lunedì 20 ottobre 2014

Un mondo comunitario ed armonico immaginario... ma possibile


Immaginiamo un mondo nel quale ogni luogo di lavoro esiste in forma
cooperativa, nel senso che i suoi  lavoratori, indipendentemente dai
loro compiti specifici, siano ciascuno proprietario della quota
corrispondente a 1/n della proprietà globale. Per essere più precisi,
ognuno è proprietario della quota corrispondente al rapporto n/m tra
le sue ore lavoro individuali e il monte ore complessivo (m = n1 + n2
+ .... +nk, somma delle ore lavorative dei vari soci), quota che viene
determinata alla fine di ogni mese, in corrispondenza alle ore di
lavoro effettuate. La gestione delle decisioni è democraticamente
determinata attraverso discussioni confronto e votazioni nelle quali
ognuno dispone della propria quota decisionale, tramite voto pari ad
n/m del voto complessivo, così come riceve una retribuzione pari ad
n/m del dividendo, cioè ad ognuno vengono pagate le ore lavoro svolte,
in quanto ore di vita messe a disposizione delle necessità della
produzione sociale, indipendentemente dalla precisa mansione svolta,
poiché una ora vita di un elettricista, un ingegnere e un cuoco hanno
lo stesso valore, trattandosi sempre di una ora di vita umana.


Naturalmente, al di là di questa condizione base, ogni decisione sarà
ispirata al principio "ad ognuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno
secondo le sue possibilità", modo di agire che non dipende da
regolamenti e legislazioni bensì dalla cultura filosofica adottata
dalla popolazione di cui stiamo discutendo.


La filosofia di vita non è qualcosa che si possa compravendere, è
qualcosa che si realizza nel proprio essere e fare. Stiamo
immaginando, qui, un genere di società civile che si ispira, nei suoi
comportamenti, all'idea socialista originale.


Quando un membro della società cooperativa abbandona quel posto di
lavoro per andare a lavorare altrove, perde la sua vecchia quota
proprietaria e retributiva, che sarà sostituita da una nuova quota
n'/m', nel nuovo luogo di lavoro.


Dunque nessun luogo di lavoro e produzione è proprietà di qualcuno che
lo abbia acquistato, bensì semplicemente di coloro che ci lavorano,
nella misura in cui vi dedicano il proprio tempo.


Lo stesso possiamo immaginare per la vita privata abitativa (salvo che
riguardo il reddito, che non esiste). Ogni persona è provvisoriamente
proprietaria della sua quote 1/k del luogo che abita assieme ad altre
k-1 individui, nel senso che le decisioni e iniziative al riguardo
vengono prese con i metodi già descritti a proposito dei luoghi di
lavoro e produzione.


Quando per qualche motivo un individuo abbandona una abitazione per
trasferirsi in un'altra, come prima perde la sua vecchia quota di
"proprietà provvisoria" n/m per acquisirne altrove una nuova n'/m'.
Un mondo del genere funzionerebbe benissimo, all'unica condizione che
i suoi membri desiderino realizzarlo, così vivendo.


In questo scritto non ho fatto altro che ispirarmi ad una idea
espressa da Noam Chomsky, sviluppandola quindi a modo mio. "C'è un
modo per uscire dalla crisi, ed è che i lavoratori siano proprietari e
gestori dell'impresa produttiva in cui lavorano", osservò Chomsky nel
corso di una intervista. Aggiungendo, purtroppo "Ma le banche non ne
sarebbero molto contente".


Il che forse fa capire meglio come mai mondi progettuali come quello
da me appena descritto suscitino così facilmente l'accusa di essere
"irrealizzabili utopie": probabilmente l'individuo medio si è molto
abituato ad assorbire il pensiero delle banche, ed a ragionare come i
banchieri, assumendo una ideologia filosofica di fondo di cui non è
nemmeno consapevole, ma che gli fa immaginare impossibile ogni
alternativa al banale e malfunzionante già esistente.


Io sto scrivendo perché voglio scrivere, non perché voglio più spaghetti.
Se ciò che voglio fare ora è scrivere scrivo.


Se invece ciò che voglio ottenere è qualcosa che non ho, opero in modo
da procurarmelo, il che può anche significare che vado a lavorare per
ottenere di più di ciò che ricevo con il mio stipendio.


Ma questo avrebbe senso se stessi cercando qualcosa di diverso da ciò che ho.
E' invece completamente insensato nel caso che abbia già ciò che volevo avere.

Il denaro serve a procurarsi qualcosa che si desidera e non si ha.
Quando si ha ciò che si desidera si è già alla posizione finale del
processo di ottenimento, mentre col denaro in mano si è nella
posizione intermedia, e lavorando per guadagnare denaro si è appena
nella fase iniziale.


Quindi, chi si trova nella fase finale del processo di ottenimento non
ha alcun motivo per voler tornare alla fase intermedia.

Se un mezzo serve ad ottenere un fine, quel mezzo ha importanza in
mancanza di possedimento del fine.


Ma se il fine è già ottenuto il mezzo non suscita interesse.
Sarebbe come faticare a trasportare una zattera dopo averla GIA' usata
per attraversare un fiume.


Se il fine era attraversare un fiume, una volta compiuto
l'attraversamento non ha alcun senso faticare a trasportare una ormai
inutile zattera.

Vincenzo Zamboni

1 commento:

  1. Tra poco saranno 100 anni da quel tragico 1917 durante il quale si è ribaltato uno stile in un grande Stato del mondo. La storia si ripete perché non impariamo nulla e non ci documentiamo prima di cercare di capovolgere ancora una volta il mondo... Ottime queste idee, peccato che chi le voleva sperimentare e c'era riuscito allora, ha poi travisato tutto, come anche nel lontano periodo della Rivoluzione Francese... ma perché l'uomo ha bisogno di ribaltare tutto, invece di imparare dalle lezioni precedenti? Quando riusciremo finalmente a girare pagina? Scusate lo sfogo, ma a volte sento ripetere infinitesimamente le stesse cose e mi chiedo se qualcuno prima ha studiato la storia...

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