domenica 8 luglio 2018

Plastica: il flagello della nostra epoca... e l'altra faccia della medaglia


Immagine correlata

La plastica, uno dei flagelli del nostro tempo, merita di essere vista anche dall’altra parte della medaglia. Gli oggetti di plastica finalizzati al benessere dell’umanità sono innumerevoli, come pure i contenitori in plastica che con il loro peso ridotto ci consentono risparmi energetici non comuni. 

Io qui vorrei però parlarvi della plastica come materiale dei Beni Culturali che giustifica l’esistenza di Musei dedicati alle opere d’arte in materiale plastico. 

Il PLART di Napoli è forse il più noto in Italia. La assoluta minore presenza della plastica come materiale dei BB.CC. rispetto a materiali metallici, lapide, cellulosici pone problemi per gli aspetti di protezione e conservazione finora relativamente meno studiati rispetto agli analoghi problemi degli altri tipi di materiale. Gli oggetti di plastica presenti in un Museo come il PLART, a costituire una collezione, obbligano il Museo stesso alla loro conservazione. 

Le plastiche apparentemente paiono deteriorarsi più rapidamente di altri materiali, ma questo processo degradativo dipende molto dalle condizioni di conservazione che possono rallentarlo fino a quasi fermarlo o, al contrario, accelerarlo. Tale processo, una volta avviato nella plastica, difficilmente si può arrestare o invertire, per cui lo scopo della conservazione preventiva è quello di guadagnare tempo di vita per l’oggetto da conservare. 

Ciò avviene rimuovendo o riducendo i fattori che invece accelerano questo processo, quali luce, ossigeno, composti acidi, umidità, prodotti aggressivi. Le plastiche più vulnerabili sono le cellulosiche, il PVC ed i poliuretani. Con riferimento ai reperti/oggetti presenti al PLART bisogna notare: polimeri cellulosici: le reazioni più dannose derivano dall’idrolisi e dall’ossidazione da parte di agenti chimici, in particolare di radicali liberi prodotti per fotocatalisi, con il rischio aggiuntivo che i prodotti di degradazione, se non rimossi, possano catalizzare il processo in atto accelerandolo: PVC: contiene generalmente dei plastificanti, i più comuni dei quali basati su esteri ftalici, molto sensibili all’idrolisi, quando esposti ad ambienti acidi, uno dei quali è proprio l’acido cloridrico, prodotto della degradazione de PVC. 

Il processo inizia con la rottura di doppio legame cosicché l’atomo di cloro attiguo diviene allilico, fortemente reattivo e ,quindi, rilasciato: con tale meccanismo l’attacco procede. Poliuretani: sono prodotti di un poliolo, basati su un poliestere o un polietere, con molti gruppi alcoolici; le reazioni più temute sono l’ossidazione, che avviene già all’aria, e l’idrolisi a formare catene più corte e meno resistenti. 

Anche il PMMA (perspex), la poliamide (nylon)il polisterene, la fenol-ed urea-formaldeide (bakelite)sono plastiche con marcati problemi di stabilità e, quindi, con elevati rischi di degrado. I segnali di degrado possono essere odori (di aceto, di canfora, di acido),la corrosione di metalli che si trovano collocati accanto all’oggetto in plastica, la comparsa di alterazioni estetiche o meccaniche. L’osservazione pertanto può aiutare moltissimo nell’operazione di conservazione. Infatti ,sulla base di quanto ora detto, molte delle plastiche usate nei Beni Culturali presentano ,quando si degradano, segnali chiari e specifici. 

Così ad esempio il nitrato di cellulosa assume un aspetto zuccherino, l’acetato di cellulosa emette un odore di aceto e si frattura, il PVC scurisce e diviene appiccicoso, il poliuretano si frattura e delamina CONSERVAZIONE La conservazione preventiva dei materiali plastici prevede due approcci diversi -preventivo e passivo -attivo. Il primo si esplica con il controllo dell’ambiente. Al fine di preservare l’ambiente dalla presenza dei composti più sopra indicati come pericolosi per la stabilità dei materiali plastici, una tecnica è affidata all’uso di assorbenti capaci di rimuovere i composti acidi. In tal senso per molto tempo è stato usato il carbone attivo; oggi sono più impiegati le zeoliti drogate con ioni positivi in forma di setacci da 4 A° ed il gel di silice. 

La conservazione in contenitori di polietilene ,adottata in passato, si è rivelata dannosa per la capacità del polietilene di assorbire gli ftalati, rimuovendoli dalla loro funzione di plastificanti. Un’altra azione utile è cercare di abbassare la temperatura e l’umidità all’interno delle teche espositive del Museo. Valori consigliati ad agevoli da raggiungere 20°C e 40% UR. Anche l’illuminazione deve essere controllata in quanto capace di innescare reazioni di degradazione. Un valore ottimale di intensità è 50 lux, utilizzando led e con l’accorgimento di porre filtri alle finestre per eliminare la componente uv della luce solare e di eliminare qualsiasi fonte luminosa non necessaria. Il controllo attivo si esercita con il pretrattamento degli oggetti da preservare. In tal senso non esistono protocolli standard, in quanto è sempre presente la possibilità che, per proteggere, si finisca invece per aumentare la probabilità di danno, come può avvenire con gel protettivi, on solventi, con trattamenti termici, con puliture meccaniche. 

In particolare i solventi possono essere pericolosissimi, se non se ne conoscono gli effetti. Così con il polistirene sono da escludere dietiletere, cicloesano, cloroformio, tricloroetano, toluene,acetone; con il PVC cicloesano, etilacetato, tricloroetano; con il perspex alcooli, acetone, tetracloruro di carbonio, cloroformio; con il polietilene cloroformio, toluene, cicloesanone.

A cura del Prof. Luigi Campanella 
Dipt. Chimica Università “La Sapienza”, Roma 

Risultati immagini per il flagello della plastica

(Fonte: Accademia Kronos)

Nessun commento:

Posta un commento