venerdì 5 aprile 2019

Il bioregionalismo secondo Peter Berg e Raymond Dasmann


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Il concetto di “Bioregione” è stato formulato negli anni ’70

nell’ambito di una ricerca, volta all’individuazione di un approccio
sostenibile alle risorse naturali, condotta da Peter Berg, esponente
delle avanguardie culturali nord-americane, e dall’ecologista
statunitense Raymond Dasmann. Il lavoro prodotto da queste due
personalità singolari venne pubblicato, nel dicembre del 1977, in un
articolo della rivista americana The Ecologist in cui, per la prima
volta, vennero impiegati i termini “Bioregione” e “Bioregionalismo”.

Negli stessi anni, Peter Berg fondò il movimento noto come Plunet Drum
(Il tamburo planetario), allo scopo di diffondere nel mondo il
concetto di bioregione come punto di partenza per la sostenibilità,
nonché le implicazioni culturali, ideologiche e di vita quotidiana che
da esso derivano.

Da allora la teoria bioregionale ha destato l’interesse di scienziati,
ecologisti, agronomi, ed economisti di tutto il mondo, è stata oggetto
di critiche e confutazioni, dovute soprattutto “alla difficoltà di
identificare dei criteri univoci per la delimitazione delle
bioregioni”, ha ottenuto consensi e pareri favorevoli e, in tutti i
casi, ha collezionato innumerevoli pagine nella letteratura
specializzata di tutto il mondo.

Ad oggi, è possibile attingere a numerose definizioni di “Bioregione”
e “Bioregionalismo”, fornite dalle più varie personalità mondiali e
sulla base di approcci eterogenei. Nel complesso, si può affermare che
tutti concordano nel sostenere che per “bioregione” si intende “un
territorio non delimitato da confini politici o amministrativi ma da
confini ‘oggettivi’ (ecosistemi naturali) e ‘soggettivi’ (identità
sociali); quindi un’area geografica circoscritta da limiti fisici
(bacino fluviale, catena montuosa) e da un’omogeneità ambientale e
naturale degli ecosistemi (clima, suolo, flora, fauna) e delle
caratteristiche sociali delle comunità locali (costumi,tradizioni,
identità collettiva, senso di appartenenza al territorio)”.

Per quanto riguarda la definizione di “bioregionalismo”, la questione
è più complessa: nelle intenzioni dei suoi fondatori, il
bioregionalismo è una scelta di vita prettamente ideologica e radicale
che comporta, in primo luogo, l’esperienza dell’ecologia profonda,
dell’auto sostentamento e dell’autosufficienza, è la capacità degli
abitanti di una bioregione di organizzarsi autonomamente e di reperire
tutte le risorse di cui necessitano entro i confini della propria
regione, annullando la pratica del trasferimento di risorse nello
spazio e nel tempo ed estendendo, dunque, il concetto di sostenibilità
all’intero ecosistema e non soltanto in riferimento all’ambiente
naturale e alle sue risorse.

Un simile approccio appare, per certi versi, estremamente utopico e
poco realizzabile in un mondo ormai globalizzato, ciò ha condotto
alcuni studiosi a riformulare la definizione di bioregionalismo per
mezzo di un approccio più pragmatico e meno radicale che vede “la
sostenibilità globale del sistema planetario come sommatoria di una
gestione sostenibile delle risorse naturali di un territorio da parte
delle comunità locali”. Nell’ambito di una simile idea di
sostenibilità, la scelta bioregionale non nega la prospettiva di uno
sviluppo, purché sostenibile e che parta dalle scelte delle
popolazioni locali, né preclude la possibilità di interazione con
operatori economici esterni alla bioregione, purché avvenga secondo
criteri di “buonsenso ecologico” fissati dalle popolazioni locali.

In entrambi i casi, comunque, il bioregionalismo prevede una scelta di
vita che evita l’inquinamento e lo speco, che promuove la
conservazione e il riciclaggio, che valorizza i prodotti tipici della
regione, che adatta i sistemi produttivi ai caratteri ambientali del
luogo e che, soprattutto, implica un ridimensionamento al livello
locale della gestione delle risorse naturali, come punto di partenza
imprescindibile per un qualsivoglia tentativo di sostenibilità
ambientale.

In Italia il “movimento bioregionale” si è andato affermando agli
inizi degli anni ’80 coordinato da un gruppo di attivisti
riconducibili al giornale AAM Terra Nuova. Dopo un primo periodo di
entusiasmo e di attività febbrile, l’interesse verso l’argomento
cominciò a scemare per tornare alla ribalta dopo circa 10 anni grazie
al lavoro di divulgazione operato da un’altra rivista, Lato selvatico,
particolarmente devota alla filosofia del bioregionalismo.

Nel 1996 nasce la Rete Bioregionale Italiana, “un insieme di gruppi,
associazioni, comunità e singole persone che condividono l’idea
bioregionale e in prima persona, nel proprio luogo, si danno da fare
per praticarla”. In breve tempo, la Rete, attraverso incontri
periodici, diffusione di newsletter, pubblicazioni a vario titolo e
contributi all’interno di riviste specializzate, diventerà il
principale punto di riferimento nazionale per tutti coloro che, in un
modo o nell’altro, intendono intraprendere una scelta di vita
bioregionalista.

Coerentemente con il carattere prettamente locale della pratica
bioregionalista e, considerando che “l’idea bioregionale è ispirata
dai sistemi naturali selvatici”, anche la struttura organizzativa
interna della rete mira al decentramento della “gestione” eliminando
figure che rivestano ruoli di coordinamento nazionale, ritenute poco
utili, e limitandosi a costituire un Consiglio di referenti tematici
formato da soggetti con qualifiche diverse, ognuno dei quali, secondo
le proprie competenze, porta avanti le specifiche attuazioni del
bioregionalismo. 

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