Il 2025 è finito così, con il mondo diviso in due o tre parti che non si parlano quasi più. Anche se si parla molto di nuove tecnologie e di armi intelligenti, la realtà resta quella di sempre: uomini chiusi nelle trincee, nel fango delle pianure ucraine o tra le macerie di Gaza. Si attende una pace che non arriva, perché nessuno vuole cedere un pezzo di terra o rinunciare al proprio puntiglio.
A Oriente, il mare intorno a Taiwan è solcato da navi da guerra. Sembra che la politica sia diventata solo un calcolo di forze, una preparazione a un evento che tutti dicono di voler evitare ma che tutti alimentano. Si accumulano armi, si stringono patti per l'energia e per i minerali, come se la vita degli uomini dipendesse solo da queste materie inanimate.
In Europa i politici e i generali sono tornati a parlare con entusiasmo della guerra. Esortano i giovani a essere pronti al sacrificio, a morire per la patria, come se il tempo non avesse insegnato nulla. È una retorica vecchia, che sa di caserma e di un orgoglio maschile arcaico... (o di interessi finanziari ndr)
Eppure, si potrebbe fare diversamente. C'è un modo di stare al mondo che non cerca la distruzione dell'altro. È l'idea della nonviolenza, che molto femminismo ha fatto propria: la consapevolezza che le differenze fanno parte della vita, ma la guerra no. La guerra è solo una pratica antica e feroce. Rifiutarla significa cercare un'altra strada, l'unica che possa davvero dirsi civile, per affrontare il futuro che ci aspetta.
Auguri da parte dei Disarmisti esigenti per l'educazione alla nonviolenza e alla terrestrità!
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