non potrà mai assolvere e risolvere; così come il controllo sull'impatto ambientale dei prodotti e il loro effetto sul ciclo dei rifiuti. E se è accettato il principio, quante sono le cose generaliste su cui il singolo non incide e come comunità solidale e mutualistica, si?

Ora, se pensassimo che il centro del problema in ogni mercato domestico, è il medesimo, perché non pensare alla possibilità di costituire una comunità coesa che assuma la rappresentanza dei singoli per infrastrutturare quel che è affrontabile come comunità? In questo caso le tecnologie digitali e le reti sono un ottimo mezzo per generalizzare funzionamenti che possono prescindere dal tempo e dallo spazio, perché sempre e ovunque validi. Ma quel che è più interessante è che per rendere produttivo un sistema del genere, a cominciare dagli scambi sui consumi, sia delle famiglie, che delle 8prese tra loro, significa  coinvolgere per forza tutta la comunità, privati e imprese, e lasciare che lo Stato, che ricava sostanza giuridica dalla Comunità, concepisca che l'insieme è anche sua responsabilità, dalla sussidiarietà, alla ricerca di equilibrio tra democrazia rappresentativa e partecipativa. 

Del resto ne parla anche l'Europa Unita, nel Trattato di Lisbona, parlando di cittadini europei e di democrazia partecipativa come strumento di equilibrio per l'unità europea dei popoli. Per dire, che se c'è la possibilità di superare le mancanze, col benessere diffusivo, anche le guerre parziali, perderebbero di ragionevolezza da potere,  non avrebbero senso, nonostante il neoliberismo perfetto della finanza che ha saltato l'impatto sull'economia reale, con la speculazione per tutti, nell'irrealtà dell'oggi.
Che la buona vita sia con te e con la tua compagna Caterina. 

Giovanni Tomei -  gtomei@sovranitapopolare.it
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Post Scriptum

Permettimi di dire ancora qualcosa, sul piano dei principi etici che governano la reciprocità tra esseri umani e la percezione che hanno di essere la parte costituente del bene possibile, e in qualunque settore, perché sebbene sia importante battersi per ciò in cui si crede, nel senso che aver trovato un proprio centro è essenziale e, in quell'ambito, l'armonia è effetto e godimento reciproco, e più si è, meglio si sta insieme.

Ma armonizzare le disarmonie nella diversità e nella transizione che si vive, tra mille mancanze e improprietà, fino a far ritenere a molti (statistiche OXFAM, giusto per dare un'indicazione) che nell'orizzonte degli esseri umani debba per forza esserci sofferenza e mancanza di direzione, come se fosse venuta meno e in via definitiva, la speranza di una Entità soccorritrice, propone di lavorare insieme, e su molteplici fronti, per arrivare all'armonia possibile, inclusiva e responsabile.

A breve, avrò completato un piccolo lavoro attorno ad un piccolo manuale di ecologia economica, riflettuta dal lato delle "mancanze". Un insieme fatto di due parti: Stato e Debito Pubblico e Comunità e Consumi nel Mercato domestico, prospettando che per arrivare al cuore e alla ragione delle persone, miei e tuoi concittadini,  occorra offrire loro una prospettiva economica, in cui i vantaggi dipendano dalla loro comprensione, attitudine e responsabilità a ritenersi cittadini appartenenti a una comunità solidale e mutualistica, nella comprensione che non hanno necessità d'intermediari di nessun tipo, perché tutto dipende da loro e dal loro modi di essere comunità. Il testo è finito ed è in fase di correzione di bozza  che, con tutta l'umiltà del caso, ti invierò nella speranza che insieme, come è naturale, si arrivi a "contarci per contare", per arrivare... a Treia.  Buona vita.    
Giovanni


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Salvare l’ambiente con il buon esempio – Scrive MAA: “Può esistere una società incentrata sull’armonia tra Uomo e Natura? Il  Manifesto bioregionale  intende dimostrare di sì. Le istruzioni in esso riportate si rivolgono anzitutto all’individuo. Perché, riprendendo un’affermazione del grande psicanoalista Carl Gustav Jung, un insieme d’individui immaturi non potrà mai dare una società matura. Tuttavia, anche le regole giuste e correttamente integrate aiutano l’individuo a sviluppare il suo senso morale e a crescere interiormente. Occorre quindi giocare su entrambi i fronti. E la via più efficace che permette di incidere sia a livello individuale, sia a livello collettivo è… il buon esempio…”

Nuovi paradigmi bioregionali. La convivenza pacifica è possibile?


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Le varie nazioni europee hanno dimostrato la loro totale incapacità di affrontare l’emergenza terroristica che si profila all’orizzonte, mancando completamente di “intelligence” e di forze idonee a contrastare le violenze ed i rovesciamenti delle strutture democratiche istituzionali.
Mentre l’immigrazione di giovani profughi “economici”,  provenienti  dall'Africa verso l’Italia, prosegue seguendo una escalation matematica, i vertici politici e  le forze interne di pubblica sicurezza risultano inidonee ad affrontare una crescente “emergenza” sociale.
Tempo fa predissi che l’Italia è destinata alla frammentazione, né più né meno come all’inizio del basso medio evo. Piccoli poteri regionali sostituiranno lo Stato. Poteri che non sempre saranno rappresentativi del popolo italiano. A macchia di leopardo si costituiranno  “ducati” indipendenti come sta già avvenendo, ad esempio, in quelle regioni dominate da mafia, ndrangheta, camorra ed altre associazioni malavitose. Alcune città saranno islamizzate, altre si circonderanno di nuove mura difensive per ostacolare l’invasione, le basi NATO si attrezzeranno a proteggere i proprio territori, etc. etc. insomma l’Italia scomparirà in quanto tale divenendo una sorta di terra di nessuno a fare da cuscinetto fra l’Europa del nord e il mondo islamico.
Certo anche i paesi nordici avranno di che pentirsi della loro politica aggressiva, da un lato, nei confronti dei paesi islamici sconvolti da guerre finalizzate alla rapina coloniale (Libia, Siria, Iraq, etc.) e dall’altro dalla totale impossibilità di attuare politiche “integrative” (non accettate da chi dovrebbe essere integrato). Alcuni stati europei dell'Est si stanno attrezzando chiudendo le frontiere all’immigrazione incontrollata in modo tale che la principale “vittima” dei flussi migratori resta  l’Italia.
Eppure non è detto che sia impossibile creare una “integrazione” ed una collaborazione anche fra membri di culture e razze diverse. Siamo tutti esseri umani e non c’è alcuna differenza fra un nero, un bianco ed un giallo. Il problema subentra quando una certa comunità vuole far prevalere la sua “cultura” o “religione” o “idea politica” e cerca di imporla in un modo o nell’altro agli altri. 
Ricordo, durante i miei viaggi in Africa od in vari paesi dell’Asia, che se ci si relazionava su un piano esclusivamente umano con gli altri non c’era nessuna difficoltà a dialogare e condividere emozioni e bisogni. L’amore è possibile quando ci si apre, se ci si chiude vince l’egoismo e l’ignoranza. Può definirsi egoismo o ignoranza “cristiana” o “maomettana”, della squadra di calcio o del colore della pelle…
Ma cosa possiamo fare se l’opponente che manifesta quell’egoismo, che sia un banchiere ricchissimo, un industriale, un re, un papa, un mullah, od un “poveretto” che cerca di farsi largo nella società, arraffando quel che può, pur di ottenere almeno i galloni da “caporale”? 
Possiamo difenderci o dobbiamo semplicemente soccombere, dobbiamo porgere l’altra guancia o dobbiamo ribattere ad armi pari? Sinceramente non lo so, non ho una ricetta precisa, forse dipende dalle situazioni e dalle condizioni in cui ci si viene a trovare.
Parlavo oggi con Caterina, la mia compagna, della necessità di mantenere una rete di relazioni simbiotiche con i nostri affini, con le persone con le quali condividiamo valori e intelligenza. Di fatto è esattamente quel che sta avvenendo in tutti gli ambiti della nostra comunità umana: i delinquenti e gli arroganti si uniscono per fini di potere e prevaricazione e gli umili ed i consapevoli incontrano i loro simili, al fine di non disperdersi e di mantenere una civiltà “bioregionale e spirituale” (una civiltà della Vita in comune).

Paolo D’Arpini 

bioregionalismo.treia@gmail.com