venerdì 27 aprile 2018

Testo Unico Forestale - Allarme della Rete Bioregionale Italiana e di altre associazioni



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NUOVI ALLARMI PER BOSCHI E FORESTE

Le osservazioni di 264 accademici e 224 esperti in diverse discipline inviate al Presidente della Repubblica perché non firmi il nuovo “Testo Unico Forestale” approvato lo scorso 16 marzo dal Governo Gentiloni. Il plauso di Legambiente, Accademia dei Georgofili, Alleanza delle Cooperative Agroalimentari, Coldiretti, Federforeste e Uncem. Critici il Wwf, Lipu, Italia Nostra, European Consumers, Rete Bioregionale Italiana e oltre 50 Associazioni, fra cui i Comuni virtuosi. Contrari i 5S ed altri Movimenti, i cui timori si assommano ai ripetuti appelli rivolti in questi giorni al Presidente Mattarella perché rimandi la decisione ad una consultazione partecipata e supportata da studi più approfonditi sugli impatti del D.lgs. così come formulato dai quattro parlamentari proponenti, tra cui il non rieletto esponente del Partito Democratico on. Ermete Realacci, Presidente onorario di Legambiente.

Nonostante gli appelli sottoscritti da giuristi, da comunità scientifiche e ambientaliste, e una non trascurabile petizione a firma di migliaia di cittadini, il 16 marzo scorso, nel soffuso torpore mediatico e dilagante declino morale e politico, il Consiglio dei Ministri del governo uscente ha dato il definitivo via libera al D.lgs. riguardante “Disposizioni concernenti la revisione e l’armonizzazione della normativa nazionale in materia di foreste e filiere forestali, in attuazione dell’art. 5 della legge 28 luglio 2016, n. 154”, meglio noto come Testo Unico Forestale.
Oltre a riordinare la materia e ad introdurre norme volte a disciplinare gli interventi finanziari a sostegno delle imprese agricole, il nuovo provvedimento intende garantire la conservazione ambientale e paesaggistica, la crescita occupazionale nelle aree interne e lo sviluppo di nuove “economie verdi”.

Approvato in attuazione della legge su semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo e agroalimentare, punta a rafforzare non solo la funzione di coordinamento istituzionale svolta dallo Stato nei confronti delle Regioni e delle autonomie locali, ma anche a formulare chiari indirizzi di riferimento su programmazione, pianificazione, tutela e gestione attiva del patrimonio forestale nazionale per i prossimi decenni.

In breve, il nuovo testo sulle foreste e sulle filiere forestali: Delinea criteri innovativi di programmazione e pianificazione forestale • Fissa i criteri minimi uniformi per le attività di gestione forestale, demandando alle singole Regioni l’onere di declinarli tenendo conto dell’estrema varietà degli ecosistemi forestali italiani • Disciplina in modo nuovo la trasformazione di aree boscate in altra destinazione d’uso, mantenendo saldo il principio dell’obbligo di compensazione • Individua i principi cardine per la promozione e l’esercizio delle attività selvicolturali di gestione, anche attraverso la pianificazione di piste utili ai lavori forestali • Detta principi innovativi per facilitare e incentivare la gestione di superfici forestali accorpate, anche quando i proprietari siano molti e le superfici unitarie piccolissime • Rilancia l’attività della filiera vivaistica forestale nazionale • Pone il Ministero al centro di un coordinamento di Enti per la raccolta e la divulgazione di dati quantitativi e qualitativi sulle foreste.
Contrariamente a quanti lo temono come un “via libera alla deforestazione” ammantata da necessità agricole ed economiche, altri, come Legambiente, unica associazione ambientalista schieratasi a favore, lo ritengono un primo passo importante per sviluppare una politica nazionale efficace e coordinata del patrimonio boschivo. Come affermato dal responsabile Aree Protette di Legambiente, Antonio Nicoletti, il dispositivo non mette in discussione gli attuali livelli di tutela ambientale e paesaggistica. Riconosce il patrimonio forestale nazionale, che ammonta a 11,8 milioni di ettari, pari al 39% del territorio italiano, come parte del “capitale naturale” nazionale e come bene di interesse pubblico. Al contempo ne promuove la sostenibilità garantendo una gestione del bosco che consente sia un utilizzo produttivo che il mantenimento della biodiversità. Ora molto dipenderà dal modo in cui saranno scritti i decreti attuativi, e da come questi potranno garantire la coerenza delle norme regionali con le prospettive indicate nel testo.

Altrettanto soddisfatte Coldiretti e Federforeste per le quali fino a 35 mila nuovi posti di lavoro potrebbero nascere da una migliore gestione dei boschi che oggi coprono una superficie record raddoppiata rispetto all’Unità d’Italia, quando era pari ad appena 5,6 milioni di ettari. L’Italia, spiegano gli esponenti dei due sodalizi, non è mai stata così ricca di boschi, ma a differenza del passato si tratta di aree senza alcun controllo e del tutto impenetrabili ai necessari interventi di manutenzione e difesa che mettono a rischio la vita delle popolazioni locali a causa del degrado ed incendi. Con la nuova legislazione si va a riconoscere che solo i boschi gestiti in modo sostenibile assolvono al meglio a funzioni importanti per la società, come la prevenzione dagli incendi, dalle frane e da alluvioni o l’assorbimento del carbonio, facilitando le attività ricreative e il benessere psicofisico in generale. Il D.lgs. consentirà di affrontare anche un’anomalia che vede oggi l’Italia importare l’80% del legno da altri paesi, mentre da noi ogni anno si utilizza appena il 25% della superficie boschiva.

Anche l’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari plaude il provvedimento del Cdm. Il testo approvato, sottolineano dal coordinamento nazionale, non è certamente un decreto perfetto poiché frutto di tanti compromessi, ritenendo un importante passo in avanti il fatto che si sia provveduto ad una armonizzazione della materia. Tra gli aspetti positivi della nuova normativa c’è la valorizzazione del ruolo delle cooperative forestali nella gestione sostenibile del grande patrimonio boschivo nazionale che rappresenta una grande opportunità dal punto di vista economico, sociale ed ambientale. Le cooperative operano in zone montane e marginali, spesso a rischio di abbandono e spopolamento, e forniscono un servizio insostituibile per la collettività e per lo sviluppo economico delle aree in cui svolgono le loro attività. Il patrimonio forestale italiano è una grande risorsa, non può essere abbandonata e ha bisogno di strumenti di indirizzo e di valorizzazione come quelli recentemente introdotti.
Un risultato legislativo importantissimo, commenta l’on. Enrico Borghi, Presidente nazionale Uncem, poiché il nuovo provvedimento esalta i “servizi ecosistemici-ambientali” che circa 12 milioni di ettari di bosco svolgono non solo per le aree montane, ma per le intere collettività in una rinnovata sussidiarietà ambientale e territoriale che va costruita tra poli urbani e aree interne del Paese. 

Stando a quanto dichiarato dall’Accademia dei Georgofili, il provvedimento è frutto di un lavoro di confronto e partecipazione pubblica durato 4 anni, e riprende in gran parte un testo licenziato nel luglio 2015 dal Tavolo di settore “Foresta e legno” del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Non si ricorda nella storia del settore forestale italiano una esperienza così ampia e partecipata di elaborazione di un testo normativo. È un segnale positivo e importante, che si accompagna alla parallela scelta di istituire una Direzione Foreste presso il Ministero per dare dignità e capacità operativa alle autorità centrali dello Stato in un settore ritenuto strategico per lo sviluppo del paese.

In tal senso la rivista “Sherwood” d’informazione tecnica sulla gestione delle foreste, riservandosi di commentare con maggior dettaglio i contenuti della norma, ha evidenziato quello che il decreto non comporterà, ovvero: Non eliminerà alcuna legge di tutela ambientale vigente • Non eliminerà alcuna area protetta, di nessun tipo • Non eliminerà la richiesta di autorizzazione ai fini paesaggistici, là dove è oggi richiesta • Non eliminerà l’autorizzazione ai fini del vincolo idrogeologico • Non toglierà la potestà alle Regioni e alle Province Autonome in materia di foreste, pertanto rimarranno in vigore tutte le leggi, i regolamenti e le prescrizioni di tutela attuali • Non prevede alcun esproprio delle proprietà.

Per questo, sottolineano dall’Accademia, risultano strane le critiche fatte al testo in questi giorni; critiche che sono caratterizzate da toni ultimativi e drammatizzanti che non entrano nel merito degli articoli della norma.

Tuttavia questo decreto, definito da tant’altri un provvedimento “ammazza foreste” di fine legislatura, non è stato accolto favorevolmente da tutti gli ambientalisti.
È ritenuto assai dannoso per il nostro patrimonio boschivo: è un testo che incentiva l’uso dei boschi per la produzione energetica e nulla dice per la protezione dell’ecosistema.

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Secondo il Forum Salviamo il Paesaggio - Difendiamo i Territori molte nubi oscurano il futuro delle foreste italiane. È quanto sostiene Franco Pedrotti (Professore Emerito dell’Università degli Studi di Camerino) per il quale il testo del provvedimento è il risultato del lavoro di un ristretto gruppo di persone con competenze limitate a specifici settori delle scienze forestali e da altri soggetti rappresentativi del mondo agrario, commerciale e industriale. Totalmente assenti esperti nei settori dell’ecologia, della botanica, della zoologia, della patologia vegetale, della geologia, dell’idrologia, della medicina. Anche alcuni confronti pubblici organizzati dai promotori della legge hanno avuto solo funzione di facciata perché tutte le opinioni dissonanti rispetto all’impostazione dell’impianto normativo non sono state tenute in alcun conto.

Ne è scaturita una legge che, non considerando il bosco nella sua complessità ecosistemica, finisce col promuoverne e sostenerne solo le potenzialità produttive, trascurando ogni riferimento agli aspetti di tutela delle foreste e dei suoli, se non quelli già imposti dalla normativa vigente.

Per Patrizia Gentilini, oncologa ed ematologa di chiara fama, membro di Medicina Democratica e di ISDE Italia, il decreto in questione è stato approvato in carenza di potere giacché trattasi di provvedimento di straordinaria amministrazione che non può essere adottato dopo lo scioglimento delle Camere che hanno conferito la delega. A ereditarlo sarà pertanto un Parlamento che non l’ha proposto né voluto. Per questo ed altre incongruenze giuridiche (ben evidenziate dal Prof. Paolo Maddalena, Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale) si invita il Presidente Mattarella a non approvare questo decreto legge in quanto: Viola gli artt. 9 e 117 della Costituzione poiché, ignorando l’aspetto ambientale e paesaggistico del patrimonio boschivo è contro la tutela costituzionale del paesaggio, dell’ambiente e dell’ecosistema • Viola anche l’art. 41, il quale dispone che l’iniziativa economica (…) “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” • Contiene articoli volti alla distruzione del bosco, come quello che non considera tale il bosco recentemente ricostituitosi a seguito dell’abbandono dell’attività agricola (art. 12), oppure il rimboschimento realizzato nel recente passato, anche con fondi europei, (art. 5). Tali boschi dunque possono essere abbattuti • Include norme di dettaglio che ledono la competenza delle Regioni in materia di agricoltura e foreste.

Oltretutto il D.lgs. va anche contro l’art. 32 della Carta Fondamentale riguardante la tutela della salute, perché l’incremento delle combustioni di biomasse non potrà che peggiorare la qualità dell’aria, già pessima in tante zone del nostro paese, tanto da essere sotto procedura di infrazione da parte dell’UE. Le biomasse solide contribuiscono (dati ISPRA) per circa il 68% al PM2.5 primario, cui va attribuita una consistente quota dei circa 60.000 decessi prematuri che si registrano ogni anno in Italia per tale inquinante. Ma alla cattiva qualità dell’aria vanno ascritte, oltre alle morti premature per eventi cardiovascolari, numerose altre patologie quali alterazioni della fertilità, della gravidanza, del periodo perinatale, danni al cervello in via di sviluppo nonché numerose patologie croniche cardio-respiratorie, metaboliche e neurologiche, compreso Alzheimer, cancro a polmone e vescica, e ricoveri per patologie acute (soprattutto negli esposti più suscettibili come bambini e anziani).
Conferme dei limiti e delle incertezze nel programmare, monitorare e bilanciare gli effetti su scala locale vengono da pianificazioni non sempre finalizzate alla effettiva riorganizzazione dei territori, in cui siano presenti una pluralità di funzioni, e in cui siano preminenti le valenze dell’interesse “pubblico” su quello “privato”. Avviene un pò ovunque, nondimeno dalle nostre parti, dove pur di avallare progetti produttivi privati su aree agricole e boscate fra le più preziose del demanio civico, se ne ridimensionano le effettive dotazioni indicate nel PTPR, in contesti ambientali vincolati dove i caratteri del bosco risultano inequivocabili e senza soluzioni di continuità con le aree circostanti.

Nell’ampia riflessione sull’argomento inviatami alcuni giorni fa, il bioregionalista Paolo D’Arpini rammentava che nelle civiltà antiche l’albero era considerato manifestazione delle divinità; ad esso, ispiratore di miti bellissimi e fantastici, si pregava per chiedere protezione e aiuto. In quasi tutte le tradizioni troviamo l’albero cosmico, asse dell’universo con le sue radici affondate negli abissi sotterranei e con i suoi rami che s’innalzano al cielo. L’ispirazione derivante dalla presenza nell’habitat originario è ben descritta da San Bernardo di Chiaravalle che disse: “Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce t’insegneranno cose che nessun maestro ti dirà”.

Anche per D’Arpini un grandissimo problema di oggi è la sistematica distruzione dei boschi che sono parte integrante e di primaria importanza per il nostro ecosistema. La mentalità speculativa, che non tiene conto della vita globale, sta distruggendo la Natura, la flora, la fauna, i nostri alberi e… di conseguenza anche noi stessi.

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Tornando alle principali criticità del T.U. Forestale, si riporta uno stralcio delle ben più articolate osservazioni sottoscritte da un nutrito gruppo di Associazioni, Comitati e Comuni Virtuosi, inviate al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio ancor prima della sua approvazione:

a. Ai fini della “tutela” del patrimonio forestale nazionale come bene di rilevante interesse pubblico, si vuole introdurre in maniera generalizzata la “gestione attiva” da attuarsi attraverso la selvicoltura. Non è riconosciuto nel decreto il carattere autonomo degli ecosistemi forestali, la loro evoluzione naturale e complessità e, con l’attenzione rivolta al solo sfruttamento economico industriale immediato, si apre la strada ad un processo di speculazione sul legname, foriero di artificializzazione, fragilità, semplificazione e bruttezza dei boschi e delle foreste italiane.


b. Sebbene ricorra in tutto il decreto, il concetto di gestione attiva non trova alcuna definizione nello stesso e ciò espone a qualsiasi interpretazione stravagante e distruttiva: per il Tavolo della Filiera del legno, infatti, significa tagli forestali. Certo non è usato nel significato di gestione sostenibile (i termini, infatti, sono usati separatamente) che impone attenzione al complesso dell’ecologia dei boschi prevedendovi anche riserve integrali, rilasci di alberi o isole ad invecchiamento indefinito ed altro ancora (cfr Forest Europe, il cui indirizzo è stato preso a riferimento dagli estensori del decreto, per la sola parte economica e non per quelle, che devono essere contestuali, ambientale e sociale e, pertanto, non si può parlare di sostenibilità).

c. Nel testo manca un chiaro riferimento alla compartimentazione o zonizzazione del patrimonio forestale nazionale, ossia una distinzione tra boschi da destinare alla produzione (o ad altre finalità utilitaristiche) da quelli che devono essere conservati tal quali per ragioni ecologiche, paesaggistiche, idrogeologiche, genetiche, culturali. Tanto meno vengono distinte le formazioni degradate e meritevoli di restauro più che di utilizzazione. Un salto indietro di 95 anni: la legge “Serpieri” del 1923 operava tale distinzione finalizzata alla difesa idrogeologica.

dVengono definiti prodotti forestali non legnosi anche i singoli alberi fuori dal bosco (permittére omnes arbores excidere?) che misteriosamente non sono ritenuti legnosi e poco importa che il più delle volte caratterizzano decisamente il paesaggio in maniera identitaria.

eEquipara i terreni agricoli in cui non è stata più esercitata attività e che sono in via di rinaturalizzazione spontanea (anche se in realtà sono attualmente boschi a tutti gli effetti che si trovano nella fase di colonizzazione da parte di specie pioniere e si avviano, se ciò verrà consentito, alla fase di maturità) a terreni forestali che hanno superato il turno. La cosa è scientificamente infondata perché si estende il concetto di turno, che dev’essere applicato unicamente alle colture (ad es. dei cedui semplici o matricinati e alle fustaie coetanee che sono create e sostenute dall’uomo), al bosco che invece cresce ed evolve autonomamente. Allo stesso tempo, si introducono delle scadenze temporali agli interventi che, paradossalmente, sono contrari alla selvicoltura, anche a quella produttivistica nell’accezione più riduttiva del termine, perché impongono limiti che contrastano con la necessità del selvicoltore di adattare le modalità di intervento a quelle che sono le caratteristiche proprie di ciascun popolamento. Ancora una volta i boschi sono equiparati a colture agrarie.

fNel decreto i castagneti da frutto non appartengono più alla definizione di bosco. Non si considera che gli stessi connotano l’identità demologica tradizionale e paesaggistica di molti comuni italiani, in rapporto ai frutti piuttosto che al legname. Le conseguenze non sono trascurabili: escluderli dalla categoria bosco significa ammettere anche per castagneti secolari la reversibilità d’uso a fine ciclo, con ritorno alla coltivazione e irrimediabile perdita dell’identità paesaggistica dei luoghi.

g. Viene introdotto, mal interpretando il regolamento U.E. 1307/2013, il concetto di “bosco ceduo a rotazione rapida” (vale a dire sottoposto a tagli più ravvicinati), mentre tale definizione andrebbe applicata solo ai terreni agrari con alberi piantati, suscettibili di reversibilità d’uso a fine ciclo.

h. Il decreto non adotta, per i boschi, la definizione della FAO, utilizzata già dagli inizi degli anni 2000, e che garantisce di proporre le statistiche come le chiede l’Europa e la FAO stessa; è un passo indietro adottarne una che era stata superata e che ora viene riproposta.

i. Vengono inspiegabilmente ed incredibilmente esclusi dalla categoria bosco, e quindi sono eliminabili, tutti i rimboschimenti, compresi quelli storici della fine dell’Ottocento e quelli realizzati con fondi europei.

j. Il decreto demanda alle Regioni e alle Province Autonome la scelta dei soggetti a cui affidare la redazione e l’attuazione dei Piani di Gestione, purché dotati di comprovata competenza professionale. Il requisito è talmente vago da aprire ad ogni discrezionalità e abuso: i laureati in Scienze Forestali, specialisti in questo settore, iscritti al proprio Ordine Professionale, potrebbero quindi essere ignorati e i compiti affidati a soggetti più vicini ai saperi dei taglialegna e che, ottenuto il primo incarico, possono comprovare nel proprio curriculum la “competenza” e candidarsi - senza alcun controllo indipendente garantito dall’Ordine Professionale - ad assumere incarichi per sempre.

k. Il decreto afferma che la conversione a ceduo delle fustaie è sempre vietata; poi contraddice l’affermazione aprendo a una folla di eccezioni nel caso in cui le Regioni decidano il contrario. Alla fine arriva sostanzialmente ad includere la conversione a ceduo di ogni tipo di utilizzazione forestale, purché si abbia rinnovazione.

l. Viene liberalizzata, surrettiziamente, la possibilità di cambio di destinazione d’uso del suolo introducendo, all’art. 8, la trasformazione intesa come ogni intervento che comporti l’eliminazione della vegetazione arborea e arbustivaL’eliminazione del bosco, inoltre, può essere compensata anche con l’apertura di strade e opere simili che in realtà vanno oggettivamente a vantaggio delle aziende che operano i tagli. Si fa presente che l’istituto della “compensazione” è utilizzato (ad es. nei pareri di V.I.A.) solo allorquando un’opera assolutamente necessaria, che non ha alternative praticabili e che abbia adottato tutte le possibili mitigazioni, risulti comunque carica di un importante impatto ambientale residuo non eliminabile. Non è certo, questo, il caso della cancellazione di un bosco.

m. È gravissimo e contrario alla Costituzione, il disposto dell’art.12 per cui le Regioni e le Province Autonome possono procedere al taglio coattivo dei boschi esistenti su terreni privati il cui proprietario abbia lasciato decorrere il turno (di taglio) e di quelli sui terreni “silenti”, vale a dire di cui non si è riusciti a rintracciare il proprietario. Rappresenta, di fatto, un esproprio della disponibilità d’uso del soprassuolo forestale, immotivato nei confronti della natura e della volontà dei Cittadini che oggi ne curano la tutela e l’esistenza per il solo piacere di vederlo crescere, invecchiare, rinnovare spontaneamente e che stanno svolgendo un servizio encomiabile per la collettività e per il Paese.

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In conclusione questa legge è fatta male, contrasta con diverse altre discipline che regolano la materia e presenta profili di incostituzionalità. Non è condivisa da una larga parte del Paese che si è vista costretta a intervenire con prese di posizioni pubbliche, petizioni e appelli.

Non è condivisa neppure da forze politiche oggi candidate legittimamente ad esprimere un nuovo governo.

Si basa su presupposti incredibilmente antiscientifici come quello secondo cui il bosco morirebbe senza l’intervento costante dell’uomo e che l’abbandono sarebbe responsabile del loro degrado e addirittura degli incendi.
Ha un’impostazione pressoché produttivistica, utile solo al profitto immediato delle industrie del pellet e delle grandi centrali elettriche a biomasse (peraltro assai inquinanti), che oggi proliferano solo grazie agli incentivi statali senza i quali non hanno competitività di mercato, di cui alcune travolte da inchieste giudiziarie denominate silvomafie”.

Il peccato originale di questa legge è di aver ignorato, sebbene richiamato in linea di principio, ma poi senza conseguenti articolazioni, che la sostenibilità, per l’ONU e per la UE, si basa sullo sviluppo contestuale e armonico di tre fattori: economico, ecologico e sociale.

Per completezza andrebbe aggiunto il fattore culturale. In tutto l’assetto del T.U. prevale invece l’ottica economicistica “bruciante” di dimensioni industriali foriera di molti danni per il nostro Paese.

In un pungente articolo dello scorso febbraio, l’ex direttore Anpa Giovanni Damiani, assai critico nei confronti di quel provvedimento ritenuto “un’aggressione ai boschi italiani nel trionfo della motosega”, sosteneva che commissionare in via privilegiata alla filiera del legno la stesura di un tale decreto è come affidare la disciplina della tutela delle galline alle associazioni delle volpi.
Ad oggi non tutto è perduto perché Mattarella deve ancora firmarlo. Dallo scorso 16 marzo, in assenza di clamori mediatici e mobilitazioni di piazza, tantissimi cittadini si stanno rivolgendo direttamente al Capo dello Stato affinché non promulghi quel dissennato piano “albericida” messo in atto da un governo inequivocabilmente bocciato dagli italiani.

Italo Carrarini
(da: LA PIAZZA DI CASTEL MADAMA – Anno 15 – n. 4, Aprile 2018)

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Articoli collegati: 

http://bioregionalismo-treia.blogspot.it/2016/12/gli-alberi-sono-la-vita-del-pianeta-un.html

http://www.terranuova.it/Blog/Riconoscersi-in-cio-che-e/Anche-gli-alberi-hanno-un-anima


1 commento:

  1. Questa è la mia lettera indirizzata al Capo di Stato in merito all'ennesimo decreto che mira alla distruzione del patrimonio boschivo italiano e della sua ricchezza di biodiversità.
    "Gentile Presidente Mattarella,
    sono una naturalista e le scrivo in merito al "Testo Unico Forestale" che è stato approvato il 16 Marzo. Il D.Lgs favorisce in modo incondizionato e sistematico il taglio esteso di boschi ed aree, fino ad oggi protette, per l’utilizzo delle masse legnose a fini energetici nelle centrali a biomasse - si legge nell'appello - Tale pratica comporterebbe inevitabilmente un ulteriore aggravio dell’inquinamento atmosferico con ricadute negative per salute della popolazione italiana, dimenticando che l’Italia, con 90 mila morti premature all’anno sulle 487.600 del continente europeo, è ai vertici di questa triste classifica e per questo sotto procedura d’infrazione.
    Queste sono le incongruenze giuridiche evidenziate dal Prof. Paolo Maddalena, Vice Presidente Emerito Corte Costituzionale:
    1) Questo decreto è stato emesso in carenza di potere poiché trattasi di un provvedimento di straordinaria amministrazione, che non può essere adottato dopo lo scioglimento delle camere che hanno conferito la delega;

    2) Tale decreto, che considera le foreste sotto l'aspetto economico e non sotto l'aspetto ambientale, è contro la tutela costituzionale dell'ambiente e dell'ecosistema (art. 9 e 117 Cost.);

    3) Contiene articoli volti alla distruzione del bosco, come quello che non considera tale il bosco recentemente ricostituitosi a seguito dell'abbandono dell'attività agricola (Art 12), oppure il rimboschimento realizzato nel recente passato, anche con fondi europei, (art. 5). Tali boschi dunque possono essere abbattuti;

    4) Contiene norme di dettaglio che ledono la competenza delle regioni in materia di agricoltura e foreste.
    Sulla base di tutte le considerazioni sopra riportate, la esorto, sia come cittadina che come scienziata, a non firmare questo decreto.
    La ringrazio per l'attenzione e le porgo cordiali saluti.
    Dr.ssa Linda Guerra"

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